=> Cassazione civile, 22 novembre 2018, n. 30169
Nel testo di deontologia pubblicato di recente dal CNF,
nel 2018, molta importanza è data agli oneri
informativi relativi alla possibilità per il cliente di accedere a modalità
alternative di soluzione della lite (procedimenti di mediazione di cui al d.lgs. 28/2010 o di negoziazione assistita di cui al d.l.
132/2014 conv. con mod. in l. 162/2014); ciò non presuppone solo un
pronostico sul possibile esito della lite, essendo questa una valutazione
inerente alla miglior difesa degli
interessi del cliente sottesi alla controversia in atto, in relazione ai
costi e alla prevedibile durata del processo, a prescindere dalla fondatezza o
meno della pretesa del cliente. Del resto l’avvocato, nella strategia difensiva che
discrezionalmente sceglie e assume nell'interesse del cliente, non è tenuto ad
avviare controversie solo sulla base di un pronostico di esito favorevole,
essendo bensì obbligato a valutare, prima di accettare il mandato alla lite, l'interesse del cliente a coltivare la lite
nonostante la sussistenza di precedenti sfavorevoli e/o di strumenti
conciliatori. Ciò posto, nel caso in cui si prospettasse per l'avvocato
l'accettazione di un mandato alla lite per una causa rientrante nel novero
delle "cause perse ab initio", la strategia processuale assunta dal
legale nell'accettare l'incarico e nell'avviare
un'opposizione a decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo di sicuro esito
sfavorevole per poi coltivare vie conciliatorie, non può solo per questo
dirsi pregiudizievole per gli interessi del cliente, e ciò anche in relazione
alla mancata preventiva informativa sul probabile insuccesso della lite a un
cliente dimostratosi comunque inizialmente interessato a resistere in prima
battuta alla richiesta di pagamento e a intavolare vie conciliative, poi non
più accettate (I).
(I) Si veda il D.lgs. 4 marzo 2010
n. 28 (Osservatorio Mediazione Civile n. 38/2018) e il D.L.
132/2014 c.d. di degiurisdizionalizzazione conv. con mod. in L. 162/2014 (Osservatorio
Mediazione Civile n. 60/2014)
Fonte: Osservatorio
Mediazione Civile n. 32/2019
Corte Suprema di Cassazione
Sezione terza civile
Ordinanza
22 novembre 2018 n. 30169
Omissis
Con ricorso omissis impugna
la sentenza della Corte d'appello di Milano omissis
con la quale è stato parzialmente respinta l'impugnazione avverso la sentenza omissis in una controversia promossa dal
ricorrente avverso l'avvocato omissis
per far valere la sua responsabilità professionale in un'azione di opposizione
a decreto ingiuntivo, definita con dichiarazione di improcedibilità per
tardività dell'iscrizione a ruolo della citazione. Il ricorso è affidato a
quattro motivi. omissis
Quanto al giudizio di responsabilità del professionista per l'attività
professionale che gli compete, vale il principio generale espresso da Cass.
Sez. 3 -, Sentenza n. 11213 del 09/05/2017 secondo cui "la responsabilità
del prestatore di opera intellettuale, nei confronti del proprio cliente, per
negligente svolgimento dell'attività professionale presuppone la prova, da parte
di costui, del danno e del nesso causale tra la condotta del professionista ed
il pregiudizio del cliente, formando oggetto di un accertamento che non è
sindacabile in sede di legittimità, se correttamente motivato".
La sentenza di merito, sotto questo aspetto, si pone in linea con
quanto indicato dalla Corte di legittimità circa gli oneri di prova correlati a
una responsabilità per inadempimento del mandato alle liti e alla prova del
nesso causale della responsabilità professionale dell'avvocato nel gestire il
mandato alle liti, quest'ultima gravante sulla parte che agisce. Ora, non vi è
dubbio che sia stato provato che l'avvocato è incorso in un errore procedurale
imperdonabile nel depositare in ritardo la citazione in opposizione, che ha
condotto la Corte di merito a non riconoscergli alcun diritto al compenso.
Ma è anche vero che in tale caso la parte intende addurre alla
professionista una responsabilità per non essere stato preventivamente
informato che la lite sarebbe stata inutile e costosa.
Riguardo agli oneri inerenti al mandato alle liti valgono certamente le
norme deontologiche che regolano specificamente l'attività professionale
dell'avvocato. Secondo Cass. Sez. U., Sentenza n. 26810 del 20/12/2007 "le
norme del codice disciplinare forense costituiscono fonti normative integrative
del precetto legislativo che attribuisce al Consiglio Nazionale Forense il
potere disciplinare, con funzione di giurisdizione speciale appartenente
all'ordinamento generale dello Stato, e come tali sono interpretabili
direttamente dalla Corte di legittimità". Pertanto, ragionando alla
stregua delle norme "secondarie" allora vigenti, che costituiscono un
parametro per valutare il grado di diligenza cui è tenuto il professionista
allorchè riceve il mandato alle liti, rileva osservare che da esse non si
evince un generale obbligo di preventiva informativa sul possibile esito della
lite, bensì una informativa sulle caratteristiche e sulla importanza della lite
per cui accetta il mandato, nonchè sulle possibili soluzioni della medesima e,
se richiesto, sulle previsioni di massima inerenti alla durata e ai costi
presumibili del processo.
Difatti il codice deontologico degli avvocati Europei allora vigente,
all'art. 2.7 dispone: "- Interesse del cliente - Fatto salvo il rigoroso
rispetto di tutte le norme di legge e deontologiche, l'avvocato deve sempre
difendere nel miglior modo possibile gli interessi del suo cliente e deve
anteporli ai propri o a quelli dei suoi colleghi". Il codice deontologico
del Consiglio Nazionale Forense (CNF), vigente al 2007 (applicabile ratione
temporis), all'art. 40 Obbligo di informazione - prevedeva che "l'avvocato
è tenuto ad informare chiaramente il proprio assistito all'atto dell'incarico
delle caratteristiche e dell'importanza della controversia o delle attività da
espletare, precisando le iniziative e le ipotesi di soluzione possibili.
L'avvocato è tenuto altresì ad informare il proprio assistito sullo svolgimento
del mandato affidatogli, quando lo reputi opportuno e ogni qualvolta
l'assistito ne faccia richiesta. I. Se richiesto, è obbligo dell'avvocato
informare la parte assistita sulle previsioni di massima inerenti alla durata e
ai costi presumibili del processo. II. E' obbligo dell'avvocato comunicare alla
parte assistita la necessità del compimento di determinati atti al fine di
evitare prescrizioni, decadenze o altri effetti pregiudizievoli relativamente
agli incarichi in corso di trattazione. III. Il difensore ha l'obbligo di
riferire al proprio assistito il contenuto di quanto appreso nell'esercizio del
mandato se utile all'interesse di questi".
In tale senso, risulta essersi pronunciata anche Cass. Sez. 2, Sentenza
n. 16023 del 14/11/2002 che ha ritenuto che, "di regola, le obbligazioni
inerenti all'esercizio di un'attività professionale costituiscono obbligazioni
di mezzi e non di risultato, in quanto il professionista si impegna a prestare
la propria opera per raggiungere il risultato desiderato, non per conseguirlo.
Tuttavia, avuto riguardo all'attività professionale dell'avvocato, nel caso in
cui questi accetti l'incarico di svolgere un'attività stragiudiziale
consistente nella formulazione di un parere in ordine all'utile esperibilità di
un'azione giudiziale, la prestazione oggetto del contratto non costituisce un'obbligazione
di mezzi, in quanto egli si obbliga ad offrire tutti gli elementi di
valutazione necessari ed i suggerimenti opportuni allo scopo di permettere al
cliente di adottare una consapevole decisione, a seguito di un ponderato
apprezzamento dei rischi e dei vantaggi insiti nella proposizione dell'azione.
Pertanto, in applicazione del parametro della diligenza professionale (art.
1176, secondo comma, cod. civ.), sussiste la responsabilità dell'avvocato che,
nell'adempiere siffatta obbligazione, abbia omesso di prospettare al cliente
tutte le questioni di diritto e di fatto atte ad impedire l'utile esperimento
dell'azione, rinvenendo fondamento detta responsabilità anche nella colpa
lieve, qualora la mancata prospettazione di tali questioni sia stata frutto
dell'ignoranza di istituti giuridici elementari e fondamentali, ovvero di
incuria ed imperizia insuscettibili di giustificazione".
Pertanto, al di fuori dello specifico incarico (stragiudiziale) di
esprimere un parere legale riguardo a una questione posta dal cliente, in
riferimento al tema della strategia processuale scelta dal difensore,
l'obbligazione dell'avvocato riacquista il normale carattere di obbligazione di
mezzi, ove il comportamento diligente si misura in relazione alle
caratteristiche della lite e all'interesse del cliente a coltivarla, e non solo
in base al prevedibile esito della lite. Per questo aspetto, rileva il
precedente reso da Cass. Sez. 3, Sentenza n. 11906 del 10/06/2016, ove esprime
che "in tema di responsabilità dell'avvocato verso il cliente, è
configurabile imperizia del professionista allorchè questi ignori o violi
precise disposizioni di legge, ovvero erri nel risolvere questioni giuridiche
prive di margine di opinabilità, mentre la scelta di una determinata strategia
processuale può essere foriera di responsabilità purchè la sua inadeguatezza al
raggiungimento del risultato perseguito dal cliente sia valutata (e motivata)
dal giudice di merito ex ante e non ex post, sulla base dell'esito del
giudizio, restando comunque esclusa in caso di questioni rispetto alle quali le
soluzioni dottrinali e/o giurisprudenziali presentino margini di opinabilità -
in astratto o con riferimento al caso concreto - tali da rendere giuridicamente
plausibili le scelte difensive compiute dal legale ancorchè il giudizio si sia
concluso con la soccombenza del cliente" (v. anche Sez. 3, Sentenza n.
10289 del 20/05/2015 che ha sancito che "costituisce compito esclusivo del
legale la scelta della linea tecnica da seguire nella prestazione dell'attività
professionale").
Per commisurare la diligenza dovuta dal professionista nell'assumere il
mandato alle liti, pertanto, il suo margine di discrezionalità nella scelta
della strategia difensiva è dunque segnato dalla natura e dalle caratteristiche
della controversia e dall'interesse del cliente ad affrontarla con relativi
oneri. In tal caso, la Corte di merito ha ritenuto che, pur trattandosi di una
lite dal sicuro esito sfavorevole, la professionista ha tenuto maggiormente in
conto l'interesse del cliente a non pagare nell'immediato l'importo (di Euro
10.881,00) portato nel decreto ingiuntivo emesso con formula di provvisoria esecutività
(per una fornitura di caffè e relativa penale calcolata nella misura del 50%
del mancato acquisto di caffè). La Corte di merito, pertanto, in mancanza di
allegazione di prove idonee dedotte dall'attore, ha dato credito alla versione
della professionista che, nel difendersi ha dichiarato di avere accettato il
mandato alle liti, pur avendo sconsigliato di svolgere l'opposizione, solo in
quanto l'attore non aveva le disponibilità economiche per far fronte al debito.
La Corte, in ogni caso, ha tenuto conto del comportamento successivo e
"proattivo" tenuto dalla professionista nel corso della lite nel
tentare una conciliazione che il cliente, tuttavia, non ha accettato.
Si osserva che in casi simili si è sancito che il difensore può non
accettare una causa per la quale prevede già dall'inizio la soccombenza del suo
assistito, ma ove l'accetti, non può, poi, disinteressarsene del tutto, con il
pretesto che si tratta di una "causa persa", senza nemmeno attivarsi
per trovare una soluzione transattiva, essendo tale comportamento comunque
doveroso ove si accetti di difendere una causa rischiosa per il proprio cliente
(Cass. Sez. 3, Sentenza n. 15717 del 02/07/2010; Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 17506
del 26/07/2010). Viene, in tali casi, conseguentemente a configurarsi una
responsabilità professionale dell'avvocato per violazione degli obblighi
inerenti al mandato alla lite solo in caso di assoluta inerzia del difensore, a
prescindere dal pronostico sull'esito della lite, per avere comunque esposto il
cliente all'incremento del pregiudizio iniziale, se non altro a causa delle
spese processuali cui lo stesso va incontro per la propria difesa e per quella
della parte avversa.
Nè dal testo di deontologia pubblicato di recente dal CNF, nel 2018, è
ravvisabile un'evoluzione nella direzione di imporre al professionista oneri
d'informazione più stringenti, là ove, all'art. 27 del Codice di deontologia
forense, la norma deontologica si limita ancora a indicare che "l'avvocato
deve informare chiaramente la parte assistita, all'atto dell'assunzione
dell'incarico, delle caratteristiche e dell'importanza di quest'ultimo e delle
attività da espletare, precisando le iniziative e le ipotesi di soluzione che
prevede". Dunque, anche oggi, la norma deontologica non si spinge a
enunciare un obbligo dell'avvocato che accetta il mandato alle liti di
formulare un pronostico sull'esito della lite, se non richiesto, bensì un onere
di valutare l'interesse del cliente in rapporto alle caratteristiche della lite
e di prospettare la prevedibile durata del processo e gli oneri di spesa
ipotizzabili, informando il cliente dello svolgimento del mandato a lui
affidato. Molta importanza, poi, nel nuovo testo, è data agli oneri informativi
relativi alla possibilità per il cliente di accedere a modalità alternative di
soluzione della lite (procedimenti di mediazione o di negoziazione assistita),
il che ovviamente non presuppone solo un pronostico sul possibile esito della
lite, essendo questa una valutazione inerente alla miglior difesa degli interessi
del cliente sottesi alla controversia in atto, in relazione ai costi e alla
prevedibile durata del processo, a prescindere dalla fondatezza o meno della
pretesa del cliente.
Del resto, in un ordinamento ove non vige la regola dello stare decisis,
tipica degli ordinamenti appartenenti alla common law, ed è garantito un doppio
grado di merito e un giudizio di legittimità, il fatto che i precedenti
giurisprudenziali, oramai reperibili su siti Internet comunemente accessibili,
siano tesi a garantire un'uniforme applicazione e interpretazione del diritto,
e dunque una prevedibilità delle decisioni, non significa che l'avvocato, nella
strategia difensiva che discrezionalmente sceglie e assume nell'interesse del
cliente, sia tenuto ad avviare controversie solo sulla base di un pronostico di
esito favorevole, ma sia bensì obbligato a valutare, prima di accettare il
mandato alla lite, l'interesse del cliente a coltivare la lite nonostante la
sussistenza di precedenti sfavorevoli e/o di strumenti conciliatori, tenendo
una condotta processuale di continua attenzione all'interesse del cliente, al
fine di comprimere rischi di attesa, costi inutili e condanne al risarcimento
della controparte per lite temeraria, ex art. 96 cod. proc. civ.
Nel caso in questione, pertanto, non essendo in discussione che si
prospettasse per l'avvocato l'accettazione di un mandato alla lite per una
causa rientrante nel novero delle "cause perse ab initio", la
strategia processuale assunta dal legale nell'accettare l'incarico e
nell'avviare un'opposizione a decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo di
sicuro esito sfavorevole per poi coltivare vie conciliatorie, non può solo per
questo dirsi pregiudizievole per gli interessi del cliente, e ciò anche in
relazione alla mancata preventiva informativa sul probabile insuccesso della
lite a un cliente dimostratosi comunque inizialmente interessato a resistere in
prima battuta alla richiesta di pagamento e a intavolare vie conciliative, poi
non più accettate.
In definitiva, la Corte di merito, in tale ambito, ha esaurientemente
valutato il complessivo comportamento nell'accettare e nell'espletare il
mandato alla lite tenuto dall'avvocato, che ha dimostrato di avere valutato
prima il concreto interesse del cliente in rapporto alle caratteristiche della
lite, e ha coltivato poi possibilità transattive, non più accettate dal
cliente, ed è quindi pervenuta alla corretta conclusione che, sotto il profilo
della diligenza cui era tenuta la professionista, il comportamento assunto fosse
conforme ai parametri di correttezza professionale. Difatti, l'accettazione del
mandato a svolgere un'opposizione a decreto ingiuntivo provvisoriamente
esecutivo riposta su basi giuridiche pressochè inconsistenti, e la successiva
iniziativa processuale di tentare una composizione bonaria della controversia
in corso, sono tutte scelte professionali di tipo discrezionale che, valutate
ex ante - a prescindere dall'errore processuale commesso nell'avviare
l'opposizione nelle forme rituali previste e dal contenuto delle difese-,
rientrano nello schema di un comportamento professionale rientrante canone di
correttezza professionale richiesta e pretendibile, certamente non iscrivibile
nell'ambito di un atteggiamento spericolato o di inerzia, contrastante con l'interesse
del cliente. omissis
PQM
Rigetta il ricorso; nulla per le spese. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del
2002, art. 13, comma 1, dà atto della sussistenza dei presupposti per il
versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso
art. 13, comma 1 bis.