=> Tribunale di Firenze, 13 dicembre 2016
Va confermata l’ammissione
al patrocinio a spese dello Stato con riferimento alla procedura di mediazione obbligatoria ex art. 5, comma 1-bis, d.lgs. 28/2010 (I). Difatti, se l’attività professionale di natura
stragiudiziale che l'avvocato si trovi a svolgere venga espletata in vista di una successiva azione
giudiziaria, essa è ricompresa nell'azione stessa ai fini della
liquidazione a carico dello Stato (II), come nel caso della mediazione obbligatoria; e ciò anche qualora la mediazione abbia avuto
esito positivo, in quanto pare paradossale che la liquidazione a spese
dello Stato non trovi applicazione proprio quando il difensore svolga al meglio
le sue prestazioni professionali, favorendo il raggiungimento dell’accordo in
mediazione (III). In definitiva, un'interpretazione sistematica teleologica
delle norme richiamate induce il Giudice a ritenere che l'art. 75 DPR 115/2002, secondo cui l'ammissione al patrocinio è
valida per ogni grado e per ogni fase del processo e per tutte le eventuali
procedure, derivate ed accidentali, comunque connesse, comprenda la fase della mediazione obbligatoria pre-processuale
anche quando la mediazione, per il suo esito positivo, non sia seguita dal
processo. La conclusione raggiunta appare l'unica conforme ai parametri costituzionali (artt. 2, 3 e
24 cost.) e adeguata al mutamento in
corso dei sistemi di soluzioni delle liti. Il sistema del “gratuito patrocinio” dovrà poi essere ripensato da
chi detiene il potere legislativo,
riconsiderando i casi di mediazione
facoltativa o di negoziazione
assistita. Da ultimo, si precisa che l’argomento
secondo cui sarebbe necessario che il difensore sia munito di procura alle liti
non pare determinante, proprio alla luce del nesso teleologico fra
l’attività stragiudiziale e la successiva azione giudiziaria (IV).
(I) Si veda l’art. 5, comma 1-bis, D.lgs. 4 marzo 2010 n. 28 aggiornato al D.L.
132/2014 c.d. di degiurisdizionalizzazione conv. con mod. in L. 162/2014, in
Osservatorio Mediazione Civile n. 61/2014. Per
approfondimenti si veda SPINA, CODICE OPERATIVO DEI NUOVI ADR,
Pacini ed., Pisa, 2016 (Osservatorio Mediazione Civile n. 64/2016).
(II) Si veda al riguardo Cass. n. 9529 del 2013.
(III) Non appare rilevante
dunque che poi, in concreto, in base cioè al concreto risultato della
mediazione, il processo non abbia più luogo perché divenuto inutile alla luce
dell'accordo raggiunto: la mediazione obbligatoria è sempre connessa e
funzionale alla fase processuale anche se poi questa in concreto non abbia
luogo.
(IV) E sufficiente
una valutazione sostanziale di strumentalità dell’attività stragiudiziale volta
a comporre un conflitto in vista della futura ed eventuale domanda giudiziale.
Fonte: Osservatorio
Mediazione Civile n. 24/2017
Tribunale di Firenze
13 dicembre 2016
Omissis
L’avv. X ha
presentato istanza volta ad ottenere la liquidazione del compenso per
l'attività professionale svolta a favore della parte sopraindicata, ammessa al
gratuito patrocinio con delibera del Consiglio dell’ordine degli Avvocati di
Firenze del 7.1.2015.
Nella domanda per
l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, l’istante aveva premesso di
voler iniziare una causa di scioglimento di comunione avanti al Tribunale di
Firenze, specificando che la richiesta riguardava anche la procedura di
mediazione obbligatoria ex art. 5 comma 1-bis dlgs 28/2010.
Nella richiesta di
liquidazione, l’istante specifica che la mediazione ha avuto esito positivo e
si è conclusa con accordo; chiede pertanto che siano liquidate le spese con
riferimento alle attività svolte con riferimento alla fase di mediazione
obbligatoria preprocessuale, prodromica alla domanda di scioglimento di
comunione.
È opportuno
ricordare il provvedimento del 13.1.2015 emesso da questo Giudice, di cui per
completezza si riporta la motivazione:
“[…] La questione
che si pone è se il compenso professionale dell’avvocato che ha assistito una
parte nella procedura di mediazione, prevista quale condizione di procedibilità
della domanda giudiziale, possa essere posto a carico dello Stato.
Va premesso che la
questione non è espressamente affrontata nella disciplina in materia di
mediazione. L’art. 17 dl Dlg. 28/2010, al comma 5-bis, infatti, prevede che quando
la mediazione è condizione di procedibilità della domanda ai sensi dell’art. 5,
comma 1 bis ovvero è disposta dal giudice ai sensi dell’art. 5 comma 2,
all’organismo non sia dovuta nessuna indennità dalla parte che si trovi nelle
condizioni per l’ammissione al patrocinio a spese dello stato ai sensi
dell’art. 76 del t.u. sulle spese di giustizia (D.p.r. n. 115/2002). A tal fine
la parte è tenuta a depositare presso l’organismo una dichiarazione sostitutiva
dell’atto di notorietà, nonché a produrre la documentazione necessaria a
comprovare la veridicità di quanto dichiarato.
L'unica previsione
riguarda dunque l'indennità che sarebbe dovuta all'Organismo; per quanto
concerne il compenso all'avvocato, che deve obbligatoriamente assistere le
parti nelle fasi di mediazione (art. 5 e 8 d.lgs. n. 28/2010), si rileva invece
una lacuna che deve essere colmata in via interpretativa.
Il quadro normativo
da esaminare non può che partire dall’art. 24 Cost.: dopo aver previsto, al
primo comma, il diritto di agire a difesa dei propri diritti e interessi
legittimi, si afferma, al secondo comma, che “la difesa è diritto inviolabile
in ogni stato e grado del procedimento “. Il terzo comma prevede inoltre che
“sono assicurati ai non abbienti con appositi istituiti, i mezzi per agire e
difendersi avanti ad ogni giurisdizione.” Sul piano della legge ordinaria,
l'art. 74 del D.p.r. 115/2002 prevede l'istituzione del patrocinio per il non
abbiente, assicurato per il processo penale, nonché per il processo civile,
amministrativo, contabile, tributario e per gli affari di volontaria
giurisdizione quando le sue ragioni non risultino manifestamente infondate.
L'articolo 75 del DPR. n.115/2002 (Ambito di applicabilità) prevede al primo
comma: “1. L'ammissione al patrocinio è valida per ogni grado e per ogni fase
del processo e per tutte le eventuali procedure, derivate ed accidentali,
comunque connesse”.
Secondo
l’orientamento tradizionale, poiché le norme fanno riferimento al processo, si
ritiene impossibile far rientrare nel gratuito patrocinio l’attività
stragiudiziale: se anche vi fosse l'ammissione da parte del Consiglio
dell’ordine, non sarebbe comunque possibile la liquidazione a spese dello
Stato.
La Corte di
Cassazione, con sentenza n. 24723 del 23.11.2011, ha riaffermato che il
patrocinio a spese dello Stato riguarda esclusivamente la difesa in giudizio
non potendo coprire l’attività stragiudiziale. Con la pronuncia, tuttavia, la
Corte, richiamando un proprio precedente, fa salva una nozione estesa di
attività giudiziale perché afferma che devono considerarsi giudiziali anche
quelle attività stragiudiziali che, essendo strettamente dipendenti dal mandato
alla difesa, vanno considerate strumentali o complementari alle prestazioni
giudiziali, cioè di quelle attività che siano svolte in esecuzione di un
mandato alle liti conferito per la rappresentanza e la difesa in giudizio
(sulla base di tale presupposto, nella precedente decisione, era stato
riconosciuto dovuto il compenso per l'assistenza e l'attività svolta dal difensore
per la transazione della controversia instaurata dal medesimo).
Anche di recente,
la pronuncia della S.C. del 19 aprile 2013, n. 9529 riconferma l'orientamento
ricordato: l'attività professionale di natura stragiudiziale che l'avvocato si
trovi a svolgere nell'interesse del proprio assistito, non è ammessa, di
regola, al patrocinio a spese dello Stato ai sensi dell'art. 85 del d.P.R. 30
maggio 2002, n. 115, in quanto esplicantesi fuori del processo, per cui il
relativo compenso si pone a carico del cliente. Tuttavia, se tale attività
venga espletata in vista di una successiva azione giudiziaria, essa è
ricompresa nell'azione stessa ai fini della liquidazione a carico dello Stato
ed il professionista non può chiederne il compenso al cliente ammesso al patrocinio
gratuito, incorrendo altrimenti in responsabilità disciplinare.
Dal principio
affermato dalla S.C., si desume dunque che l’avvocato, il quale non può
chiedere il compenso al cliente pena la sanzione disciplinare, deve poterlo
chiedere allo Stato.
La cauta apertura
della S.C. può agevolmente essere valorizzata e coordinata con la disciplina
della mediazione obbligatoria introdotta dal d.lgs. n. 28/2010 perché, nei casi
in cui il procedimento giudiziario (rispetto al quale la mediazione costituisce
condizione di procedibilità) inizi o prosegua, l’attività dell'avvocato ben
integra la nozione lata di attività giudiziale accolta dalla Corte, ossia di
attività strumentale alla prestazione giudiziale e svolta in esecuzione di un
mandato alle liti conferito per la rappresentazione e difesa in giudizio.
Più problematico
sembra il caso in cui la mediazione abbia avuto esito positivo: in tal caso,
secondo alcuni, non avrebbe svolgimento nessuna ‘fase processuale’ nell’ambito
della quale liquidare il compenso e non sarebbe possibile considerare il
compenso per il difensore che ha assistito la parte in mediazione a carico
dello Stato.
Un tale risultato
pare paradossale dal momento che la liquidazione a spese dello Stato non
troverebbe applicazione proprio quando il difensore ha svolto al meglio le sue
prestazioni professionali, favorendo il raggiungimento dell’accordo in
mediazione. E ciò anche se la mediazione è obbligatoria, come obbligatoria è
l’assistenza dell’avvocato (art. 5, comma 1 bis e art. 8 d.lgs. n.28/2010). Ne
deriverebbe un risultato irragionevole e di fatto una sorta di disincentivo
rispetto ad un istituto che invece il legislatore sta cercando di promuovere in
vario modo (in tale ottica si colloca anche la stessa previsione dell’obbligatorietà
rispetto all’inizio del processo per un periodo limitato: art. 5, comma 1 bis,
d.lgs 28/2010).
Il tema è certo
delicato, anche perché liquidare a carico dello Stato un compenso non previsto
da alcuna norma esporrebbe il giudice al rischio della responsabilità
contabile.
Si è rilevato anche
che nel verbale di conciliazione le parti e rispettivi difensori possono
disciplinare l’aspetto del compenso per i legali e inoltre questi potranno
avvalersi della regola della solidarietà, ribadita dall'art. 13, comma 8 della
nuova legge forense (n. 247/2012).
Il problema
tuttavia è duplice: sicuramente vi è l'esigenza di riconoscimento e
remunerazione dell'attività difensiva: coloro che accennano alla solidarietà
intendono rassicurare sulla esigibilità del credito professionale, se non dalla
parte non abbiente, almeno dall'altra parte grazie al vincolo della
solidarietà. Tuttavia, in tal modo si finisce pur sempre di riversare sui
privati (il difensore o la parte abbiente) un onere che dovrebbe essere sostenuto
dallo Stato. Se infatti quest'ultimo mostra, con una serie di interventi, un
chiaro favore verso forme non giurisdizionali di tutela nell'intento di offrire
più vie di soluzione dei conflitti (dalla disciplina della mediazione a quella
su arbitrato e negoziazione assistita di cui al recente d.l. n. 132/2014),
anche la disciplina dell'aiuto ai non abbienti non dovrebbe più essere limitata
all'aiuto nella sede giudiziaria.
Occorre allora
valutare il movimento europeo di vasto respiro in cui si inscrivono gli
interventi ricordati (al di là della loro concreta disciplina) e approfondire
l'esegesi delle norme che vengono in campo per verificare la possibilità, già
in base alla legislazione esistente, che la parte non abbiente possa usufruire
dell'aiuto statale anche quando alla mediazione, dato l'esito positivo, non
faccia seguito il processo.
Occorre dunque
tentare di ricostruire il sistema alla luce della normativa in tema di
mediazione, della Costituzione e delle fonti europee.
Un'interpretazione
sistematica e teleologica delle norme richiamate induce il Giudice a ritenere
che l'art. 75 sopra citato comprenda sempre la fase della mediazione
obbligatoria preprocessuale. Tale conclusione (che vale anche per la mediazione
demandata dal giudice ex art. 5, comma 2 d.lgs. n. 28/2010) è sostenuta dalle
seguenti considerazioni.
Innanzitutto la
conclusione accolta trova elementi di sostegno nell'ambito del diritto
eurounitario (a partire dall’art. 47 della c.d. Carta di Nizza, secondo cui “a
coloro che non dispongono di mezzi sufficienti è concesso il patrocinio a spese
dello stato qualora ciò sia necessario per assicurare un accesso effettivo alla
giustizia”) e della disciplina con cui l'Italia ha recepito la direttiva
europea sul Legal aid, volta a migliorare l'accesso alla giustizia nelle
controversie frontaliere civili (Direttiva 2002/8/CE del Consiglio del
27/1/2003). L’art. 3 di tale direttiva recita: Art. 3. Diritto al patrocinio a
spese dello Stato. 1. La persona fisica, che sia parte in una controversia ai
sensi della presente direttiva, ha diritto a un patrocinio adeguato a spese
dello Stato che le garantisca un accesso effettivo alla giustizia in conformità
delle condizioni stabilite dalla presente direttiva. Il patrocinio a spese
dello Stato è considerato adeguato se garantisce: a) la consulenza legale nella
fase precontenziosa al fine di giungere a una soluzione prima di intentare
un'azione legale; b) l'assistenza legale e la rappresentanza in sede di
giudizio, nonché l'esonero totale o parziale dalle spese processuali, comprese
le spese previste all'articolo 7 e gli onorari delle persone incaricate dal
giudice di compiere atti durante il procedimento. La direttiva estende il legal
aid alle procedure stragiudiziali (art. 10).
Il d.lgs.
27.5.2005, n. 116, che ha recepito la direttiva, prevede all'art. 10 che “Il
patrocinio è, altresì, esteso ai procedimenti stragiudiziali, alle condizioni
previste dal presente decreto, qualora l'uso di tali mezzi sia previsto come
obbligatorio dalla legge ovvero qualora il giudice vi abbia rinviato le parti
in causa”.
Si tratta di
disposizioni che concernono le controversie transfrontaliere, ma che offrono
elementi ulteriori per avvalorare l’interpretazione qui accolta che estende
l’aiuto legale alla fase pre-processuale, apparendo del tutto irrazionale e non
conforme all’art. 3 della costituzione che il cittadino possa usufruire
dell’aiuto statale per la lite transfrontaliera e non per quella domestica. E’
significativo che il Consiglio Nazionale Forense, nella circolare n. 25 del
6.12.2013, abbia espressamente richiamato la direttiva sul Legal Aid che
ammette al beneficio anche le spese legali sostenute nel corso delle procedure
stragiudiziali per sostenere che l’assistenza dei legali, obbligatoria per la
mediazione preprocessuale e quella demandata dal giudice, debba rientrare nel
patrocinio a spese dello stato.
Un ulteriore
elemento, rispetto a quanto osservato, può essere tratto dalla riflessione
sulla c.d. giurisdizione condizionata, che ricorre quando il legislatore impone
alle parti di compiere una data attività prima di rivolgersi ai giudici, come
appunto avviene con l'imposizione del tentativo preventivo di mediazione ex
art. 5, comma 1 bis cit.. Il condizionamento della giurisdizione può ritenersi
ammissibile in quanto non comprometta
l'esperimento dell'azione giudiziaria che può essere ragionevolmente limitato,
quanto all'immediatezza, se vengano imposti oneri finalizzati a salvaguardare “interessi
generali”: la sentenza della Corte Cost.
n. 276/2000 in tema di tentativo obbligatorio di conciliazione per le cause di
lavoro4, ha affermato che il tentativo in questione soddisfaceva l'interesse
generale sotto due profili: da un lato, perché evitava il sovraccarico
dell'apparato giudiziario, dall'altro, perché favoriva la composizione
preventiva della lite che assicura alle situazioni sostanziali un
soddisfacimento più immediato rispetto a quello conseguito attraverso il
processo. In sintonia con la nostra Corte costituzionale, anche l'importante
decisione della Corte Giustizia eu 18.3.2010, Alassini c. Telecom (che indica
le condizioni per ritenere conforme al diritto comunitario il tentativo
obbligatorio di conciliazione, nella specie in tema di telecomunicazioni),
afferma, tra l'altro, che “i diritti fondamentali non si configurano come
prerogative assolute, ma possono soggiacere a restrizioni, a condizione che
queste rispondano effettivamente ad obiettivi di interesse generale perseguiti
dalla misura di cui trattasi e non costituiscano, rispetto allo scopo
perseguito, un intervento sproporzionato ed inaccettabile, tale da ledere la
sostanza stessa dei diritti cos
garantiti” (cfr. par. 63 della sentenza).
Sulla base di
queste considerazioni, deve reputarsi che la connessione tra fase mediativa e
processo, talmente forte da configurare una condizione di procedibilità, vada
riconosciuta già in astratto. Non appare rilevante dunque che poi, in concreto,
in base cioè al concreto risultato della mediazione, il processo non abbia più
luogo perché divenuto inutile alla luce dell'accordo raggiunto. Questo è
proprio lo scopo della connessione voluta dal legislatore, connessione che non
è eliminata ma anzi esaltata proprio nel momento in cui il raggiungimento
dell'accordo in mediazione rende inutile il successivo processo, assicurando
quell' interesse generale di cui parla Corte cost. n. 276/2000 citata. Il senso
della connessione non sta nel fatto che la mediazione sia un antecedente
cronologico delle fasi processuali, ma nella funzione della mediazione: questo sistema
offre alle parti di ricercare una soluzione più adeguata al loro conflitto
rispetto alla rigidità della decisione giurisdizionale; inoltre, gli accordi
risultanti dalla mediazione hanno maggiori probabilità di essere rispettati
volontariamente e preservano più facilmente una relazione amichevole e
sostenibile tra le parti.
Molteplici sono gli
interessi che possono essere soddisfatti, se le parti riescono a riprendere le
fila del proprio conflitto: in tutti i casi in cui questo avvenga e si concluda
un accordo, la mediazione - obbligatoria - esaurisce la sua funzione rispetto
al processo, che è quella di renderlo superfluo. Si tratta del massimo della
connessione perché lo scopo della previsione della condizione di procedibilità
non può che essere quello di un richiamo alle potenzialità dell'autonomia
privata, rimesse in gioco nella sede mediativa, per evitare il procedimento
giudiziario quando non sia davvero necessario.
In definitiva, la
mediazione (obbligatoria) è sempre connessa e funzionale alla fase processuale
anche se poi questa in concreto non abbia luogo.
Del resto, una
parte della dottrina era giunta addirittura a ravvisare la natura
paragiurisdizionale della fase di mediazione, rilevando come l’obbligatorietà
della mediazione comportasse il suo inserimento in un unico macro-procedimento
finalizzato alla tutela dei diritti (disponibili). Ed è interessante richiamare
un'affermazione della Corte costituzionale, sia pure in un obiter dictum,
nell'ambito di una pronuncia relativa all’impugnazione di una legge regionale
veneta: la Corte ha avuto modo di affermare che il procedimento di mediazione
obbligatoria previsto dal d.lgs. n. 28/2010, ''rientra nell’esercizio della
funzione giudiziaria e nella sfera del diritto civile, giacché, con riferimento
al caso di specie, condiziona l’esercizio del diritto di azione finalizzato al
risarcimento dei danni da responsabilità civile e prevede ricadute negative per
chi irragionevolmente abbia voluto instaurare un contenzioso davanti al
giudice, nonostante fosse stata formulata una proposta conciliativa rivelatasi
successivamente satisfattiva delle proprie ragioni”.
Pur ritenendo
improprio qualificare tout court la mediazione come attività
para-giurisdizionale o giudiziaria, è tuttavia corretto porre in risalto -
anche - la sua stretta relazione con il processo, quando sia prevista come
obbligatoria.
In definitiva,
un'interpretazione sistematica teleologica delle norme richiamate induce il
Giudice a ritenere che l'art. 75 cit., secondo cui l'ammissione al patrocinio è
valida per ogni grado e per ogni fase del processo e per tutte le eventuali
procedure, derivate ed accidentali, comunque connesse, comprenda la fase della
mediazione obbligatoria pre-processuale anche quando la mediazione, per il suo
esito positivo, non sia seguita dal processo. Si tratta infatti di una
procedura strettamente connessa al processo, dal momento che condiziona la
possibilità avviarlo (o proseguirlo, per la mediazione demandata dal giudice);
d'altronde nel caso di successo della mediazione, si realizza il risultato
migliore non solo per le parti, ma anche per lo stato che non deve sostenere
anche le spese del giudizio.
Tale conclusione
inoltre è conforme alla direttiva europea sul Legal Aid ed è costituzionalmente
orientata (art. 3 Cost.), perché sarebbe irragionevole prevedere il sostegno
dello stato per i casi di mediazione non conclusa con accordo e seguita da
processo e negarla per i casi di mediazione, condizione di procedibilità, non
seguita dal processo per l'esito positivo raggiunto. Così come sarebbe illogico
riconoscere il gratuito patrocinio per le procedure derivative e accidentali e
non per quelle non accidentali ma strutturalmente collegate al processo.
Da ultimo, può
essere utile ricordare il tentativo della dottrina di rileggere la condizione
di procedibilità (preventiva o successiva) non solo nell'ambito della
giurisdizione condizionata, ma anche in una prospettiva di maggiore equilibrio
tra giurisdizione e mediazione (art. 1, Dir. 2008/52). In tale prospettiva, la
mediazione viene considerata strumento per favorire lo sviluppo della
personalità del singolo nella comunità cui appartiene, consentendogli di
confrontarsi in un contesto relazionale propiziatorio per una soluzione
amichevole. Accanto al diritto alla tutela giurisdizionale sancito dall’art. 24
Cost., diritto inviolabile della persona (ex art. 2 Cost.), andrebbe
riconosciuto il diritto alla mediazione, non solo nell'ambito, tradizionalmente
indicato, dell'accesso alla giustizia, ma anche quale espressione diretta
dell’esigenza di sviluppo della persona nelle relazioni interpersonali e
comunitarie, nell’attuazione del complementare principio di solidarietà.
Una tale visione,
che ha il pregio di porre in luce l'importanza della mediazione come strumento
di pacificazione sociale condivisa e non imposta, fonda il diritto alla
mediazione sull'art. 2 cost.: anche tale richiamo può corroborare
l'interpretazione qui accolta.
La conclusione
raggiunta appare dunque l'unica conforme ai parametri costituzionali (artt. 2,
3 e 24 cost.) e adeguata al mutamento in corso dei sistemi di soluzioni delle
liti: ancorare l'aiuto dello Stato solo al patrocinio in giudizio è frutto di
una visione superata nella quale esclusivamente la giurisdizione statale era
fonte di giustizia. Da molti anni le fonti europee ribadiscono che l'accesso
alla giustizia non si riduce al ‘diritto a un tribunale’’ ma include l’accesso
a procedimenti non giurisdizionali di risoluzione delle controversie che, in
una prospettiva di ‘’giustizia plurale’, si pongono in rapporto di
complementarietà rispetto alla giustizia giurisdizionale7.
Se oggi la tutela
dei diritti non è affidata solo alle procedure giudiziarie, perché il legislatore
introduce differenti metodi (da ultimo si veda il d.l. n. 132/2014 a proposito
di negoziazione assistita e arbitrato), diviene un intervento indispensabile,
sul piano della coerenza, ampliare l'aiuto da parte dello Stato dall’aiuto
giudiziario all’aiuto giuridico, per chi ha bisogno di avere informazioni o
consulenza legale o assistenza, in margine e al di fuori del processo (come
nella maggior parte dei paesi europei).
Il sistema del “gratuito
patrocinio” dovrà essere ripensato da chi detiene il potere legislativo alla
luce della disciplina di origine comunitaria e dovranno essere riconsiderati i
casi di mediazione facoltativa o di negoziazione assistita; per i casi di
mediazione obbligatoria, quale quello in esame, esistono comunque spazi di interpretazione
da sfruttare: il giurista ha il potere/dovere di conformare l'interpretazione
delle norme esistenti alla luce dell'evoluzione dell'ordinamento per sopperire
lacune o adeguare le norme alle nuove condizioni storico-sociali.
In tale prospettiva,
la garanzia costituzionale del diritto di difesa inviolabile “in ogni stato e
grado” (art. 24 cost.), per essere effettiva, deve contemplare anche la fase
che, pur concernendo di per sé attività non giurisdizionale per la soluzione
dei conflitti, è cos innestata nella
giurisdizione da condizionarne le vicende: ‘in ogni stato’’ è dunque
espressione che ricomprende lo stato pre-processuale o endoprocessuale che in
modo obbligatorio deve essere attraversato dalle parti perché la giurisdizione
possa regolarmente svolgersi. Per assicurare “ai non abbienti …. i mezzi per
agire e difendersi avanti ad ogni giurisdizione” , è indispensabile riconoscere
a carico dello stato anche il compenso del legale nella fase mediativa che
condiziona necessariamente l’avvio del processo o la sua prosecuzione.
Tale
interpretazione, che si ritiene costituzionalmente orientata, si riconnette
anche all'esigenza che la mediazione sia effettiva e offra alle parti una reale
chance di soluzione del loro conflitto: l'esclusione del riconoscimento delle
spese per il compenso di avvocato solo per i casi di mediazione non conclusa da
accordo si presterebbe invece a concepire la fase mediativa come una fase da
attraversare necessariamente, ma solo formalmente, per approdare al più presto
al processo, nell'ambito del quale anche le spese stragiudiziali potranno
essere riconosciute.
Sarebbe una
conclusione che sminuirebbe la funzione della mediazione, ma anche della
giurisdizione, che, invece, proprio per la sua natura sussidiaria, deve potersi
esplicare pienamente ed efficacemente quando è richiesto lo ius dicere, anziché
essere strumentalizzata per altri obiettivi. L'interpretazione adottata è
inoltre l'unica che riconosce la delicata funzione di assistenza dell'avvocato
della parte in mediazione, funzione che comporta un mutamento culturale epocale
per l'avvocatura rispetto ai ruoli tradizionali confinati al campo giudiziario
e che deve essere adeguatamente valorizzata.
A questo riguardo,
va ricordato che proprio dal ceto forense a livello europeo proviene
l’importante raccomandazione sul Legal Aid, adottata dal CCBE (Consiglio degli
Ordini Forensi d’Europa) nel novembre 2010, al fine di promuovere il diritto
all’accesso alla giustizia anche per le persone prive di mezzi. Tra le azioni raccomandate
si specifica quella di “garantire il legal aid per tutte le aree
legaligiurisdizionali, risoluzione alternativa delle controversie, compresa
l’assistenza di un avvocato in tutte le fasi del procedimento”.
Non è fuor di luogo
rilevare che, se dalle novità introdotte dal d.l. n. 69/2013 (tra cui
l'assistenza obbligatoria del difensore e la re - introduzione della mediazione
obbligatoria) non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza
pubblica (c.d. clausola di invarianza finanziaria: art. 85, comma 4, d. l.
n.69/2013), l'interpretazione qui proposta appare del tutto rispondente a tale
scopo: si tratta infatti di riconoscere il compenso del legale che ha assistito
la parte in mediazione con esito positivo e dunque con risparmio per lo Stato
rispetto alla fase processuale [...]”.
Successivamente a
tale pronuncia si è espresso sulla questione anche il Tribunale di Tempio
Pausania, che, con ordinanza del 19.7.2016, ha ritenuto di non poter accogliere
l’istanza de iure condito. Secondo il Tribunale mancherebbe il presupposto
dell’esecuzione di un mandato alle liti conferito per la rappresentanza e la
difesa in giudizio che, secondo quanto chiarito dalla Cassazione con la
sentenza 24723/2011 permetterebbe di considerare giudiziali alcune attività
stragiudiziali. Inoltre, la carenza della fase giudiziale farebbe ritenere che
''la mediazione (in virtù dello stesso esito positivo avuto) avrebbe anche
potuto svolgersi in via informale tra le parti, senza l'indispensabile adesione
a un organismo di mediazione e l'assistenza di un legale''.
Il giudice ritiene
di confermare l’orientamento già espresso con l’ordinanza del 13.1.2015.
Infatti,
l’argomento secondo cui sarebbe necessario che il difensore sia munito di
procura alle liti non pare determinante, anche alla luce della successiva
sentenza della SC n. 9529/2013 nella quale si valorizza il nesso teleologico
fra l’attività stragiudiziale e la successiva azione giudiziaria. In altri
termini, è sufficiente una valutazione sostanziale di strumentalità
dell’attività stragiudiziale volta a comporre un conflitto in vista (secondo le
espressioni della sentenza da ultimo citata) della futura ed eventuale domanda
giudiziale. Inoltre, non pare condivisibile l'accenno ad una 'mediazione
informale tra le parti”: a tacere di ogni altra considerazione, sembra che qui
il Tribunale faccia riferimento ad una negoziazione diretta tra le parti e non
alla mediazione, che presuppone invece necessariamente l'intervento del terzo:
sostenere che le parti avrebbero potuto trovare l'accordo 'da sole' implica una
non condivisibile svalutazione, a parere di chi scrive, della funzione del
mediatore quale professionista specificamente formato per favorire la
riattivazione della comunicazione tra le parti e facilitare il raggiungimento di un'intesa .
Si tratta, a veder bene, anche di una svalutazione dell'intero sistema
introdotto in Italia in tema di mediazione, strutturato in modo articolato e
posto sotto la vigilanza del Ministero della Giustizia.
In base a quanto
osservato, l'istanza è meritevole di accoglimento.
La liquidazione
deve avvenire sulla base dei parametri indicati degli artt. 18, 19, 20 e 21 del
D.M. 55/2014 (attività stragiudiziale), considerando il valore medio con
riduzione alla metà ai sensi dell’art. 130 D.P.R. n. 115/02. Considerando la
natura dell’impegno professionale profuso da quanto emerge dalla documentazione
allegata, appare congruo liquidare all’Avv. X in relazione all’attività
espletata la somma di euro omissisper compensi (scaglione da euro 52.000,01 a 260.000,00 in base al valore
della quota spettante al sig. omissis desumibile dal contratto prodotto quale doc. 5), ridotti ad euro omissis ex art. 130 cit., oltre alle spese generali pari al 7%, oltre IVA e
CAP.
PQM
Conferma in via
definitiva l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato di omissis nel procedimento suindicato;
liquida in favore dell’Avv. X per l’attività espletata in favore di omissis nella procedura sopra indicata,
euro 2.160,00 per compensi, oltre alle spese generali nella misura del 7%,
oltre IVA e CAP; manda alla Cancelleria per le comunicazioni.
Firenze, 13.12.2016
Il Presidente est.
Luciana Breggia