=> Tribunale di Mantova, 25 ottobre 2016
In tema di mediazione
c.d. obbligatoria (art. 5, comma 1-bis, d.lgs. 28/2010) se la parte non
compare all’incontro fissato dall’organismo di mediazione comunicando che non avrebbe aderito al
tentativo di mediazione sia per motivi economici sia per le ragioni in diritto,
deve ritenersi che la parte non sia comparsa senza giustificato motivo. Ne
consegue che ricorrono i presupposti previsti dall’art. 8 co. 4-bis, d.lgs. 28/2010, norma questa che prevede una sanzione per la mancata ingiustificata
partecipazione al tentativo di mediazione e che prescinde dall’esito della causa (I).
Affinché l’istituto della c.d. mediaconciliazione possa
concretamente esplicare effetti è necessario
il contatto diretto fra le parti e, quindi, la partecipazione personale di
esse o, quantomeno, dei loro legali
muniti di apposito mandato, tanto potendosi arguire dal tenore dell’art. 8 del d.lgs. 28/2010 (I).
Il legislatore ha introdotto l’istituto della c.d.
mediaconciliazione al fine di evitare il
sistematico ricorso alla giustizia ordinaria, ciò che non consente allo
stato di garantire il rispetto del
principio della ragionevole durata del processo (cfr. art. 111 Cost.) e,
conseguentemente, di favorire la
conciliazione stragiudiziale fra le parti (II).
(I) Si vedano gli artt. 5 e 8, D.lgs. 4 marzo 2010 n. 28 aggiornato al D.L. 132/2014 c.d.di degiurisdizionalizzazione conv. con mod. in L. 162/2014, in Osservatorio Mediazione Civile n. 61/2014. Per
approfondimenti si veda SPINA, CODICE OPERATIVO DEI NUOVI ADR, Pacini ed., Pisa, 2016 (Osservatorio Mediazione Civile n. 64/2016).
(II) Sull’irragionevole durata del processo si veda, di recente, SPINA
(a cura di), IRRAGIONEVOLE DURATA DEL PROCESSO. Rassegna giurisprudenziale sistematica corredata daschemi, dottrina e formule, Diritto Avanzato, 2017 (ISBN: 978882603191).
FATTISPECIE:
Gli attori
esponevano: di essere comproprietari pro-indiviso col convenuto di una piccola
area cortiva; che, nel corso degli anni, i comproprietari avevano sistemato i
rispettivi edifici di piena proprietà (costituite da case di civile abitazione
e da rustici-garage) adiacenti all’area comune; che non era stato tuttavia
possibile regolare l’uso di tale area comune ciò che alimentava continui
contrasti, in particolare per la presenza non regolata di veicoli in sosta
anche sotto le finestre della propria abitazione.
Il convenuto sosteneva
che la fattispecie era regolata dalla disciplina di cui all’art. 1117 bis c.c.;
che la zona in questione non poteva essere divisa, difettando entrambi i
presupposti richiesti dall’art. 1119 c.c., tanto più che la stessa risultava
gravata anche da servitù a favore di altri soggetti.
Fonte: Osservatorio
Mediazione Civile n. 19/2017
Tribunale di Mantova
Sentenza
25 ottobre 2016
Omissis
Con atto di
citazione notificato in data omissis XX
e ZZ esponevano: di essere comproprietari pro-indiviso con Y (ciascuno di essi
per un quarto ciascuno e quest’ultimo per un mezzo) di una piccola area cortiva
omissis di mq. 24; che, nel corso
degli anni, i comproprietari avevano sistemato i rispettivi edifici di piena
proprietà (costituite da case di civile abitazione e da rustici-garage)
adiacenti all’area comune; che non era stato tuttavia possibile regolare l’uso
di tale area comune ciò che alimentava continui contrasti, in particolare per
la presenza non regolata di veicoli in sosta anche sotto le finestre della
propria abitazione; che il tentativo di conciliazione attivato presso il
competente organismo di mediazione non aveva dato esito; alla stregua di tali
deduzioni gli attori chiedevano che venisse disposta la divisione dell’area
comune.
Si costituiva Y il
quale sosteneva: che la fattispecie era regolata dalla disciplina di cui
all’art. 1117 bis c.c. che prevede l’applicazione delle disposizioni relative
al condominio negli edifici in tutti i casi in cui “più unità immobiliari o più
edifici ... abbiano parti comuni ai sensi dell’art. 1117c.c.”, laddove era
pacifico che l’area oggetto della domanda costituiva un cortile comune; che la
zona in questione non poteva essere divisa, difettando entrambi i presupposti
richiesti dall’art. 1119 c.c. tanto più che la stessa risultava gravata anche
da servitù a favore di altri soggetti; alla luce di tali considerazioni la
difesa del convenuto chiedeva il rigetto della domanda.
Rigettate le
istanze istruttorie formulate, la causa veniva rimessa in decisione sulle
conclusioni formulate dalle parti nelle memorie redatte ex art. 183 VI co. n. 1
c.p.c. e discussa all’udienza del 25-10-2016, all’esito della quale veniva data
lettura della sentenza.
La domanda non è
fondata e deve essere rigettata.
In primo luogo va
chiarito che gli attori hanno proposto una domanda di divisione della zona omissis mentre la loro richiesta di
individuazione dei confini non è una domanda autonoma ma costituisce
semplicemente la conseguenza della eventuale attribuzione in natura delle
singole porzioni una volta operata la divisione.
Nel merito va
osservato che non è in contestazione che la zona comune in questione - avente
ridotte dimensioni (complessivamente mq. 130) e utilizzata come area di
transito e sosta (anche con auto) per l’accesso alle prospicienti abitazioni
delle parti in lite come si deduce dalle fotografie e dalle planimetrie
dimesse- costituisca un cortile (per tale intendendosi oltre che l’area
scoperta tra corpi di fabbrica di un edificio o più edifici anche i vari spazi
liberi - ad es. spazi verdi, zone di rispetto, le intercapedini, i parcheggi -
disposti esternamente alle facciate dell’edificio: in tal senso vedasi Cass..
9-6-2000 n. 7889), cespite questo che rientra nell’ambito di previsione di cui
all’art. 1117 c.c., norma inserita nel capo II, titolo VII, libro III del
codice civile.
Occorre poi
rilevare che l’art. 1117 bis c.c. (introdotto dalla legge 11-122012 n. 220)
prevede l’applicabilità delle disposizioni del capo II (e cioè quelle di cui
agli artt. 1117 e segg. c.c.), in quanto compatibili, in tutti i casi in cui,
fra l’altro, più unità immobiliari ovvero più edifici abbiano parti comuni ai
sensi dell’art. 1117 c.c., ipotesi che ricorre nella fattispecie in esame
atteso che i soggetti in lite sono proprietari di distinti fabbricati che sono
contigui ma non costituiscono un condominio e fra i quali è ubicato il cortile
comune oggetto di giudizio. Al riguardo merita evidenziare che, se pure la
comunione del cortile è venuta in essere anteriormente all’entrata in vigore
della novella di cui alla legge n. 220/2012 (la quale non contiene norme di
diritto intertemporale), tale nuova disciplina deve trovare applicazione al
caso di specie in quanto, per effetto della stessa, non viene modificato il
fatto generatore, pur risalente a un momento passato (la comproprietà di
un’area che anche sotto la previgente normativa doveva qualificarsi come
cortile), bensì vengono diversamente regolati (per il futuro) gli effetti e i
rapporti derivanti dalla comproprietà di tale tipologia di cespite. Ciò
premesso va notato che sussiste pure il presupposto costituito dalla
compatibilità, essendo del tutto analoghe le esigenze di regolamentazione dei
rapporti proprietari connesse con la divisione di un cortile costituente parte
comune di un condominio ai sensi dell’art. 1117 c.c. rispetto a quelle
riguardanti la divisione di un cortile parimenti comune, utilizzato per
l’accesso a edifici contigui e confinanti ma non facenti parte di un
condominio.
Ne consegue che non
può procedersi alla divisione del cortile comune atteso che, nel caso in
questione, mancano entrambi i presupposti richiesti dall’art. 1119 c.c. (norma
richiamata dall’art. 1117 bis c.c.) e cioè la comoda divisibilità del cortile
(si tratta infatti di un’area di modesta estensione parzialmente inserita fra
le abitazioni delle parti che, ove suddivisa, non consentirebbe a nessuna di
esse l’agevole transito e la sosta degli autoveicoli di cui dispongono) e il
consenso di tutti i comproprietari alla divisione, avendolo il convenuto negato
ancor prima dell’instaurazione della lite.
Infine deve
rilevarsi che la controversia in questione rientra nell’ambito di previsione di
cui all’art. 5, comma 1-bis del d.lgs. 28/2010 sicché tale controversia risulta
soggetta al tentativo obbligatorio di mediazione.
In proposito va
osservato che parte convenuta, costituitasi in giudizio, non è comparsa senza
giustificato motivo all’incontro fissato dall’organismo di mediazione designato
e che aveva fatto pervenire in data 23-10-2014, tramite il proprio legale,
comunicazione con cui rendeva noto che non avrebbe aderito al tentativo di
mediazione sia per motivi economici sia per le ragioni in diritto poi ribadite
con la comparsa di costituzione: orbene deve ritenersi che parte convenuta non
sia comparsa senza giustificato motivo all’incontro fissato per il 24-10-2014
dal mediatore, atteso che, affinché l’istituto della c.d. mediaconciliazione
possa concretamente esplicare effetti, è necessario il contatto diretto fra le
parti e, quindi, la partecipazione personale di esse o, quantomeno, dei loro
legali muniti di apposito mandato, tanto potendosi arguire dal tenore dell’art.
8 del d. lgs. 28/2010 ove è ripetuto il riferimento agli incontri fra le parti
e il mediatore nonché al compito di costui di chiarire funzioni e modalità di
svolgimento della mediazione, ciò che implica necessariamente la loro presenza
fisica nel senso sopra chiarito.
Ne consegue che
ricorrono i presupposti previsti dall’art. 8 co. 4 bis del d. lgs. 28/2010, norma questa che prevede
una sanzione per la mancata ingiustificata partecipazione al tentativo di
mediazione e che prescinde dall’esito della causa (sicché, trattandosi di onere
imposto a ciascuna delle parti in lite, non può venire in considerazione la
disciplina di cui all’art. 91 c.p.c.) atteso che il legislatore ha introdotto
l’istituto della c.d. mediaconciliazione al fine di evitare il sistematico
ricorso alla giustizia ordinaria ciò che non consente allo stato di garantire
il rispetto del principio della ragionevole durata del processo (cfr. art. 111
Cost.) e, conseguentemente, di favorire la conciliazione stragiudiziale fra le
parti: il convenuto quindi, benché non soccombente, va condannato al versamento
in favore dell’erario dell’importo corrispondente al contributo unificato dovuto
per il giudizio.
Le spese seguono la
soccombenza e sono liquidate come da dispositivo in conformità dei parametri di
cui al d.m. 55/2014, tenendosi conto che non è stata svolta attività
istruttoria e che non sono stati redatti scritti conclusionali.
PQM
Il Tribunale di
Mantova, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione
disattesa o assorbita, così dispone: -rigetta la domanda di divisione; condanna gli attori a
rimborsare al convenuto le spese di lite, che si liquidano in €5.267,00 per
onorari, oltre al rimborso delle spese generali pari al 15%, i.v.a. e c.p.a.
come per legge; condanna il convenuto Y al versamento in favore dell’erario
dell’importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio,
mandando alla cancelleria per quanto di competenza.
Mantova, 25 ottobre
2016.
Il Giudice dott.
Mauro Pietro Bernardi