Pubblichiamo, con piacere, un contributo giunto in Redazione.
Scoprire l’OFELIMITA’ in mediazione
di Carlo
BARATTA (mediatore)
„È sbagliato pensare che i
ritardi e
le omissioni risolvano i problemi.“
– Josemaría Escrivá de Balaguer
– Josemaría Escrivá de Balaguer
“Oggigiorno si conosce il prezzo di tutto, ma non si conosce il valore di
niente” questo pensiero di Oscar Wilde sintetizza bene il
rischio che può correre la mediazione se limita la sua azione solo
basandosi su parametri monetari e normativi.
Il contesto attuale.
La teoria del
pensiero liberale, prevalente nella cultura giuridica occidentale, considera il
giusto come criterio di valutazione, prioritario, rispetto al benessere; per
questa impostazione il benessere, concreto, viene perimetrato in vincoli
originati dal concetto, astratto, di
giusto.
Questi
vincoli obbligano a confrontare azioni concrete con comportamenti presunti
giusti di tutti coloro che hanno una vita sociale, siano essi
persone fisiche o giuridiche.
La Giustizia
secondo questa impostazione, basata su costrutti
astratti, come il giusto atteso,
per valutare un danno, un comportamento,
sia individuale che collettivo (evidenza al contrario concreta) si
trasforma in una procedura solo formale.
Inoltre questi costrutti, gli articoli dei codici,
che misurano i fatti sulla base di una
presunta verità implica
marginalizzano o addirittura negano
il principio del benessere. Il
conflitto, in questo contesto culturale è la presa d’atto che esiste una
divergenza di opinioni e di posizioni in merito al giusto relativo alla questioni,al problemi,
oggetto della lite.
Se anche in
mediazione prevale come parametro il giusto allora la lite si trasforma in conflitto, perché il giusto presuppone una soluzione unilaterale.
Solo le strategie negoziali integrative, quelle che non considerano prioritario
il giusto, consentono di gestire il conflitto aumentando le possibilità di
successo quando tutti si impegnano in modo costruttivo.
Il modello del
giusto oltre a trasformare una lite in un conflitto è portato a usare anche come parametro di valutazione un altro ente astratto
il mercato.
Il mercato come
l’istituzione serve a regolare scambi di beni tra individui egoisti. Il modello
liberale, come detto suppone un individuo che esiste come un tutto avvolto in
sé, che cerca di massimizzare i propri vantaggi operando scelte libere,
autonome e razionali, che non dipendono delle influenze, delle
esperienze, delle circostanze e delle norme connesse al contesto sociale e
culturale e che vedono solo in ciò che astrattamente è definito giusto il
vincolo per agire.
L’equilibrio in
mediazione.
Per la
mediazione l’equilibrio non si trova nell’idea di giustizia considera come
verità giusta rispetto ad un ordine antecedente e datoci, ma si trova nella
congruenza con la nostra comprensione di noi stessi e delle nostre aspirazioni.
Poiché le idee
che i diversi individui e a maggior ragione se sono parti conflittuali, hanno
circa il bene proprio ed altrui sono essenzialmente eterogenee non è possibile
trovare una sintesi monetaria e far tutti contenti.
Quel genio di
V.Pareto ha elaborato un’interessante teoria sull’azione sociale, o meglio sul
comportamento sociale delle persone, che si può utilizzare durante le sedute di
mediazione, perché queste ultime sono un
esempio di azione relazione sociale.
Per Pareto il
comportamento umano dipende sia da elementi irrazionali di natura istintuale
che sono universali detti residui e costanti, che determinano la parte
permanente del comportamento e da elementi razionali o pseudo-razionali.(cioè
ritenuti tali da chi li pone in essere)
detti derivazioni che sono la parte soggettiva variabile
dell’azione.
La spiegazione del motivo per cui gli uomini ragionano in termini di
residui e derivazioni poggia principalmente sul postulato della ricerca della
utilità sociale.
Gli interessi, che sono
valutabili secondo il criterio
del giusto, e che sono alla base delle azioni calcolabili logicamente,
permettono solo di arrivare forse all’utilità economica di entrambe le parti o a quella di una sola, ma
non possono determinare l’utilità sociale.
Il benessere individuale che è il motore dell’utilità sociale, in quanto
gli interessi rappresentano istinti focalizzati e individuali, si può
raggiungere solo facendo emergere i cd residui paretieni che rappresentano
istinti sociali.
L’uniformità dell’agire sociale, che è un patrimonio collettivo è a volte disattesa in parte da
quella che si chiama devianza, ma che riguarda comunque
pezzi di agire sociale. Il comportamento
deviante è originato da un residuo diverso da quello utilizzato dai comportamenti
uniformi. Questo dato è molto importante
nella mediazione perché se non si raggiunge un accordo la causa può essere il diverso residuo attivato dalle argomentazioni.
Questa uniformità dipende, per Pareto dalla diffusione di determinati
residui che incanalano fini ideali collettivamente condivisi. In altri termini,
alla base dell’agire sociale non vi sono solo ragioni strumentali (per cui
l’uniformità deriverebbe dalla mera coincidenza di fini individuali), ma anche
sistemi di valori condivisi (residui) che i ragionamenti (derivazioni) rendono
evidenti.
Per capire
come ricercare il benessere o i
valori condivisi e perciò aiutare a
trovare la soluzione di una lite, occorre, come fa Pareto, distinguere l’utilità dall’ofelimità.
Con ofelimità
Pareto indica l’attitudine di un bene a soddisfare un
bisogno, che però deve essere percepito come tale dall’uomo; l’ofelimità indica
la soddisfazione è una qualità soggettiva.
Dare una
medicina ad un bambino malato è una
azione utile, ma per lui a ofelimità
nulla. Perciò non è sufficiente trovare in una lite un elemento, materiale o monetario considerato
giusto è necessario trovare almeno un altro elemento non monetario tale che soddisfi
le ofelimità di entrambe le
parti.
Mettere al
centro dell’agire la ricerca del benessere, perciò significa impegnarsi a
far riconoscere l’altro come attore di
uguale diritto alla discussione.
Questa
differenza si basa sull’idea che è sbagliato pensare che le persone
scelgano in modo tale da rendere massima solo il proprio interesse, la ricerca di una soluzione
conflittuale basata solo su
dimensioni economiche,
maggior ricchezza monetaria, è senza
dubbio un’azione utile, ma può portare alla diminuzione della felicità
personale, che può generare povertà relazionale e quindi costringere i singoli alla affannosa ricerca di
relazioni anche virtuali a fughe
nell’alcol o nelle droghe, che portano
ad una povertà nuovamente economica e cosi il cerchio
drammaticamente si chiude.
Infatti le
persone reali non sono delle entità caratterizzate da bisogni o desideri,
svincolati dal contesto dove vivono, ma soggetti che si integrano,
attraverso le loro reti sociali in sistemi di desideri e di bisogni che seguono
le priorità della comunità ove risiedono
e operano.
Per queste
considerazioni è meglio cercare le ofelimità delle parti per giungere ad un
accordo.
Fare questa
operazione epistemologica significa ricercare una comune formazione del volere,
che implica far utilizzare linguaggi argomentativi e non strategici.
Il linguaggio è
una trappola insidiosa, questo infatti
spiega come le parti vedono una certa situazione, ma non può
essere utilizzato per spiegare la lite, occorre capire la sostanza della
lite, spogliandola dalle emozioni e dai ragionamenti ad hoc argomentati. La
sostanza, la quidditas della lite, ha una sua
semantica indipendente dalle parole o dal tono
col quale viene descritta. E’
fondamentale perciò rompere il legame
tra situazione di argomentazione, sentimenti, emozioni
e parole per capire il vero
oggetto che si cela nel parlare.
Non va
dimenticato che la realtà, il mondo come è oggi, è un prodotto di una costruzione
sociale, che si realizza per il
contributo simbolico emozionale dei singoli (Luckmann 1997) concetto già espresso
da Pareto che utilizzo i termini
di residui e derivazioni.
Nessuno compie
una scelta sulla base di una libertà sovrana, ma tutti esercitano la propria
libertà sulla base di ciò che li lega gli uni agli altri. Questo fatto
apparentemente ovvio va tenuto presente in qualsiasi tipi di mediazione.
Il modello
paretiano dell’incontro di mediazione.
L’incontro di mediazione è un sistema sociale assimilabile ad un
organismo complesso dove le molecole
sono gli individui, sui quali operano forze influenzate dai residui e a loro
volta manifestate dalle derivazioni. Sono i residui ad avere effetto sulla
forma sociale, perché muovono all’azione; ma dal momento che solo le
derivazioni sono direttamente manifeste, sembra che siano queste ad operare
direttamente nelle relazioni sociali.
I residui, che sono espressioni simbolico-culturali dei sentimenti
soggiacenti, hanno la capacità di muovere all’azione, in quanto incanalano
pulsioni emotive verso determinati fini ideali, consentendo la realizzazione di
fini pratici.
Secondo Pareto le azioni degli uomini sono elaborate su principi non
logici nel senso che il fine oggettivo differisce da quello soggettivo o il
fine oggettivo è inadeguato alla valutazione soggettiva di chi vuol
perseguirlo. In poche parole i calcoli si possono
anche fare, ma i problemi sono più complessi e non sono sufficienti
per risolverli.
Nella tabella seguente sono sintetizzate
le tipologie di azioni non
logiche, che come afferma Pareto non significano azioni illogiche.
Tabella azioni non logiche
GENERI
|
Argomentazioni strumenti
|
Fini
|
1°
|
NON LOGICHE NON SPERIMENTALI
|
Abitudini
|
2°
|
LOGICHE NON SPERIMENTALI
|
Fine soggettivo
|
3°
|
SPERIMENTALI NON LOGICHE
|
atti istintivi
|
4°
|
LOGICO SPERIMENTALI
NON CORRETTE
|
Fine soggettivo
|
II° genere: vi
appartiene la quasi totalità delle azioni oggetto dello studio di Pareto. Gli
atti non sono logicamente connessi al risultato, ma lo sono nella coscienza di
chi agisce nella convinzione che siano i più adeguati per raggiungere lo scopo.
IV° genere: è il
tipico caso di chi si adopera per conseguire uno scopo predisponendo atti
idonei a conseguirlo può accadere che il risultato effettivo sia diverso da
quello sperato, questo è' il tipico caso dell'errore nel quale ricade l'attore
sociale.
Pareto tratta le
derivazioni nel Capitolo IX, del Trattato di sociologia.
In questo termini:” Gli uomini si lasciano persuadere in principal
modo dai sentimenti (residui),
e quindi possiamo prevedere, il che poi è confermato dall'esperienza, che le
derivazioni trarranno forza, non da considerazioni logico-sperimentali, od
almeno non esclusivamente da queste, ma dai sentimenti. Nelle derivate il nocciolo principale è
costituito da un residuo o da un certo
numero di residui, intorno al quale si aggruppano altri residui secondari. Tale
aggregato è fatto nascere e, quando è nato, tenuto saldo da una forza potente, che è
il bisogno che prova l'uomo di
sviluppi logici o pseudo-logici,….”
Pareto ha individuato un certo numero di
residui però per la ricerca dell’ofelimità in
mediazione quello classificato come residuo della persistenza degli aggregati, è il
più idoneo. Questo residuo identifica il costrutto di quei
sentimenti e di quelle spinte emotive che facilitano il salto da una logica
egoistico-autoreferenziale ad una altruistica ed aperta alle esigenze
dell'"altro", va specificato
che non si devono considerare i residui come concetti che aggregano
sentimenti o istinti, ma si devono
intendere come indicatori di sentimenti o istinti.
I residui sono
simili agli algoritmi segnalano una certa procedura nell’agire, le
derivazioni ossia le argomentazioni o gli
strumenti utilizzati sono gli input che
saranno elaborati.
Le derivazioni, che riguardano in mediazione il tipo di
linguaggio utilizzato possono tendere a esprimere opinioni, credenze,
ordini , argomenti persuasivi o dissimulativi. Possono essere finalizzate a
spiegare, interpretare, manifestare un’emozione,a celare il fine che si vuole
raggiungere, per tutti queste coloriture
le derivazioni più che atti
oggettivamente logici sono atti considerati ragionevoli da chi li compie.
Va sempre
tenuto conto che se, durante gli incontri
di mediazione, si fanno aumentare i parametri “oggettivi” della lite
il mediatore, oltre a esprimere un impegno intellettuale e di coscienza sempre
più elevato, può incorrere nella trappola di confondere i vincoli che sono le costanti della lite con i gradi di
libertà, che sono variabili per esplorarla. In questa situazione non aiuta a risolvere la lite, ma crea altre zone di conflitto. La situazione per la mediazione
alla quale tendere è quella schematizzata nel
genere IV.
Gli uomini hanno
sempre vinto quando hanno teso le loro decisioni controllando i propri residui
nell'ambito delle azioni non logiche - Generi IV, perché in questa situazione
si attiva nella mente una specie di motore cognitivo che funziona in modo efficiente perché i soggetti hanno una certezza che deriva
dall’esperienza del proprio vissuto che le azioni che stanno attuando portino
certamente al risultato sperato.
Dott. Carlo
Baratta (mediatore)
Bibliografia
P.L. Berger e T. Luckmann, La realtà come
costruzione sociale, Il Mulino, 1969
N. Bobbio, Pareto e il sistema sociale, Sansoni,
1973
F. Burzio, Il
concetto di residui in P, Giornale degli economisti n. 3-4/1948
P.
Busino, Guida
a Pareto. Per una teoria critica delle scienze della società, Rizzoli, 1975
M.L. Maniscalco,
Vilfredo Pareto e la «ragione debole»,
F. Angeli, 1994
A. Mutti, Il contributo di Pareto alla sociologia
delle emozioni, F. Angeli, 1994
D. Padua, Agire
creativo e senso della razionalità in Pareto, F. Angeli, 2009
G. Pollini, Classificazioni delle azioni e tipologia
dell’agire sociale. Pareto e Weber Studi
sociologia, 22, 4, 1984.
Fonte: Osservatorio
Mediazione Civile n. 14/2017
AVVISO. Il
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