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24 febbraio 2017

14/17. BARATTA, Scoprire l’OFELIMITA’ in mediazione (Osservatorio Mediazione Civile n. 14/2017)

Pubblichiamo, con piacere, un contributo giunto in Redazione.

Scoprire l’OFELIMITA’ in mediazione

di Carlo BARATTA (mediatore)


È sbagliato pensare che i ritardi e
 le omissioni risolvano i problemi.“
– Josemaría Escrivá de Balaguer


Oggigiorno si conosce il prezzo di tutto, ma non si conosce il valore di niente” questo pensiero di Oscar Wilde sintetizza bene il rischio che può correre la mediazione se limita la sua azione solo basandosi  su  parametri monetari e normativi.


Il contesto  attuale.

La teoria del pensiero liberale, prevalente nella cultura giuridica occidentale, considera il giusto come criterio di valutazione, prioritario, rispetto al benessere; per questa impostazione il benessere, concreto, viene perimetrato in vincoli originati dal concetto, astratto, di  giusto.
Questi vincoli obbligano a confrontare azioni concrete con comportamenti presunti giusti di tutti coloro che hanno una vita sociale, siano  essi  persone fisiche o  giuridiche.
La Giustizia secondo  questa impostazione, basata  su costrutti  astratti, come il giusto  atteso, per valutare un danno, un comportamento,  sia individuale che collettivo (evidenza al contrario concreta) si trasforma in una procedura solo  formale.
Inoltre questi costrutti, gli articoli dei codici, che misurano i fatti sulla base di una  presunta verità implica  marginalizzano o  addirittura negano il principio  del benessere. Il conflitto, in questo contesto culturale è la presa d’atto che esiste una divergenza di opinioni e di posizioni in merito al  giusto relativo alla questioni,al problemi, oggetto della lite.
Se anche in mediazione prevale come parametro il giusto allora la lite si  trasforma in conflitto, perché il  giusto presuppone una soluzione unilaterale. Solo le strategie negoziali integrative, quelle che non considerano prioritario il giusto, consentono di gestire il conflitto aumentando le possibilità di successo quando tutti si impegnano in modo costruttivo.
Il modello del giusto oltre a trasformare una lite in un conflitto è portato  a usare anche come parametro  di valutazione un altro  ente astratto  il mercato.
Il mercato come l’istituzione serve a regolare scambi di beni tra individui egoisti. Il modello liberale, come detto suppone un individuo che esiste come un tutto avvolto in sé, che cerca di massimizzare i propri vantaggi operando scelte libere, autonome e razionali, che non dipendono delle influenze, delle esperienze, delle circostanze e delle norme connesse al contesto sociale e culturale e che vedono solo in ciò che astrattamente è definito giusto il vincolo per agire.


L’equilibrio in mediazione.

Per la mediazione l’equilibrio non si trova nell’idea di giustizia considera come verità giusta rispetto ad un ordine antecedente e datoci, ma si trova nella congruenza con la nostra comprensione di noi stessi e delle nostre aspirazioni.
Poiché le idee che i diversi individui e a maggior ragione se sono parti conflittuali, hanno circa il bene proprio ed altrui sono essenzialmente eterogenee non è possibile trovare una sintesi monetaria e far tutti contenti.
Quel genio di V.Pareto ha elaborato un’interessante teoria sull’azione sociale, o meglio sul comportamento sociale delle persone, che si può utilizzare durante le sedute di mediazione, perché queste ultime sono  un esempio  di  azione relazione sociale.
Per Pareto il comportamento umano dipende sia da elementi irrazionali di natura istintuale che sono universali detti residui e costanti, che determinano la parte permanente del comportamento e da elementi razionali o pseudo-razionali.(cioè ritenuti tali da chi li  pone in essere) detti  derivazioni  che sono la parte soggettiva variabile dell’azione.
La spiegazione del motivo per cui gli uomini ragionano in termini di residui e derivazioni poggia principalmente sul postulato della ricerca della utilità sociale.
Gli interessi, che sono  valutabili secondo  il  criterio  del giusto, e che sono alla base delle azioni calcolabili logicamente, permettono solo di arrivare forse all’utilità economica di  entrambe le parti o a quella di una sola, ma non possono determinare l’utilità sociale.
Il benessere individuale che è il motore dell’utilità sociale, in quanto gli interessi rappresentano istinti focalizzati e individuali, si può raggiungere solo facendo emergere i cd residui paretieni che rappresentano istinti sociali.
L’uniformità dell’agire sociale, che è un patrimonio  collettivo è a volte disattesa in parte da quella  che si  chiama devianza, ma che riguarda comunque pezzi di  agire sociale. Il comportamento deviante   è originato  da un residuo diverso  da quello utilizzato dai comportamenti uniformi. Questo dato  è molto importante nella mediazione  perché se non si  raggiunge un accordo la causa  può essere il diverso residuo  attivato dalle argomentazioni.
Questa uniformità dipende, per Pareto dalla diffusione di determinati residui che incanalano fini ideali collettivamente condivisi. In altri termini, alla base dell’agire sociale non vi sono solo ragioni strumentali (per cui l’uniformità deriverebbe dalla mera coincidenza di fini individuali), ma anche sistemi di valori condivisi (residui) che i ragionamenti (derivazioni) rendono evidenti.
Per capire come  ricercare il benessere o i valori  condivisi e perciò aiutare a trovare la soluzione di una lite, occorre, come fa Pareto,  distinguere l’utilità dall’ofelimità.
Con ofelimità Pareto  indica  l’attitudine di un bene a soddisfare un bisogno, che però deve essere percepito come tale dall’uomo; l’ofelimità indica la soddisfazione è una qualità soggettiva.
Dare una medicina ad un bambino malato è  una azione utile, ma per lui  a ofelimità nulla. Perciò non è sufficiente trovare in una lite  un elemento, materiale o monetario  considerato  giusto è necessario trovare almeno un altro  elemento non monetario tale  che soddisfi  le ofelimità di  entrambe le parti.
Mettere al centro  dell’agire la ricerca  del benessere, perciò significa impegnarsi a far riconoscere l’altro come attore di uguale diritto alla discussione.
Questa differenza si  basa sull’idea  che è sbagliato pensare che le persone scelgano in modo tale da rendere massima solo il proprio  interesse, la ricerca di una soluzione conflittuale basata solo su  dimensioni  economiche, maggior  ricchezza monetaria, è senza dubbio un’azione utile, ma può portare alla diminuzione della felicità personale, che può generare povertà relazionale e quindi costringere i  singoli alla affannosa  ricerca di  relazioni  anche virtuali a fughe nell’alcol o nelle droghe, che portano  ad una povertà nuovamente economica e cosi  il cerchio  drammaticamente si  chiude.
Infatti le persone reali non sono delle entità caratterizzate da bisogni o desideri, svincolati  dal contesto  dove vivono, ma soggetti che si integrano, attraverso le loro reti  sociali in  sistemi di desideri e di bisogni che seguono le priorità della comunità ove risiedono  e operano.
Per queste considerazioni è meglio cercare le ofelimità delle parti per giungere ad un accordo.
Fare questa operazione epistemologica significa ricercare una comune formazione del volere, che implica far utilizzare linguaggi argomentativi e non strategici.
Il linguaggio è una trappola  insidiosa, questo infatti spiega  come le parti  vedono una certa situazione, ma non può essere  utilizzato per spiegare  la lite, occorre capire la sostanza della lite, spogliandola dalle emozioni e dai ragionamenti ad hoc argomentati. La sostanza, la quidditas della lite, ha una sua  semantica indipendente dalle parole o dal  tono  col quale viene  descritta. E’ fondamentale perciò rompere il legame  tra situazione di argomentazione, sentimenti,  emozioni  e parole per capire il vero  oggetto che si  cela  nel parlare.
Non va dimenticato  che la realtà, il mondo  come è oggi, è un prodotto di una costruzione sociale, che si  realizza per il contributo simbolico emozionale  dei  singoli (Luckmann 1997) concetto  già espresso  da Pareto  che utilizzo i  termini  di  residui  e derivazioni.
Nessuno compie una scelta sulla base di una libertà sovrana, ma tutti esercitano la propria libertà sulla base di ciò che li lega gli uni agli altri. Questo fatto apparentemente ovvio va tenuto presente in qualsiasi tipi  di mediazione.


Il modello paretiano dell’incontro di mediazione.

L’incontro di mediazione è un sistema sociale assimilabile ad un organismo complesso dove le  molecole sono gli individui, sui quali operano forze influenzate dai residui e a loro volta manifestate dalle derivazioni. Sono i residui ad avere effetto sulla forma sociale, perché muovono all’azione; ma dal momento che solo le derivazioni sono direttamente manifeste, sembra che siano queste ad operare direttamente nelle relazioni sociali.
I residui, che sono espressioni simbolico-culturali dei sentimenti soggiacenti, hanno la capacità di muovere all’azione, in quanto incanalano pulsioni emotive verso determinati fini ideali, consentendo la realizzazione di fini pratici.
Secondo Pareto le azioni degli uomini sono elaborate su principi non logici nel senso che il fine oggettivo differisce da quello soggettivo o il fine oggettivo è inadeguato alla valutazione soggettiva di chi vuol perseguirlo. In poche parole i  calcoli  si possono  anche fare, ma i problemi  sono  più complessi e non sono  sufficienti  per  risolverli.
Nella tabella seguente  sono  sintetizzate  le tipologie di  azioni non logiche, che come afferma Pareto non significano  azioni illogiche.

Tabella azioni non logiche


GENERI

Argomentazioni  strumenti
Fini

NON LOGICHE NON SPERIMENTALI

Abitudini

LOGICHE NON SPERIMENTALI

Fine soggettivo

SPERIMENTALI NON LOGICHE

atti istintivi

LOGICO SPERIMENTALI
NON CORRETTE

Fine soggettivo

II° genere: vi appartiene la quasi totalità delle azioni oggetto dello studio di Pareto. Gli atti non sono logicamente connessi al risultato, ma lo sono nella coscienza di chi agisce nella convinzione che siano i più adeguati per raggiungere lo scopo.
IV° genere: è il tipico caso di chi si adopera per conseguire uno scopo predisponendo atti idonei a conseguirlo può accadere che il risultato effettivo sia diverso da quello sperato, questo è' il tipico caso dell'errore nel quale ricade l'attore sociale.
Pareto tratta le derivazioni  nel Capitolo IX,  del Trattato di sociologia.
In questo  termini:” Gli uomini si lasciano persuadere in principal modo dai sentimenti (residui), e quindi possiamo prevedere, il che poi è confermato dall'esperienza, che le derivazioni trarranno forza, non da considerazioni logico-sperimentali, od almeno non esclusivamente da queste, ma dai sentimenti. Nelle derivate il nocciolo principale è costituito da un residuo o da un certo numero di residui, intorno al quale si aggruppano altri residui secondari. Tale aggregato è fatto nascere e, quando è nato, tenuto saldo da una forza potente, che è il bisogno che prova l'uomo di sviluppi logici o pseudo-logici,….”
Pareto  ha individuato un certo numero  di  residui però per la ricerca dell’ofelimità in mediazione  quello  classificato come residuo  della persistenza degli aggregati, è il più idoneo.  Questo  residuo identifica il costrutto di quei sentimenti e di quelle spinte emotive che facilitano il salto da una logica egoistico-autoreferenziale ad una altruistica ed aperta alle esigenze dell'"altro", va specificato  che non si devono considerare i residui come concetti che aggregano sentimenti o istinti, ma si  devono intendere come indicatori di sentimenti o istinti.
I residui  sono  simili agli algoritmi segnalano una certa procedura nell’agire, le derivazioni ossia  le argomentazioni  o  gli strumenti utilizzati sono gli input  che saranno  elaborati.
Le derivazioni, che riguardano in mediazione il tipo  di  linguaggio utilizzato possono  tendere a esprimere opinioni, credenze, ordini , argomenti persuasivi o dissimulativi. Possono essere finalizzate a spiegare, interpretare, manifestare un’emozione,a celare il fine che si vuole raggiungere, per tutti  queste coloriture le derivazioni più che atti oggettivamente logici sono atti considerati ragionevoli da chi li compie.
Va sempre tenuto  conto che se, durante  gli incontri  di  mediazione, si fanno  aumentare i parametri “oggettivi” della lite il mediatore, oltre a esprimere un impegno intellettuale e di coscienza sempre più elevato, può incorrere nella trappola di confondere  i vincoli che sono  le costanti della lite con i gradi di libertà, che sono variabili per esplorarla. In questa situazione non  aiuta a risolvere la  lite, ma crea altre zone di  conflitto. La situazione per la mediazione alla quale tendere è quella schematizzata nel  genere IV.
Gli uomini hanno sempre vinto quando hanno teso le loro decisioni controllando i propri residui nell'ambito delle azioni non logiche - Generi IV, perché in questa situazione si attiva nella mente una specie di motore cognitivo che funziona in modo  efficiente perché  i soggetti hanno una certezza che deriva dall’esperienza del proprio vissuto che le azioni che stanno attuando portino certamente al risultato sperato.

Dott. Carlo Baratta (mediatore)

Bibliografia

P.L. Berger  e  T. Luckmann, La realtà come costruzione sociale, Il Mulino, 1969
N. Bobbio, Pareto e il sistema sociale, Sansoni, 1973
F. Burzio, Il concetto di residui in P, Giornale degli economisti n. 3-4/1948
P. Busino, Guida a Pareto. Per una teoria critica delle scienze della società, Rizzoli, 1975
M.L. Maniscalco, Vilfredo Pareto e la «ragione debole», F. Angeli, 1994
A. Mutti, Il contributo di Pareto alla sociologia delle emozioni, F. Angeli, 1994       
D. Padua, Agire creativo e senso della razionalità in Pareto, F. Angeli, 2009
G. Pollini, Classificazioni delle azioni e tipologia dell’agire sociale. Pareto e Weber Studi  sociologia, 22, 4, 1984.

Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 14/2017

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