=> Cassazione civile, 14 dicembre 2016, n. 25611
Con riferimento alla questione circa l’assoggettamento
del ricorso monitorio al previo esperimento del tentativo obbligatorio di
conciliazione nelle materie riservate alle competenze dell'AGCOM va affermato
che la peculiarità del procedimento monitorio consente di collegare la
procedibilità dell'azione alla formale introduzione del giudizio di merito
(mediante la notifica dell'atto di opposizione), piuttosto che alla
introduzione della lite (mediante la notifica del ricorso e del provvedimento
monitorio); tale soluzione appare funzionale alla logica deflattiva del
processo cui tende il meccanismo conciliativo, come questa Corte ha già
affermato, in quanto è con l'atto di opposizione - e non anche con il ricorso
monitorio - che la parte interessata intende accedere al giudizio ordinario di
cognizione (cfr. CorteCass. Sez. 3, Sentenza n. 24629 del 03/12/2015) (I).
(I) per approfondimenti si veda SPINA,
Mediazione e decreto ingiuntivo: la
Cassazione conferma la Cassazione (nota a Cassazione civile, sezione terza,
sentenza del 14.12.2016, n. 25611), in La Nuova Procedura Civile, 1,
2017.
Fonte: Osservatorio
Mediazione Civile n. 10/2017
Cassazione civile
Sezione terza
Sentenza n. 25611
14 dicembre 2016
Omissis
La Società
ricorrente con l'unico motivo censura la sentenza di appello per violazione
della L. n. 249 del 1997, art. 1, comma 11, e dell'art. 3, e art. 4, comma 2,
del regolamento approvato da AGCM con delibera 182/02/CONS, nonchè per vizio di
omessa motivazione sulla questione della abrogazione del predetto regolamento
sostituito dal nuovo regolamento adottato con delibera AGCOM n. 173/07/CONS,
sottoposta con i motivi di gravame, deducendo che il Giudice di appello aveva
erroneamente ritenuto improcedibile la domanda di condanna proposta con il
procedimento monitorio per mancato preventivo esperimento del tentativo
obbligatorio di conciliazione, non tenendo conto che la Corte costituzionale,
esaminando questioni analoghe (con riferimento al tentativo obbligatorio di
conciliazione previsto nelle controversie di lavoro ex artt. 410 e 412 bis
c.p.c., e nelle controversie concernenti i rapporti di subfornitura L. 18
giugno 1998, n. 1992, ex art. 3, commi 4 e 10), aveva ritenuto invece
incompatibile l'applicazione della condizione di procedibilità alla fase
sommaria del procedimento monitorio che era caratterizzata dalla assenza di
contraddittorio. Subordinatamente la ricorrente chiede sollevarsi questione di
legittimità costituzionale della L. n. 249 del 1997, art. 1, comma 11, qualora
si ritenesse estesa la condizione di procedibilità anche al procedimento
monitorio.
La censura per
vizio di "error in judicando" è fondata, con le precisazioni che
seguono.
La L. 31 luglio
1997, n. 249, art. 1, comma 11, (recante "Istituzione dell'Autorità per le
garanzie nelle comunicazioni e norme sui sistemi delle Telecomunicazioni e
radiotelevisivo") dispone che "L'Autorità disciplina con propri
provvedimenti le modalità per la soluzione non giurisdizionale delle controversie
che possono insorgere fra utenti o categorie di utenti ed un soggetto
autorizzato o destinatario di licenze oppure tra soggetti autorizzati o
destinatari di licenze tra loro. Per le predette controversie, individuate con
provvedimenti dell'Autorità, non può proporsi ricorso in sede giurisdizionale
fino a che non sia stato esperito un tentativo obbligatorio di conciliazione da
ultimare entro tenta giorni dalla proposizione dell'istanza all'Autorità. A tal
fine, i termini per agire in sede giurisdizionale sono sospesi fino alla
scadenza del termine per la conclusione del procedimento di
conciliazione". Il regolamento di attuazione approvato con delibera AGCOM
n. 182 del 2002, prevede un tentativo obbligatorio di conciliazione per tutte
le controversie in cui "utenti, singoli o associati, ovvero gli organismi
di telecomunicazioni, che lamentino la violazione di un proprio diritto o
interesse protetti da un accordo di diritto privato o dalle norme in materia di
Telecomunicazioni attribuite alla competenza dell'Autorità e che intendano
agire in giudizio" (art. 3, comma 1), rimanendo assoggettata a tale
condizione di procedibilità la proposizione del "ricorso
giurisdizionale" (art. 4, comma 2).
Il D.Lgs. 1 agosto
2003, n. 259 (recante il "Codice delle comunicazioni elettroniche")
che ha provveduto a trasporre la direttiva 2002/22/CE del Parlamento Europeo e
del Consiglio in data 7.3.2002 (direttiva servizio universale), ha disposto
all'art. 84 che "1. L'Autorità, ai sensi della L. 31 luglio 1997, n. 249, art.
1, commi 11, 12 e 13, (recante istituzione dell'Autorità per le garanzie nelle
comunicazioni e norme sui sistemi delle Telecomunicazioni e radiotelevisivo
(Supplemento ordinario alla GURI n. 177 del 31 luglio 1997)) adotta procedure
extragiudiziali trasparenti, semplici e poco costose per l'esame delle
controversie in cui sono coinvolti i consumatori e gli utenti finali, relative
alle disposizioni di cui al presente Capo, tali da consentire un'equa e
tempestiva risoluzione delle stesse, prevedendo nei casi giustificati un
sistema di rimborso o di indennizzo...".
Con delibera n. 173
del 2007 l'AGCOM ha adottato un nuovo regolamento che ha confermato il
tentativo obbligatorio di conciliazione per "le controversie in materia di
comunicazioni elettroniche tra utenti finali ed operatori, inerenti al mancato
rispetto delle disposizioni relative al servizio universale ed ai diritti degli
utenti finali stabilite dalle norme legislative, dalle delibere dell'Autorità,
dalle condizioni contrattuali e dalle carte dei servizi" (art. 2, comma
1), disponendo che "il ricorso in sede giurisdizionale è improcedibile
fino a che non sia stato esperito il tentativo obbligatorio di conciliazione
dinanzi al Co. re. com competente per territorio munito di delega a svolgere la
funzione conciliativa, ovvero dinanzi agli organismi di risoluzione
extragiudiziale delle controversie di cui all'art. 13" (art. 3, comma 1),
e precisando che "Sono escluse dall'applicazione del presente Regolamento
le controversie attinenti esclusivamente al recupero di crediti relativi alle
prestazioni effettuate, qualora l'inadempimento non sia dipeso da contestazioni
relative alle prestazioni medesime. In ogni caso, l'utente finale non è tenuto
ad esperire il tentativo obbligatorio di conciliazione previsto dall'articolo 3
per formulare eccezioni, proporre domande riconvenzionali ovvero opposizione a
norma degli art. 645 c.p.c. e ss." (art. 2, comma 2).
Orbene il nuovo
regolamento è stato adottato con delibera 19.4.2007 entrata in vigore, ai sensi
dell'art. 5, comma 4, il trentesimo giorno dalla sua pubblicazione nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 120 del 25/05/2007, e dunque a
far data dal 24.6.2007.
La ricorrente non
fornisce alcuna indicazione sulla data di deposito del ricorso ex art. 633
c.p.c., nè sulla data di deposito del decreto ingiuntivo, ma considerato che
l'atto di citazione in opposizione è stato notificato dalla ingiunta in data il
21.12.2007 (cfr. ricorso pag. 2), tenuto conto dei termini massimi previsti
dall'art. 644 c.p.c., art. 641 c.p.c., comma 1, art. 645 c.p.c., deve ritenersi
che il procedimento monitorio si sia svolto nella vigenza del nuovo
regolamento. L'erronea identificazione del regolamento da pare del Giudice di
merito non comporta, tuttavia, specifiche conseguenze sulla questione di
diritto - che si pone, almeno in parte, in modo analogo anche nel nuovo
regolamento - relativa all'assoggettamento al preventivo tentativo obbligatorio
di conciliazione "anche" della "fase sommaria" della
procedura monitoria. Occorre considerare, infatti, che la diversa previsione
contenuta nell'art. 2, comma 2, del regolamento approvato con delibera AGCOM n.
173/2007 (secondo cui "l'utente finale non è tenuto ad esperire il
tentativo obbligatorio di conciliazione … per formulare … opposizione a norma
degli articoli 645 c.p.c. e ss.") rispetto a quella originariamente
contenuta nell'art. 3, comma 1, del precedente regolamento approvato con
delibera AGCOM n. 182/2002 (che si limitava ad individuare le controversie sottoposte
al tentativo obbligatorio di conciliazione, con riferimento a quelle in cui
veniva in questione la tutela di un diritto od interesse "protetti da un
accordo di diritto privato o dalle norme in materia di Telecomunicazioni
attribuite alla competenza dell'Autorità…") non può ritenersi dirimente ai
fini della soluzione della questione sottoposta alla Corte, tenuto conto che nè
la L. n. 249 del 1997, nè il successivo Codice delle comunicazioni elettroniche
di cui al D.Lgs. 1 agosto 2003, n. 259, autorizzavano la Autorità indipendente
a definire l'ambito applicativo della condizione di procedibilità, in relazione
a determinati atti del processo od in relazione a tipologie di atti costituenti
esercizio del diritto di difesa. La L. n. 249 del 1997, art. 1, comma 11, -
richiamato espressamente dall'art. 84 del Codice - ha definito la competenza in
materia dell'AGCOM circoscrivendone l'ambito:
a) alla disciplina
delle "modalità" attraverso le quali le parti in lite potenziale
possono pervenire ad una "soluzione non giurisdizionale" delle
controversie, essendo tenuta l'AGCOM, ai sensi dell'art. 84 del Codice, a
predisporre modalità procedurali "trasparenti, semplici e poco costose…,
tali da consentire un'equa e tempestiva risoluzione delle stesse";
b) alla individuazione
delle singole tipologie di controversie - in materia di comunicazioni - tra
utenti o categorie di utenti ed un soggetto autorizzato o destinatario di
licenze, ovvero tra soggetti autorizzati o destinatari di licenze, da
assoggettare alla procedura conciliativa obbligatoria.
Le coordinate
assegnate dalle norme di legge all'AGCOM definiscono i limiti del potere
legittimamente esercitabile da tale Autorità, con la conseguenza che,
indipendentemente dalla esatta qualificazione giuridica del potere esercitato,
di natura regolamentare (come sembra propendere la giurisprudenza
amministrativa - cfr. Cons. Stato 3^ sez., sentenza 9.4.2013 n. 1961), ovvero
di natura amministrativa (attraverso la emanazione di atti amministrativi
generali, come sembrerebbe deporre la L. n. 249 del 1997, stesso art. 1, comma
11, laddove, diversamente da altre disposizioni in cui è prevista
esplicitamente la potestà regolamentare - art. 1, comma 6: lett. a), nn. 5, 10;
lett. b), nn. 3, 5; lett. c), n. 2; art. 1, comma 9. Analogamente vedi: L. 14
novembre 1995, n. 481, art. 2, comma 28, - autorizza l'Autorità a disciplinare
la materia "con propri provvedimenti"), la disposizione - sopra
richiamata - dell'art. 2, comma 2, del "regolamento" approvato con
delibera n. 173/2007, deve ritenersi in contrasto con la norma di legge
attributiva della competenza, ed in quanto tale deve essere disapplicata ai
sensi della L. 20 marzo 1865, n. 2248, art. 5, All. E. Ne segue che
l'applicabilità alla fattispecie della delibera n. 173/2007 - emendata della
disposizione disapplicata - non modifica i termini della questione, sottoposta
all'esame della Corte, così come decisa dalla Corte d'appello di Roma se pure
con riferimento al precedente regolamento approvato con delibera n. 182/2002.
Tanto premesso,
osserva il Collegio che gli argomenti in diritto svolti dalla Corte
territoriale a sostegno della tesi della estensione del tentativo obbligatorio
di conciliazione anche alla "fase sommaria" della procedura
monitoria, non possono essere condivisi.
Premesso che
"il tentativo obbligatorio di conciliazione tende a soddisfare l'interesse
generale sotto un duplice profilo, da un lato, evitando che l'aumento delle
controversie attribuite al giudice ordinario in materia di lavoro provochi un
sovraccarico dell'apparato giudiziario, con conseguenti difficoltà per il suo
funzionamento; dall'altro, favorendo la composizione preventiva della lite, che
assicura alle situazioni sostanziali un soddisfacimento più immediato rispetto
a quella conseguita attraverso il processo" (cfr. Corte costituzionale,
sentenza n. 276/2000, in motivazione, punto 3.4; Corte di giustizia UE sentenza
18.3.2010 in causa C-317/318/319/320/08, in motivazione, punto 64), e premesso
altresì che le norme di legge e regolamentari in esame individuano
"ratione materiae" l'obbligo di esperimento del tentativo di
conciliazione come condizione di procedibilità del giudizio, senza alcuna
distinzione in ordine al tipo di procedimento giurisdizionale od al rito
processuale applicabile alla controversia (la espressione "ricorso in sede
giurisdizionale", che compare nei regolamenti AGCOM, deve infatti
intendersi riferita a qualsiasi domanda rivolta ad un Giudice diretta alla
introduzione di una lite), ritiene il Collegio che la tendenziale
onnicomprensività, nella disciplina della conciliazione obbligatoria, di
qualsiasi azione giurisdizionale attinente alle materie riservate alla
competenza dell'AGCOM, deve pur sempre essere riguardata in funzione dello
scopo che tali norme si prefiggono, con la conseguenza che l'obbligatorietà del
tentativo di risoluzione extragiudiziaria della controversia, comportando un
inevitabile effetto dilatorio della tutela giurisdizionale, dovuto ai tempi -
per quanto ridotti - di svolgimento della procedura conciliativa, viene
necessariamente a cedere di fronte ad immediate esigenze di tutela anticipata
cui provvedono le "misure cautelari", in quanto strumentali ad
evitare un attuale pregiudizio grave ed irreparabile al diritto, mentre, in
relazione ad altri "procedimenti sommari", diretti a fornire spedita
tutela al diritto allo scopo di evitare lo svolgimento del giudizio di merito,
si tratterà di verificare, caso per caso, se gli obiettivi cui è preordinato il
tentativo obbligatorio di conciliazione siano egualmente o meglio - già
assicurati dalle modalità di svolgimento di tali procedimenti giurisdizionali
(rendendosi quindi inutile un ulteriore aggravio di tempi connessi alla
procedura conciliativa), ovvero se, invece, la procedura conciliativa, intesa a
pervenire ad un accordo stragiudiziale sostitutivo della decisione di merito
adottata all'esito del giudizio, risulti oggettivamente incompatibile con la
struttura stessa di detti procedimenti. In entrambi questi casi, infatti, tali
procedimenti dovrebbero ritenersi sottratti alla condizione di procedibilità
del previo esperimento del tentativo conciliativo. Sul punto è intervenuta la
Corte costituzionale con la sentenza n. 376/2000 (concernente la procedura
conciliativa obbligatoria introdotta nel rito del lavoro: successivamente la
condizione di procedibilità è venuta meno con l'abrogazione dell'art. 412 bis
c.p.c., disposto dalla L. 4 novembre 2010, n. 163, art. 31, comma 16) che ha
ritenuto di individuare nel contraddittorio delle parti l'elemento di incompatibilità
strutturale tra il procedimento di conciliazione (che tale contraddittorio
presuppone) ed il procedimento monitorio (che non prevede contraddittorio,
nella fase sommaria), rilevando che "Invero, il tentativo obbligatorio di
conciliazione è strutturalmente legato ad un processo fondato sul
contraddittorio. La logica che impone alle parti di incontrarsi in una sede
stragiudiziale, prima di adire il giudice, è strutturalmente collegata ad un
(futuro) processo destinato a svolgersi fin dall'inizio in contraddittorio fra
le parti. All'istituto sono quindi per definizione estranei i casi in cui
invece il processo si debba svolgere in una prima fase necessariamente senza
contraddittorio, come accade per il procedimento per decreto ingiuntivo. Non avrebbe
infatti senso imporre, nella fase pregiurisdizionale relativa al tentativo di
conciliazione, un contatto fra le parti che invece non è richiesto nella fase
giurisdizionale ai fini della pronuncia del provvedimento monitorio".
(punto 6.1, motivazione). E non pare dubbio che tale medesimo argomento sia
stato alla base anche della disciplina della condizione di procedibilità della
"mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e
commerciali", introdotta dal travagliato decreto delegato 4.3.2010 n. 29
(attuativo della L. n. 69 del 2009, art. 60) che all'art. 5, comma 4, lett. a),
ha previsto espressamente tra i casi per i quali è esclusa la obbligatorietà
della mediazione, i "procedimenti per ingiunzione, inclusa l'opposizione, fino
alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria
esecuzione" (postergando, quindi, il tentativo obbligatorio all'esito
della fase liminale del giudizio di merito introdotto con la notifica della
citazione in opposizione). La norma in questione viene qui, evidentemente,
richiamata soltanto nei limiti in cui può fornire un utile ausilio
interpretativo della L. n. 249 del 1997, art. 1, comma 11, e del regolamento
AGCOM, atteso che la disciplina della mediazione non trova applicazione alle
controversie per le quali sono già previste forme alternative di risoluzione
anticipata (cfr. D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 23, comma 2, che dispone:
"Restano ferme le disposizioni che prevedono i procedimenti obbligatori di
conciliazione e mediazione, comunque denominati, nonchè le disposizioni
concernenti i procedimenti di conciliazione relativi alle controversie di cui
all'articolo 409 del codice di procedura civile. I procedimenti di cui al
periodo precedente sono esperiti in luogo di quelli previsti dal presente
decreto"). L'argomento della Corte d'appello, fondato sulla mera
interpretazione letterale della norma di cui alla L. n. 249 del 1997, art. 1,
comma 11, per cui la genericità del sintagma "ricorso
giurisdizionale" verrebbe a ricomprendere anche il ricorso notificato con
pedissequo decreto ingiuntivo, ai sensi degli artt. 633 e 641 c.p.c., non tiene
conto della specifica funzione deflattiva dei processi avanti l'AG, cui viene
ad assolvere il procedimento obbligatorio di conciliazione, mentre si risolve
in un paralogismo l'argomento secondo cui la condizione di procedibilità, nelle
controversie in materia di comunicazioni, trova applicazione anche al ricorso
monitorio, in quanto la inapplicabilità della stessa non è stata mai affermata
dal Giudice delle Leggi, tenuto conto che quest'ultimo, nelle ripetute pronunce
aventi ad oggetto il tentativo obbligatorio di conciliazione previsto dalla L.
n. 249 del 1997, art. 1, comma 11, non è mai stato chiamato ad esaminare la
specifica ipotesi della domanda proposta con ricorso monitorio (cfr. Corte
costituzionale: n. 125/2006 dichiarativa della manifesta inammissibilità della
questione di legittimità costituzionale -in relazione peraltro a domanda
proposta nelle forme del giudizio ordinario di cognizione-; n. 403/2007,
concernente la inapplicabilità della condizione di procedibilità al
procedimento cautelare per provvedimento di urgenza ex art. 700 c.p.c.; n.
51/2009 dichiarativa della infondatezza della questione, relativamente a
giudizio di condanna proposto nelle forme ordinarie). Non trova, peraltro,
valido fondamento normativo l'argomento speso nella sentenza di appello che
correla la necessità di sottoporre al tentativo di conciliazione anche il
procedimento monitorio, alla ipotizzata asimmetria nell'esercizio del diritto
difesa, sul rilievo per cui "normalmente" è la società gestore od
operatrice che ricorre allo strumento del provvedimento monitorio (per mancato
pagamento dei servizi fatturati): se da un lato, infatti, occorre considerare
che il provvedimento monitorio è accordato dall'ordinamento al creditore munito
di prova scritta del titolo, non incidendo quindi il dato della frequenza
statistica dell'utilizzo del ricorso monitorio, sulla identica tutela
giurisdizionale riconosciuta ad entrambe le parti contraenti, sicchè nel caso
di recupero di importi pagati e risultati indebitamente fatturati, bene
l'utente finale potrà anch'egli ricorrere al provvedimento monitorio, senza
essere sottoposto alla condizione di procedibilità di cui alla L. n. 249 del
1997, art. 1, comma 11, dall'altro lato, la esigenza di prevedere
l'applicazione della conciliazione obbligatoria anche nelle controversie
promosse con il rito monitorio, in quanto istituto preordinato a tutela del
consumatore (rappresentata anche dal Procuratore generale nella propria
requisitoria), deve essere ricondotta nel corretto alveo definito dalla
disciplina normativa comunitaria, e specificamente dalla direttiva del
Parlamento Europeo e del Consiglio 7.3.2002, 2002/22/CE (relativa al "servizio
universale ed ai diritti degli utenti in materia di reti e servizi di
comunicazione elettronica") come interpretata dalla Corte di giustizia UE.
Il Giudice di Lussemburgo chiamato ad esprimersi, con la sentenza 18.3.2010 in
cause riunite C317-320/08, Alassini ed altri, proprio sulla conformità
all'ordinamento comunitario dell'art. 84 del Codice e della delibera AGCOM n.
173/2007, ha individuato i limiti inderogabili a tutela dei consumatori, non
nella previsione da parte dei singoli Stati membri della procedura conciliativa
"obbligatoria" - essendo assolutamente liberi gli Stati di
determinare le modalità della procedura che deve essere semplice, poco costosa
e risultare idonea a pervenire ad una risoluzione equa e tempestiva delle
controversie: art. 34 direttiva -, ma nella verifica che le diverse modalità
adottate dai singoli Stati membri non pregiudichino in alcun modo l'accesso
alle "procedure giudiziarie nazionali" (art. 34 direttiva), e
comunque rispondano ai principi di "equivalenza" e di
"effettività" della tutela dei diritti conferiti ai singoli dalla
direttiva (declinandosi tale effettività: 1. nella esclusione del carattere
vincolante al risultato della procedura di conciliazione; 2. nella previsione
della sospensione della prescrizione del diritto controverso; 3. nel
contenimento dei costi della procedura; 4. nella assicurazione della tutela
cautelare anche in pendenza della procedura).
Pertanto, fermo
l'obiettivo assegnato agli Stati membri dalla direttiva "servizio
universale", volto alla introduzione di forme di risoluzione
extragiudiziali delle controversie tra utenti e gestori dei servizi di
comunicazione, l'assenza di ulteriori vincoli imposti dalla direttiva
comunitaria all'attuazione della disciplina delle procedure, non pone in
conflitto con le disposizioni comunitarie la interpretazione delle norme della
L. n. 249 del 1997, e della delibera AGCOM n. 173/2007 che fa leva sul
requisito strutturale della fase sommaria del procedimento monitorio, come
procedimento volto a consentire una spedita definizione della controversia,
secondo modalità procedurali che prevedono solo in via eventuale la
introduzione del giudizio (mediante notifica della opposizione al decreto
ingiuntivo), per sottrarre tale fase al preventivo esperimento del tentativo di
conciliazione obbligatoria, laddove la esigenza di assicurare al destinatario
della ingiunzione la possibilità di definire in via extragiudiziaria la
controversia, può essere garantita nella seconda fase, analogamente a quanto
previsto dalla disciplina legislativa della mediazione (D.Lgs. n. 28 del 2010,
art. 5, comma 4) che, avuto riguardo alla perentorietà del termine stabilito
per la proposizione della opposizione (termine che, in difetto di espressa
norma di legge, non viene ad essere sospeso dalla proposizione della istanza di
mediazione, divenendo definitivo ed irrevocabile il decreto di condanna in caso
di omessa attivazione dell'opponente), colloca la operatività della condizione
di procedibilità nel momento immediatamente successivo a quello in cui il
Giudice dispone in "limine litis", ai sensi degli artt. 648 e 649
c.p.c., rispettivamente, la concessione o la sospensione della provvisoria
esecuzione del provvedimento monitorio. La peculiarità del procedimento
monitorio, consente, pertanto, di collegare la procedibilità dell'azione alla
formale introduzione del giudizio di merito - mediante la notifica dell'atto di
opposizione -, piuttosto che alla introduzione della lite - mediante la
notifica del ricorso e del provvedimento monitorio -, soluzione che, da un
lato, appare funzionale alla logica deflattiva del processo cui tende il
meccanismo conciliativo, come questa Corte ha già affermato, in quanto è con
l'atto di opposizione - e non anche con il ricorso monitorio - che la parte
interessata intende accedere al giudizio ordinario di cognizione (cfr. Corte
Cass. Sez. 3, Sentenza n. 24629 del 03/12/2015), e dall'altro, risponde alla
peculiare struttura del procedimento monitorio che, nella fase sommaria, volta
a conseguire agevolmente una definizione della lite senza giudizio di merito,
non richiede la instaurazione di un contraddittorio, invece previsto dalla
procedura conciliativa che, pertanto, se applicata "anticipatamente"
al momento della proposizione del ricorso monitorio ex art. 633 c.p.c., priverebbe
di utilità tale fase sommaria che, in caso di fallimento del tentativo di
conciliazione, si risolverebbe in una mera dilazione dei tempi necessari a
pervenire alla definizione del giudizio di merito, in palese distonia con il
principio di speditezza e di ragionevole durata dei processi ex art. 111 Cost..
Pertanto, deve
ritenersi non conforme a diritto, e va dunque cassata, la statuizione del
Giudice di appello che ha ritenuto di assoggettare il ricorso monitorio, nelle
materie riservate alle competenze dell'AGCOM, al previo esperimento del
tentativo obbligatorio di conciliazione, dovendo in conseguenza ritenersi
errata la qualificazione della condizione di accesso al giudizio di merito
avanti l'AG, prevista dalla L. n. 249 del 1997, art. 1, comma 11, come
"condizione di proponibilità" dell'azione giudiziaria - in tal senso
è stata implicitamente intesa dai Giudici di merito che hanno revocato il
decreto monitorio -, dovendo la stessa intendersi piuttosto avuto riguardo alle
indicate modalità di applicazione del modello conciliativo alla peculiare
disciplina processuale del ricorso monitorio - come "condizione di
procedibilità", conformemente alla interpretazione che della norma di
legge è stata fornita da questa Corte (cfr. Corte Cass. Sez. 3, Sentenza n.
14103 del 27/06/2011; id. Sez. 1, Sentenza n. 24711 del 04/12/2015) alla
stregua della esplicita indicazione contenuta nell'art. 3, comma 1, del
"regolamento" approvato con delibera AGCOM n. 173/2007 ("... il
ricorso in sede giurisdizionale è improcedibile fino a che non sia stato
esperito il tentativo obbligatorio di conciliazione..."). Ne segue che il giudice di primo grado o di
appello, qualora dichiari la temporanea improcedibilità della opposizione a
decreto ingiuntivo, deve sospendere il processo ed assegnare, ove necessario,
alle parti, il termine per l'esperimento dello stesso, restando salvi, al
momento della prosecuzione del processo, gli effetti sostanziali e processuali
dell'atto introduttivo del giudizio di merito proposto dall'opponente.
In conclusione il
ricorso proposto da omissis trova
accoglimento, e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio della
causa alla Corte d'appello di Roma, in altra composizione, perchè attenendosi
ai principi di diritto enunciati in motivazione al p. 5., provveda a verificare
la procedibilità della opposizione a decreto ingiuntivo, adottando i
conseguenti provvedimenti e, liquidando, all'esito del giudizio di merito,
anche le spese del giudizio di legittimità.
PQM
La Corte accoglie
il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d'appello
di Roma, in diversa composizione, affinchè attenendosi ai principi di diritto
enunciati in motivazione al p. 5., provveda a verificare la procedibilità della
opposizione a decreto ingiuntivo, adottando i conseguenti provvedimenti e,
liquidando, all'esito del giudizio di merito, anche le spese del giudizio di
legittimità.