=> Tribunale di Vasto, 30 maggio 2016
L’onere di attivare la procedura di mediazione, sanzionato a pena di
improcedibilità (art. 5, comma 1-bis, d.lgs. 28/2010), deve gravare sulla parte
processuale che, con la propria iniziativa, ha provocato l’instaurazione del
processo assoggettato alle regole del rito ordinario di cognizione. Nel
procedimento monitorio, tale parte si identifica nel debitore opponente,
che, quindi, è titolare dell’onere di rivolgersi preventivamente al mediatore.
In caso di inottemperanza a detto onere, sarà dunque l’opponente a subire le
conseguenze della propria inerzia, sia sotto il profilo della declaratoria
di improcedibilità della domanda formulata con l’atto di opposizione, sia
della conseguente acquisizione di definitiva esecutività del decreto
ingiuntivo opposto (II). La tesi qui sostenuta: è coerente con le finalità
deflattive sottese alla normativa sulla mediazione (si incoraggia la
desistenza dell’opponente e l’abbandono della lite eventualmente promossa,
portando fuori dalla sede processuale controversie, altrimenti assoggettate
alla disciplina del rito ordinario di cognizione); ha il pregio di evitare
le illogiche conseguenze dell’impostazione avversaria che, nell’affermare
l’improcedibilità della domanda monitoria e la necessaria revoca del decreto
ingiuntivo, produce come effetto quello di cancellare attività procedurali che
il creditore opposto si troverà a dovere riproporre, con ulteriori dispendio di
tempo e di risorse pubbliche (III); disincentiva, in funzione deterrente, la
prosecuzione di opposizioni strumentali e dilatorie.
(I) Si veda l’art. 5, comma 1-bis, D.lgs. 4 marzo 2010 n. 28 aggiornato al D.L.132/2014 c.d. di degiurisdizionalizzazione conv. con mod. in L. 162/2014, inOsservatorio Mediazione Civile n. 61/2014. Per
approfondimenti si veda SPINA, CODICE OPERATIVO DEI NUOVI ADR, Pacini ed., Pisa,2016
(Osservatorio Mediazione Civile n. 64/2016).
(II) In senso conforme a tale orientamento si veda Cassazionecivile, 3 dicembre 2015, n. 24629, in OsservatorioMediazione Civile n. 2/2016.
(III) Sul punto si veda Tribunaledi Rimini, 5 agosto 2014, in Osservatorio Mediazione Civile n. 19/2015.
Fonte: Osservatorio
Mediazione Civile n. 80/2016
Tribunale di Vasto
Sentenza
30 maggio 2016
Omissis
Con decreto
ingiuntivo n. omissis, il Tribunale
di Vasto ingiungeva a omissis di
pagare, in favore di omissis, la somma
di € 6.000,00 oltre interessi e accessori di legge.
Con atto di
citazione ritualmente notificato, i debitori ingiunti proponevano opposizione
avverso il menzionato decreto, ai sensi dell’art. 645 c.p.c.
Nel corso del
procedimento, con ordinanza del 13.07.2015, il giudice istruttore, ritenuto che
la natura puramente documentale della causa suggerisse il ricorso a soluzioni
amichevoli della lite, disponeva – ai sensi dell’art. 5, secondo comma, del D.
Lgs. n. 28/10 – l’esperimento del procedimento di mediazione.
Alla successiva
udienza del 3.3.2016, le parti dichiaravano di non aver attivato la procedura
di mediazione (senza, peraltro, illustrare le motivazioni di tale decisione) e
chiedevano fissarsi udienza di precisazione delle conclusioni.
È pacifico che
nessuna delle parti in causa ha attivato la procedura di mediazione, con ciò
contravvenendo a quanto disposto dal giudice ai sensi dell’art. 5, secondo
comma, D.Lgs. n. 28/10. Non vi è dubbio, pertanto, che l’inosservanza delle
disposizioni dettate con l’ordinanza del 13.07.2015 abbia determinato la
sopravvenuta carenza di una condizione di procedibilità della domanda, ponendo
una questione pregiudiziale che assume valore dirimente rispetto allo scrutinio
nel merito delle argomentazioni difensive delle parti. Trattandosi di una
opposizione a decreto ingiuntivo, il tema che questo giudice è chiamato ad
affrontare concerne l’individuazione della parte sulla quale grava l’onere di
attivazione della procedura di mediazione e le ripercussioni della eventuale
inottemperanza a tale onere sulla sorte del decreto ingiuntivo opposto.
Sul tema si
contrappongono due diversi orientamenti giurisprudenziali.
Secondo un primo
indirizzo, che ha ricevuto anche l’avallo di un pronunciamento della Corte di
Cassazione (cfr., Cass., 03.12.2015, n. 24629), in caso di opposizione a
decreto ingiuntivo, l’onere di avviare la procedura di mediazione delegata ai
sensi dell’art. 5, comma 4, D.Lgs. n. 28/10 grava sulla parte opponente. La mancata
attivazione della mediazione comporta la declaratoria di improcedibilità della
opposizione e la definitività del decreto ingiuntivo opposto, che acquista l’incontrovertibilità
tipica del giudicato (cfr., ex plurimis, Trib. Prato, 18.07.2011; Trib. Rimini,
05.08.2014; Trib. Siena, 25.06.2012; Trib. Bologna, 20.01.2015; Trib. Firenze
30.10.2014; Trib. Firenze, 21.04.2015; Trib. Chieti, 08.09.2015, n. 492).
Tale
interpretazione si fonda sull’assunto secondo il quale è l’opponente, e non
l’opposto, ad avere interesse acché proceda il giudizio di opposizione diretto
alla rimozione di un atto giurisdizionale (il decreto ingiuntivo) suscettibile,
altrimenti, di divenire definitivamente esecutivo; è, dunque, l’opponente a
dovere subire le conseguenze del mancato o tardivo esperimento del procedimento
di mediazione delegata. Argomentando in senso contrario, si introdurrebbe una
sorta di improcedibilità postuma della domanda monitoria e si finirebbe col
porre in capo al creditore ingiungente l’onere di coltivare il giudizio di
opposizione per garantirsi la salvaguardia del decreto opposto, con ciò
sconfessando la natura stessa del giudizio di opposizione quale giudizio
eventuale, rimesso alla libera scelta dell’ingiunto.
La Suprema Corte,
nell’unico precedente di legittimità allo stato noto, ha accreditato la tesi
appena esposta, partendo dalla considerazione che la disposizione di cui
all’art. 5 D.Lgs. n. 28/10 debba essere interpretata conformemente alla
funzione deflattiva che il legislatore ha inteso attribuire all’istituto della
mediazione e che mira a rendere il ricorso al processo la extrema ratio di
tutela, cioè l’ultima possibilità dopo che tutte le altre sono risultate
precluse. In tale prospettiva, l’onere di esperire il tentativo di mediazione
deve logicamente allocarsi a carico della parte che ha interesse al processo,
al fine di indurla a coltivare una soluzione alternativa della controversia che
riconduca il ricorso alla tutela giurisdizionale nella descritta logica di
residualità.
In base ad una seconda
soluzione interpretativa, che valorizza il carattere unitario del giudizio di
opposizione rispetto alla fase sommaria di richiesta e ottenimento del decreto
e che ha trovato affermazione nella giurisprudenza di merito anche
successivamente alla pronuncia della Corte di Cassazione (cfr., ex plurimis,
Trib. Firenze, ord. 17.01.2016; Trib. Busto Arsizio, 03.02.2016), in caso di
omesso esperimento del tentativo di mediazione, la declaratoria di
improcedibilità avrebbe ad oggetto non l’opposizione, bensì la domanda
sostanziale proposta in via monitoria. Ne consegue che l’onere di promuovere la
mediazione sarebbe a carico del creditore opposto, atteso che questi riveste la
natura di parte attrice titolare della pretesa azionata in giudizio e che la
domanda giudiziale cui si riferisce l’art. 5 D.Lgs. n. 28/10 è la domanda
monitoria e non già l'opposizione al decreto ingiuntivo emesso in accoglimento
della stessa. In caso di inerzia del creditore, deve pertanto disporsi la
revoca del decreto ingiuntivo, posto che il mancato perfezionamento della
condizione di procedibilità della domanda monitoria (e non dell’opposizione)
impedisce il consolidamento degli effetti del decreto ingiuntivo.
Nella diversità
delle opinioni espresse sul punto, ritiene questo giudice di condividere
l’assunto dei sostenitori del primo orientamento interpretativo, per le ragioni
di seguito illustrate.
Nel disciplinare il
procedimento di mediazione come condizione di procedibilità della domanda
giudiziale, il legislatore ha inteso escludere dall’ambito di operatività della
norma dettata dall’art. 5, comma 1 bis, D.lgs. n. 28/10 le ipotesi in cui la
domanda venga introdotta nelle forme del procedimento monitorio. Premesso che
allo speciale procedimento d’ingiunzione può essere fatto ricorso solo quando
la domanda abbia ad oggetto un diritto di credito che, per la natura o per
l’oggetto o per la particolare attendibilità della prova offerta, rende più
semplice e più probabile il giudizio di accertamento sulla effettiva esistenza
del diritto, la logica sottesa alla scelta legislativa di circoscrivere il
perimetro applicativo della mediazione obbligatoria va rinvenuta nella volontà
di differenziare i casi in cui la domanda, quand’anche relativa ad una delle
materie elencate nell’art. 5, comma 1 bis, veicoli in giudizio un diritto di
credito che abbia quelle caratteristiche tali da poter essere tutelato in via
monitoria, dai casi in cui la stessa domanda riguardi un credito privo dei
predetti requisiti, prevedendo una condizione di procedibilità solo per questi
ultimi, ma non anche per i primi.
Stando così le
cose, non è pensabile che la ratio della descritta differenziazione normativa
venga meno per il semplice fatto che il debitore ingiunto (che ha interesse ad
ottenere un accertamento giudiziale della insussistenza del credito vantato
dalla controparte) assuma l’iniziativa processuale tesa ad ottenere la
caducazione del titolo nelle more conseguito dal creditore, facendo in tal modo
scattare a posteriori una condizione di procedibilità a cui la domanda
monitoria non era inizialmente assoggettata.
Poiché per tutta la
durata del giudizio di opposizione, e almeno fino a quando non interviene la
sentenza che definisce il procedimento, permangono inalterati i peculiari
requisiti del diritto di credito fatto valere in sede monitoria (e che hanno
già costituito oggetto di una cognizione sommaria, esitata in una valutazione
positiva, da parte del giudice che ha emesso il decreto ingiuntivo), è corretto
farne derivare la conseguenza che i presupposti che giustificano la decisione
legislativa di escludere la condizione di procedibilità per la domanda
monitoria continuino a sussistere anche nella fase di opposizione e, in
particolare, anche dopo la pronuncia sulle istanze di concessione e/o
sospensione della provvisoria esecuzione.
Nel silenzio della
norma, è, dunque, più logico pensare che la condizione di procedibilità non
riguardi la domanda monitoria iniziale (domanda in senso sostanziale) avanzata
dal creditore ingiungente, bensì l’opposizione (domanda in senso formale)
formulata dal debitore ingiunto con la notifica dell’atto di citazione.
Intesa in questo
senso, la condizione di procedibilità assolve anche ad una funzione dissuasiva
di opposizioni pretestuose. Colui che ha interesse e motivi per contestare
l’esistenza di un credito (che - si badi bene – non è un credito qualsiasi, ma
è assistito dai particolari requisiti e presupposti dettati dall’art. 633
c.p.c.), prima di far valere le proprie ragioni in sede giudiziale, avrà –
dunque – l’onere di tentare l’esperimento della procedura di mediazione, come
occasione privilegiata di cui il debitore può usufruire per comporre
amichevolmente la controversia e cogliere una chance di soluzione del conflitto
alternativa alla tutela giurisdizionale che intende chiedere. In tal modo, si
potrà, da un lato, disincentivare, in funzione deterrente, la prosecuzione di
opposizioni strumentali e dilatorie e, dall’altro, si potrà, in funzione
deflattiva, portare fuori dalla sede processuale controversie, altrimenti
assoggettate alla disciplina del rito ordinario di cognizione, che possono
risolversi con un accordo amichevole. La correttezza della tesi qui sostenuta è
corroborata dalla considerazione che il processo ordinario (sul quale il
legislatore ha inteso intervenire in termini deflattivi) e in cui si inserisce
la condizione di procedibilità, si è instaurato non per iniziativa del
creditore ingiungente (il quale si è avvalso di una speciale procedura sommaria
per procurarsi il titolo giudiziale del quale dispone), ma su impulso del
debitore ingiunto, che non solo ha l’interesse a coltivare la fase di giudizio
che ha egli stesso intrapreso, al fine di ottenere la caducazione del titolo
giudiziale in possesso della controparte, ma ha anche l’onere di far proseguire
il giudizio, per evitare che questo si estingui per inattività delle parti e
che, quindi, in applicazione dell’art. 653 c.p.c., il decreto ingiuntivo, che
non ne sia già munito, acquisti efficacia esecutiva.
Il principio che,
in altri termini, il legislatore ha voluto affermare è quello secondo cui
l’onere di attivare la procedura di mediazione, sanzionato a pena di
improcedibilità, deve gravare sulla parte processuale che, con la propria
iniziativa, ha provocato l’instaurazione del processo assoggettato alle regole
del rito ordinario di cognizione. Nel procedimento monitorio, tale parte si
identifica nel debitore opponente, che – quantunque convenuto in senso
sostanziale – risulta essere attore in senso formale, per avere introdotto la
fase del giudizio ordinario successiva a quella monitoria e, come tale, è titolare
dell’onere di rivolgersi preventivamente al mediatore. In caso di
inottemperanza a detto onere, sarà dunque proprio l’opponente a subire le
conseguenze della propria inerzia, sia sotto il profilo della declaratoria di
improcedibilità della domanda formulata con l’atto di opposizione, sia della
conseguente acquisizione di definitiva esecutività del decreto ingiuntivo
opposto.
La tesi qui
sostenuta non solo è coerente – come innanzi già chiarito – con le finalità
deflattive sottese alla normativa sulla mediazione civile e commerciale, dal
momento che incoraggia la desistenza dell’opponente e l’abbandono della lite
eventualmente promossa, ma ha, altresì, il pregio di evitare le illogiche
conseguenze dell’impostazione avversaria, che – nell’affermare l’improcedibilità
della domanda monitoria e la necessaria revoca del decreto ingiuntivo – produce
come effetto quello di cancellare attività procedurali che il creditore opposto
si troverà a dovere riproporre, con ulteriori dispendio di tempo e di risorse
pubbliche.
Coerentemente con
tale ultima considerazione, è condivisibile l’affermazione di una parte della
giurisprudenza di merito (cfr., Trib. Rimini, ord. 05.08.2014) secondo cui
“ritenere, al contrario, che la mancata instaurazione del procedimento di
mediazione conduca alla revoca del decreto ingiuntivo importerebbe un risultato
“eccentrico” rispetto alle regole processuali proprie del rito, in quanto si
porrebbe in capo all’ingiungente opposto l’onere di coltivare il giudizio di
opposizione per garantirsi la salvaguardia del decreto opposto, in contrasto
con l’impostazione inequivoca del giudizio di opposizione come giudizio
eventuale rimesso alla libera scelta dell’ingiunto”.
Sulla scorta delle
osservazioni finora esposte, deve concludersi che, nel caso di specie, l’onere
dell’esperimento della mediazione delegata da questo giudice spettasse a omissis, in qualità di debitori ingiunti
e successivamente opponenti. L’inerzia serbata nell’attivazione della procedura
si ripercuote in danno della procedibilità della domanda veicolata dall’atto di
citazione introduttivo della presente fase di opposizione, con la conseguenza
che – per effetto della declaratoria di improcedibilità della opposizione – il
decreto ingiuntivo opposto deve essere dichiarato definitivamente esecutivo.
Quanto al regime
delle spese processuali, l’assoluta novità della questione, l’assenza di un
consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità sul punto e la natura
meramente processuale delle ragioni di reiezione della domanda, costituiscono
eccezionali motivi che giustificano l’integrale compensazione delle spese di
lite fra le parti.
PQM
Il Tribunale di
Vasto, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando sulla domanda
definitivamente pronunciando sulla opposizione omissis, disattesa ogni diversa richiesta, eccezione o conclusione,
così provvede: dichiara improcedibile l’opposizione a decreto ingiuntivo in
epigrafe indicata; dichiara definitivamente esecutivo il decreto ingiuntivo omissis; dichiara interamente compensate
tra le parti le spese di lite. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di
competenza. Dispone che la presente sentenza sia allegata al verbale di
udienza.
Così deciso in
Vasto, il 30.05.2016.
Giudice dott.
Fabrizio Pasquale