=> Tribunale di Firenze, 13 ottobre 2016
Il mancato esperimento della mediazione disposta nel giudizio di
appello ai sensi dell’art. 5, comma 2, d.lgs. 28/2010, comporta l’improcedibilità
della domanda proposta in appello, con la conseguenza che la sentenza di
primo grado passa in giudicato (I) (II).
(I) Si veda l’art. 5, comma 1-bis, D.lgs. 4 marzo 2010 n. 28 aggiornato al D.L.132/2014 c.d. di degiurisdizionalizzazione conv. con mod. in L. 162/2014, in Osservatorio Mediazione Civile n. 61/2014. Per approfondimenti si veda SPINA, CODICE OPERATIVO DEI NUOVI ADR, Pacini ed., Pisa,2016 (Osservatorio Mediazione Civile n. 64/2016).
(II) Per approfondimenti si veda SPINA, Improcedibilità dell'appello per omessamediazione, Altalex, 2016
Fonte: Osservatorio
Mediazione Civile n. 82/2016
Tribunale di Firenze
Sentenza
13 ottobre 2016
Omissis
La omissis proponeva opposizione avverso il
D.I. omissis del g.d.p. di Firenze
con il quale la stessa era stata ordinata del pagamento di €756,00, oltre
interessi e spese legali, in favore del omissis
a titolo di pagamento di servizi di manutenzione di presidi anticendio.
A fondamento
dell’opposizione la stessa allegava l’inadempimento del omissis e lamentava di aver sofferto conseguenti danni; chiedeva,
pertanto, la revoca del D.I. ed in via riconvenzionale la condanna di omissis al risarcimento dei danni.
Si costituiva omissis, contestando il fondamento
dell’opposizione e della domanda riconvenzionale.
Con ordinanza
riservata 2-12.11.2012 il g.d.p., rilevata la tardiva iscrizione a ruolo della
causa di opposizione, dichiarava con ordinanza l’improcedibilità della stessa.
Avverso tale provvedimento,
avente valore sostanziale di sentenza, ha proposto appello omissis, chiedendone l’integrale riforma con accoglimento delle
conclusioni già avanzate in primo grado.
Si è costituita omissis, resistendo all’appello, di cui
ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità, ovvero il rigetto.
Con provvedimento
4-5.5.2016, comunicato alle parti in pari data, l’ufficio ha disposto esperirsi
procedimento di mediazione ai sensi dell’art. 5, II co., D.Lgs. n. 28/2010 e
s.m.i., assegnando termine di gg 15 per la presentazione della relativa domanda
ad Organismo abilitato.
All’odierna udienza
le parti hanno dichiarato di non aver esperito la mediazione, ed è stata
rilevata di ufficio l’improcedibilità dell’appello.
La causa è passata
quindi in decisione a seguito di discussione orale ex artt. 281 sexies e 352
c.pc..
1) la mediazione
delegata – l’applicabilità alla fattispecie dell’art. 5, II co. D. Lgs. n.
28/2010 e ss.mm.ii.
L’invio delle parti
in mediazione (c.d. mediazione delegata o disposta dal giudice) costituisce
potere discrezionale dell’ufficio che può essere esercitato “valutata la natura
della causa, lo stato dell’istruzione ed il comportamento delle parti”, anche
in fase di appello, sempreché non sia stata tenuta l’udienza di precisazione
delle conclusioni. Ove la mediazione venga disposta, il suo esperimento “è
condizione di procedibilità della domanda giudiziale” (art. 5, II co. D.Lgs.
citato).
Ne segue che il
mancato esperimento della mediazione vizia irrimediabilmente il processo,
impedendo l’emanazione di sentenza di merito.
Tale disciplina,
finalizzata a favorire la conciliazione della lite con l’intervento di soggetto
terzo imparziale, non pone problemi di natura costituzionale né appare lesiva
dei precetti di cui alla normativa sovranazionale sul diritto di azione e di
accesso alla giustizia (Carta di Nizza, CEDU).
Non vi è dubbio
infatti che l’intento perseguito – deflazionamento del contenzioso con positivi
effetti sotto il profilo della ragionevole durata del processo – giustifichi
sotto il profilo razionale e costituzionale, da un lato, il potenziamento degli
istituti di definizione delle controversie alternativi al processo, e, dall’altro,
la sanzione prevista in caso di inottemperanza all’ordine giudiziale.
Ne segue, quindi,
l’applicazione della sanzione della improcedibilità della “domanda giudiziale”,
giusto il disposto della norma citata, laddove, come nel caso di specie, la
mediazione non sia stata esperita.
Sul punto è solo da
aggiungere, così respingendosi l’odierno rilievo della difesa dell’appellante,
che, trattandosi di mediazione demandata dal giudice ai sensi dell’art. 5, co.
II del D. Lgs. citato, e non di mediazione obbligatoria ante causam ai sensi
del I comma della medesima disposizione, non è applicabile il meccanismo di
sanatoria ivi previsto in caso di mancata eccezione o rilevazione della
suddetta omissione entro la prima udienza di trattazione.
Il tutto senza
considerare che, in effetti l’odierna udienza è stata quella immediatamente
successiva al maturare della causa di improcedibilità.
2) L’oggetto della
sanzione di improcedibilità in appello: la originaria domanda giudiziale
attorea ovvero l’appello?
Ciò posto, fermo
restando che ai sensi dell’art. 5, co. II, citato, il mancato esperimento della
mediazione delegata dal giudice, così come nel caso di mediazione ante causam,
comporta la ”improcedibilità della domanda giudiziale anche in sede di
appello”, occorre chiedersi se la sanzione processuale in questione riguardi
direttamente la domanda sostanziale, azionata dall’attrice in primo grado,
secondo un’interpretazione senz’altro più lineare sotto il profilo letterale,
ovvero l’impugnazione proposta.
Va premesso che la
mancata attivazione della mediazione disposta dal giudice, al di là della
terminologia utilizzata dal Legislatore e dalla sanzione prevista
(improcedibilità della domanda giudiziale, anche in appello), altro non è che
una forma qualificata di inattività delle parti, per avere le stesse omesso di
dare esecuzione all’ordine del giudice.
E’ noto che secondo
la legge processuale l’inattività delle parti rispetto a specifici adempimenti
comporta, di regola, l’estinzione del processo (si pensi, con riferimento alla
disciplina generale del procedimento di primo grado, all’inosservanza
all’ordine giudiziale di integrazione del contraddittorio nei confronti di
litisconsorte necessario, alla mancata rinnovazione della citazione, alla
omessa riassunzione del processo, alla mancata comparizione delle parti a due
udienze consecutive – artt. 102, 181, 307 e 309 c.p.c.).
L’estinzione non
produce peraltro particolari effetti sotto il profilo sostanziale, salvo che
nelle more della pendenza del giudizio estinto non sia maturata qualche
decadenza o prescrizione di natura sostanziale.
Recita, infatti, l’art. 310, I co. c.p.c. che “l’estinzione del processo
non estingue l’azione”.
In buona sostanza,
la parte, che vede “cadere” il processo a seguito di declaratoria di
estinzione, ben potrà avviare una nuova iniziativa processuale, riproponendo la
medesima domanda di merito.
Tale regola, però,
non vale in caso di giudizio di appello.
Invero, ai sensi
dell’art. 338 c.p.c. “l’estinzione del giudizio di appello… fa passare in
giudicato la sentenza impugnata…”.
Si pensi, ancora,
alla sanzione processuale dell’improcedibilità dell’appello prevista in caso di
tardiva costituzione in giudizio dell’appellante (art. 348, I co. c.p.c.).
E’ pacifico che
anche in tal caso la sentenza di primo grado passa in giudicato (salvo
l’esperimento del ricorso per Cassazione avverso la sentenza di appello).
Analogo esempio è
costituito dalla sanzione dell’inammissibilità dell’impugnazione, ove la stessa
sia proposta dopo la scadenza dei termini perentori di cui agli artt. 325 e 327
c.p.c..
Tale disciplina
risponde all’elementare esigenza di porre a carico della parte appellante, che
si avvale dei rimedi previsti dall’Ordinamento per evitare il consolidarsi di
provvedimento giudiziale idoneo al giudicato e per ottenerne la riforma,
l’onere di proporre e coltivare ritualmente il procedimento di gravame, ponendo
in essere ritualmente tutti gli atti di impulso e gli incombenti necessari.
In sostanza la
disciplina codicistica del procedimento di appello evidenzia chiaramente che
l’unico soggetto onerato ad attivare e “coltivare” il gravame affinché lo
stesso addivenga al suo esito fisiologico è la parte appellante. Solo questa
deve porre in essere quegli adempimenti che la legge riconosce indispensabili
per la ammissibilità e procedibilità dell’impugnazione.
In difetto,
l’impugnazione è viziata in rito e la sentenza impugnata passa in giudicato.
Alla luce di quanto
sopra, si ritiene che l’interpretazione delle disposizioni di cui al D. Lgs. N.
28/10 e s.m.i. in materia di conseguenze dell’omessa mediazione non possa
prescindere dalla particolare natura dei giudizi cui essa si riferisce.
Tale approccio
metodologico è stato già affermato da questo giudice nella sentenza 30.10.2014,
reperibile agevolmente su internet, nella per larga parte analoga materia
dell’opposizione a D.I., con soluzione che è stata condivisa da numerose
pronunce di merito, e dalla stessa S.C. con la sentenza n. 24629/15 del
7.10-3.12.2015, sia pure, in forza di percorso interpretativo parzialmente
diverso.
Deve pertanto
ritenersi che nei procedimenti di appello, così come nell’opposizione a D.I. in
primo grado, la locuzione “improcedibilità della domanda giudiziale” debba
interpretarsi alla stregua di improcedibilità/estinzione dell’impugnazione (o
dell’opposizione nel procedimento ex art. 645 c.p.c.) e non come
improcedibilità della originaria domanda sostanziale attorea (ovvero della domanda
di condanna di cui all’originario ricorso monitorio). E ciò per le evidenziate
ragioni sistematiche che, diversamente, porterebbero ad interpretare l’art. 5,
II co. D. Lgs citato, in modo incoerente e dissonante con il sistema
processuale.
La correttezza di
tale soluzione ermeneutica è confermata dagli effetti “abnormi” che si
avrebbero adottando la diversa interpretazione.
Quanto sopra vale,
non solo, quando appellante è l’originario attore in primo grado, ovvero
nell’opposizione a decreto ingiuntivo il creditore opposto, attore in senso
sostanziale, ma anche nel caso contrario, quando cioè la parte che appella sia
il convenuto del giudizio di prime cure, ovvero l’opponente nel giudizio ex
art. 645 c.p.c. (convenuto sostanziale), come nella fattispecie.
Nel primo caso
sarebbe evidente l’irrazionalità della diversa soluzione che, individuando
l’oggetto dell’improcedibilità nell’originaria domanda sostanziale proposta,
avrebbe come effetto quello, in caso di omesso esperimento della mediazione, di
porre nel nulla una sentenza sfavorevole allo stesso appellante (originario
attore) per una omissione imputabile al medesimo. Il tutto con l’innegabile
vantaggio di poter riproporre la medesima domanda sostanziale in nuovo giudizio
di primo grado, con, di fatto, “riapertura” dei termini decadenziali assertivi
e probatori e conseguimento di nuove ed ulteriori chanches di ottenere una
pronuncia di merito favorevole.
In caso invece di
sentenza favorevole all’originario attore, e quindi appellata dal convenuto in primo
grado, si verrebbe poi a porre a carico del primo, parte appellata, oneri del
tutto contrastanti con i principi generali del processo di appello (artt. 338,
348, I co. c.p.c.).
In sostanza
l’appellato, titolare della pretesa sostanziale fatta valere in giudizio,
sarebbe onerato di esperire la mediazione al fine di conservare l’efficacia
della sentenza di primo grado ad egli, in ipotesi, favorevole, che altrimenti
essa sarebbe travolta.
In altre parole si
porrebbe a carico dell’appellato l’onere di contribuire a far giungere il
processo di impugnazione al suo esito fisiologico, e cioè alla rivalutazione
della decisione di prime cure, attività rispetto alla quale il medesimo non ha
certo interesse. Si verrebbe così a configurare, come è stato evidenziato in
dottrina, una singolare “improcedibilità postuma” che dovrebbe colpire un
provvedimento giudiziario idoneo al giudicato sostanziale, la sentenza di primo
grado, già definitivamente emessa, ancorché sub judice. Si tratterebbe, in
sostanza, di sanzione processuale che non avrebbe uguali nell’ordinamento
processuale.
Che tale totale
sovvertimento dei principi generali del processo possa dirsi compiuto a mezzo
della novellazione di una legge speciale (DL n. 69/13, conv. nella L. 98/13,
con cui è stato modificato l’art. 5 del D. Lgs. n. 28/2010, in materia di
strumenti alternativi di risoluzione delle controversie) appare, in effetti,
incredibile.
Ciò costituisce
indice sicuro dell’erroneità della mera interpretazione letterale di tale
disposizione.
In conclusione, va
quindi affermato che, nel caso di mediazione disposta nel giudizio di appello
ai sensi dell’art. 5, II co. D. lgs.n.28/2010, come novellato dal D.L. n.
69/13, conv. nella L. 98/13, e così come nella affine materia del giudizio di
primo grado nella opposizione a decreto ingiuntivo, la locuzione
“improcedibilità della domanda giudiziale anche in sede di appello”, non può
che intendersi nel senso di improcedibilità dell’appello, ovvero
dell’opposizione a D.I., con le indicate conseguenze di legge.
Va pertanto
dichiarata l’improcedibilità dell’appello proposto da omissis
Resta assorbita
ogni altra questione.
3) Spese di lite
Considerata la
complessità e novità della questione e la circostanza che la stessa è stata
rilevata di ufficio, si impone la integrale compensazione delle spese del
grado.
4) il pagamento di
ulteriore contributo unificato
L’Art. 13, comma I
quater, del D.P.R. n. 115/2002 , introdotto dall’art. 1 comma 17 della L. n.
228/2012 prevede che “Quando l’impugnazione, anche incidentale, e’ respinta
integralmente o e’ dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha
proposta e’ tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o
incidentale, a norma del comma 1-bis. Il giudice da’ atto nel provvedimento
della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l’obbligo di pagamento
sorge al momento del deposito dello stesso».
L’Art. 1 comma 18
recita poi che tale disposizione si applica “ai procedimenti iniziati dal
trentesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore della presente
legge”.
Poiché la legge è
entrata in vigore il 1.1.2013, ne segue che la suddetta disposizione trova
applicazione per i “procedimenti” iniziati dopo il 31.1.2013, come nella
fattispecie (la notifica dell’atto di appello è dell’8.5.2013).
PQM
Visti gli artt. 281
sexies e 352 c.p.c. Il Tribunale di Firenze, III sezione civile in composizione
monocratica, definitivamente decidendo, ogni altra istanza respinta: dichiara
l’improcedibilità dell’appello; compensa le spese del grado; dichiara la
sussistenza dei presupposti per porre a carico di omissis ed in favore dell’Erario il pagamento di ulteriore somma
pari a quella dovuta a titolo di contributo unificato per l’impugnazione; manda
alla Cancelleria per quanto di competenza.
Il Giudice
dott. Alessandro
Ghelardini