Il verbale di conciliazione giudiziale avente ad oggetto l'accertamento dell'intervenuta usucapione del diritto di proprietà non si risolve in uno degli accordi di cui all'art. 2643 c.c. (e non può in forza di detta norma essere trascritto) perché non realizza un effetto modificativo, estintivo o costitutivo, ma assume al contrario il valore di un mero negozio di accertamento, con efficacia dichiarativa e retroattiva, finalizzato a rimuovere l'incertezza, mediante la fissazione del contenuto della situazione giuridica preesistente.
L'accertamento del diritto di proprietà per intervenuta usucapione con valenza erga omnes sfugge alla disponibilità delle parti, essendo riservato al giudice; trattasi di controversia non disponibile per coinvolgere interessi di carattere generale, primo fra tutti l'interesse alla sicura e pacifica circolazione dei beni, che verrebbe ad essere compromessa ove si consentisse alle parti un accertamento di tal tipo (1). La conciliazione in materia di usucapione va quindi circoscritta solo al superamento della lite riguardo all'esistenza dei presupposti di fatto: accertamento del possesso ad usucapionem e non anche dell'effetto maturatosi in forza di esso (accertamento del diritto).
L'accordo conciliativo in materia di usucapione produce effetti solo tra le parti ex art. 1372 c.c. e proprio per questa ragione si colloca su un piano nettamente differente rispetto alle sentenze di usucapione; inoltre, non è idoneo alle formalità pubblicitarie di cui all'art. 2651 c.c. il verbale di conciliazione giudiziale avente ad oggetto l'accertamento dell'acquisto del diritto di proprietà o di altro diritto reale di godimento per intervenuta usucapione.
(1) Si veda art 2, Decreto legislativo n. 28 del 2010 aggiornato alla c.d. manovra bis 2011, in Osservatorio Mediazione Civile n. 2/2011 (www.osservatoriomediazionecivile.blogspot.com).
Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 59/2012
Tribunale di Roma
Sezione V
8 febbraio 2012
Decreto
Fatto
C. B., a seguito dei dubbi manifestati dalla Conservatoria dei Registri Immobiliari sulla trascrivibilità del verbale di conciliazione giudiziaria del 21.3.2011, in forza del quale si accertava l'intervenuto acquisto per usucapione in favore dell'esponente del diritto di proprietà sul cespite immobiliare sito in Roma, via Largo F., per non poter essere equiparato il verbale de quo alle sentenze di accertamento degli acquisti per usucapione di cui all'art. 2651 c.c., ha presentato istanza per la trascrizione con riserva ex art. 2674 bis c.c., a seguito della quale la Conservatoria ha eseguito la detta formalità.
C. B., nel proporre il presente reclamo, osserva che alla conciliazione si era giunti in difetto di ogni contestazione da parte dei convenuti sull'intervenuta usucapione, quindi " nel concorde e reciproco rilievo circa l'inutilità della prosecuzione del giudizio."
La dedotta intrascrivibilità del verbale di conciliazione avrebbe dunque vanificato ogni utilità del medesimo.
Diritto
Il verbale di conciliazione giudiziale avente ad oggetto l'accertamento dell'intervenuta usucapione del diritto di proprietà non si risolve in uno degli accordi di cui all'art. 2643 c.c., perché non realizza un effetto modificativo, estintivo o costitutivo, ma assume al contrario il valore di un mero negozio di accertamento, con efficacia dichiarativa e retroattiva, finalizzato a rimuovere l'incertezza, mediante la fissazione del contenuto della situazione giuridica preesistente.
Negozio di accertamento in relazione al quale nessuna forma di pubblicità legale è prevista.
Pertanto, il verbale di conciliazione in esame, non essendo riconducibile ad una delle ipotesi di cui alla disposizione normativa di cui all'art. 2643 c.c. non può in forza di detta norma essere trascritto.
Oltretutto, l'accertamento di cui si discute può avere ad oggetto solo il possesso ad usucapionem con effetti limitati alle parti, non potendo essere demandato all'autonomia negoziale l'accertamento del diritto di proprietà per intervenuta usucapione con valenza erga omnes, in quanto simile accertamento sfugge alla disponibilità delle parti, essendo riservato al giudice.
Trattasi di controversia non disponibile per coinvolgere interessi di carattere generale, primo fra tutti l'interesse alla sicura e pacifica circolazione dei beni, che verrebbe ad essere compromessa ove si consentisse alle parti un accertamento di tal tipo.
Ed invero, consentire l'accertamento con effetto erga omnes dell'intervenuto acquisto del diritto per usucapione, andrebbe a minare la funzione di certezza dei rapporti giuridici, ben potendo le parti utilizzare tale istituto non per la composizione di una lite effettiva ma per dissimulare operazioni negoziali illecite, con seri pregiudizi alla circolazione dei beni e alla tutela dell'affidamento dei terzi.
L'assenza di ogni " garanzia di veridicità " in relazione a detto accertamento rende, quindi, il medesimo in grado di compromettere le esigenze di sicurezza nel traffico giuridico sopra richiamate.
Pertanto, si può ritenere che la conciliazione in materia di usucapione debba essere circoscritta solo al superamento della lite riguardo all'esistenza dei presupposti di fatto.
Oggetto della conciliazione potrà essere l'accertamento del possesso ad usucapionem e non anche dell'effetto maturatosi in forza di esso ( accertamento del diritto ).
La conciliazione, dunque, in siffatta materia consente l'utilizzo del negozio di accertamento per risolvere il contrasto fra le parti, eliminando la situazione d'incertezza grazie all'espresso riconoscimento da parte dell'usucapito del possesso ad usucapionem.
Così delimitata l'operatività della conciliazione in materia di usucapione si deve ritenere che nella fattispecie in esame, caratterizzata dalla mancanza di una controversia tra le parti sui presupposti fattuali dell'istituto non essendoci stata in merito alcuna contestazione da parte dell'usucapito, non vi era spazio per la conciliazione.
In tali ipotesi, infatti, la finalità della conciliazione, che si identifica nella prevenzione/risoluzione della lite, giammai potrebbe realizzarsi, perché, non essendovi per l'appunto contestazione sui presupposti fattuali dell'usucapione, non esiste la lite e non c'è alcuna controversia da dirimere.
Pertanto, si potrà ricorrere alla via conciliativa solo quando sussiste una controversia in fatto.
Per concludere, se il fatto è pacifico tra le parti, come nel caso in esame, e se quindi l'usucapiente persegue solo l'interesse, diverso e ulteriore rispetto alla risoluzione della controversia con l'usucapito, di ottenere un accertamento del diritto acquistato per usucapione con valenza erga omnes, non altrimenti ottenibile se non in sede giudiziaria, non potrà utilmente seguire la via conciliativa.
E' evidente che quanto fin qui detto non può essere rimeditato a seguito del D. lgs. n. 28/10 che, nel prevedere tra le controversie soggette alla conciliazione obbligatoria le controversie in materia di diritti reali (art. 5), ha fatto inevitabilmente rientrare tra dette controversie l'istituto dell'usucapione, atteggiandosi quale modo di acquisto del diritto di proprietà e dei diritti reali di godimento.
Ed invero, considerato che in forza dell'art. 2 D. lgs. n. 28/10 l'accesso alla mediazione per la conciliazione è limitato alle controversie vertenti su diritti disponibili, si deve ritenere che solo l'accertamento del possesso ad usucapionem con effetti limitati alle parti può essere demandato all'autonomia negoziale e non anche l'accertamento del diritto di proprietà per intervenuta usucapione con valenza erga omnes, in quanto simile accertamento rientra, come su detto, nel novero degli atti riservati al giudice.
Quindi, dal raffronto degli artt. 2 e 5 del D. Lgs n. 28/10 si può ritenere che la mediazione in materia di usucapione debba essere circoscritta solo al superamento della lite riguardo all'esistenza dei presupposti di fatto.
Pertanto, si potrà, anzi meglio si dovrà, attesa l'obbligatorietà della mediazione, ricorrere alla via conciliativa solo quando sussiste una controversia in fatto, con la conseguenza che se il fatto è pacifico tra le parti l'usucapiente potrà direttamente instaurare il processo innanzi all'autorità giudiziaria, la quale, preso atto della mancanza della lite da conciliare, non potrà rilevare l'improcedibilità della domanda.
Se, invece, la controversia sussiste, l'usucapiente sarà obbligato a seguire la via conciliativa, ma, ove raggiunga l'accordo conciliativo, questo non sarà ostativo per l'instaurazione o la prosecuzione del successivo giudizio innanzi all'autorità giudiziaria al fine di ottenere l'accertamento erga omnes, quindi, di soddisfare il diverso e ulteriore interesse rispetto a quello soddisfatto dalla conciliazione, posto che con l'accordo conciliativo la controversia in fatto fra le parti ( unica per l'appunto mediabile) è venuta meno.
Quanto detto non va a minare la bontà del sistema conciliativo, in quanto il legislatore, nel prevedere strumenti di conciliazione, non ha mai perseguito lo scopo di rendere equivalente il procedimento di conciliazione al processo, quindi, di assicurare alle parti con la conciliazione un risultato equiparabile alle sentenze, sul presupposto che l'intento deflattivo potesse anche in tal modo realizzarsi, ben potendo le parti " accontentarsi " di un risultato minore, che, nella specie, si identificherebbe nell'interesse dell'usucapiente di risolvere la controversia in fatto con colui che formalmente risulta essere proprietario del bene, per non essere dal medesimo pregiudicato nell'esercizio del possesso, interesse, sicuramente meritevole di tutela, tant'è che su tale presupposto è pacificamente ammessa l'eccezione riconvenzionale di usucapione proposta dall'usucapiente al fine esclusivo di paralizzare l'azione reale proposta nei suoi confronti.
L'accordo conciliativo in materia di usucapione, dunque, produce effetti solo tra le parti ex art. 1372 c.c. e proprio per questa ragione si colloca su un piano nettamente differente rispetto alle sentenze di usucapione, le quali, oltre ad eliminare l'incertezza in modo incontrovertibile tra le parti, i loro eredi o aventi causa, producono, altresì, la cosiddetta efficacia riflessa nei confronti dei terzi, tant'è che ne è prescritta la trascrizione, sia pure con il limitato effetto della pubblicità notizia, evidentemente esclusa per il negozio di accertamento, che per la limitata portata dei suoi effetti non può certo paragonarsi alla sentenza.
In conclusione, la sentenza e il negozio di accertamento hanno in comune solo l'effetto di fissare la situazione preesistente, ma l'accostamento non può andare oltre, rimanendo ferma la differenza, soprattutto sotto il profilo degli effetti, posto che il negozio di accertamento rimane tamquam non esset rispetto ai terzi.
Né tantomeno si può ritenere che ove il negozio di accertamento sia contenuto nel verbale di conciliazione giudiziale venga ad essere snaturato dalla sua valenza negoziale e sia, quindi, equiparabile alle sentenze di accertamento da cui risulta acquistato per usucapione uno dei diritti indicati dai numeri 1, 2 e 4 dell'art. 2643 c.c..
Ed invero, l'intervento del giudice, a prescindere dalla circostanza che abbia attivamente partecipato alla composizione, ovvero si sia limitato a registrare l'accordo intervenuto direttamente fra le parti, non altera la natura consensuale dell'atto di composizione che le parti volontariamente concludono. Il giudice si spoglia della sua funzione di accertare chi ha ragione e chi ha torto, offrendo la soluzione, in termini giuridici, del caso concreto, e svolge la funzione di favorire l'incontro tra le volontà delle parti, senza entrare nel merito dei termini dell'accordo, limitandosi ad attribuire all'atto di conciliazione garanzie prettamente formali, dovendo solo controllare, oltre alla sua regolarità da un punto di vista formale, la sua conformità all'ordine pubblico e alle norme imperative; il che nulla ha a che vedere con la decisione di causa contenziosa. In conclusione, gli effetti sostanziali della convenzione sono stabiliti dalla concorde volontà delle parti, volontà che è quella predominante, sia pure favorita ed agevolata dall'opera del giudice per raggiungere l'accordo.
Le considerazioni appena esposte inducono, quindi, a ritenere non idoneo alle formalità pubblicitarie di cui all'art.2651 c.c. il verbale di conciliazione giudiziale avente ad oggetto l'accertamento dell'acquisto del diritto di proprietà o di altro diritto reale di godimento per intervenuta usucapione.
Per comprendere il particolare rigore che spinge a delimitare gli effetti del negozio di accertamento in materia di usucapione e ad escluderne la trascrivibilità basta soffermarsi sulla particolare efficacia che il legislatore ha riservato all'istituto dell'usucapione, quale mezzo migliore per dare certezza ai rapporti giuridici e conferire sicurezza alle contrattazioni, rimediando alle inevitabili lacune del nostro sistema di pubblicità legale.
L'usucapione è caratterizzata, infatti, dalla retroattività: l'acquisto non deriva dal precedente proprietario ma è a titolo originario, risale al momento in cui inizia il possesso ad usucapionem e travolge tutti gli atti dispositivi posti in essere dal precedente proprietario anche se debitamente trascritti. Da ciò ne consegue che l'interessato, nella ricerca a ritroso nei registri immobiliari, non è tenuto ad andare oltre ove dovesse scoprire la trascrizione di una sentenza di accertamento per intervenuta usucapione, la quale determinerebbe la fine della catena precedente, che faceva capo al proprietario usucapito, e nel contempo darebbe vita ad una nuova catena di acquisti a titolo derivativo.
Ed è proprio questa particolare forza dell'usucapione che giustifica il rigore che va utilizzato nello stabilire la configurabilità di atti equipollenti alla sentenza di accertamento dell'usucapione e soprattutto la loro idoneità ad essere trascritti, in quanto un'interpretazione liberale tesa a consentire la trascrivibilità determinerebbe l'ingresso nei registri immobiliari di atti che, per non fornire risultanze probatorie privilegiate, sarebbero in grado di pregiudicare la sicurezza nella circolazione dei beni.
PQM
Il Tribunale, in composizione collegiale, sul ricorso avverso la trascrizione con riserva proposto da Celeste Bernabei, così provvede.
Rigetta il reclamo.
Presidente Norelli
Relatore Dedato