DIRITTO D'AUTORE


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10 febbraio 2019

7/19. Il temine di quindici giorni assegnato dal giudice non è perentorio; all'inutile decorso dei tre mesi non sempre consegue l’improcedibilità (Osservatorio Mediazione Civile n. 7/2019)

=> Tribunale di Trapani, 6 febbraio 2018

In tema di c.d. mediazione obbligatoria (art. 5, comma 1-bis, d.lgs. 28/2010) appare più corretto ritenere che il temine di quindici giorni assegnato dal giudice e finalizzato alla presentazione della domanda di mediazione non possa considerarsi di carattere perentorio, in quanto - stante l’inequivoca previsione di cui all’art. 152 c.p.c. - manca un’espressa previsione legale di perentorietà del termine. Inoltre, a ritenere il contrario risulterebbe irrimediabilmente frustrata la ratio sottesa alla previsione di tale termine, ovvero quella di consentire alle parti di esperire il tentativo di mediazione non attivato prima dell’instaurazione del giudizio e di trovare una soluzione stragiudiziale della controversia (I). Occorre soprattutto evidenziare che le norme che prevedono, quale sanzione processuale, l’improcedibilità – incidendo su un diritto costituzionalmente garantito quale il diritto previsto dall’art. 24 Cost. – devono considerarsi di stretta interpretazione e sono insuscettibili di interpretazione analogica (II).

In tema di mancata presentazione della domanda di mediazione, all'inutile decorso del termine di sospensione di tre mesi del giudizio – ancorché oggetto di specifica qualificazione legislativa (art. 6, comma 1, d.lgs. 28/2010) – necessario a consentire nel rispetto del principio di ragionevole durata, l'espletamento del tentativo di mediazione, non consegue l’improcedibilità della domanda in caso di interruzione automatica del processo generatasi, nella specie, con la dichiarazione di fallimento della società attrice a soli quattro giorni dalla concessione del termine di quindici giorni assegnato dal giudice e finalizzato alla presentazione della domanda di mediazione (II).

(I) In senso conforme Corte di Appello di Milano (cfr. sentenza 24.5.2017), “il termine di quindici giorni non appare corrispondere a un termine processuale cui applicare il disposto di cui all'art. 154 c.p.c.. Difatti il procedimento di mediazione costituisce una parentesi (giustappunto un'alternativa) del procedimento ordinario, e non può ritenersi come un’appendice di quest'ultimo, certamente sottoposto a più rigorose regole endoprocessuali”.


Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 7/2019

Tribunale di Trapani
Sentenza
6 febbraio 2018

Omissis

Con atto di citazione omissis chiedeva, pertanto, accertare e dichiarare: l'inesistenza/nullità del contratto di apertura di credito per mancanza di forma scritta ad substantiam, nei rapporti citati; inesistenza/nullità della clausole regolatrici del rapporto in riferimento all’applicazione illegittima di interessi al tasso ultralegale, capitalizzazione trimestrale degli interessi, commissione di massimo scoperto, applicazione dei giorni di valuta, costi, competenze e spese a qualunque titolo pretese dalla Banca; individuarsi l’esatto ammontare dei rapporti di debito-credito tra le parti; condannare la Banca al pagamento della somma risultante a credito; condannare la Banca al risarcimento del danno patrimoniale e morale per l’iscrizione a sofferenza nella Centrale Rischi; condannare la Banca al risarcimento dei danni morali nei confronti dei soci fidejussori.
Costituitasi, la convenuta, con comparsa di costituzione e risposta omissis eccepiva la prescrizione delle domande di ripetizione dell’indebito; evidenziava la legittimità del proprio operato e delle pattuizioni intervenute. In particolare, negava l’applicazione di tassi usurari, giacché indicati come tali da parte attrice in esito ad operazione di sommatoria tra interessi moratori e corrispettivi, e pure tenendo conto della commissione di massimo scoperto. In merito alla domanda di nullità del contratto per mancata apposizione della firma, evidenziava la mancata produzione del contratto, tale da non consentirne l’esame. Infine, invocava il rigetto delle domande risarcitorie.

All’udienza di prima comparizione del 28.04.2016, il precedente istruttore assegnava alle parti termine di 15 giorni per l’avvio della procedura di mediazione obbligatoria e fissava per il prosieguo l’udienza del 25.10.2016.
Con ricorso depositato in data 25.07.2016, omissis depositava ricorso per la riassunzione il procedimento in epigrafe, adducendo l’intervento della causa di interruzione ex art. 43 L.F., stante la sentenza n. 7 del 2.05.2017, con la quale era stato dichiarato il fallimento della omissis s.r.l.; faceva proprie tutte le difese, eccezioni e richieste istruttorie già formulate ne1l’originario atto introduttivo.
Con memoria del 21.10.16, di costituzione delle altre parti attrici ex art. 302 cpc, i fideiussori si costituivano anticipatamente in riassunzione per la prosecuzione del giudizio, e nel contempo si univano alla Curatela nella richiesta di fissazione della data di udienza per la prosecuzione del giudizio.
All’udienza del 25.10.16, preliminarmente, il g.o.t. già designato evidenziava la sopravvenuta modifica tabellare escludente la possibilità per i giudici onorari di trattare le cause aventi tra le parti una Curatela fallimentare. Indi, il fascicolo veniva trasmesso a questo giudice in data 27.4.17, e con provvedimento di ricalendarizzazione dei procedimenti da ultimo assegnati ad esito di variazione tabellare, agli atti, veniva fissata per la trattazione dei procedimenti iscritti a ruolo nel 2015 l’udienza del 29.05.2017.
A detta udienza si procedeva anche alla trattazione della presente causa, con l’accordo di tutte le partì che si dichiaravano reintegrate nelle reciproche prerogative difensive rispetto all’evento interruttivo (cfr. verbale) ed che indi effettuavano le rispettive deduzioni in rito ed in merito, pure seguite dal deposito di ulteriori ed articolate note difensive.
La Curatela ed i fideiussori chiedevano fissarsi nuovo termine per l’avvio della mediazione, ritenendo quello già assegnato travolto per effetto della causa interruttiva; parte convenuta, invece, preliminarmente eccepiva l’improcedibilità della domanda proprio per il mancato esperimento del tentativo di mediazione nei termini assegnati.
All’udienza del 11.12.2017 la causa veniva assunta in decisione relativamente alla eccezione preliminare eccepita da parte convenuta.

Tanto premesso, quanto alla questione preliminare sollevata da parte convenuta circa l’improcedibilità del procedimento per mancato esperimento del tentativo obbligatorio di mediazione, si osserva quanto segue.
Nel caso di specie è incontestato che la controversia debba considerarsi rientrante nelle materie che — ai sensi dell’art. 5, comma 1-bis, del d.lgs. 28/2010 — sono soggette al tentativo di mediazione civile obbligatoria.
Appare quindi opportuna una breve riflessione sulla natura del termine di giorni quindici che, ai
sensi dell’art. 5, commi 1 bis e 2, D. Lgs. n. 28/10, il giudice assegna alle parti per la presentazione della domanda di mediazione, quando decide di dispone l’esperimento «valutata la natura della causa, lo stato dell’istruzione e il comportamento delle parti».
E‘ noto come nella giurisprudenza di merito si siano registrati orientamenti oscillanti sulla natura perentoria o ordinatoria del predetto termine.

In particolare, secondo un primo indirizzo, detto temine avrebbe carattere perentorio, pur in assenza di una esplicita previsione legale in tal senso, derivando tale conclusione dal principio giurisprudenziale secondo cui il carattere della perentorietà del termine può desumersi, anche in via interpretativa, tutte le volte che, per lo scopo che persegue e la funzione che adempie, lo stesso debba essere rigorosamente osservato (cfr., in questo senso, Cass. n. 14624/00; Cass., n. 4530/04).
Quanto poi alla fattispecie della mediazione demandata, l’implicita natura perentoria del termine in parola si evincerebbe dalla stessa gravità della sanzione prevista, vale a dire l’improcedibilità della domanda giudiziale per il mancato esperimento della mediazione. Da ciò conseguirebbe che il tardivo esperimento della mediazione disposta dal giudice, ai sensi dell’art. 5, comma 2, D.Lgs. n. 28/2010, produce gli stessi effetti del mancato esperimento della stessa, ossia impedisce l’avveramento della condizione di procedibilità ed impone, sempre e comunque (vale a dire, senza possibilità di sanatoria), la declaratoria di improcedibilità del giudizio, con chiusura in rito del processo (cfr, in tal senso, Trib. Lecce, 03.03.2017; Trib. Cagliari, 08.02.2017; Trib. Firenze, 14.09.2016; Trib. Reggio Emilia, 14.07.2016; Trib. Firenze, 04.06.2015; Trib. Bologna, 15.03.2015).

Secondo l’opposto orientamento giurisprudenziale, in assenza di una espressa previsione di perentorietà del termine assegnato dal giudice ex art. 5, secondo comma, D.Lgs. n. 28/2010, la presentazione della domanda di mediazione successivamente al termine di quindici giorni assegnato dal giudice non consentirebbe di ritenere operante la sanzione di improcedibilità invece prevista per il mancato esperimento del tentativo di mediazione, dovendosi dare prevalenza all’effetto sostanziale dello svolgimento del procedimento (cfr., Trib. Milano, 27.09.2016; Trib. Pavia, 14.10.2015).
A tale considerazione è stato aggiunto che, non essendo la domanda di mediazione un atto del
processo, "predicare la perentorietà del termine per la sua presentazione è fuori luogo" (cfr, in tal senso, Trib. Roma, 14.07.2016, n. 14185), per cui la disciplina dello stesso non è riconducibile al regime di cui all’art. 152 c.p.c.

Ciò posto, appare più corretto ritenere che il temine di quindici giorni assegnato dal giudice e finalizzato alla presentazione della domanda di mediazione non possa considerarsi di carattere perentorio, in quanto - stante l’inequivoca previsione di cui all’art. 152 c.p.c. - manca un’espressa previsione legale di perentorietà del termine.
Inoltre, a ritenere il contrario risulterebbe irrimediabilmente frustrata la ratio sottesa alla previsione di tale termine, ovvero quella di consentire alle parti di esperire il tentativo di mediazione non attivato prima dell’instaurazione del giudizio e di trovare una soluzione stragiudiziale della controversia.
Perciò, sposando l’orientamento esegetico seguito dalla Corte di Appello di Milano (cfr. sentenza 24.5.2017), “il termine di quindici giorni non appare corrispondere a un termine processuale cui applicare il disposto di cui all'art. 154 c.p.c.. Difatti il procedimento di mediazione costituisce una parentesi (giustappunto un'alternativa) del procedimento ordinario, e non può ritenersi come un’appendice di quest'ultimo, certamente sottoposto a più rigorose regole endoprocessuali”.
Occorre soprattutto evidenziare che le norme che prevedono, quale sanzione processuale, l’improcedibilità - incidendo su un diritto costituzionalmente garantito quale il diritto previsto dall’art. 24 Cost. - devono considerarsi di stretta interpretazione e sono insuscettibili di interpretazione analogica.
L’eccezione di improcedibilità deve essere dunque disattesa, con assegnazione di un nuovo termine per l’espletamento del tentativo obbligatorio di mediazione tra le parti.

Né rileva, nel singolare caso di specie, l'inutile decorso anche del termine di sospensione di tre mesi del giudizio, ancorché oggetto di specifica qualificazione legislativa, necessario a consentire nel rispetto del principio di ragionevole durata, l'espletamento del tentativo di mediazione, sia esso obbligatorio che demandato dal giudice.
Ed invero, nello specifico caso in esame, detta condizione è stata superata dall’assorbente effetto dell’interruzione automatica, generatasi, pur in assenza di sua formale enunciazione, in ossequio all’art. 43 l.f., con la dichiarazione di fallimento della società attrice a soli quattro giorni dalla concessione del menzionato termine; tra l’altro, alla prima udienza successiva ed utile – quella del 29.05.2017, non potendosi considerare all’evidenza tale quella meramente chiamata dinanzi a giudice già tabellarmente incompetente – e con susseguenti note difensive le parti interessate hanno richiesto (affatto rinunciando – cfr. verbale) formale autorizzazione all’avvio del procedimento di mediazione. Ciò, all’esito del superamento dell’effetto interruttivo, cui era all’evidenza riferita la reintegrazione delle prerogative difensive, sollecitato a tale specifico riguardo il contraddittorio delle parti. Infatti, nel caso di specie, da un lato va rilevato come le due cause (ossia quella riguardante la società e quella riguardante i fideiussori), pur scindibili, non fossero state oggetto di provvedimento di separazione; dall’altro, vanno rammentato le condivisibili riflessioni del S.C., a Sezioni Unite, a tenore delle quali sebbene nel caso di trattazione unitaria o di riunione di più procedimenti relativi a cause connesse e scindibili … un evento interruttivo che riguardi una delle parti di una o più delle cause connesse, opera di regola solo in riferimento al procedimento di cui è parte il soggetto colpito dall'evento, ciò vuol dire che, rispetto ai giudizi riuniti (rectius non separati), cui non si è propagata la causa interruttiva, non si può profilare né la necessità di una loro riassunzione ne’ quella di una loro estinzione per esserne mancate la prosecuzione spontanea o la riassunzione.
A detta premessa, quindi, non consegue che quanto alle altre domande il processo debba ancora proseguire, nel senso che sia possibile quanto ad esse compiere atti istruttori od assumere decisioni: ma anzi che il processo, quanto alle altre cause, dovrà essere governato in modo da continuare sol dopo che riguardo al giudizio raggiunto dall‘interruzione si sia determinata la riassunzione o verificata l'estinzione (Cassazione, Sezioni Unite, n. 9686 del 22.04.2013): in altre parole, dovrà essere governato differendo ad altro momento – come nell’ipotesi di cui all'art. 269 c.p.c., espressamente ed esemplificativamente richiamata – gli atti rilevanti per il procedimento, ed in particolare al momento della risoluzione, nel senso della proseguibilità ovvero dell’estinzione per inattività, della peculiare condizione generata dal verificarsi della causa interruttiva e descritta dagli artt. 298 ss. c.p.c..
Per tale ragione, essendo nel caso in esame tempestivamente intervenuta la costituzione della Curatela – ed addirittura anche dei fideiussori – il termine può e deve essere nuovamente concesso, con separata contestuale ordinanza di rimessione della causa sul ruolo.

La statuizione sulle spese va differita al merito, stante la natura della presente pronunzia.

PQM

Il Tribunale, non definitivamente pronunciando, ogni diversa domanda, eccezione, difesa disattesa e/o assorbita: rigetta l’eccezione di improcedibilità della domanda; provvede in ordine al prosieguo del procedimento con separata contestuale ordinanza; differisce alla pronunzia definitiva la statuizione sulle spese di lite.
Trapani, 6 febbraio 2018
Il Giudice
Arianna Lo Vasco

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità. 

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