=> Tribunale di Roma, 23 febbraio 2017
Ove l'istante intenda svolgere effettivamente la mediazione demandata,
non fermandosi all'incontro informativo, e ciò a differenza della parte antagonista che non intenda procedere,
deve dichiararlo e farlo verbalizzare
dal mediatore, distinguendo in tale modo la sua posizione da quella della
parte renitente. In tale caso, il mancato svolgimento della mediazione
demandata non comporterà
l'improcedibilità della domanda, bensì, ove il diniego della controparte
non risulti giustificabile, l'applicazione a carico di quest'ultima dell'art. 8, d.lgs. 28/2010 oltre, ricorrendone i presupposti, dell'art. 96 c. 3 c.p.c. (I).
(I) Per la
versione aggiornata del d.lgs. 28/2010 si veda: D.lgs. 4 marzo 2010 n. 28 aggiornato al d.l. 50/2017 conv. con mod. in l. 96/2017 - manovra correttiva 2017(Osservatorio Mediazione Civile n. 46/2017). Per approfondimenti si veda SPINA, CODICE OPERATIVO DEI NUOVI ADR, Pacini ed., Pisa, 2016 (Osservatorio Mediazione Civile n. 64/2016).
Fonte: Osservatorio
Mediazione Civile n. 54/2017
Tribunale di Roma
Sentenza
23 febbraio 2017
Omissis
Fatto
Il fatto
ZZZ esponeva
che il giorno
30.04.2010, alle ore 02.00 M., coniuge dell'esponente, si trovava in qualità di
terza trasportata sull'autovettura Opel Agila targata omissis di proprietà e condotta dalla sig.ra FFF che percorreva in
Roma piazza di Cinecittà;
che nelle predette
circostanze di tempo e di luogo, l'autovettura Opel Agila giunta all'altezza
dell'intersezione con viale Palmiro Togliatti entrava in collisione con
l'autovettura Mercedes targata omissis
di proprietà del sig. --- e condotta dalla sig.ra FFF;
che a seguito del
violento urto la sig.ra M. ha riportato gravissime lesione personali, e veniva
trasportata presso il P.S. del Policlinico Casilino, ove veniva refertata con
la seguente diagnosi: Politrauma con ematoma subdurale parietale dx, ematoma
intraparenchimale temporale dx, frattura lineare dell'osso temporale sn con
interessamento della porzione timpanica e del processo mastoideo, contusioni
polmonari bilaterali con versamento pleurico;
che sul luogo del
sinistro interveniva una pattuglia della Polizia Municipale del X° Gruppo, che
redigeva verbale dell'accaduto;
che il sinistro de
quo ha causato deficit di deambulazione e deficit cognitivo, come risulta dal
riconoscimento da parte della Commissione della ASL RM/A ai sensi della legge
104/92 di una invalidità pari al 100% con diritto all'indennità di
accompagnamento per "encelopatia post traumatica con tetra paresi
spastica", come da documentazione allegata;
che la TTT S.p.A.,
con lettera del 20.09.2010 contestava il risarcimento del danno in quanto non
dovuto alla attrice per mancato uso delle cinture di sicurezza, e, di
conseguenza non formulava alcuna offerta risarcitoria; chiedendo il
risarcimento dei danni tutti ed a qualsiasi titolo maturati. Sia relativamente
al periodo di invalidità della de cuius (dal 30.4.2012 al 4.1.2013) e sia
relativamente al decesso della de cuius, avvenuto in data 4.1.2013 e
conseguente al sinistro de quo.
L'assicurazione si
costituiva eccependo che aveva corrisposto alla M. la somma di E.300.000 in
data 3.2.2012; che la predetta non aveva indossato la cintura di sicurezza
(come si evinceva dal fatto che era stata sbalzata alcuni metri fuori della
vettura) sicché sussisteva cooperazione colposa della medesima (ex art. 1227
c.c.) e che comunque le domande avanzate in sede di riassunzione erano da
considerarsi nuove, improcedibili ed irricevibili (in ogni caso contestava che
la morte avvenuta tre anni dopo fosse correlabile al sinistro del 30.4.2010)
Con ordinanza del
21.10.2013 ritenute ammissibili le domande contenute nella citazione in
riassunzione, il Giudice disponeva consulenze tecniche, cinematica e
medico-legale. La relazione del perito nominato dal tribunale rendeva chiaro ed
esplicito che M. indossava regolarmente al momento del sinistro la cintura di
sicurezza e che tuttavia riportava egualmente gravissime lesioni a causa della
posizione in cui si trovava all'interno dell'autovettura (passeggera sul sedile
anteriore destro) e l'urto violentissimo (l'autovettura antagonista viaggiava a
circa di 70 km orari) avvenuto lateralmente proprio dalla sua parte.
La macchia ematica
rinvenuta a distanza sul suolo non ha il significato che assume
l'assicurazione. Non vi è alcuna prova che la M. sia stata sbalzata
dall'autovettura. Quella traccia può essere interpretata diversamente ed in
vari modi (ad esempio, se della M., formata nel corso delle operazioni di
trasbordo sull'autoambulanza).
Le opinioni del CTP
dell'assicurazione sono forzate, illogiche ed errate. Correttamente rileva il
consulente del Giudice: per valutare la possibilità di proiezione della
passeggera della Opel Agila fuori dalla vettura che la trasportava quando
questa colpiva l'aiuola spartitraffico, deve premettersi che tale proiezione
deve essersi realizzata lungo una traiettoria pressoché orizzontale, che la
passeggera della Opel Agila sedeva ad una altezza dal suolo di circa 0,64 mt.
quando nell'istante dell'urto contro lo spartitraffico la vettura che la
trasportava possedeva una velocità di circa 37,25 Km/h e che la distanza delle
tracce ematiche ad essa riconducibili misurava circa 11 mt. da tale punto. In
tale contesto obiettivo si ritiene che detta passeggera non possa essere stata
lanciata nel punto in cui venivano rilevate le tracce ematiche addebitategli,
ovvero ad una distanza di 11 metri dal punto in cui l'Opel Agila colpiva lo
spartitraffico con la ruota anteriore destra. D'altro canto non si può fare a
meno di notare che al momento della proiezione contro lo spartitraffico, e a
seguito dell'apertura dello sportello (lato passeggero), venivano proiettati
sull'isola spartitraffico: il pannello della porta, il gruppo ottico anteriore
e la scarpa della passeggera e quindi una eventuale proiezione della passeggera
sullo spartitraffico non poteva verificarsi in un punto troppo distante dal
pannello o dalla scarpa e oltretutto con una traiettoria di lancio diversa.
Infatti il corpo della passeggera (decisamente più pesante del pannello della
porta o della scarpa ) a fronte di pari contraccolpo non poteva essere lanciato
ad una distanza maggiore, stante l'avvenuta esplosione dell'air-bag lato
passeggero e la posizione della porta lato conducente che rimaneva
"agganciata" al montante della vettura, fatto questo che impedisce di
comprendere dove poteva passare nella fase di lancio il corpo della passeggera
.... la traccia ematica rilevata da PG non si ritiene compatibile con una
ipotetica proiezione di corpo della trasportata Sig.ra M".
All'esito di tali
indagini, con un quadro sufficientemente chiaro della situazione, in fatto ed
in diritto, il Giudice emetteva l'ordinanza di cui infra.
L'ordinanza di
invio in mediazione del giudice
Con ordinanza del
25.5.2015 il Giudice esposte con estrema precisione le modalità con le quali le
parti avrebbero dovuto dare seguito a quanto ivi prescritto ed avvertitele
delle conseguenze di un'eventuale inottemperanza e dopo aver premesso che delle
molteplici voci di danno considerabili (pur nella carente sommaria esposizione
dell'attrice prima e degli attori in riassunzione poi) vanno considerati:
1. il danno
parentale (degli attori), iure proprio, con ciò intendendosi quello connesso ad
un diritto personale e proprio di quei soggetti, in questo caso, marito e
figli, che hanno patito e patiranno la perdita (in data 4.1.2013, da porsi in
diretta connessione con l'evento del 30.4.2010) della presenza, con tutto ciò
che questo implica, rispettivamente della moglie e della madre nell'ambito
della famiglia;
2. il danno
biologico (del defunto), iure hereditario, che attinge la privazione, in capo a
M., del diritto al bene della salute, della integrità psico-fisica e della
vita. Al di là delle speculazioni che su questo ultimo punto agitano la
giurisprudenza è ben arduo ammettere che la privazione, in grado supremo, del
bene della vita, sia a costo zero (salvo eventuali sanzioni penali) per il
danneggiante. Nel caso di specie il lasso temporale fra lesione e decesso
dispensa, attesa la favorevole giurisprudenza, ulteriori disquisizioni,
consentendo ingresso a tale diritto. Tale diritto si trasmette agli eredi. Né vanno
operate decurtazioni della somma concessa, in virtù della ragionevole
dipendenza della morte dal sinistro del 4.2010; e ritenuto che vanno applicate
per entrambe le voci suddette le tabelle del tribunale di Roma, adeguate
nell'uso appropriato, a ben regolare la personalizzazione dei danni afferenti
alle stesse; allogata al 30% la percentuale di concorso di colpa; proponeva: il
pagamento a favore di ZZZ in proprio e nella qualità di esercente la potestà
sui minori M. P. e A. P. della complessiva somma di E.970.000,00 (al netto di
quanto già percepito e del concorso di colpa) a carico della spa TTT Oltre al
pagamento, a carico della stessa parte, di un contributo alle spese di causa a
favore degli attori per l'importo di E 8.000,00 oltre ad IVA CAP e spese
generali; nonché spese di consulenza tecnica di ufficio.
L'assicurazione non
accettava la proposta esponendo due motivazioni: il danno biologico
riconosciuto dal Giudice nella proposta non può essere conteggiato con
riferimento alla vita media del soggetto, bensì con riferimento alla effettiva
esistenza in vita della M. pari a due anni e otto mesi; le pretese attrici non
sono ammissibili in quanto nella fattispecie non può essere riconosciuto il
danno catastrofale non previsto nella proposta del Giudice.
L'attore quindi
introduceva il procedimento di mediazione introdotto presso l'Organismo Forense
del Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Roma.
Dal verbale di
mediazione depositato in atti risulta che all'incontro del 13.10.2015
partecipavano l'avv. C.M. per l'attore e l'avv. G.C. per l'assicurazione, con
procura contenente facoltà di mediare e conciliare.
L'avvocato M.
depositava procura speciale da parte di ZZZ nella quale si comunicava che
l'attore non avrebbe partecipato per motivi familiari (sic).
Nel verbale
risultavano cancellate le parti relative alle informative che il mediatore deve
effettuare alle parti circa la natura, scopo e finalità del procedimento di
mediazione nonché dei benefici fiscali.
Nel verbale non veniva
altresì dato atto che: il mediatore aveva richiesto alle parti ed ai loro
avvocati di esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione.
Sempre nel verbale, si legge che le parti dichiarano congiuntamente di aver
tentato di raggiungere un accordo anche in considerazione dell'ordinanza
dell'Ill.mo Giudice Moriconi, senza alcun esito positivo. In ragione di ciò le
parti congiuntamente dichiarano che non sussistono i presupposti per proseguire
la mediazione.
La procedura si
conclude quindi con esito negativo.
É di tutta evidenza
che non è stata data rituale e piena esecuzione all'ordinanza che precede e che
le parti non hanno esperito alcuna mediazione. In questo specifico caso,
addirittura neppure la fase introduttiva della stessa, con quanto ne consegue.
Va ricordato che a
mente dell'art. 8 c. 1 d.lg. 28/2010 al primo incontro e agli incontri
successivi, fino al termine della procedura, le parti devono partecipare con
l'assistenza dell'avvocato. Durante il primo incontro il mediatore chiarisce
alle parti la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione. Il
mediatore, sempre nello stesso primo incontro, invita poi le parti e i loro avvocati
a esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione e, nel
caso positivo, procede con lo svolgimento.
D'altro canto
l'art. 2 bis del'art. 5 della norma prevede che quando l'esperimento del
procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda
giudiziale la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al
mediatore si conclude senza l'accordo.
Pur volendo
ritenere, contro l'evidenza, che le parti abbiano svolto la fase introduttiva e
preliminare della mediazione, vale osservare quanto segue.
Un'interpretazione
delle norme che conduca a ritenere che esista un diritto potestativo della
parte di non dare corso al provvedimento del giudice che ordina la mediazione
demandata ai sensi dell'art. 5 c. 2 della norma, è erronea e non può in alcun
modo essere accettata.
Va considerato che
il non chiaro testo normativo necessita di un'interpretazione adeguatrice che
lo ponga a riparo dalla altrimenti inevitabile censura di incostituzionalità
per irragionevolezza, come nel caso che si accogliesse la tesi che le parti
siano libere di non dare corso alla mediazione (che tale non può essere
definito il mero incontro informativo), raggiungendo lo stesso vantaggioso
risultato (inveramento della condizione di procedibilità) che la legge assicura
a chi la mediazione ha effettivamente e sostanzialmente esperito.
Identificare la
"mediazione" con l'incontro informativo è un errore grossolano.
È la stessa legge
infatti che definisce la mediazione come altro rispetto all'incontro
informativo, che è una fase preliminare e propedeutica alla mediazione.
Predicare che
assolto all'incontro informativo, non volenti le parti entrare in mediazione,
si debba considerare questa - contro la realtà - egualmente svolta, è
un'assurdità logica e giuridica.
Nell'incontro
informativo, massime nella mediazione demandata, il mediatore svolge una
funzione di modesto rilievo, posto che essendo già in corso la causa, le parti
sono già state debitamente ed esaurientemente informate, per preciso obbligo di
legge, dagli avvocati (e occorrendo dal giudice), che accompagnano e assistono
obbligatoriamente le parti all'incontro, di tutto ciò che devono sapere sulla
mediazione, al quale nulla può aggiungere il mediatore.
La giurisprudenza
che si è occupata di tale problema è unanime nell'affermare che solo la
presenza di obiettive circostanze procedurali (et similia) integra
l'impossibilità di procedere alla mediazione, fermandosi all'incontro
informativo, nessun'altra accezione della parola "possibilità"
essendo ammissibile.
In particolare tale
giurisprudenza, inaugurata dal Tribunale di Firenze ha trovato, nella sua
assoluta razionalità e logica giuridica, meritato consenso e condivisione,
tanto da potersi affermare che essa costituisce diritto vivente del diritto
nazionale sul punto (Tribunale di Roma, sentenza n. 8554 del 28.04.2016).
La natura
dell'incontro di mediazione di cui all'art. 8 c. 5 d.lg. 28/2010.
Un'interpretazione
che si fermasse al dato meramente letterale delle norme (in particolare del
comma 2 bis dell'art. 5 della legge) potrebbe indurre in equivoco opinando che
ove le parti, o una di esse, neghino, a domanda del mediatore, che sussista la
possibilità di iniziare la procedura di mediazione, il procedimento di mediazione
sia correttamente concluso e la condizione di procedibilità della domanda
giudiziale realizzata.
L'erroneità di tale
opzione interpretativa è agevolmente dimostrabile.
Ed invero, che il
procedimento di mediazione sia concluso non volendo le parti esperirlo è
esatto; che tale condotta delle parti sia corretta e la condizione di
procedibilità sia stata realizzata, sicuramente non lo è.
Sarebbe a dire,
assecondando l'aporia, che da una parte la legge prescrive che per introdurre
(o proseguire) la causa occorre che venga esperito il procedimento di
mediazione (che consiste nelle attività ben descritte nella lettera a.
dell'art. 1 della legge, nonché negli artt. 8 commi 2-4 ed nell'art. 11 della
legge) e dall'altra che anche se le parti (ed in particolare il proponente la
domanda di mediazione) dichiarano di non voler effettuare la mediazione (alla
quale quindi non si è proceduto), la mediazione si considera svolta e la
procedibilità attinta... Un perfetto ossimoro.
Aderendo a tale
accezione e tenendo bene a mente il significato della parola
"mediazione" (cfr. nota 1) si dovrebbe ammettere che le parti abbiano
il diritto potestativo di decidere di non svolgere la mediazione (finanche
quando il giudice lo abbia ordinato), ottenendo però il medesimo vantaggioso risultato
(procedibilità, assenza di sanzioni per la mancata partecipazione) che se la
mediazione fosse stata esperita davvero. Conclusione questa del tutto azzardata
ed irrazionale, perché significa predicare come avvenuta una cosa quando
indiscutibilmente essa non lo è.
E non solo. Immaginare
che le parti in mediazione demandata (qual è quella che ci occupa) possano
ricevere le informazioni che il mediatore gli somministra nel corso del
"primo incontro" (il mediatore chiarisce alle parti la funzione e le
modalità di svolgimento della mediazione) come un quid novi che dischiuda loro,
solo in quel momento, le prospettive della mediazione e del suo significato, è
cosa aberrante e confliggente, specialmente nella demandata, con la realtà,
posto che le parti sono state già preventivamente informate di che trattasi.
Una prima volta al momento del conferimento del mandato all'avvocato (cfr. art.
4 della legge, norma particolarmente puntigliosa al riguardo; che contiene
anche una clausola di salvaguardia contro l'informativa mancata, con
l'intervento suppletivo del giudice) ed una seconda, all'atto della doverosa
informativa dell'avvocato al cliente del contenuto dell'ordinanza di mediazione
demandata con il connesso dialogo che precede la presentazione della parte e dell'avvocato
all'incontro. Il primo all'incontro di mediazione, dovendogli necessariamente
spiegare a che pro.
Ed ancora. Il
giudice, anche in sede di giudizio di appello, valutata la natura della causa,
lo stato dell'istruzione e il comportamento delle parti, può disporre
l'esperimento del procedimento di mediazione.
A fronte di tale
impegno del magistrato, che presuppone lo studio degli atti, la valutazione di
opportunità, e l'individuazione del momento migliore per la mediazione, e che
si sostanzia infine nella redazione di un provvedimento che può anche contenere
- come l'esperienza sempre più spesso attesta- utili spunti ed indicazioni per
la discussione ed il confronto fra le parti con il mediatore, il non possumus
delle parti (o di una di esse) si qualifica come ingiustificata e pregiudiziale
renitenza ad un ordine legittimamente dato dal giudice ed espressione di un
volontario quanto ingiustificabile rifiuto a priori di sperimentare realmente
con lealtà e senza riserve mentali un percorso conciliativo.
L'interpretazione
costituzionalmente orientata delle norme di cui agli att. 8 c. 1 e 2 bis
dell'art. 5 del d.lg. 28/2010
Quale che sia stato
l'intento (non dei più chiari e lineari) del legislatore, è necessario
apprestare per le norme in commento un'interpretazione in linea con la Carta
Costituzionale.
Va premesso che per
molto tempo nel nostro Paese, il giudizio di costituzionalità delle leggi è
stato considerato, sotto ogni aspetto, monopolio e riserva della Corte
Costituzionale. Ciò in virtù della originaria (e tuttora immutata) scelta del
legislatore Costituente che ha privilegiato la formula del controllo di
costituzionalità accentrato su un solo soggetto, creato ad hoc, la Corte
Costituzionale.
Le ragioni sono
state molteplici e non è questa la sede per esporle.
Ciò che conta è che
nel corso degli anni, il timore che i giudici ordinari non fossero
sufficientemente sensibili al controllo di costituzionalità delle leggi (questa
storicamente è stata una delle ragioni) è svanito superato dalla prova dei
fatti, che hanno dimostrato il contrario.
Ed è proprio in
dipendenza della grande attenzione ed interesse della magistratura alla
conformità alla Costituzione delle norme di legge, attraverso la rimessione
degli atti alla Corte Costituzionale in presenza di norme di dubbia
costituzionalità, che si è da tempo avviato un processo inverso che si può
riassumere nella nota espressione della interpretazione costituzionalmente
orientata della legge da parte del giudice ordinario. Non si è pervenuti per
tale strada, né si potrebbe, ad un controllo di costituzionalità diffuso (per
il limite costituito dalla diversa previsione costituzionale) ed il giudice
ordinario non espunge le norme dall'ordinamento giuridico come fa la Corte.
Tuttavia, con
l'avallo della stessa Corte Costituzionale, tale forma di controllo
contribuisce ad arricchire l'opera di adeguamento delle norme ordinarie a quelle
costituzionali (e più prosaicamente, a sgravare la Corte da una parte
dell'ingente lavoro che la onera).
Detto ciò, resta da
ricordare che uno dei riferimenti elaborati dalla Corte (e che il giudice per
quanto detto è correlativamente autorizzato ad adoperare) per il vaglio di
costituzionalità, è quello della ragionevolezza della norma sottoposta a
scrutinio.
Nel caso in esame,
l'interpretazione letterale che è stata supra esposta presta visibilmente il
fianco ad una fondata censura di incostituzionalità sotto entrambi i profili
che sono stati elaborati, per questo vizio, dalla Corte Costituzionale.
Che in un primo
tempo aveva correlato la ragionevolezza all'art. 3 della Costituzione, con la
conseguente necessità, per accertare l'irragionevolezza della norma, che fosse
individuato il c.d. tertium comparationis (che in questo caso esiste ed è
evidente, consistendo precisamente nel caso in cui le parti abbiano svolto
effettivamente la mediazione consentendo al mediatore di svolgere la sua
attività, che non è ovviamente solo quella informativa, bensì quella ricordata
con la nota n. 2). L'interpretazione che si ripudia pone sullo stesso piano e
prevede le medesime conseguenze (avveramento della condizione di procedibilità,
mancanza di sanzioni per la parte renitente) ad entrambe le (pur diverse e
opposte) situazioni.
Successivamente ed
allo stato, il parametro della ragionevolezza viene dalla Corte Costituzionale
non più rapportato all'art. 3 della Costituzione, quanto individuato nella
sostanziale disparità di trattamento tra fattispecie omogenee, allorché la
norma presenti una intrinseca incoerenza, contraddittorietà od illogicità
rispetto alla complessiva finalità perseguita dal legislatore.
Anche in base a
tale parametro l'interpretazione letterale non supera lo scrutinio di
costituzionalità, essendo di tutta evidenza che solo in presenza di ragioni
ostative formali/procedurali (si pensi ad esempio ad un convocato in mediazione
caduto vittima di un grave incidente, per il quale è in corso la procedura per
la nomina di un amministratore di sostegno; ad un convocato deceduto nelle more
della presentazione all'incontro al quale si presenti uno degli eredi per
dichiararlo, etc.) può ammettersi che sussista l'impossibilità ad iniziare la
procedura di mediazione e quindi la ragionevolezza del considerare validamente
concluso il procedimento di mediazione (con l'inveramento della condizione di
procedibilità e l'assenza di sanzioni).
Per inciso, è
notorio a chiunque abbia anche una sommaria pratica di mediazione, che dietro
alla dichiarazione di impossibilità ad iniziare la mediazione ci sono pressoché
sempre divergenze nel merito delle questioni che costituiscono la materia del
contendere.
Dal che
l'inevitabile sillogismo che una vera impossibilità ad iniziare la mediazione
non esiste (quasi) mai.
Per completezza, è
opportuno interrogarsi se così interpretata la norma, non si incorra nel
rischio (opposto) di prefigurare una sorta di mediazione forzata che
l'intervento normativo con le modifiche al testo originario del d.lg. 28/2010
di cui alla novella del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (artt. 8 c. 1 terzo
periodo in poi e 2 bis dell'art. 5) intendeva scongiurare.
Occorre intendersi
sul significato della parola "mediazione"
Dal punto di vista
sostanziale, va da sé che le parti che partecipano all'incontro di mediazione
sono del tutto libere di accordarsi o meno.
E pertanto
nell'accezione di accordo, conciliazione et similia, la mediazione non è mai
obbligata.
Né dal mancato
raggiungimento dell'accordo in mediazione può derivare alle parti o a taluna di
esse pregiudizio di sorta, di alcun genere.
Dal punto di vista
procedurale, alla domanda se vi sia un obbligo a carico delle parti di
partecipazione alla mediazione (intesa questa volta non come accordo, ma come
procedura nel significato di cui alla nota 2) la risposta è invece senz'altro
affermativa; come rivela in modo icastico tutto il sistema sanzionatorio
previsto dalla legge (improcedibilità per la mancata proposizione della
domanda, conseguenze negative previste dall'art. 8 della legge; possibile
applicazione dell'art. 96 c. 3 come riconosciuto dalla giurisprudenza.
Tale
interpretazione - che ragionevolmente contempla l'eventuale situazione di
inesigibilità della prosecuzione oltre il primo incontro informativo - è
perfettamente in linea con la logica, il buon senso e la Costituzione.
Invero salvaguarda
le parti dalla necessità dello svolgimento della mediazione (con i costi
relativi) nei casi nei quali oggettive ragioni "pregiudiziali" non lo
rendano possibile, nell'accezione supra illustrata; viceversa imponendolo,
tutte le volte che la discussione possa concentrarsi sul merito e sul contenuto
del conflitto, senza che possa fare da usbergo al soggetto renitente l'opinione
di aver ragione e quindi di ritenere inutile dialogare con l'altra parte (per
quanto all'evidenza viziata dal punto di vista logico, vera e propria aporia, è
questa la più diffusa giustificazione che viene offerta da chi non intende
aderire e partecipare alla mediazione.
Le parti (o taluna
di esse) si fermano ingiustificatamente all'incontro informativo: conseguenze
La verbalizzazione
delle ragioni della impossibilità di procedere alla mediazione.
In mancanza di
qualsiasi dichiarazione, che le parti possono richiedere di verbalizzare liberando
in tal modo il mediatore dall'obbligo di riservatezza, sulla ragione del
rifiuto di proseguire nel procedimento di mediazione, tale rifiuto va
considerato non giustificato. Invero la regola di base espressa dal decreto
legislativo 28/2010 è l'obbligatorio svolgimento del procedimento di mediazione
di cui agli artt. 5 commi 1 bis e 2 (come attesta inequivocabilmente il sistema
sanzionatorio previsto dalla legge stessa per la mancata partecipazione, oltre
che, a fortiori, per la mancata introduzione della domanda di mediazione). Ne
consegue che il rifiuto di procedere e partecipare alla mediazione costituisce
la violazione della regola.
E, come per ogni
violazione, in qualsiasi sistema (penale e non), è la parte che invoca una
giustificazione a doverla quanto meno allegare.
Le conseguenze di
tale rifiuto - ingiustificato- di procedere e di partecipare alla mediazione
sono, se espresso dall'istante/attore, sovrapponibili alla mancanza tout court
della (introduzione della domanda di) mediazione.
Sarebbe infatti
un'aporia ritenere soddisfatto il precetto della legge in materia di mediazione
obbligatoria e demandata, ritenendo che sia sufficiente al fine di integrare la
condizione di procedibilità la semplice formale introduzione della domanda.
Il legislatore
persegue l'obiettivo dell'accordo e della pacificazione e una domanda di
mediazione che rimanga monca, senza alcun seguito, non serve a tale scopo.
Con quanto ne
consegue (improcedibilità della domanda ai sensi dell'art. 5 c. 2 d.lg. 28/10
per la parte istante, attore nella causa).
Non può infatti
essere oggetto di dubbio - giova ribadire quanto supra ampiamente dimostrato -
che il mero incontro informativo (che, per come configurato dalla legge, nulla
ha a che vedere con lo specifico merito della controversia insorta fra le
parti), non può, specialmente nella mediazione demandata, neppure con i più
acrobatici sforzi dialettici, essere parificato allo svolgimento
dell'esperimento della mediazione
La quale, come
ricordato, consiste nell'attività, comunque denominata, svolta da un terzo
imparziale e finalizzata ad assistere due o più soggetti nella ricerca di un
accordo amichevole per la composizione di una controversia, anche con
formulazione di una proposta per la risoluzione della stessa (art. 1 d.lg.
28/10).
Nel caso di specie
il deficit di diligenza dell'attore è particolarmente evidente. Va ricordato
infatti che nell'ordinanza del 25.5.2015 il Giudice aveva evidenziato in
neretto e sottolineato la necessità di effettiva partecipazione al procedimento
di mediazione della parte personalmente (in questo caso la labiale
giustificazione motivi familiari è priva di specificità e non accettabile) e
che è richiesta l'effettiva partecipazione al procedimento di mediazione
demandata, laddove per effettiva si richiede che le parti non si fermino alla
sessione informativa e che oltre agli avvocati difensori siano presenti le
parti personalmente.
Per contro
l'attore: nonostante il chiaro provvedimento del Giudice non ha voluto darvi
seguito esperendo un valido percorso di mediazione senza distinguere e
separare, con apposita dichiarazione a verbale, la sua posizione e volontà da
quella dell'assicurazione (come attesta l'avverbio "congiuntamente"
ripetuto due volte) ha impedito, in limine mediationis, che il mediatore
potesse svolgere il suo lavoro, addirittura, in questo caso, neppure procedere
alla fase informativa; in altre parole le parti si sono recate presso
l'organismo di mediazione semplicemente per informare (sic) il mediatore che
non avevano raggiunto l'accordo. Questa non è mediazione; non ha partecipato
personalmente, senza valida giustificazione, all'incontro di mediazione come
prescritto dal Giudice.
In conclusione va
affermato (e ribadito) il principio che ove l'istante intenda svolgere effettivamente
la mediazione demandata, non fermandosi all'incontro informativo, e ciò a
differenza della parte antagonista che non intenda procedere, deve dichiararlo
e farlo verbalizzare dal mediatore, distinguendo in tale modo la sua posizione
da quella della parte renitente. In tale caso, il mancato svolgimento della
mediazione demandata non comporterà l'improcedibilità della domanda, bensì, ove
il diniego della controparte non risulti giustificabile, l'applicazione a
carico di quest'ultima dell'art. 8 d.lg. 28/2010 oltre, ricorrendone i
presupposti, dell'art. 96 c. 3 c.p.c.
In considerazione
delle ragioni della decisione è giusto compensare interamente le spese di causa
fra le parti; dichiarando irripetibili quelle erogate.
PQM
Definitivamente
pronunziando, ogni contraria domanda eccezione e deduzione respinta, così
provvede: dà atto del mancato svolgimento della mediazione demandata dal
Giudice; dichiara improcedibile le domande di ZZZ iure proprio e iure
hereditatis nella qualità di genitore esercente la potestà sui minori e XXX;
Compensa
interamente le spese di causa, dichiarando irripetibili quelle erogate.
Roma lì 23.2.2017
(1) con l'atto di
citazione in riassunzione dopo il decesso di M. coniugata con ZZZ e dei minori omissis che al momento dell'evento
dannoso avevano rispettivamente 7 e 3 anni ;
(2) va considerato
che il mutamento delle circostanze (morte della M.) si è verificato nel corso
della causa, sicché sarebbe del tutto irrazionale ammettere che la causa
petendi ed il petitum si dovessero considerare cristallizzati ed immodificabili
con l'effetto di rendere del tutto inutile, in palese contrasto con i principi
di economicità e concentrazione dell'attività giudiziaria, bene e risorsa
limitata, la presente causa, essendo le domande iniziali (che si fondavano
sulle gravi lesioni di M.) disassate rispetto alla situazione (ed alla
conseguente domanda) derivante dal decesso della M.
(3) Ordinanza del
25.5.2015:
con la proposta del
giudice, le parti possono predeterminare i risultati del percorso, valutarne da
subito la convenienza e beneficiarne degli effetti.
Nell'ipotesi che
taluna delle parti non sia disponibile ad aderire all'accordo, ne dovrà essere
esposto a verbale il motivo in modo specifico, in modo da consentire al giudice
di regolare, con la sentenza, le posizioni delle parti secondo giustizia (che
in questo caso potrebbe equivalere a sanzionare la irragionevolezza del rifiuto
ed il pregiudizievole disinteresse alla trattativa traendone le debite
conclusioni a mente dell'art. 91 e c. 3 dell'art. 96 c.p.c. e nonché delle
altre norme in materia di A.D.R. così come previste dalla legge e sviluppate
dalla giurisprudenza, massime di questo giudice)
In particolare si
formula la proposta in calce sviluppata, che è parte integrante di questa
ordinanza. Benché la legge non preveda che la proposta formulata dal giudice ai
sensi dell'art. 185 bis c.p.c. debba essere motivata (le motivazioni dei
provvedimenti sono funzionali alla loro impugnazione, e la proposta ovviamente
non lo è, non avendo natura decisionale); tuttavia si indicano alcune
fondamentali direttrici che potrebbero orientare le parti nella riflessione sul
contenuto della proposta e nella opportunità e convenienza di farla propria,
ovvero di svilupparla autonomamente.
Sotto tale ultimo
profilo, vale a dire la possibilità che le parti, assistite dai rispettivi
difensori, possano trarre utilità dall'ausilio, nella ricerca di un accordo, ed
anche alla luce della proposta del giudice, di un mediatore professionale di un
organismo che dia garanzie di professionalità e di serietà, è possibile
prevedere, anche all'interno dello stesso provvedimento che contiene la
proposta del giudice, un successivo percorso di mediazione demandata dal
magistrato.
Alle parti si
assegna termine fino alla data del 30.9.2015 per il raggiungimento di un
accordo amichevole sulla base di tale proposta.
Dalla eventuale
infruttuosa scadenza del suddetto termine, decorrerà quello ulteriore di gg.15
per depositare presso un organismo di mediazione, a scelta delle parti
congiuntamente o di quella che per prima vi proceda, la domanda di cui al
secondo comma dell'art. 5 del decreto; con il vantaggio di poter pervenire
rapidamente ad una conclusione, per tutte le parti vantaggiosa, anche da punto
di vista economico e fiscale (cfr. artt. 17 e 20 d.lg. 4.3.2010 n.28), della
controversia in atto.
Vanno, ancora, avvertite
le parti che:
1. la proposta del
giudice che segue è permeata da un contenuto di equità e che oltre a ciò
l'esito dell'ulteriore corso della causa, laddove mancasse l'accordo, non
consente a ciascuna delle parti di considerare definitivamente stabilizzati,
nel bene e nel male, i suoi contenuti;
2. ai sensi e per
l'effetto del secondo comma dell'art. 5 d.lg. 28/10 come modificato dal d.l.
69/2013 è richiesta l'effettiva partecipazione al procedimento di mediazione
demandata, laddove per effettiva si richiede che le parti non si fermino alla
sessione informativa e che oltre agli avvocati difensori siano presenti le
parti personalmente;
Viene infine
fissata un'udienza alla quale in caso di accordo le parti potranno anche non
comparire; viceversa, in caso di mancato accordo, fisseranno a verbale in
quella sede, come supra detto, le loro posizioni al riguardo.
(4) Si tratta in
tutta evidenza di motivazioni illogiche, errate in punto di fatto e di diritto;
prive di qualsiasi fondamento e pertinenza. La seconda non ha alcun senso. Il
danno catastrofale non è stato menzionato dal Giudice e non può quindi essere
motivo di rifiuto della proposta (sic) La prima ragione integra un errore
madornale. La morte della M. è stata conseguenza del sinistro. E quindi il danno
biologico in tutte le sue componenti (invalidità temporanea e permanente) è
stato acquisito al patrimonio della M. e per essa, dopo il decesso, dei suoi
eredi. Quanto al calcolo del danno permanente non vi deve essere, come è facile
intendere (sarebbe un bel lucrare da parte del danneggiante ai danni della
persona lesa!), alcuna riduzione rispetto alla vita media, perché è esattamente
quella che il sinistro e la conseguente morte hanno sottratto indebitamente
alla parte danneggiata (la M.); diversamente nel caso in cui la morte non fosse
stata dipendente dal sinistro. In quel caso il Giudice avrebbe riparametrato il
calcolo in relazione alla durata effettiva della vita della vittima.
(5) Secondo l'art.
1 della legge la mediazione è l'attività, comunque denominata, svolta da un
terzo imparziale e finalizzata ad assistere due o più soggetti nella ricerca di
un accordo amichevole per la composizione di una controversia, anche con
formulazione di una proposta per la risoluzione della stessa.
(6) in questo caso,
come si è detto, il mediatore dell'organismo compulsato NON ha fatto neppure
quello!
(7) Art. 4 comma 3
della legge: All'atto del conferimento dell'incarico, l'avvocato è tenuto a
informare l'assistito della possibilità di avvalersi del procedimento di mediazione
disciplinato dal presente decreto e delle agevolazioni fiscali di cui agli
articoli 17 e 20. L'avvocato informa altresì l'assistito dei casi in cui
l'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità
della domanda giudiziale. L'informazione deve essere fornita chiaramente e per
iscritto. In caso di violazione degli obblighi di informazione, il contratto
tra l'avvocato e l'assistito è annullabile. Il documento che contiene
l'informazione è sottoscritto dall'assistito e deve essere allegato all'atto
introduttivo dell'eventuale giudizio. Il giudice che verifica la mancata
allegazione del documento, se non provvede ai sensi dell'articolo 5, comma
1-bis, informa la parte della facoltà di chiedere la mediazione
(8) ex multis Trib.
Firenze, ordinanza 17 marzo 2014 Pres. dott.ssa Luciana Breggia: ... Nelle
"procedure di mediazione ex art. 5, comma 1-bis (ex lege) e comma 2 (su
disposizione del giudice) del d.lg. 28/10 (e succ. mod.), ... da ritenersi
ambedue di esperimento obbligatorio.... il mediatore nel primo incontro chiede
alle parti di esprimersi sulla "possibilità" di iniziare la procedura
di mediazione, vale a dire sulla eventuale sussistenza di impedimenti
all'effettivo esperimento della medesima e non sulla volontà delle parti, dal
momento che in tale ultimo caso si tratterebbe, nella sostanza, non di
mediazione obbligatoria, bensì facoltativa e rimessa alla mera volontà delle
parti medesime con evidente, conseguente e sostanziale interpretatio abrogans
del complessivo dettato".
Nel caso di specie,
il tentativo di mediazione, pur ritualmente iniziato, non risulta altrettanto
ritualmente condotto a termine.
(9) Art. 8: Al
primo incontro e agli incontri successivi, fino al termine della procedura, le
parti devono partecipare con l'assistenza dell'avvocato. Durante il primo
incontro il mediatore chiarisce alle parti la funzione e le modalità di
svolgimento della mediazione. Il mediatore, sempre nello stesso primo incontro,
invita poi le parti e i loro avvocati a esprimersi sulla possibilità di
iniziare la procedura di mediazione e, nel caso positivo, procede con lo
svolgimento.
(10) 2-bis. Quando
l'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità
della domanda giudiziale la condizione si considera avverata se il primo
incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l'accordo.
(11) cfr. sentenza
del Tribunale di Roma n.25218 del 17.12.2015 RG 59487/11
(12) È di tutta
evidenza l'illogicità e la pochezza dell'argomento: il presupposto normativo e
assiologico dell'istituto mediazione è per l'appunto che vi sia una lite (che
mediante l'ausilio del mediatore si tenterà di comporre riannodando il filo del
dialogo e della comprensione reciproca delle rispettive ragioni), il che
sottoindente necessariamente che la parte è convinta di avere ragione e di non
condividere l'opinione e le pretese che giudica infondate, della parte opposta,
ché, in caso contrario, non esisterebbe neppure la lite!
(13).... in tal
caso l'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità
della domanda giudiziale.