DIRITTO D'AUTORE


Tutti i testi e le massime giurisprudenziali sono coperti da diritto d’autore. Uso consentito citando la fonte con relativo link. Pregasi segnalare la citazione.

15 ottobre 2017

51/17. Mediazione demandata, mancato rispetto dell'ordine del Giudice, responsabilità aggravata (Osservatorio Mediazione Civile n. 51/2017)

=> Tribunale di Roma, 29 maggio 2017

In tema di mediazione demandata, il mancato rispetto dell'ordine impartito dal Giudice ai sensi dell'art. 5, comma 2, d.lgs. 28/2010 integra colpa grave e può fondare la condanna per responsabilità aggravata ai sensi dell’art. 96, comma 3 c.p.c. (I) (II) (III).





Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 51/2017

Tribunale di Roma
Sezione tredicesima
Sentenza
29 maggio 2017

Omissis

1.  I fatti posti a base della domanda dell'attrice - La proposta del Giudice ex art.185 bis e la mediazione demandata ex art. 5 co.II° decr.lgsl.28/2010
La domanda dell’attrice risulta fondata nell'an, e nei limiti (del quantum debeatur) di seguito indicati.
V.V. esponeva di essersi sottoposta il 15.6.2012 a trattamento estetico di tintura dei capelli e delle sopracciglia, shampoo e messa in piega dei capelli presso l'esercizio commerciale sito in Roma via Monte Santo n.5, il tutto ad opera del titolare A.M., parrucchiere.
Lamentava che erano state lasciate durante il trattamento dosi di tintura su parti del viso quali la fronte, la guancia destra e la parte inferiore dell'arcata sopraccigliare destra e sinistra.
Nonostante avesse chiesto che fossero prontamente rimosse venivano lasciate in sede per circa trenta minuti perché il M. la rassicurava circa il fatto che il prodotto sarebbe scomparso alla fine del trattamento senza conseguenze e lasciti
Il prodotto per rimuovere le macchie della tintura veniva applicato da un inserviente alla fine del trattamento, e poiché le macchie non andavano via il M. lo sollecitava a strofinare con maggior energia. Con la conseguenza che si verificava una generale arrossamento delle parti del viso trattate.
Nelle ore e giorni successivi (16 e 17 giugno) la situazione peggiorava con vere e proprie escoriazioni. La V. si recava quindi presso il P.S. (18 giugno) dove venivano accertate irritazioni ed escoriazioni. La successiva visita dermatologica accertava la presenza di lesioni erosive e ulcerative e vescicolatorie accompagnate da edema sottostante ed eritema diffuso a gran parte del volto (doc.5)
Si doveva quindi sottoporre a terapia antibiotica antistaminica con applicazione di pomate e divieto temporaneo di esporsi al sole, protratto prudenzialmente per i mesi successivi.
Richiedeva i danni (€.5.100,00) al M. che costituendosi ed opponendosi alle domande dell'attrice, precisava fra l'altro di avere effettuato solo la tintura dei capelli con shampoo e messa in piega e non anche la tintura delle sopracciglia.
La compagnia di assicurazione si costituiva difendendosi nel merito del lamentato inadempimento dell'artigiano.
Il Giudice con ordinanza del 12.2.2015 così provvedeva: Riservato all'esito di quanto segue la decisione sulla ammissione di mezzi istruttori ulteriori a quelli documentali. Si ritiene quindi che in relazione a quanto emerso allo stato degli atti (ed in particolare dalle dichiarazioni di A.M. in relazione ai fatti esposti da V.V.) le parti ben potrebbero pervenire ad un accordo conciliativo. Infatti, considerati i gravosi ruoli dei giudici ed i tempi computati in anni per le decisioni delle cause, una tale soluzione, che va assunta in un’ottica non di preconcetto antagonismo giudiziario, ma di reciproca rispettosa considerazione e valutazione dei reali interessi di ciascuna delle parti, non potrebbe che essere vantaggiosa per tutte. Invero la controversia non ha fatto emergere questioni di diritto complesse, e dubbi tali da richiedere approfondite analisi e difficili interpretazioni dei testi normativi. Lo si dice in quanto la condizione postulata dall’art. 185 bis (come introdotto dall’art.77 del d.l.21.6.2013 n.69 conv.nella l.9.8.2013 n.98) della esistenza di questioni di facile e pronta soluzione di diritto, trova il suo fondamento logico nell’evidente dato comune che è meno arduo pervenire ad un accordo conciliativo o transattivo se il quadro normativo dentro il quale si muovono le richieste, le pretese e le articolazioni argomentative delle parti sia fin dall’inizio sufficientemente stabile, chiaro e in quanto tale prevedibile nell’esito applicativo che il giudice ne dovrà fare. Anche la natura ed il valore della controversia in un’accezione rapportata ai soggetti in causa, sono idonei a propiziare la formulazione di una proposta da parte del giudice ai sensi della norma citata. In particolare si formula la proposta in calce sviluppata, che è parte integrante di questa ordinanza. Benché la legge non preveda che la proposta formulata dal giudice ai sensi dell’art.185 bis cpc debba essere motivata (le motivazioni dei provvedimenti sono funzionali alla loro impugnazione, e la proposta ovviamente non lo è, non avendo natura decisionale); tuttavia si indicano alcune fondamentali direttrici che potrebbero orientare le parti nella riflessione sul contenuto della proposta e nella opportunità e convenienza di farla propria, ovvero di svilupparla autonomamente. Sotto tale ultimo profilo, vale a dire la possibilità che le parti, assistite dai rispettivi difensori, possano trarre utilità dall’ausilio, nella ricerca di un accordo, ed anche alla luce della proposta del giudice, di un mediatore professionale di un organismo che dia garanzie di professionalità e di serietà, è possibile prevedere, anche all’interno dello stesso provvedimento che contiene la proposta del giudice, un successivo percorso di mediazione demandata dal magistrato. Alle parti si assegna termine fino alla data del 30.3.2015 per il raggiungimento di un accordo amichevole sulla base di tale proposta. Dalla eventuale infruttuosa scadenza del suddetto termine, decorrerà quello ulteriore di gg.15 per depositare  presso un organismo di mediazione, a scelta delle parti congiuntamente o di quella che per prima vi proceda, la domanda di cui al secondo comma dell’art.5 del decr.legisl.4.3.2010 n.28; con il vantaggio di poter pervenire rapidamente ad una conclusione, per tutte le parti vantaggiosa, anche da punto di vista economico e fiscale (cfr. art.17 e 20 del decr.legisl.4.3.2010 n.28), della controversia in atto. Si sottolinea ulteriormente che la proposta del giudice è permeata in questa fase da un contenuto di equità. Ritenuto di avvertire che ai sensi e per l'effetto del secondo comma dell'art.5 decr.lgsl.28/'10 come modificato dal D.L.69/'13 è richiesta l'effettiva partecipazione al procedimento di mediazione demandata, laddove per effettiva si richiede che le parti non si fermino alla sessione informativa e che oltre agli avvocati difensori siano presenti le parti personalmente; e che la mancata partecipazione (ovvero l'irrituale partecipazione) senza giustificato motivo al procedimento di mediazione demandata dal giudice oltre a poter attingere, secondo una sempre più diffusa interpretazione giurisprudenziale, alla stessa procedibilità della domanda, è in ogni caso comportamento valutabile  nel merito della causa. Viene infine fissata un’udienza alla quale in caso di accordo le parti potranno anche non comparire; viceversa, in caso di mancato accordo, potranno, volendo, in quella sede fissare a verbale quali siano state le loro posizioni al riguardo (relativamente alla sola proposta del giudice), anche al fine di consentire l’eventuale valutazione giudiziale della condotta processuale delle parti ai sensi degli artt. 91 e 96 III° cpc
Con tale premessa, il Giudice formulava la seguente proposta: PROPOSTA FORMULATA DAL GIUDICE AI SENSI DELL’ART. 185 BIS C.P.C. Il Giudice, letti gli atti del procedimento, ritenutolo opportuno, considerato che in materia di responsabilità contrattuale è pacifico e notorio il quadro probatorio in ordine al quale, una volta che siano state provate (anche a mezzo di confessione del debitore) l'esistenza del contratto da parte del creditore, è il debitore che deve provare l'esatto adempimento; ovvero provare, in caso di inadempimento a sé non imputabile, il caso fortuito; visti ed esaminati i certificati (PS, medico specialista) prodotti dall'attrice; considerata ogni altra circostanza del caso; PROPONE il pagamento a favore di V.V. ed a carico di S.A. H. Assicurazioni Compagnia Svizzera d'Assicurazioni della complessiva somma di €.2.500,00 oltre ad €.3.000,00 più accessori per compensi oltre IVA CAP e spese generali.
La proposta non veniva accolta e nel procedimento di mediazione ex art. 5 co. II° decr. lgs 28/2010 disposto dal Giudice, la compagnia di assicurazione, pur costituita in giudizio senza negare la vigenza ed efficacia della polizza contratta con il M., a differenza di quest'ultimo (presente) non si presentava decretando il fallimento del procedimento di mediazione attivato dalla V. [1]

2. L'inadempimento del prestatore d'opera il danno e la sua quantificazione
Trattandosi di inadempimento di una obbligazione contrattuale ed essendo pacifica l'esistenza del rapporto e l'esecuzione della prestazione, incombeva all'artigiano cioé al M. - che al contrario ha ammesso circostanze decisive a suo carico - dimostrare di avere adempiuto esattamente.
Con tale premessa l'accoglimento delle domande della V. deriva dalle seguenti concorrenti circostanze e conclusioni: la difesa del M. è irrilevante ai fini della radicazione della sua responsabilità per colpa, consistita nella inadeguata esecuzione della prestazione richiesta e concordata: il convenuto non nega di averla eseguita (la tintura [2]), non nega la compartecipazione di una sua inserviente e collaboratrice, non nega la permanenza sul viso dell'attrice di tracce di tintura, e l'utilizzo di un prodotto chimico per smacchiarne il viso; le circostanze dirimenti (predisposizione, utilizzo del casco..) addotte dal M., sono illazioni del tutto fantasiose e prive di pertinenza e concretezza:  la consulenza tecnica disposta dal Giudice ha confermato, con adeguata e condivisibile motivazione, il nesso causale fra la condotta del M. (che risponde anche di quella della sua collaboratrice) improntata a incompetenza, l'evento, e le successive conseguenze dannose (ampiamente comprovate anche dalla documentazione versata in atti dall'attrice, in particolare le fotografie, il referto del Pronto Soccorso ed il referto specialistico); l'evidenza della incongrua manipolazione troppo energica da parte della collaboratrice del M. che ha strofinato con irragionevole veemenza la pelle della cliente, danno dimostrazione di incompetenza; la mancata partecipazione dell'Assicurazione, che ha svolto una difesa improntata alla contestazione del merito della controversia, alla mediazione demandata dal Giudice (art. 116 cpc in relazione all'art.8 decr. lgsl.28/2010) [3].
Al fine di quantificare il danno, preso atto delle risultanze della consulenza di ufficio, immune da errori o vizi tecnico-logico-giuridici e condivisbile,  il Giudice, peritus peritorum, ritiene sussistente un danno permanente nella misura dell'1% e temporaneo assoluto di gg.10, da risarcire secondo le tabelle per il calcolo del danno biologico in uso presso il Tribunale di Roma; ristoro, viste le circostanze tutte, allogato nel range medio, e incrementato per lo stress e la sofferenza (danno morale, si è trattato di lesioni, quindi di reato colposo), per la giusta personalizzazione del ristoro dei danni subiti dalla V.
Va considerato infatti che la dislocazione dei danni è particolarmente importante in questo caso perché è sul viso (come rammostrano le foto)  e sul viso di una donna, che è naturalmente più attenta rispetto ad un uomo alla bella e curata presenza conservazione e presentazione dello stesso. E subisce, per il correlativo danno, uno stress ed una preoccupazione ben maggiore.
Nel caso di specie inoltre le conseguenze dell'azione imperita del M. (e della sua collaboratrice) si sono protratte, sia pure con disagi (non poter prendere il sole), decrescenti, per molti mesi, ed anche di ciò occorre tenere conto.
Il tutto, considerata devalutazione, rivalutazione ed interessi (secondo i noti principi enunciati dalla S.C. del 17.2.1995 n. 1712), per la somma totale di €. 3.500,00.
Al pagamento di tale somma va condannata la srl G. alla quale vanno ricondotte le complessive attività organizzative fra le quali l'apprestamento dei prodotti (fra i quali lo smacchiatore chimico), l'attività del M. e l'incongrua attività della di lui collaboratrice che contribuiva in rilevante misura a causare il danno al viso della V.
L'assicurazione H. Assicurazioni Compagnia S. di Assicurazioni S.A. è tenuta a manlevare integralmente la srl G. di quanto questa onerata in seguito alla condanna.
Le spese (che vengono regolate secondo le previsioni – orientative per il giudice che tiene conto di ogni utile circostanza per adeguare nel modo migliore la liquidazione al caso concreto-  della l.24.3.2012 n.27 e del D.M. Ministero Giustizia 10.3.2014 n.55) seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo a favore dell'attrice; mentre ovvie ragioni (il M. con la sua personale condotta ha causato danni alla V.) impongono la compensazione delle spese fra l'attrice e A.M.

3. La condanna per responsabilità aggravata.
L'art. 96 dispone che: I se risulta che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, il giudice, su istanza dell'altra parte, la condanna, oltre che alle spese, al risarcimento dei danni, che liquida, anche di ufficio, nella sentenza. II Il giudice che accerta l'inesistenza del diritto per cui è stato eseguito un provvedimento cautelare, o trascritta domanda giudiziaria, o iscritta ipoteca giudiziale, oppure iniziata o compiuta l'esecuzione forzata, su istanza della parte danneggiata condanna al risarcimento dei danni l'attore o il creditore procedente, che ha agito senza la normale prudenza. La liquidazione dei danni è fatta a norma del comma precedente. E per quel che qui interessa: III In ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata.
La norma del terzo comma introdotta dalla l.18.6.2009 n.69 ed entrata in vigore dal 4.7.2009 ha cambiato completamente il quadro previgente con alcune importanti novità: in primo luogo non è più necessario allegare e dimostrare l’esistenza di un danno che abbia tutti i connotati giuridici per essere ammesso a risarcimento essendo semplicemente previsto che il giudice condanna la parte soccombente al pagamento di un somma di denaro; non si tratta di un risarcimento ma di un indennizzo (se si pensa alla parte a cui favore viene concesso) e di una punizione (per aver appesantito inutilmente il corso della Giustizia, se si ha riguardo allo Stato), di cui viene gravata la parte che ha agito con imprudenza, colpa o dolo; l’ammontare della somma è lasciata alla discrezionalità del giudice che ha come unico parametro di legge l’equità per il che non si potrà che avere riguardo, da parte del giudice, a tutte le circostanze del caso per determinare in modo adeguato la somma attribuita alla parte vittoriosa; a differenza delle ipotesi classiche (primo e secondo comma) il giudice provvede ad applicare quella che si presenta né più né meno che come una sanzione d’ufficio a carico della parte soccombente e non (necessariamente) su richiesta di parte; infine, la possibilità di attivazione della norma non è necessariamente correlata alla sussistenza delle fattispecie del primo e secondo comma.
Come rivela in modo inequivoco la locuzione in ogni caso la condanna di cui al terzo comma può essere emessa sia nelle situazioni di cui ai primi due commi dell’art. 96 e sia in ogni altro caso. E quindi in tutti i casi in cui tale condanna, anche al di fuori dei primi due commi, appaia ragionevole. Benché non sia richiesto espressamente dalla norma, si ritiene dalla giurisprudenza necessario anche il requisito della gravità della colpa.
Nel caso di specie è indubbia la sussistenza della gravità della colpa (se non del dolo, inteso come volontaria e consapevole volontà  di disattendere l'ordine del Giudice) della H. Assicurazioni che non ha aderito alla convocazione in mediazione senza fornire, per quanto risulta, alcuna spiegazione o ragione (senza nulla comunicare - neanche a mero livello di usuale bon ton -  al mediatore dell'Organismo compulsato dall'attrice, cfr. verbale del 8.6.2015 dell'Organismo Omissis di Roma; né a verbale dell'udienza di verifica del 3.12.2015).
La giurisprudenza richiede la sussistenza del dolo o della colpa grave poiché non è ragionevole che possa essere sanzionata la semplice soccombenza, che è un fatto fisiologico alla contesa giudiziale, ed è necessario che esista qualcosa di più rispetto ad essa, esattamente come nel caso di specie.
Che il mancato rispetto dell'ordine impartito dal Giudice ai sensi dell'art. 5 co.II° della legge integri colpa grave (se non dolo) è ampiamente motivato e confermato dalla giurisprudenza, che si richiama in nota [4]  
L’ammontare della somma deve essere rapportato: allo stato soggettivo del responsabile, perché il dolo e la cosciente volontarietà della condotta censurabile ex art. 96 co.III° (come in questo caso) è più grave della colpa; alla necessità che in relazione al soggetto responsabile, ed in particolare alla sua (elevata in questo caso) forza e capacità patrimoniale, la condanna ex art.96 co III° cpc costituisca un efficace deterrente ed una sanzione significativa ed avvertibile.
Nel caso di specie, pertanto, si reputa giusto ed equo condannare l'assicurazione al pagamento della somma di €.10.000,00=.

La sentenza è per legge esecutiva.

PQM

Definitivamente pronunziando, ogni contraria domanda eccezione e deduzione respinta, così provvede: dichiara l'inadempimento e la responsabilità della srl G. Unipersonale, rigettando le domande nei confronti di A.M. in proprio; condanna la srl G.U.al risarcimento dei danni liquidati in favore di V.V.  nella somma di €. 3.500,00 (  oltre interessi legali dalla data della sentenza al saldo); condanna la srl G.U.al pagamento delle spese di causa che liquida in favore dell'attrice per compensi in complessivi €.4.000,00  oltre IVA, CAP e spese generali; oltre alle  spese della consulenza di ufficio in solido con la H.; condanna la H. Assicurazioni Compagnia S. di Assicurazioni S.A al pagamento delle spese di causa che liquida in favore dell'attrice per compensi in complessivi €.4.000,00  oltre IVA, CAP e spese generali; oltre alle  spese della consulenza di ufficio in solido con la srl G.; condanna la H. Assicurazioni Compagnia S. di Assicurazioni S.A. a manlevare la srl G. da ogni esborso conseguente alla sentenza; condanna la H. Assicurazioni Compagnia S. di Assicurazioni S.A. ai sensi dell'art.96 co.III cpc, al pagamento della somma di €.10.000,00 a favore dell' attrice; condanna ex art. 8 co.4 bis decr.lgsl 28/10, la H. Assicurazioni Compagnia S. di Assicurazioni S.A. al pagamento in favore dell'Erario di una somma pari al contributo unificato dovuto per il giudizio; sentenza esecutiva.

Roma lì 29.5.2017                                           
Il Giudice
dott. cons. Massimo Moriconi

[1] è evidente - e non richiede spiegazione tanto ne è ovvia la ragione - che non era possibile per il Monti addivenire, neppure volendolo, ad un accordo separato con la V. senza la presenza  partecipazione ed adesione della sua assicurazione.
[2] ma dalle foto si evince che venivano invece coinvolte, come assunto dall'attrice, anche le sopracciglia.
[3] La mancata partecipazione al procedimento di mediazione (obbligatoria o demandata), senza che ricorra una valida giustificazione costituisce  condotta grave perché idonea a determinare la introduzione o l'incrostazione di una procedura giudiziale (evitabile) in un contesto giudiziario, quello italiano, saturo nei numeri e smisuratamente dilatato nella durata dei giudizi.
Quanto alla possibilità di valorizzare, nel processo, come argomento di prova a sfavore di una parte determinate condotte della stessa (nella specie la mancata comparizione in mediazione, senza giustificato motivo, della parte convocata) si confrontano nella giurisprudenza due diverse opinioni.
Secondo una prima tesi la decisione del giudice non può essere fondata esclusivamente sull'art. 116 c.p.c., cioè su circostanze alle quali la legge non assegna il valore di piena prova, potendo tali circostanze valere in funzione integrativa e rafforzativa di altre acquisizioni probatorie.
Secondo altra opinione non vi è alcun divieto nella legge affinché il giudice possa fondare solo su tali circostanze la sua decisione, valendo come unico limite quello di una coerenza e logica motivazionale in relazione al caso concreto.
È espressione della prima teoria l'insegnamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui “la norma dettata dall'art. 116 comma 2 c.p.c., nell'abilitare il giudice a desumere argomenti di prova dalle risposte date dalle parti nell'interrogatorio non formale, dal loro rifiuto ingiustificato a consentire le ispezioni da esso ordinate e, in generale, dal contegno delle parti stesse nel processo, non istituisce un nesso di conseguenzialità necessaria tra eventuali omissioni e soccombenza della parte ritenuta negligente, ma si limita a stabilire che dal comportamento della parte il giudice possa trarre ‘argomenti di prova’, e non basare in via esclusiva la decisione, che va comunque adottata e motivata tenendo conto di tutte le altre risultanze” (fra le tante Cassazione civile, sez. trib., 17/01/2002, n. 443).
La norma in questione merita senz'altro una maggiore utilizzazione anche se a differenza di altri casi in cui da una determinata circostanza è consentito ritenere provato tout court il fatto a carico della parte che tale circostanza subisce, in questo caso la legge prevede che il giudice possa utilizzarla per trarre dalle circostanze valorizzate “argomenti di prova”.

La norma dell’art.116 c.p.c. viene richiamata dal legislatore della mediazione (art.8 decr. lgs. cit.) nell'ambito della ricerca ed elaborazione di una serie di incentivi e deterrenti volti a indurre le parti, con la previsione di vantaggi per chi partecipa alla mediazione e di svantaggi per chi al contrario la rifugge, a comparire in sede di mediazione al fine di pervenire a un accordo amichevole che prevenga o ponga fine alle liti. Ciò sul presupposto che le statistiche ufficiali dimostrano incoraggianti percentuali di successo in presenza della comparizione della parte convocata. Ne consegue che, tali essendo le finalità del richiamo dell'art.116 c.p.c nel decr. lgsl. 28/10, equivarrebbe a tradire l'intento del legislatore, svalutare la portata di tale norma considerandola una mera e quasi irrilevante appendice nel corredo dei mezzi probatori istituiti dall’ ordinamento giuridico.
Va considerato che nell'attuale situazione, affetta da una endemica ed apparentemente insuperabile crisi nei tempi di risposta alla domanda di giustizia, causata dalla imponente mole di cause iscritte nei tribunali e delle corti; e  viste le sempre più gravi conseguenze sociali, economiche e di immagine anche internazionale, derivanti dal ritardo nella definizione dei processi,  sia necessario rivalutare, senza forzature ma con fermezza, ciò che è previsto da  una norma (l'art.116 cpc) tuttora vigente ma un pò desueta.
È necessario tuttavia fissare delle regole precise al riguardo.
Deve essere ben chiaro in primo luogo che giammai la mancata comparizione in sede di mediazione potrà costituire argomento per corroborare o indebolire una tesi giuridica, che dovrà sempre essere risolta esclusivamente in punto di diritto.
A favore o contro la parte non comparsa in mediazione.
Ed infatti lo strumento offerto dall’art. 116 c.p.c. attiene ai mezzi che il giudice valuta, nell'ambito delle prove libere (vale a dire dove si esplica il principio del libero convincimento del giudice precluso in presenza di prova legale ) ai fini dell'accertamento del fatto.
L'argomento di prova appartiene all'ampio armamentario degli strumenti utilizzati dal giudice in un ambito in cui non opera la prova diretta, vale a dire quella dove si ha a disposizione un fatto dal quale si può fondare direttamente il convincimento.
Nel processo di inferenza dal fatto al convincimento l’argomento di prova ha la stessa potenzialità probatoria indiretta degli indizi. E come le presunzioni semplici ha come stella polare il criterio della prudenza (art. 2729 c.c.) che deve illuminarne l'utilizzo da parte del giudice.
Ciò detto si ritiene di poter affermare che la mancata comparizione della parte regolarmente convocata, come nel caso in esame, davanti al mediatore costituisce di regola elemento integrativo e non decisivo a favore della parte chiamante, per l'accertamento e la prova di fatti a carico della parte chiamata non comparsa.
Con ciò non si intende svalorizzare quella giurisprudenza della Suprema Corte che ha ritenuto che l'effetto previsto dall’art. 116 c.p.c. può - secondo le circostanze - anche costituire unica e sufficiente fonte di prova (Cassazione civile, sez. III, 16/07/2002, n. 10268, che così si esprime: Quanto a questa ultima norma –art. 116 c.p.c. n.d.r.-  in particolare, essa attribuisce certo al giudice il potere di trarre argomento di prova dal comportamento processuale delle parti - e però, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, ciò non significa solo che il comportamento processuale della parte può orientare la valutazione del risultato di altri procedimenti probatori, ma anche che esso può da solo somministrare la prova dei fatti, Cass. 6 luglio 1998 n. 6568; 1 aprile 1995 n. 3822; 5 gennaio 1995 n. 193; 14 settembre 1993 n. 9514; 13 luglio 1991 n. 7800; 25 giugno 1985 n. 3800).
Ritiene infatti il giudice che secondo le circostanze del caso concreto gli argomenti di prova che possono essere desunti dalla mancata comparizione della parte chiamata in mediazione ed a carico della stessa nella causa alla quale la mediazione, obbligatoria o demandata, pertiene, possano costituire integrazione di prove già acquisite, ovvero anche unica e sufficiente fonte di prova.
Alla luce di quanto precede, si ritiene che la radicale evidente assenza di un giustificato motivo alla mancata partecipazione dell'Assicurazione alla mediazione demandata dal giudice, in forza del combinato disposto degli artt. 8 co.IV° bis del decr. lgsl. 28/2010 e art. 116 c.p.c., concorra a ritenere raggiunta la piena prova dell'inadempimento dell'assicurato che ha posto in essere una prestazione errata e dannosa
[4] Roma Capitale condannata a € 8.000 ex art. 96 III co. c.p.c.

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.

NEWSLETTER MENSILE SULLA MEDIAZIONE