=> Tribunale di Roma, 29 maggio 2017
In tema di mediazione demandata, il mancato rispetto
dell'ordine impartito dal Giudice ai sensi dell'art.
5, comma 2, d.lgs. 28/2010 integra colpa grave e può fondare la condanna
per responsabilità aggravata ai sensi dell’art. 96, comma 3 c.p.c. (I) (II)
(III).
(I) Per la
versione aggiornata del d.lgs. 28/2010 si veda: D.lgs. 4 marzo 2010 n. 28 aggiornato
al d.l. 50/2017 conv. con mod. in l. 96/2017 - manovra correttiva 2017
(Osservatorio Mediazione Civile n. 46/2017). Per approfondimenti si veda SPINA, CODICE OPERATIVO DEI NUOVI ADR,
Pacini ed., Pisa, 2016 (Osservatorio Mediazione Civile n. 64/2016).
(II) Sull’art.
96 c.p.c. si veda Codice
di Procedura Civile, in La Nuova
Procedura Civile, 2017.
(III) Per
approfondimenti si veda SPINA,
Mediazione:
mancata partecipazione valutabile ai fini della decisione di merito, Altalex, 2017.
Fonte: Osservatorio
Mediazione Civile n. 51/2017
Tribunale di Roma
Sezione tredicesima
Sentenza
29 maggio 2017
Omissis
1. I fatti posti a base della domanda
dell'attrice - La proposta del Giudice ex art.185 bis e la mediazione demandata
ex art. 5 co.II° decr.lgsl.28/2010
La domanda
dell’attrice risulta fondata nell'an, e nei limiti (del quantum debeatur) di
seguito indicati.
V.V. esponeva di
essersi sottoposta il 15.6.2012 a trattamento estetico di tintura dei capelli e
delle sopracciglia, shampoo e messa in piega dei capelli presso l'esercizio
commerciale sito in Roma via Monte Santo n.5, il tutto ad opera del titolare
A.M., parrucchiere.
Lamentava che erano
state lasciate durante il trattamento dosi di tintura su parti del viso quali
la fronte, la guancia destra e la parte inferiore dell'arcata sopraccigliare
destra e sinistra.
Nonostante avesse
chiesto che fossero prontamente rimosse venivano lasciate in sede per circa
trenta minuti perché il M. la rassicurava circa il fatto che il prodotto
sarebbe scomparso alla fine del trattamento senza conseguenze e lasciti
Il prodotto per
rimuovere le macchie della tintura veniva applicato da un inserviente alla fine
del trattamento, e poiché le macchie non andavano via il M. lo sollecitava a strofinare
con maggior energia. Con la conseguenza che si verificava una generale
arrossamento delle parti del viso trattate.
Nelle ore e giorni
successivi (16 e 17 giugno) la situazione peggiorava con vere e proprie
escoriazioni. La V. si recava quindi presso il P.S. (18 giugno) dove venivano
accertate irritazioni ed escoriazioni. La successiva visita dermatologica
accertava la presenza di lesioni erosive e ulcerative e vescicolatorie
accompagnate da edema sottostante ed eritema diffuso a gran parte del volto
(doc.5)
Si doveva quindi
sottoporre a terapia antibiotica antistaminica con applicazione di pomate e
divieto temporaneo di esporsi al sole, protratto prudenzialmente per i mesi
successivi.
Richiedeva i danni
(€.5.100,00) al M. che costituendosi ed opponendosi alle domande dell'attrice,
precisava fra l'altro di avere effettuato solo la tintura dei capelli con
shampoo e messa in piega e non anche la tintura delle sopracciglia.
La compagnia di
assicurazione si costituiva difendendosi nel merito del lamentato inadempimento
dell'artigiano.
Il Giudice con
ordinanza del 12.2.2015 così provvedeva: Riservato all'esito di quanto segue la
decisione sulla ammissione di mezzi istruttori ulteriori a quelli documentali. Si
ritiene quindi che in relazione a quanto emerso allo stato degli atti (ed in
particolare dalle dichiarazioni di A.M. in relazione ai fatti esposti da V.V.)
le parti ben potrebbero pervenire ad un accordo conciliativo. Infatti,
considerati i gravosi ruoli dei giudici ed i tempi computati in anni per le
decisioni delle cause, una tale soluzione, che va assunta in un’ottica non di
preconcetto antagonismo giudiziario, ma di reciproca rispettosa considerazione
e valutazione dei reali interessi di ciascuna delle parti, non potrebbe che
essere vantaggiosa per tutte. Invero la controversia non ha fatto emergere
questioni di diritto complesse, e dubbi tali da richiedere approfondite analisi
e difficili interpretazioni dei testi normativi. Lo si dice in quanto la
condizione postulata dall’art. 185 bis (come introdotto dall’art.77 del
d.l.21.6.2013 n.69 conv.nella l.9.8.2013 n.98) della esistenza di questioni di
facile e pronta soluzione di diritto, trova il suo fondamento logico
nell’evidente dato comune che è meno arduo pervenire ad un accordo conciliativo
o transattivo se il quadro normativo dentro il quale si muovono le richieste,
le pretese e le articolazioni argomentative delle parti sia fin dall’inizio
sufficientemente stabile, chiaro e in quanto tale prevedibile nell’esito
applicativo che il giudice ne dovrà fare. Anche la natura ed il valore della
controversia in un’accezione rapportata ai soggetti in causa, sono idonei a
propiziare la formulazione di una proposta da parte del giudice ai sensi della
norma citata. In particolare si formula la proposta in calce sviluppata, che è
parte integrante di questa ordinanza. Benché la legge non preveda che la
proposta formulata dal giudice ai sensi dell’art.185 bis cpc debba essere
motivata (le motivazioni dei provvedimenti sono funzionali alla loro
impugnazione, e la proposta ovviamente non lo è, non avendo natura decisionale);
tuttavia si indicano alcune fondamentali direttrici che potrebbero orientare le
parti nella riflessione sul contenuto della proposta e nella opportunità e
convenienza di farla propria, ovvero di svilupparla autonomamente. Sotto tale
ultimo profilo, vale a dire la possibilità che le parti, assistite dai
rispettivi difensori, possano trarre utilità dall’ausilio, nella ricerca di un
accordo, ed anche alla luce della proposta del giudice, di un mediatore
professionale di un organismo che dia garanzie di professionalità e di serietà,
è possibile prevedere, anche all’interno dello stesso provvedimento che
contiene la proposta del giudice, un successivo percorso di mediazione
demandata dal magistrato. Alle parti si assegna termine fino alla data del
30.3.2015 per il raggiungimento di un accordo amichevole sulla base di tale
proposta. Dalla eventuale infruttuosa scadenza del suddetto termine, decorrerà
quello ulteriore di gg.15 per depositare
presso un organismo di mediazione, a scelta delle parti congiuntamente o
di quella che per prima vi proceda, la domanda di cui al secondo comma
dell’art.5 del decr.legisl.4.3.2010 n.28; con il vantaggio di poter pervenire
rapidamente ad una conclusione, per tutte le parti vantaggiosa, anche da punto
di vista economico e fiscale (cfr. art.17 e 20 del decr.legisl.4.3.2010 n.28),
della controversia in atto. Si sottolinea ulteriormente che la proposta del
giudice è permeata in questa fase da un contenuto di equità. Ritenuto di
avvertire che ai sensi e per l'effetto del secondo comma dell'art.5
decr.lgsl.28/'10 come modificato dal D.L.69/'13 è richiesta l'effettiva
partecipazione al procedimento di mediazione demandata, laddove per effettiva
si richiede che le parti non si fermino alla sessione informativa e che oltre
agli avvocati difensori siano presenti le parti personalmente; e che la mancata
partecipazione (ovvero l'irrituale partecipazione) senza giustificato motivo al
procedimento di mediazione demandata dal giudice oltre a poter attingere,
secondo una sempre più diffusa interpretazione giurisprudenziale, alla stessa
procedibilità della domanda, è in ogni caso comportamento valutabile nel merito della causa. Viene infine fissata
un’udienza alla quale in caso di accordo le parti potranno anche non comparire;
viceversa, in caso di mancato accordo, potranno, volendo, in quella sede
fissare a verbale quali siano state le loro posizioni al riguardo
(relativamente alla sola proposta del giudice), anche al fine di consentire
l’eventuale valutazione giudiziale della condotta processuale delle parti ai
sensi degli artt. 91 e 96 III° cpc
Con tale premessa,
il Giudice formulava la seguente proposta: PROPOSTA FORMULATA DAL GIUDICE AI
SENSI DELL’ART. 185 BIS C.P.C. Il Giudice, letti gli atti del procedimento, ritenutolo
opportuno, considerato che in materia di responsabilità contrattuale è pacifico
e notorio il quadro probatorio in ordine al quale, una volta che siano state
provate (anche a mezzo di confessione del debitore) l'esistenza del contratto
da parte del creditore, è il debitore che deve provare l'esatto adempimento;
ovvero provare, in caso di inadempimento a sé non imputabile, il caso fortuito;
visti ed esaminati i certificati (PS, medico specialista) prodotti
dall'attrice; considerata ogni altra circostanza del caso; PROPONE il pagamento
a favore di V.V. ed a carico di S.A. H. Assicurazioni Compagnia Svizzera
d'Assicurazioni della complessiva somma di €.2.500,00 oltre ad €.3.000,00 più
accessori per compensi oltre IVA CAP e spese generali.
La proposta non
veniva accolta e nel procedimento di mediazione ex art. 5 co. II° decr. lgs
28/2010 disposto dal Giudice, la compagnia di assicurazione, pur costituita in
giudizio senza negare la vigenza ed efficacia della polizza contratta con il
M., a differenza di quest'ultimo (presente) non si presentava decretando il
fallimento del procedimento di mediazione attivato dalla V. [1]
2. L'inadempimento
del prestatore d'opera il danno e la sua quantificazione
Trattandosi di
inadempimento di una obbligazione contrattuale ed essendo pacifica l'esistenza
del rapporto e l'esecuzione della prestazione, incombeva all'artigiano cioé al
M. - che al contrario ha ammesso circostanze decisive a suo carico - dimostrare
di avere adempiuto esattamente.
Con tale premessa
l'accoglimento delle domande della V. deriva dalle seguenti concorrenti
circostanze e conclusioni: la difesa del M. è irrilevante ai fini della
radicazione della sua responsabilità per colpa, consistita nella inadeguata
esecuzione della prestazione richiesta e concordata: il convenuto non nega di
averla eseguita (la tintura [2]), non nega la compartecipazione di una sua
inserviente e collaboratrice, non nega la permanenza sul viso dell'attrice di
tracce di tintura, e l'utilizzo di un prodotto chimico per smacchiarne il viso;
le circostanze dirimenti (predisposizione, utilizzo del casco..) addotte dal
M., sono illazioni del tutto fantasiose e prive di pertinenza e
concretezza: la consulenza tecnica
disposta dal Giudice ha confermato, con adeguata e condivisibile motivazione,
il nesso causale fra la condotta del M. (che risponde anche di quella della sua
collaboratrice) improntata a incompetenza, l'evento, e le successive
conseguenze dannose (ampiamente comprovate anche dalla documentazione versata
in atti dall'attrice, in particolare le fotografie, il referto del Pronto
Soccorso ed il referto specialistico); l'evidenza della incongrua manipolazione
troppo energica da parte della collaboratrice del M. che ha strofinato con
irragionevole veemenza la pelle della cliente, danno dimostrazione di
incompetenza; la mancata partecipazione dell'Assicurazione, che ha svolto una
difesa improntata alla contestazione del merito della controversia, alla
mediazione demandata dal Giudice (art. 116 cpc in relazione all'art.8 decr.
lgsl.28/2010) [3].
Al fine di
quantificare il danno, preso atto delle risultanze della consulenza di ufficio,
immune da errori o vizi tecnico-logico-giuridici e condivisbile, il Giudice, peritus peritorum, ritiene
sussistente un danno permanente nella misura dell'1% e temporaneo assoluto di
gg.10, da risarcire secondo le tabelle per il calcolo del danno biologico in
uso presso il Tribunale di Roma; ristoro, viste le circostanze tutte, allogato
nel range medio, e incrementato per lo stress e la sofferenza (danno morale, si
è trattato di lesioni, quindi di reato colposo), per la giusta
personalizzazione del ristoro dei danni subiti dalla V.
Va considerato
infatti che la dislocazione dei danni è particolarmente importante in questo
caso perché è sul viso (come rammostrano le foto) e sul viso di una donna, che è naturalmente
più attenta rispetto ad un uomo alla bella e curata presenza conservazione e
presentazione dello stesso. E subisce, per il correlativo danno, uno stress ed
una preoccupazione ben maggiore.
Nel caso di specie
inoltre le conseguenze dell'azione imperita del M. (e della sua collaboratrice)
si sono protratte, sia pure con disagi (non poter prendere il sole),
decrescenti, per molti mesi, ed anche di ciò occorre tenere conto.
Il tutto, considerata
devalutazione, rivalutazione ed interessi (secondo i noti principi enunciati
dalla S.C. del 17.2.1995 n. 1712), per la somma totale di €. 3.500,00.
Al pagamento di
tale somma va condannata la srl G. alla quale vanno ricondotte le complessive
attività organizzative fra le quali l'apprestamento dei prodotti (fra i quali
lo smacchiatore chimico), l'attività del M. e l'incongrua attività della di lui
collaboratrice che contribuiva in rilevante misura a causare il danno al viso
della V.
L'assicurazione H.
Assicurazioni Compagnia S. di Assicurazioni S.A. è tenuta a manlevare
integralmente la srl G. di quanto questa onerata in seguito alla condanna.
Le spese (che
vengono regolate secondo le previsioni – orientative per il giudice che tiene
conto di ogni utile circostanza per adeguare nel modo migliore la liquidazione
al caso concreto- della l.24.3.2012 n.27
e del D.M. Ministero Giustizia 10.3.2014 n.55) seguono la soccombenza e vengono
liquidate come in dispositivo a favore dell'attrice; mentre ovvie ragioni (il
M. con la sua personale condotta ha causato danni alla V.) impongono la
compensazione delle spese fra l'attrice e A.M.
3. La condanna per
responsabilità aggravata.
L'art. 96 dispone
che: I se risulta che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con
mala fede o colpa grave, il giudice, su istanza dell'altra parte, la condanna,
oltre che alle spese, al risarcimento dei danni, che liquida, anche di ufficio,
nella sentenza. II Il giudice che accerta l'inesistenza del diritto per cui è
stato eseguito un provvedimento cautelare, o trascritta domanda giudiziaria, o
iscritta ipoteca giudiziale, oppure iniziata o compiuta l'esecuzione forzata,
su istanza della parte danneggiata condanna al risarcimento dei danni l'attore
o il creditore procedente, che ha agito senza la normale prudenza. La
liquidazione dei danni è fatta a norma del comma precedente. E per quel che qui
interessa: III In ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi
dell’articolo 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte
soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma
equitativamente determinata.
La norma del terzo
comma introdotta dalla l.18.6.2009 n.69 ed entrata in vigore dal 4.7.2009 ha
cambiato completamente il quadro previgente con alcune importanti novità: in
primo luogo non è più necessario allegare e dimostrare l’esistenza di un danno
che abbia tutti i connotati giuridici per essere ammesso a risarcimento essendo
semplicemente previsto che il giudice condanna la parte soccombente al
pagamento di un somma di denaro; non si tratta di un risarcimento ma di un
indennizzo (se si pensa alla parte a cui favore viene concesso) e di una
punizione (per aver appesantito inutilmente il corso della Giustizia, se si ha
riguardo allo Stato), di cui viene gravata la parte che ha agito con
imprudenza, colpa o dolo; l’ammontare della somma è lasciata alla
discrezionalità del giudice che ha come unico parametro di legge l’equità per
il che non si potrà che avere riguardo, da parte del giudice, a tutte le
circostanze del caso per determinare in modo adeguato la somma attribuita alla
parte vittoriosa; a differenza delle ipotesi classiche (primo e secondo comma)
il giudice provvede ad applicare quella che si presenta né più né meno che come
una sanzione d’ufficio a carico della parte soccombente e non (necessariamente)
su richiesta di parte; infine, la possibilità di attivazione della norma non è
necessariamente correlata alla sussistenza delle fattispecie del primo e
secondo comma.
Come rivela in modo
inequivoco la locuzione in ogni caso la condanna di cui al terzo comma può
essere emessa sia nelle situazioni di cui ai primi due commi dell’art. 96 e sia
in ogni altro caso. E quindi in tutti i casi in cui tale condanna, anche al di
fuori dei primi due commi, appaia ragionevole. Benché non sia richiesto
espressamente dalla norma, si ritiene dalla giurisprudenza necessario anche il
requisito della gravità della colpa.
Nel caso di specie
è indubbia la sussistenza della gravità della colpa (se non del dolo, inteso
come volontaria e consapevole volontà di
disattendere l'ordine del Giudice) della H. Assicurazioni che non ha aderito
alla convocazione in mediazione senza fornire, per quanto risulta, alcuna
spiegazione o ragione (senza nulla comunicare - neanche a mero livello di
usuale bon ton - al mediatore dell'Organismo
compulsato dall'attrice, cfr. verbale del 8.6.2015 dell'Organismo Omissis di Roma; né a verbale
dell'udienza di verifica del 3.12.2015).
La giurisprudenza
richiede la sussistenza del dolo o della colpa grave poiché non è ragionevole
che possa essere sanzionata la semplice soccombenza, che è un fatto fisiologico
alla contesa giudiziale, ed è necessario che esista qualcosa di più rispetto ad
essa, esattamente come nel caso di specie.
Che il mancato
rispetto dell'ordine impartito dal Giudice ai sensi dell'art. 5 co.II° della
legge integri colpa grave (se non dolo) è ampiamente motivato e confermato
dalla giurisprudenza, che si richiama in nota [4]
L’ammontare della
somma deve essere rapportato: allo stato soggettivo del responsabile, perché il
dolo e la cosciente volontarietà della condotta censurabile ex art. 96 co.III°
(come in questo caso) è più grave della colpa; alla necessità che in relazione
al soggetto responsabile, ed in particolare alla sua (elevata in questo caso)
forza e capacità patrimoniale, la condanna ex art.96 co III° cpc costituisca un
efficace deterrente ed una sanzione significativa ed avvertibile.
Nel caso di specie,
pertanto, si reputa giusto ed equo condannare l'assicurazione al pagamento
della somma di €.10.000,00=.
La sentenza è per
legge esecutiva.
PQM
Definitivamente
pronunziando, ogni contraria domanda eccezione e deduzione respinta, così
provvede: dichiara l'inadempimento e la responsabilità della srl G.
Unipersonale, rigettando le domande nei confronti di A.M. in proprio; condanna la
srl G.U.al risarcimento dei danni liquidati in favore di V.V. nella somma di €. 3.500,00 ( oltre interessi legali dalla data della
sentenza al saldo); condanna la srl G.U.al pagamento delle spese di causa che
liquida in favore dell'attrice per compensi in complessivi €.4.000,00 oltre IVA, CAP e spese generali; oltre
alle spese della consulenza di ufficio
in solido con la H.; condanna la H. Assicurazioni Compagnia S. di Assicurazioni
S.A al pagamento delle spese di causa che liquida in favore dell'attrice per
compensi in complessivi €.4.000,00 oltre
IVA, CAP e spese generali; oltre alle
spese della consulenza di ufficio in solido con la srl G.; condanna la
H. Assicurazioni Compagnia S. di Assicurazioni S.A. a manlevare la srl G. da
ogni esborso conseguente alla sentenza; condanna la H. Assicurazioni Compagnia
S. di Assicurazioni S.A. ai sensi dell'art.96 co.III cpc, al pagamento della
somma di €.10.000,00 a favore dell' attrice; condanna ex art. 8 co.4 bis
decr.lgsl 28/10, la H. Assicurazioni Compagnia S. di Assicurazioni S.A. al
pagamento in favore dell'Erario di una somma pari al contributo unificato
dovuto per il giudizio; sentenza esecutiva.
Roma lì
29.5.2017
Il Giudice
dott. cons. Massimo
Moriconi
[1] è evidente - e
non richiede spiegazione tanto ne è ovvia la ragione - che non era possibile
per il Monti addivenire, neppure volendolo, ad un accordo separato con la V.
senza la presenza partecipazione ed
adesione della sua assicurazione.
[2] ma dalle foto
si evince che venivano invece coinvolte, come assunto dall'attrice, anche le
sopracciglia.
[3] La mancata
partecipazione al procedimento di mediazione (obbligatoria o demandata), senza
che ricorra una valida giustificazione costituisce condotta grave perché idonea a determinare la
introduzione o l'incrostazione di una procedura giudiziale (evitabile) in un
contesto giudiziario, quello italiano, saturo nei numeri e smisuratamente
dilatato nella durata dei giudizi.
Quanto alla
possibilità di valorizzare, nel processo, come argomento di prova a sfavore di
una parte determinate condotte della stessa (nella specie la mancata
comparizione in mediazione, senza giustificato motivo, della parte convocata)
si confrontano nella giurisprudenza due diverse opinioni.
Secondo una prima
tesi la decisione del giudice non può essere fondata esclusivamente sull'art.
116 c.p.c., cioè su circostanze alle quali la legge non assegna il valore di
piena prova, potendo tali circostanze valere in funzione integrativa e
rafforzativa di altre acquisizioni probatorie.
Secondo altra
opinione non vi è alcun divieto nella legge affinché il giudice possa fondare
solo su tali circostanze la sua decisione, valendo come unico limite quello di
una coerenza e logica motivazionale in relazione al caso concreto.
È espressione della
prima teoria l'insegnamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui “la
norma dettata dall'art. 116 comma 2 c.p.c., nell'abilitare il giudice a
desumere argomenti di prova dalle risposte date dalle parti nell'interrogatorio
non formale, dal loro rifiuto ingiustificato a consentire le ispezioni da esso
ordinate e, in generale, dal contegno delle parti stesse nel processo, non
istituisce un nesso di conseguenzialità necessaria tra eventuali omissioni e
soccombenza della parte ritenuta negligente, ma si limita a stabilire che dal
comportamento della parte il giudice possa trarre ‘argomenti di prova’, e non
basare in via esclusiva la decisione, che va comunque adottata e motivata
tenendo conto di tutte le altre risultanze” (fra le tante Cassazione civile,
sez. trib., 17/01/2002, n. 443).
La norma in
questione merita senz'altro una maggiore utilizzazione anche se a differenza di
altri casi in cui da una determinata circostanza è consentito ritenere provato
tout court il fatto a carico della parte che tale circostanza subisce, in
questo caso la legge prevede che il giudice possa utilizzarla per trarre dalle
circostanze valorizzate “argomenti di prova”.
La norma
dell’art.116 c.p.c. viene richiamata dal legislatore della mediazione (art.8
decr. lgs. cit.) nell'ambito della ricerca ed elaborazione di una serie di
incentivi e deterrenti volti a indurre le parti, con la previsione di vantaggi
per chi partecipa alla mediazione e di svantaggi per chi al contrario la
rifugge, a comparire in sede di mediazione al fine di pervenire a un accordo
amichevole che prevenga o ponga fine alle liti. Ciò sul presupposto che le
statistiche ufficiali dimostrano incoraggianti percentuali di successo in
presenza della comparizione della parte convocata. Ne consegue che, tali
essendo le finalità del richiamo dell'art.116 c.p.c nel decr. lgsl. 28/10,
equivarrebbe a tradire l'intento del legislatore, svalutare la portata di tale
norma considerandola una mera e quasi irrilevante appendice nel corredo dei
mezzi probatori istituiti dall’ ordinamento giuridico.
Va considerato che
nell'attuale situazione, affetta da una endemica ed apparentemente insuperabile
crisi nei tempi di risposta alla domanda di giustizia, causata dalla imponente
mole di cause iscritte nei tribunali e delle corti; e viste le sempre più gravi conseguenze
sociali, economiche e di immagine anche internazionale, derivanti dal ritardo
nella definizione dei processi, sia
necessario rivalutare, senza forzature ma con fermezza, ciò che è previsto
da una norma (l'art.116 cpc) tuttora
vigente ma un pò desueta.
È necessario
tuttavia fissare delle regole precise al riguardo.
Deve essere ben
chiaro in primo luogo che giammai la mancata comparizione in sede di mediazione
potrà costituire argomento per corroborare o indebolire una tesi giuridica, che
dovrà sempre essere risolta esclusivamente in punto di diritto.
A favore o contro
la parte non comparsa in mediazione.
Ed infatti lo
strumento offerto dall’art. 116 c.p.c. attiene ai mezzi che il giudice valuta,
nell'ambito delle prove libere (vale a dire dove si esplica il principio del
libero convincimento del giudice precluso in presenza di prova legale ) ai fini
dell'accertamento del fatto.
L'argomento di
prova appartiene all'ampio armamentario degli strumenti utilizzati dal giudice
in un ambito in cui non opera la prova diretta, vale a dire quella dove si ha a
disposizione un fatto dal quale si può fondare direttamente il convincimento.
Nel processo di
inferenza dal fatto al convincimento l’argomento di prova ha la stessa
potenzialità probatoria indiretta degli indizi. E come le presunzioni semplici
ha come stella polare il criterio della prudenza (art. 2729 c.c.) che deve
illuminarne l'utilizzo da parte del giudice.
Ciò detto si
ritiene di poter affermare che la mancata comparizione della parte regolarmente
convocata, come nel caso in esame, davanti al mediatore costituisce di regola
elemento integrativo e non decisivo a favore della parte chiamante, per
l'accertamento e la prova di fatti a carico della parte chiamata non comparsa.
Con ciò non si
intende svalorizzare quella giurisprudenza della Suprema Corte che ha ritenuto
che l'effetto previsto dall’art. 116 c.p.c. può - secondo le circostanze -
anche costituire unica e sufficiente fonte di prova (Cassazione civile, sez.
III, 16/07/2002, n. 10268, che così si esprime: Quanto a questa ultima norma
–art. 116 c.p.c. n.d.r.- in particolare,
essa attribuisce certo al giudice il potere di trarre argomento di prova dal
comportamento processuale delle parti - e però, secondo la costante
giurisprudenza di questa Corte, ciò non significa solo che il comportamento
processuale della parte può orientare la valutazione del risultato di altri
procedimenti probatori, ma anche che esso può da solo somministrare la prova
dei fatti, Cass. 6 luglio 1998 n. 6568; 1 aprile 1995 n. 3822; 5 gennaio 1995
n. 193; 14 settembre 1993 n. 9514; 13 luglio 1991 n. 7800; 25 giugno 1985 n.
3800).
Ritiene infatti il
giudice che secondo le circostanze del caso concreto gli argomenti di prova che
possono essere desunti dalla mancata comparizione della parte chiamata in
mediazione ed a carico della stessa nella causa alla quale la mediazione,
obbligatoria o demandata, pertiene, possano costituire integrazione di prove
già acquisite, ovvero anche unica e sufficiente fonte di prova.
Alla luce di quanto
precede, si ritiene che la radicale evidente assenza di un giustificato motivo
alla mancata partecipazione dell'Assicurazione alla mediazione demandata dal giudice,
in forza del combinato disposto degli artt. 8 co.IV° bis del decr. lgsl.
28/2010 e art. 116 c.p.c., concorra a ritenere raggiunta la piena prova
dell'inadempimento dell'assicurato che ha posto in essere una prestazione
errata e dannosa
[4] Roma Capitale
condannata a € 8.000 ex art. 96 III co. c.p.c.