=> Corte. Cost. 21 giugno 2013, n. 156
Va
dichiarata la manifesta inammissibilità
delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. (1):
- 5,
comma 1, 8, comma 5, 13 e 16 D.lgs. n. 28 del 2010;
- 16
D.M. n. 180 del 2010;
- 372,
commi 2 e 3, c.p.c.;
questioni sollevate, in riferimento
agli artt.:
- 3, 11, 24, 76, 77 e 111 Cost.;
- 6 e 13 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848);
- 47, 52 e 53 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
- 3, 11, 24, 76, 77 e 111 Cost.;
- 6 e 13 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848);
- 47, 52 e 53 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
Giudizi
di legittimità costituzionale promossi dal:
- Giudice di pace di Parma con ordinanza del 24 novembre 2011;
- Tribunale amministrativo regionale per il Lazio con ordinanza del 2 maggio 2012;
- Tribunale di Firenze con ordinanza dell’11 maggio 2012;
- Tribunale di Latina con ordinanze del 19 aprile, del 6, del 19, dell’8, del 6 e del 21 giugno 2012;
- Tribunale di Tivoli con ordinanze del 27 giugno, del 30 e del 2 maggio 2012.
La
Corte Costituzionale osserva in particolare che:
- con sentenza n. 272 del 2012, successiva alla pronuncia delle ordinanze di rimessione, la Corte Costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 28 del 2010 (2);
- di conseguenza, “la questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 28 del 2010 è divenuta priva di oggetto e va, quindi, dichiarata manifestamente inammissibile nei diversi profili prospettati con le ordinanze di rimessione”;
- pertanto, “deve ritenersi manifestamente inammissibile anche la questione sollevata in ordine all’art. 16 del d.lgs. n. 28 del 2010, perché le censure di illegittimità proposte in relazione ai requisiti di «serietà ed efficienza» degli organismi abilitati a gestire il procedimento di mediazione sono state formulate con riferimento all’istituto della mediazione costruito quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale e, quindi, con riguardo alla mediazione obbligatoria, sull’assunto della «necessità che l’interpretazione dell’art. 16 del d.lgs. 28/2010 […] sia correlata con quanto previsto dall’art. 5 dello stesso decreto […], il cui combinato disposto costituisce il vero perno della regolazione delegata» (ordinanza TAR Lazio, pag. 27)”: pertanto, “una volta dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 28 del 2010, sarebbe stata necessaria un’apposita motivazione, idonea a censurare l’art. 16 del detto d.lgs. anche in regime di mediazione facoltativa” (motivazione che invece è mancata);
- dunque, le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 5, comma 1, 8, comma 5, e 13 del d.lgs. n. 28 del 2010 sono divenute prive di oggetto e vanno quindi dichiarate manifestamente inammissibili;
- la “questione di legittimità costituzionale, concernente l’art. 16 del d.m. n. 180 del 2010, deve essere dichiarata del pari manifestamente inammissibile, in quanto si tratta di norma di natura regolamentare, non suscettibile, ai sensi dell’art. 134 Cost., di essere sottoposta a scrutinio di legittimità costituzionale, perché priva di forza di legge (ex multis: ordinanze n. 37 del 2007, n. 401 e n. 125 del 2006, e n. 389 del 2004) e, peraltro, collegata a norma dichiarata costituzionalmente illegittima (art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010)”.
(1) La normativa sulla mediazione richiamata dalla pronuncia in
commento (in particolare D.lgs. n. 28 del 2010 e D.M. n. 180 del 2010) è
consultabile nella sezione Normativa dell’Osservatorio (www.osservatoriomediazionecivile.blogspot.com).
(2) Si veda C. Cost. n. 272/12:incostituzionalità della mediazione obbligatoria per eccesso di delegalegislativa, Osservatorio Mediazione Civile n. 128/2012 (www.osservatoriomediazionecivile.blogspot.com).
Fonte: Osservatorio
Mediazione Civile n. 55/2013
Corte
Costituzionale
21 giugno 2013, n.
156
Ordinanza
…omissis…
nei giudizi
di legittimità costituzionale degli articoli 5, comma 1, primo, secondo e terzo
periodo, 8, 13 e 16, comma 1, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28
(Attuazione dell’articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di
mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e
commerciali), dell’articolo 372, commi 2 e 3, del codice di procedura civile, e
dell’articolo 16 del decreto ministeriale 18 ottobre 2010, n. 180, come
modificato dal decreto ministeriale 6 luglio 2011, n. 145 («Regolamento recante
la determinazione dei criteri e delle modalità di iscrizione e tenuta del
registro degli organismi di mediazione e dell’elenco dei formatori per la
mediazione, nonché l’approvazione delle indennità spettanti agli organismi, ai
sensi dell’articolo 16 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28»), promossi
dal Giudice di pace di Parma con ordinanza del 24 novembre 2011, dal Tribunale
amministrativo regionale per il Lazio con ordinanza del 2 maggio 2012, dal
Tribunale di Firenze con ordinanza dell’11 maggio 2012, dal Tribunale di Latina
con ordinanze del 19 aprile, del 6, del 19, dell’8, del 6 e del 21 giugno 2012,
dal Tribunale di Tivoli con ordinanze del 27 giugno, del 30 e del 2 maggio
2012, rispettivamente iscritte ai nn. 112, 149, 204, da 210 a 215, 265,
274 e 283 del registro ordinanze 2012 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica nn. 24, 33, 40, 48, 49 e 50, prima serie speciale,
dell’anno 2012.
Visti l’atto di
costituzione della Unione Nazionale dei Giudici di Pace
– Unagipa – ed altro, nonché gli atti di intervento del Consiglio
nazionale forense e del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera
di consiglio dell'8 maggio 2013 il Giudice relatore Alessandro Criscuolo.
Ritenuto che il
Giudice di pace di Parma, con ordinanza del 24 novembre 2011 (r.o. n. 112
del 2012), ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, 24 e 77 della
Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli articoli 5, comma
1, primo, secondo e terzo periodo, e 16, comma 1, del decreto legislativo 4
marzo 2010, n. 28 (Attuazione dell’articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n.
69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie
civili e commerciali);
che il
rimettente riferisce di dover giudicare in una causa avente ad oggetto la
richiesta di pagamento di una somma in materia di locazione di beni mobili,
rientrante nella previsione normativa di cui all’art. 5 del d.lgs. n. 28 del
2010, per la quale è previsto il preliminare procedimento di mediazione a pena
di improcedibilità;
che l’attrice
ha omesso di svolgere detto procedimento ed ha eccepito l’illegittimità
costituzionale del citato art. 5 «anche in combinato disposto con l’art. 60
della legge 18 giugno 2009, n. 69, nonché con gli articoli 4 e 16 del D.M. 10
ottobre 2010 n. 180 per violazione degli artt. 77, 24, 3 e 97»;
che,
ciò premesso, il giudice a quo espone che la direttiva n. 2008/52/CE ha
disciplinato alcuni aspetti della mediazione in materia civile e commerciale,
chiarendo innanzitutto che l’obiettivo di garantire un migliore accesso alla
giustizia, giudiziale o extragiudiziale, contribuisce al corretto funzionamento
del mercato interno;
che la
mediazione è ritenuta una risoluzione extragiudiziale conveniente e rapida
delle controversie in materia civile e commerciale e che, inoltre, la direttiva
prevede la possibilità di rendere il ricorso ad essa obbligatorio purché non
sia impedito alle parti «di esercitare il loro diritto di accesso al sistema
giudiziario»;
che,
con legge 18 giugno 2009, n. 69 (Disposizioni per lo sviluppo economico, la
semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile), il
legislatore ha delegato il governo ad adottare uno o più decreti legislativi in
materia di mediazione civile e commerciale, nel rispetto ed in conformità ai
principi enunciati dalla normativa comunitaria, e detta delega è stata
esercitata con il d.lgs. n. 28 del 2010;
che,
come il rimettente ancora riferisce, con decreto ministeriale 18 ottobre 2010,
n. 180 (Regolamento recante la determinazione dei criteri e delle modalità di
iscrizione e tenuta del registro degli organismi di mediazione e dell’elenco
dei formatori per la mediazione, nonché l’approvazione delle indennità
spettanti agli organismi, ai sensi dell’articolo 16 del decreto legislativo 4 marzo
2010, n. 28), il Ministro della giustizia ha adottato il detto regolamento;
che l’attrice
adduce la violazione: dell’art. 77 Cost., in quanto l’art. 5 d.lgs. citato, nel
prevedere l’esperimento del procedimento di mediazione come condizione di
procedibilità della domanda giudiziale, preclude l’accesso diretto alla
giustizia, disattendendo le previsioni dell’art. 60 della legge n. 69 del 2009,
dell’art. 24 Cost. (poiché la mediazione può essere obbligatoria oppure
onerosa, ma non avere entrambi i caratteri), dell’art. 3 Cost., poiché la
condizione di procedibilità è prevista per la domanda principale e non per
quella riconvenzionale e «per la determinazione delle indennità di cui all’art.
16 del D.M. n. 180 del 2010, ponendo su un piano diverso parte attrice e parte
convenuta»;
che,
infine, l’attrice ha eccepito la violazione dell’art. 97 Cost., in quanto «nel
momento in cui la procedura di mediazione è resa obbligatoria al fine di far
valere in giudizio un diritto e nel momento in cui le attività del mediatore
interferiscono con l’esercizio della funzione giurisdizionale, il procedimento
ha funzione pubblica e deve, pertanto, rispondere ai requisiti di buon
andamento e imparzialità di cui all’art. 97 Cost.»;
che,
su tali premesse, il giudicante dichiara rilevanti e non manifestamente
infondate, in relazione agli artt. 3, 24 e 77 Cost., la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1 (primo, secondo e terzo
periodo), del d.lgs. n. 28 del 2010 e, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost.,
la questione di legittimità costituzionale dell’art. 16, comma 1, del medesimo
decreto legislativo;
che,
con atto depositato in data 3 luglio 2012, è intervenuto il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, chiedendo che le questioni di legittimità costituzionale siano
dichiarate non fondate;
che,
con atto depositato in data 3 luglio 2012, è intervenuto nel presente giudizio
di legittimità costituzionale il Consiglio Nazionale Forense, chiedendo, in
rito, che l’intervento sia dichiarato ammissibile e, nel merito, che sia
dichiarata l’illegittimità costituzionale delle norme censurate;
che il
Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (d’ora in avanti, TAR), con
ordinanza del 2 maggio 2012 ha sollevato, in riferimento agli artt. 24 e 77
Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1, primo,
secondo e terzo periodo, e dell’art. 16, comma 1, del d.lgs. n. 28 del 2010
(r.o. n. 149 del 2012);
che il
rimettente riferisce di dover pronunciare in un processo originato da un
ricorso proposto dall’Unione Nazionale dei Giudici di Pace – Unagipa, e da
singoli avvocati e giudici di pace, contro il Ministero della giustizia e il
Ministero dello sviluppo economico per l’annullamento del decreto ministeriale
n. 180 del 2010, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 258 del 4 novembre
2010;
che,
come il rimettente espone, i ricorrenti chiedono l’annullamento del detto
decreto, ritenendolo lesivo degli interessi della categoria forense e dei
giudici di pace, illegittimo perché in contrasto con il d.lgs. n. 28 del 2010,
nonché affetto da eccesso di potere sotto svariati profili e, inoltre,
lamentano l’assenza, nel d.m. n. 180 del 2010, di criteri volti ad
individuare e a selezionare gli organismi di mediazione in ragione
dell’attività squisitamente giuridica che essi andrebbero a svolgere, e che
sarebbe richiesta sia dalla normativa comunitaria, sia dalla legge delega n. 69
del 2009;
che il
rimettente si sofferma sul quadro normativo rilevante e sui motivi del ricorso,
con particolare riguardo alle ragioni attinenti alle questioni di legittimità
costituzionale;
che,
dopo avere argomentato sulla rilevanza di tali questioni, il rimettente ritiene
che le prime tre disposizioni dell’art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 28 del 2010
si porrebbero in contrasto con l’art. 77 Cost., perché non potrebbero essere
ascritte all’art. 60 della legge n. 69 del 2009, non essendo rilevabile alcun
elemento da cui desumere che la regolazione della materia contenuta nella
normativa censurata sia conforme ai precetti della detta legge delega;
che,
infatti: 1) nessuno dei criteri e principi direttivi previsti rivelerebbe in
modo espresso la finalità di perseguire un intento deflativo del contenzioso
giurisdizionale; 2) nessuno dei principi o criteri configurerebbe l’istituto
della mediazione come fase pre-processuale obbligatoria; 3) avuto
riguardo al silenzio serbato dal legislatore delegante sullo specifico tema,
sarebbe stato almeno necessario che il citato art. 60 lasciasse trasparire sul
punto elementi univoci e concludenti, ma ciò non sarebbe avvenuto; 4) nella
specie si dovrebbe escludere che la norma ora menzionata, con il richiamo alla
normativa comunitaria, possa essere intesa come delega al Governo a compiere
qualsiasi scelta occasionata dalla direttiva 21 maggio 2008, n. 2008/52/CE
(Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a determinati
aspetti della mediazione in materia civile e commerciale); 5) inoltre, tale
direttiva lascerebbe impregiudicata la legislazione nazionale, che rende il
ricorso alla mediazione obbligatorio oppure soggetto ad incentivi o sanzioni,
sia prima che dopo il procedimento giudiziario; 6) nessun elemento decisivo
potrebbe trarsi dal principio previsto dall’art. 60, comma 3, lettera a), della
legge delega, nella parte in cui dispone che la mediazione, finalizzata alla
conciliazione, abbia per oggetto controversie su diritti disponibili, senza
precludere l’accesso alla giustizia, perché il legislatore, utilizzando tale
espressione, avrebbe inteso soltanto rispettare un principio assoluto
dell’ordinamento nazionale (art. 24 Cost.) e di quello comunitario;
che i
principi e criteri direttivi fissati dalla legge delega, dunque, sarebbero
neutrali al fine di verificare la rispondenza a tale legge dell’art. 5 del
d.lgs. n. 28 del 2010, mentre due dei criteri direttivi previsti dal
legislatore delegante deporrebbero a favore della previsione del carattere
facoltativo che si sarebbe inteso attribuire alla procedura di mediazione;
che il
primo sarebbe desumibile dall’art. 60, comma 3, lettera c), della legge delega,
in forza del quale la mediazione sarebbe disciplinata anche mediante estensione
delle disposizioni di cui al decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5
(Definizione dei procedimenti in materia di diritto societario e di
intermediazione finanziaria, nonché in materia bancaria e creditizia, in
attuazione dell’art. 12 della legge 3 ottobre 2001, n. 366);
che,
invero, la clausola di conciliazione prevista dal d.lgs. n. 5 del 2003
(normativa ora abrogata proprio dal d.lgs. n. 28 del 2010) nasceva da norme di
fonte volontaria e non obbligatoria;
che il
secondo andrebbe tratto dall’art. 60, comma 3, lettera n), della legge delega,
il quale prevede il dovere dell’avvocato di informare il cliente, prima dell’instaurazione
del giudizio, della possibilità di avvalersi dell’istituto della conciliazione,
nonché di ricorrere agli organismi di conciliazione;
che,
infatti, la possibilità sarebbe, ovviamente, cosa diversa dalla obbligatorietà
e, del resto, l’art. 4 del d.lgs. n. 28 del 2010 differenzierebbe, al comma 3,
l’ipotesi in cui l’avvocato omette di informare il cliente della “possibilità”
di avvalersi della mediazione da quella in cui l’omissione informativa concerne
i casi nei quali l’espletamento del procedimento di mediazione è condizione di
procedibilità della domanda giudiziale;
che,
quanto all’art. 16 del d.lgs. n. 28 del 2010, esso avrebbe conformato gli
organismi di conciliazione a parametri, o meglio, a qualità, attinenti in via
esclusiva all’aspetto della funzionalità generica e, per contro, scevri da
qualsiasi riferimento a canoni tipologici tecnici o professionali di
carattere qualificatorio ovvero strutturale;
che,
alla luce di quanto argomentato, il TAR rimettente ritiene che l’art. 5, comma
1, e segnatamente il primo, il secondo ed il terzo periodo, nonché l’art. 16,
comma 1, del d.lgs. citato, là dove dispone che abilitati a costituire
organismi deputati, su istanza della parte interessata, a gestire il
procedimento di mediazione debbano essere gli enti pubblici e privati che diano
garanzie di serietà ed efficienza, siano in contrasto con gli artt. 24 e 77
Cost.;
che,
in particolare, la violazione dell’art. 24 Cost. sussisterebbe nella misura in
cui dette disposizioni determinerebbero, nelle considerate materie, una
incisiva influenza sull’azionabilità in giudizio di situazioni giuridiche e
sulla successiva funzione giurisdizionale, su cui lo svolgimento della
mediazione variamente influisce, in quanto esse non garantirebbero, mediante
un’adeguata conformazione della figura del mediatore, che i privati non
subiscano irreversibili pregiudizi derivanti dalla non coincidenza degli
elementi loro offerti in valutazione per assentire o rifiutare l’accordo
conciliativo, rispetto a quelli suscettibili, nel prosieguo, di essere evocati
in giudizio;
che,
con atto depositato in data 20 luglio 2012, si è costituita nel presente
giudizio di legittimità costituzionale l’Unione nazionale dei Giudici di Pace
– Unagipa, la quale, riportandosi alle argomentazioni del rimettente, ha
chiesto che la questione sia dichiarata fondata;
che,
con atto depositato il 31 luglio 2012, è intervenuto nel presente giudizio di
legittimità costituzionale il Consiglio Nazionale Forense, il quale ha chiesto
che la questione sia dichiarata fondata;
che il
Tribunale ordinario di Firenze, in composizione monocratica, con ordinanza
dell’11 maggio 2012, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in
riferimento agli artt. 3, 24, 76 e 77 Cost. , dell’art. 5 del d.lgs. n. 28 del
2010 (r.o. n. 204 del 2012);
che il
rimettente espone di essere chiamato a giudicare in una causa civile, promossa
da F.C. contro F.L., F.A. e P.M., avente ad oggetto impugnazione di testamento
e reintegra nella quota di riserva;
che,
come il giudice a quo riferisce, le convenute, costituitesi tempestivamente,
hanno eccepito l’omissione, da parte dell’attore, del tentativo obbligatorio di
mediazione stabilito dall’art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010;
che,
in punto di non manifesta infondatezza, il giudice a quo deduce che la domanda
in oggetto rientra nel disposto della norma indicata;
che non
sussistono le condizioni per la disapplicazione della norma, ai sensi dell’art.
47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea;
che,
invece, sussiste il contrasto di detta disposizione con gli artt. 76 e 77
Cost., avendo il legislatore previsto la mediazione come obbligatoria;
che,
sotto tale profilo, il rimettente osserva che l’art. 60 della legge delega,
alla lettera n), prevede, tra i principi e criteri direttivi, il dovere per
l’avvocato di informare il cliente della possibilità della conciliazione, e da
ciò si dovrebbe trarre la conseguenza che il legislatore non intendeva
prevederla come obbligatoria;
che il
giudice a quo ravvisa, altresì, violazione dell’art. 24 Cost., in relazione
all’onerosità della stessa, poiché tale carattere – essendo la mediazione
obbligatoria per la parte che voglia agire in giudizio – si porrebbe in
contrasto con detto parametro costituzionale, prevedendo un esborso a carico di
chi voglia intraprendere un giudizio, ulteriore rispetto al costo di questo;
che la
norma, inoltre, violerebbe gli artt. 3 e 24 Cost. sotto il profilo della
mancata previsione di criteri di competenza territoriale degli organismi di
mediazione;
che,
infatti, la disciplina in esame non conterrebbe alcun criterio per
l’individuazione territoriale dell’organismo di mediazione, con la conseguenza
che la parte sarebbe libera di scegliere l’organismo stesso e ciò, in
considerazione della natura obbligatoria della mediazione, determinerebbe una
lesione del principio di uguaglianza e del diritto di difesa, non potendosi
considerare tutela sufficiente la possibilità che il giudice valuti
“giustificato motivo” la mancata partecipazione ad una mediazione in località
lontana o scomoda, essendo incerta una tale possibilità;
che,
con atto depositato in data 30 ottobre 2012, è intervenuto nel presente
giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha chiesto alla Corte di
dichiarare la non fondatezza della questione;
che,
in via preliminare, l’Avvocatura dà atto che le questioni in oggetto sono già
state trattate dalla Corte costituzionale all’udienza del 23 ottobre 2012 e
nella successiva camera di consiglio;
che,
nel merito, la difesa statale ribadisce le argomentazioni già svolte in
relazione alle questioni trattate alle predette udienza pubblica e camera di
consiglio;
che il
Tribunale ordinario di Latina, con le sei ordinanze di analogo tenore indicate
in epigrafe (le prime tre in materia di locazione, la quarta in materia di
contratti bancari, la quinta in materia di risarcimento danni da responsabilità
medica, la sesta ancora in materia di locazione) ha sollevato, in riferimento
agli artt. 3, 24, 76 e 77 Cost., questioni di legittimità costituzionale degli
artt. 5, 8 e 13 del d.lgs. n. 28 del 2010 e dell’art. 16
del d.m. n.180 del 2010 (r.o. n. 210 del 2012, n. 211 del 2012,
n. 212 del 2012, n. 213 del 2012, n. 214 del 2012 e n. 215 del 2012);
che,
in particolare, il rimettente ha ritenuto rilevanti e non manifestamente
infondate: a) in riferimento all’art. 24 Cost., la questione di legittimità
costituzionale del combinato disposto degli artt. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010 e
16 del d.m. n. 180 del 2010, nella parte in cui stabiliscono
l’onerosità della mediazione obbligatoria; b) in riferimento agli artt. 3, 24,
76, 77 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 8 del d.lgs.
n. 28 del 2010, nella parte in cui prevede che dalla mancata partecipazione,
senza giustificato motivo, al procedimento di mediazione il giudice può
desumere argomenti di prova nel successivo giudizio, ai sensi dell’art. 116,
comma 2, cod. proc. civ.; c) in riferimento agli artt. 3, 24, 76, 77 Cost., la
questione di legittimità costituzionale dell’art. 13 del d.lgs. n. 28 del 2010
che disciplina le spese di lite; d) in riferimento all’art. 3 Cost., la
questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 5
del d.lgs. n. 28 del 2010 e 16 del d.m. n. 180 del 2010, nella parte
in cui prevedono che soltanto il convenuto possa non aderire al procedimento di
mediazione;
che nei
sei giudizi di legittimità costituzionale, sopra indicati, è intervenuto il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
generale dello Stato, il quale ha chiesto che le questioni siano dichiarate non
fondate;
che il
Tribunale ordinario di Tivoli, con le tre ordinanze di analogo tenore indicate
in epigrafe (la prima, relativa ad un giudizio nel quale l’attore chiede una
sentenza costitutiva di trasferimento in suo favore di un immobile, ai sensi
dell’art. 2932 del codice civile; la seconda, concernente una domanda diretta a
sentir dichiarare la cessazione degli effetti civili di un matrimonio, nonché
lo scioglimento della comunione dell’immobile destinato a casa coniugale; la
terza, inerente ad una causa promossa per accertare la responsabilità della
convenuta per il mancato pagamento di una somma, in relazione alla vendita di
un immobile, con conseguente declaratoria di risoluzione di una compravendita
per colpevole inadempimento ed ulteriore condanna al risarcimento dei danni),
ha sollevato, in riferimento agli artt. 11, 24, 111, 117 Cost., nonché degli
artt. 6 e 13 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti
dell’uomo e delle libertà fondamentali e degli artt. 47, 52 e 53 della Carta
dei diritti fondamentali dell’Unione europea, questioni di legittimità
costituzionale dell’art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010, nella parte in cui viola
il principio di non incertezza del diritto (“default
de securitè juridique”), non prevedendo una formulazione della
normativa che sia di comprensione univoca e chiara;
che,
inoltre, in via subordinata, ha sollevato, in riferimento agli artt. 11, 24,
111 e 117 Cost. e agli artt. 6 e 13 della Convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti dell’Uomo ed in relazione agli articoli 47, 52 e 53
della Carta dei diritti Fondamentali dell’Unione europea, questione di
legittimità costituzionale dell’art. 372, commi 2 e 3, cod. proc. civ. nella
parte in cui «non consente ad ogni giudice di qualsiasi ordine e grado di
richiedere una interpretazione pregiudiziale alle Sezioni unite della Corte di
cassazione, analogamente a quanto previsto dall’art. 267 del Trattato sul funzionamento
dell’Unione europea in relazione alle pronunzie pregiudiziali della corte di
giustizia europea in merito a dubbi interpretativi di norme comunitarie»
(r.o. n. 265, n. 274 e n. 283 del 2012);
che il
rimettente, in relazione alle controversie oggetto delle
ordinanze r.o. n. 265 e 283 del 2012 e
dell’ordinanza r.o. n. 274 del 2012, pone il problema della natura
delle controversie stesse, al fine di stabilire se rientrino, rispettivamente,
nella materia dei diritti reali e della divisione con conseguente applicazione
dell’art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010;
che,
al riguardo, il giudice a quo osserva come la formula usata dal legislatore sia
così ampia da non consentire una lettura univoca della disposizione, sicché
qualsiasi interpretazione della stessa si tradurrebbe in una scelta arbitraria
del giudice;
che,
in particolare, il Tribunale sottolinea come, nell’ordinamento italiano, non
sia consentito al giudicante rimettere la questione interpretativa alle Sezioni
Unite della Corte di cassazione, in funzione nomofilattica;
che,
pertanto, il rimettente ritiene che l’art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010 si ponga
in contrasto con l’art. 24 Cost. e con l’art. 6 della CEDU, come interpretata
dalla Corte di Strasburgo, «nella parte in cui non prevede una regola certa ed
idonea ad evitare un vero e proprio «default
de securitè juridique (mancanza di certezza del diritto) nei
confronti delle parti del processo»;
che,
in subordine, il giudice a quo solleva questione di legittimità costituzionale
dell’art. 372, commi 2 e 3, cod. proc. civ. in relazione agli artt. 24, 111
Cost. e 6 della CEDU, come interpretata dalla stessa Corte di Strasburgo, nei
termini sopra indicati;
che,
in prossimità dell’udienza, il C.N.F. ha depositato, in relazione al giudizio
di legittimità costituzionale originato dall’ordinanza r.o. n. 149
del 2012, una memoria nella quale ha insistito per l’ammissibilità del proprio
intervento nel giudizio di legittimità costituzionale e per la fondatezza della
questione in esame.
Considerato che le
ordinanze di rimessione sollevano questioni identiche o tra loro connesse, onde
i relativi giudizi vanno riuniti per essere definiti con unica pronuncia;
che,
nei giudizi di legittimità costituzionale promossi con le
ordinanze r.o. n. 112 e n.149 del 2012, è intervenuto il Consiglio
Nazionale Forense, chiedendo, in rito, che l’intervento sia dichiarato
ammissibile e, nel merito, che sia dichiarata l’illegittimità costituzionale
delle norme censurate;
che detto
intervento è inammissibile, in quanto il Consiglio Nazionale Forense non è
stato parte nei giudizi a quibus;
che,
per giurisprudenza di questa Corte, ormai costante, sono ammessi a intervenire
nel giudizio incidentale di legittimità costituzionale (oltre al Presidente del
Consiglio dei ministri e, nel caso di legge regionale, al Presidente della
Giunta regionale) le sole parti del giudizio principale, mentre l’intervento di
soggetti estranei a questo è ammissibile soltanto per i terzi titolari di un
interesse qualificato, inerente in modo diretto ed immediato al rapporto
sostanziale dedotto in giudizio e non semplicemente regolato, al pari di ogni
altro, dalla norma o dalle norme oggetto di censura (ex plurimis:
ordinanza letta all’udienza del 23 marzo 2010, confermata con sentenza n.
138 del 2010; ordinanza letta all’udienza del 31 marzo 2009, confermata
con sentenza n. 151 del 2009; sentenze n. 293 del 2011, n. 94
del 2009, n. 96 del 2008 e n. 245 del 2007);
che,
nei giudizi da cui traggono origine le questioni di legittimità costituzionale
in discussione, i rapporti sostanziali dedotti in causa concernono profili
attinenti alla mediazione nel processo civile, che possono anche riguardare
interessi professionali della classe forense, ma concernono più in generale le
posizioni che le parti intendono azionare nel processo e non mettono in gioco
le prerogative del Consiglio Nazionale Forense (ordinanza letta all’udienza del
23 ottobre, confermata con sentenza n. 272 del 2012);
che,
sotto altro profilo, l’ammissibilità d’interventi ad opera di terzi, titolari
di interessi soltanto analoghi a quelli dedotti nel giudizio principale,
contrasterebbe con il carattere incidentale del giudizio di legittimità
costituzionale, in quanto l’accesso delle parti al detto giudizio avverrebbe
senza la previa verifica della rilevanza e della non manifesta infondatezza
della questione da parte del giudice a quo;
che il
Giudice di pace di Parma, con ordinanza del 24 novembre 2011 (r.o n.112
del 2012), ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, 24 e 77 della
Costituzione, questioni di legittimità costituzionale degli articoli 5, primo,
secondo e terzo periodo, e 16, comma 1, del decreto legislativo 4 marzo 2010,
n. 28 (Attuazione dell'articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in
materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili
e commerciali);
che il
Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, con ordinanza del 2 maggio
2012, ha sollevato, in riferimento agli artt. 24 e 77 Cost., questioni di
legittimità costituzionale dell’ art. 5, comma 1, primo, secondo e terzo
periodo, e dell’art. 16, comma 1, del d.lgs. n. 28 del 2010 (r.o. n. 149
del 2012);
che il
Tribunale ordinario di Firenze, in composizione monocratica, con ordinanza
dell’11 maggio 2012, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale, in
riferimento agli artt. 3, 24, 76 e 77 Cost. , dell’art. 5 del d.lgs. n. 28 del
2010 (r.o. n. 204 del 2012);
che,
con sentenza n. 272 del 2012, successiva alla pronuncia delle indicate
ordinanze di rimessione, questa Corte ha dichiarato costituzionalmente
illegittimo l’art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 28 del 2010;
che,
per conseguenza, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma
1, del d.lgs. n. 28 del 2010 è divenuta priva di oggetto e va, quindi,
dichiarata manifestamente inammissibile nei diversi profili prospettati con le
ordinanze di rimessione;
che,
alla luce della detta dichiarazione di illegittimità costituzionale, deve
ritenersi manifestamente inammissibile anche la questione sollevata in ordine
all’art. 16 del d.lgs. n. 28 del 2010, perché le censure di illegittimità
proposte in relazione ai requisiti di «serietà ed efficienza» degli organismi
abilitati a gestire il procedimento di mediazione sono state formulate con
riferimento all’istituto della mediazione costruito quale condizione di
procedibilità della domanda giudiziale e, quindi, con riguardo alla mediazione
obbligatoria, sull’assunto della «necessità che l’interpretazione dell’art. 16
del d.lgs. 28/2010 […] sia correlata con quanto previsto dall’art. 5 dello
stesso decreto […], il cui combinato disposto costituisce il vero perno della
regolazione delegata» (ordinanza TAR Lazio, pag. 27);
che,
pertanto, una volta dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 5,
comma 1, del d.lgs. n. 28 del 2010, sarebbe stata necessaria un’apposita
motivazione, idonea a censurare l’art. 16 del detto d.lgs. anche in regime di
mediazione facoltativa (motivazione che invece è mancata);
che il
Tribunale ordinario di Latina, con le sei ordinanze di analogo tenore indicate
in epigrafe (le prime tre in materia di locazione, la quarta in materia di
contratti bancari, la quinta in materia di risarcimento danni da responsabilità
medica, la sesta ancora in materia di locazione) ha sollevato, in riferimento
agli artt. 3, 24, 76 e 77 Cost., questioni di legittimità costituzionale degli
artt. 5, 8 e 13 del d.lgs. n. 28 del 2010 e dell’art. 16
del d.m. n.180 del 2010 (r.o n. 210 del 2012, n. 211 del 2012,
n. 212 del 2012, n. 213 del 2012, n. 214 del 2012, n. 215 del 2012);
che,
come innanzi rilevato, con sentenza n. 272 del 2012, successiva alla
pronuncia delle indicate ordinanze di rimessione, questa Corte ha dichiarato
costituzionalmente illegittimo l’art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 28 del 2010,
ed, in via consequenziale, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale
dell’art. 8, comma 5, e dell’art. 13 del d.lgs. n. 28 del 2010;
che,
pertanto, le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 5, comma 1, 8,
comma 5, e 13 del d.lgs. n. 28 del 2010 sono divenute prive di oggetto e vanno,
dunque, dichiarate manifestamente inammissibili;
che la
questione di legittimità costituzionale, concernente l’art. 16
del d.m. n. 180 del 2010, deve essere dichiarata del pari
manifestamente inammissibile, in quanto si tratta di norma di natura
regolamentare, non suscettibile, ai sensi dell’art. 134 Cost., di essere
sottoposta a scrutinio di legittimità costituzionale, perché priva di forza di
legge (ex multis: ordinanze n. 37 del 2007, n. 401 e n. 125
del 2006, e n. 389 del 2004) e, peraltro, collegata a norma dichiarata
costituzionalmente illegittima (art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010);
che il
Tribunale ordinario di Tivoli, con le tre ordinanze di analogo tenore indicate
in epigrafe, ha sollevato, in riferimento agli artt. 11, 24, 111, 117 Cost.,
nonché degli artt. 6 e 13 della Convenzione europea per la salvaguardia dei
diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e degli artt. 47, 52 e 53 della
Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, questione di legittimità
costituzionale dell’art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010, nella parte in cui viola
“il principio di non incertezza del diritto” (“default
de securitè juridique”), non prevedendo una formulazione della
normativa che sia di comprensione univoca e chiara;
che,
inoltre, in via subordinata, ha sollevato, in riferimento agli articoli 11, 24,
111 e 117 Cost. e agli artt. 6 e 13 della Convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti dell’Uomo, nonché in relazione agli artt. 47, 52 e 53
della Carta dei diritti Fondamentali dell’Unione europea, questione di
legittimità costituzionale dell’art. 372, commi 2 e 3, del codice di procedura
civile nella parte in cui «non consente ad ogni giudice di qualsiasi ordine e
grado di richiedere una interpretazione pregiudiziale alle Sezioni unite della
Corte di cassazione, analogamente a quanto previsto dall’art. 267 del Trattato
sul funzionamento dell’Unione europea in relazione alle pronunzie pregiudiziali
della corte di giustizia europea in merito a dubbi interpretativi di norme
comunitarie» (r.o. n. 265 del 2012, n. 274 del 2012, n. 283 del 2012);
che,
in relazione alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 5 del
d.lgs. n. 28 del 2010, deve essere ribadita la pronunzia di manifesta
inammissibilità della stessa, alla luce della sentenza n. 272 del 2012;
che la
questione, sollevata in via subordinata, è manifestamente inammissibile per più
motivi;
che,
infatti, il rimettente ha erroneamente indicato la norma censurata, avendo
richiamato l’art. 372 cod. proc. civ., rubricato «produzione di altri
documenti», disposizione non avente alcuna attinenza con le doglianze formulate;
che,
in ogni caso, il rimettente ha richiesto alla Corte un intervento additivo
“creativo”, peraltro manipolativo di sistema, in assenza di una soluzione
costituzionalmente obbligata, che eccede i poteri di intervento di questa
Corte, implicando scelte affidate alla discrezionalità del legislatore (ex plurimis: ordinanze
n. 255 e n. 252 del 2012, n. 243 e n. 182 del 2009).
Visti gli
articoli 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla
costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale) e 9, comma 2,
delle norme integrative per i giudizi dinanzi alla Corte costituzionale.
per questi
motivi
la
Corte Costituzionale
riuniti i
giudizi,
1) dichiara inammissibili
gli interventi spiegati dal Consiglio Nazionale Forense nei giudizi di
legittimità costituzionale promossi con le ordinanze r.o. n. 112 e n.
149 del 2012;
2) dichiara la
manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale degli
articoli 5, comma 1, 8, comma 5, 13 e 16 del decreto legislativo 4 marzo
2010, n.28 (Attuazione dell’articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in
materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili
e commerciali), dell’art. 16 del decreto ministeriale 18 ottobre 2010, n. 180
(Regolamento recante la determinazione dei criteri e delle modalità di
iscrizione e tenuta del registro degli organismi di mediazione e dell’elenco
dei formatori per la mediazione, nonché l’approvazione delle indennità
spettanti agli organismi, ai sensi dell’articolo 16 del decreto legislativo 4
marzo 2010, n. 28) e dell’articolo 372, commi 2 e 3, del codice di procedura
civile, questioni sollevate, in riferimento agli articoli 3, 11, 24, 76, 77 e
111 della Costituzione, in riferimento agli articoli 6 e 13 della Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali
(ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848), nonché in
riferimento agli articoli 47, 52 e 53 della Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione europea, con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così
deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta
il 17 giugno 2013.
F.to:
Franco
GALLO, Presidente
Alessandro
CRISCUOLO, Redattore
Gabriella
MELATTI, Cancelliere
Depositata in
Cancelleria il 21 giugno 2013.