DIRITTO D'AUTORE


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14 ottobre 2012

114/12. Mancata partecipazione alla mediazione: elemento integrativo ma non decisivo (Osservatorio Mediazione Civile n. 114/2012)


=> Trib. Roma, Sez dist. Ostia, 5 luglio 2012

L’art. 8 d.lgs. n. 28 del 2010, relativamente alla mancata partecipazione senza giustificato motivo - della parte convocata – al procedimento di mediazione, prevede che il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell’art. 116, co. 2, c.p.c.; norma richiamata nell’ambito della ricerca ed elaborazione di una serie di incentivi e deterrenti volti a indurre le parti a comparire in sede di mediazione al fine di pervenire a un accordo amichevole che prevenga o ponga fine alle liti. Ne consegue che equivarrebbe a tradire l’intento del legislatore svalutare la portata di tale norma considerandola una mera e quasi irrilevante appendice nel corredo dei mezzi probatori istituiti dall’ordinamento giuridico (I) (II).

Giammai la mancata comparizione in sede di mediazione potrà costituire argomento per corroborare o indebolire una tesi giuridica, che dovrà sempre essere risolta esclusivamente in punto di diritto; infatti lo strumento offerto dall’art. 116 c.p.c. attiene ai mezzi che il giudice valuta, nell’ambito delle prove libere (vale a dire dove si esplica il principio del libero convincimento del giudice precluso in presenza di prova legale ) ai fini dell’accertamento del fatto.

La mancata comparizione della parte regolarmente convocata davanti al mediatore costituisce di regola elemento integrativo e non decisivo a favore della parte chiamante, per l’accertamento e la prova di fatti a carico della parte chiamata non comparsa: secondo le circostanze del caso concreto gli argomenti di prova che possono essere tratti dalla mancata comparizione della parte chiamata in mediazione ed a carico della stessa nella causa alla quale la mediazione, obbligatoria o delegata, pertiene, a seconda dei casi possano costituire integrazione di prove già acquisite, ovvero unica e sufficiente fonte di prova.


(II) Si veda l’art. 116 c.p.c. in Codice di procedura civile (fonte: IlProcessoCivile.com).

Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 114/2012

Tribunale di Roma,
Sezione distaccata di Ostia
5 luglio 2012
Sentenza

Omissis

Occorre valutare le conseguenze della mancata partecipazione dei convenuti ritualmente convocati al procedimento di mediazione attivato dall’attrice, su impulso del giudice ex art.5 decr. lgsl. 28/10 secondo comma (mediazione delegata).

L’art.8 del decr. lgsl. 28/10 relativamente alla mancata partecipazione senza giustificato motivo - della parte convocata – al procedimento di mediazione prevede che il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell’articolo 116, secondo comma, del codice di procedura civile.

Quanto alla possibilità di valorizzare, nel processo, come argomento di prova a sfavore di una parte determinate condotte della stessa (nella specie la mancata comparizione in mediazione, senza giustificato motivo, della parte convocata) si confrontano nella giurisprudenza due diverse opinioni.

Secondo una prima tesi la decisione del giudice non può essere fondata esclusivamente sull’art. 116 cpc, cioè su circostanze alle quali la legge non assegna il valore di piena prova, potendo tali circostanze valere in funzione integrativa e rafforzativa di altre acquisizioni probatorie.

Secondo altra opinione non vi è alcun divieto nella legge affinché il giudice possa fondare solo su tali circostanze la sua decisione, valendo come unico limite quello di una coerenza e logica motivazionale in relazione al caso concreto.

È espressione della prima teoria l’insegnamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui la norma dettata dall’art. 116 comma 2 c.p.c., nell’abilitare il giudice a desumere argomenti di prova dalle risposte date dalle parti nell’interrogatorio non formale, dal loro rifiuto ingiustificato a consentire le ispezioni da esso ordinate e, in generale, dal contegno delle parti stesse nel processo, non istituisce un nesso di conseguenzialità necessaria tra eventuali omissioni e soccombenza della parte ritenuta negligente, ma si limita a stabilire che dal comportamento della parte il giudice possa trarre “argomenti di prova”, e non basare in via esclusiva la decisione, che va comunque adottata e motivata tenendo conto di tutte le altre risultanze (fra le tante Cassazione civile, sez. trib., 17/01/2002, n. 443).

La norma in questione merita senz’altro una maggiore utilizzazione anche se a differenza di altri casi in cui da una determinata circostanza è consentito ritenere provato tout court il fatto a carico della parte che tale circostanza subisce, in questo caso la legge prevede che il giudice possa utilizzarla per trarre dalle circostanze valorizzate “argomenti di prova”.

La norma dell’art.116 cpc viene richiamata dal legislatore della mediazione (art.8 decr.lgs.cit.) nell’ambito della ricerca ed elaborazione di una serie di incentivi e deterrenti volti a indurre le parti, con la previsione di vantaggi per chi partecipa alla mediazione e di svantaggi per chi al contrario la rifugge, a comparire in sede di mediazione al fine di pervenire a un accordo amichevole che prevenga o ponga fine alle liti.

Ne consegue, tali essendo le finalità dell’inserimento nel decreto legsl.28/10, che equivarrebbe a tradire l’intento del legislatore svalutare la portata di tale norma considerandola una mera e quasi irrilevante appendice nel corredo dei mezzi probatori istituiti dall’ordinamento giuridico.

Va considerato che nell’attuale situazione della giustizia civile, affetta da una endemica ed apparentemente insuperabile crisi principalmente nei tempi di risposta alla domanda di giustizia, causata dalla imponente mole di cause iscritte nei tribunali e delle corti; e  viste le sempre più gravi conseguenze, economiche ed ordinamentali, derivanti dal ritardo nella definizione dei processi;  sia necessario rivalutare, senza forzature ma con la doverosa umiltà dell’interprete, ciò che è scritto nella legge. 

È necessario tuttavia fissare delle regole precise al riguardo.

Deve essere ben chiaro in primo luogo che giammai la mancata comparizione in sede di mediazione potrà costituire argomento per corroborare o indebolire una tesi giuridica, che dovrà sempre essere risolta esclusivamente in punto di diritto.

A favore o contro la parte non comparsa in mediazione.

Ed infatti lo strumento offerto dall’art.116 cpc attiene ai mezzi che il giudice valuta, nell’ambito delle prove libere (vale a dire dove si esplica il principio del libero convincimento del giudice precluso in presenza di prova legale ) ai fini dell’accertamento del fatto.

L’argomento di prova appartiene all’ampio armamentario degli strumenti utilizzati dal giudice in un ambito in cui non opera la prova diretta, vale a dire quella dove si ha a disposizione un fatto dal quale si può fondare direttamente il convincimento.

Nel processo di inferenza dal fatto al convincimento l’argomento di prova ha la stessa potenzialità probatoria indiretta degli indizi.

E come le presunzioni semplici ha come stella polare il criterio della prudenza (art.2729 cc) che deve illuminarne l’utilizzo da parte del giudice.

Ciò detto si ritiene di poter affermare che la mancata comparizione della parte regolarmente convocata, come nel caso in esame, davanti al mediatore costituisce di regola elemento integrativo e non decisivo a favore della parte chiamante, per l’accertamento e la prova di fatti a carico della parte chiamata non comparsa.

Con ciò non si intende svalorizzare quella giurisprudenza della Suprema Corte che ha ritenuto che l’effetto previsto dall’art.116 cpc può – secondo le circostanze – anche costituire unica e sufficiente fonte di prova (Cassazione civile, sez. III, 16/07/2002, n. 10268, che così si esprime: Quanto a questa ultima norma – art.116 cpc n.d.r.-  in particolare, essa attribuisce certo al giudice il potere di trarre argomento di prova dal comportamento processuale delle parti – e però, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, ciò non significa solo che il comportamento processuale della parte può orientare la valutazione del risultato di altri procedimenti probatori, ma anche che esso può da solo somministrare la prova dei fatti, Cass. 6 luglio 1998 n. 6568; 1 aprile 1995 n. 3822; 5 gennaio 1995 n. 193; 14 settembre 1993 n. 9514; 13 luglio 1991 n. 7800; 25 giugno 1985 n. 3800).

Ritiene infatti il giudice che secondo le circostanze del caso concreto gli argomenti di prova che possono essere tratti dalla mancata comparizione della parte chiamata in mediazione ed a carico della stessa nella causa alla quale la mediazione, obbligatoria o delegata, pertiene, a seconda dei casi possano costituire integrazione di prove già acquisite, ovvero unica e sufficiente fonte di prova.

Quanto al giustificato motivo dell’assenza, l’affermazione della convenuta circa la sussistenza dello stesso in relazione alla ritenuta erroneità della sentenza parziale, da essa appellata, non può essere condivisa.

Traslando tale ragionamento in generale si potrebbe infatti affermare che ogni qualvolta la controparte ritenga erronea la tesi della parte che l’ha convocata in mediazione (in questo caso la censura riguarda la sentenza del giudice), e pertanto inutile la sua partecipazione all’esperimento di mediazione, sia validamente dispensata dal comparirvi.

L’esponente non si avvede che in tal modo sussisterebbe sempre un giustificato motivo di non comparizione, se è vero com’è vero che se la controparte condividesse la tesi del suo avversario (o come in questo caso, le ragioni della sentenza non definitiva emessa a suo carico) la lite non potrebbe neppure insorgere e se insorta verrebbe subito meno. La ragione d’essere della mediazione si fonda proprio sulla esistenza di un contrasto di opinioni, di vedute, di volontà, di intenti, di interpretazioni etc. che il mediatore esperto  tenta di sciogliere favorendo l’avvicinamento delle posizioni delle parti fino al raggiungimento di un accordo amichevole.

In questo caso poi l’assicuratore aveva una doppia ragione per partecipare alla mediazione: da una parte la sussistenza dell’usuale conflitto di opinioni fra le parti che in questo caso verteva sulla sussistenza o meno dell’inadempimento ritenuto sussistente dall’attrice ed insussistente dai convenuti. Dall’altra la circostanza che il giudice aveva nella sostanza condiviso l’opinione dell’attrice, peraltro con motivazioni specifiche ed aderenti alle risultanze istruttorie.
Inoltre la giustificazione dell’assicuratore secondo cui contro la sentenza, ritenuta errata, era in corso di predisposizione l’appello contiene in re ipsa un’aporia: proprio perché il percorso giudiziario è ancora lungo ed incerto (quand’anche riformasse la sentenza, vi è pur sempre …) la mediazione può svolgere a pieno il suo ruolo.
Ed invero con la sentenza che accertava e dichiarava l’inadempimento dell’assicuratore, il giudice, senza omettere di segnalare l’eccessività dell’importo richiesto dall’attrice, avviava le parti, con un robusto bagaglio di elementi su cui discutere, alla mediazione proprio per offrire loro la possibilità di regolare consensualmente il rapporto sub judice.

Risulta pertanto evidente e comprovato che nel caso di specie non solo non sussiste un giustificato motivo per la mancata comparizione dell’assicuratore nel procedimento di mediazione; ma tale ostinato rifiuto è del tutto irragionevole ed inescusabile.

Nel merito nel caso di specie dal combinato disposto degli artt. 8 del decr.lgsl 28/10 comma 5° e 116 cpc, considerati tutti gli elementi acquisiti al processo, la certezza del danno, il non apprezzabile contegno processuale delle convenute che pur essendo palesemente in torto non hanno avanzato alcuna offerta transattiva, si ritiene raggiunta la prova – senza necessità di ricorrere a consulenza tecnica-  del buon diritto dell’attrice a percepire la somma che si ritiene di liquidare, equitativamente, a titolo di risarcimento dei danni, nell’importo di euro 42.000,00.
Oltre interessi legali dalla domanda e fino al saldo.

A tal fine vanno considerati: l’elevato importo del contratto di appalto ed il numero ristretto di concorrenti ammessi (solo due, compresa l’attrice).
Naturalmente l’importo suddetto (euro 1.860.000) non corrisponde all’effettivo guadagno che ne avrebbe tratto la società dovendo essere considerate e decurtate le spese.

Configurando prudenzialmente un guadagno netto di euro 20.000 annui per tre anni e detraendo il 30% per la perdita della chance, che si considera a favore dell’attrice concreta ed elevata di potersi aggiudicare l’appalto.

La mancata comparizione in mediazione da parte delle convenute in presenza di tali importanti elementi, fra i quali la sentenza non definitiva, attesta la consapevolezza di essere in torto ed il perseguimento di intenti dilatori.

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.
La sentenza  è per legge esecutiva.

P.Q.M.

definitivamente pronunziando, ogni contraria domanda eccezione e deduzione respinta, così provvede:

condanna Agenzia assicurativa --- snc nonché di Assicurazioni --- spa in persona del suo legale rappresentante pro tempore  al risarcimento dei danni che liquida in favore della parte attrice in persona del suo legale rappresentante pro tempore nella  complessiva somma di euro --- oltre interessi legali dalla data  della domanda al saldo;

condanna Agenzia assicurativa --- snc nonché di Assicurazioni --- spa in persona del suo legale rappresentante pro tempore, in solido, al pagamento delle spese di causa che liquida in favore della parte attrice in persona del suo legale rappresentante pro tempore in complessivi euro ---  di cui euro --- per spese, oltre IVA e CAP;

sentenza esecutiva  
Ostia lì 5.7.2012

Il Giudice dott.cons.Massimo Moriconi

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.

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