=> CSM, 18 gennaio 2012
L’attività di mediatore professionista di cui al D.Lgs. 28/2010 non è compatibile con le funzioni di giudice di pace anche se svolte in ambiti territoriali di circondari di tribunali diversi da quelli nel quale sono esercitate le funzioni onorarie. (1) (2) (3)
Il giudice di pace, già istituzionalmente deputato ad espletare l’attività conciliativa stragiudiziale, non può rendere il medesimo servizio partecipando ad uno degli organismi di conciliazione previsti dall’art. 16 D.Lgs. 28/2010. Se ciò avvenisse, infatti, si avrebbe una sovrapposizione di ruoli per l’espletamento della medesima funzione di conciliatore, così non solo vanificando la stessa disposizione normativa di cui all’art. 322 c.p.c., ma anche appannando la stessa immagine di imparzialità ed indipendenza di cui all’art. 5, III comma, L. 374/1991. Al giudice di pace sarebbe consentito di svolgere la medesima attività in ambito “pubblico” e, al contempo, in ambito “privato”, peraltro percependo specifici compensi, corrisposti dalle parti secondo le tariffe stabilite per la conciliazione stragiudiziale. (4)
Una eventuale limitazione territoriale della incompatibilità non avrebbe senso, tenendo a mente l’assenza di un criterio di collegamento territoriale tra sede dell’organismo di conciliazione e l’autorità giudiziaria. L’incompatibilità assoluta appare essere del tutto coerente in relazione alla funzione svolta dalla conciliazione stragiudiziale nonché al rispetto dell’art. 5, comma 3, della legge 374/1991.
(1) Si veda Decreto legislativo n. 28 del 2010 aggiornato alla c.d. manovra bis 2011, in Osservatorio Mediazione Civile n. 2/2011 (www.osservatoriomediazionecivile.blogspot.com).
(2) Circa l’incompatibilità tra l’incarico di conciliatore, previa iscrizione negli elenchi predisposti presso la C.C.I.A.A., e le funzioni di giudice di pace si veda Consiglio Superiore della Magistratura, parere n. 655 del 22 dicembre 2009 (conclusione confrontata, con la delibera in analisi del 18 gennaio 2012, con riferimento alla mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali di cui al d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28.
(3) È questo, in estrema sintesi, quanto riportato dalla delibera del 18 gennaio 2012 del Consiglio Superiore della Magistratura. La delibera – riportata anche in CSM, ufficio Studi e Documentazione, La riforma dell’ordinamento giudiziario. Prime delibere di attuazione (Raccolta aggiornata al 29 febbraio 2012) – è stata fornita in risposta ad un quesito posto da un Giudice di Pace al CSM con nota in data 13 giugno 2011.
(4) Alla luce infatti della previsione dell’art. 322 c.p.c. – che disciplina l’attività conciliativa che il giudice di pace è chiamato a svolgere in via autonoma, al di fuori del giudizio ed indipendentemente da esso, con l’evidente proponimento di evitarlo – la conciliazione in sede non contenziosa del giudice di pace si pone tra le forme alternative di risoluzione delle controversie, intese come metodi di soluzione della lite. Si veda l’artt. 322 c.p.c. in Codice di procedura civile (fonte: IlProcessoCivile.com).
Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 81/2012
Consiglio Superiore della Magistratura
18 gennaio 2012
Delibera
Incompatibilità tra l'esercizio delle funzioni di giudice di pace e l'attività di mediatore.
(Risposta a quesito del 18 gennaio 2012)
Il Consiglio superiore della magistratura, nella seduta del 18 gennaio 2012, ha adottato la
seguente delibera:
"Il Consiglio,
- letta la nota in data 13 giugno 2011 con la quale la dott.ssa …, giudice di pace nella sede di … (circondario di …), chiede di conoscere se l’attività in via esclusiva di mediatore presso l’Organismo forense dell’Ordine degli Avvocati di … possa essere compatibile con l’attività di giudice di pace presso la sede di …, ricadente nel circondario di …;
- considerato che, stante la particolarità della materia, si è ritenuto opportuno chiedere un parere all’Ufficio Studi di questo Consiglio, che vi ha provveduto in data 3 agosto 2011;
- ritenuto di condividere il contenuto e le conclusioni del suddetto parere, nel senso che l’attività di mediatore professionista di cui al D.Lgs. 28/2010 non sia compatibile con le funzioni di giudice di pace;
- osserva quanto segue.
1. – L’Ufficio studi di questo Consiglio ha già reso un articolato parere (n. 655 del 22 dicembre 2009) circa la compatibilità delle funzioni di giudice di pace con l’attività di conciliatore previa iscrizione negli elenchi predisposti presso la C.C.I.A.A.; in quella sede, dopo aver operato una ricognizione delle norme di riferimento, si è pervenuti alla conclusione che l’incarico di conciliatore, previa iscrizione negli elenchi predisposti presso la C.C.I.A.A., non fosse compatibile con le funzioni di giudice di pace.
La conclusione va oggi confrontata con la disciplina di attuazione dell’art. 60 della legge n. 69 del 18 giugno 2009, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali, approvata con il D.Lgs. 4 marzo 2010, n. 28.
… omissis…
2. - Occorre verificare se l’attività di mediatore, come descritta dal D.Lgs. n. 28/2010 (e dal D.M. 18 ottobre 2010 n. 180), sia o meno potenzialmente incompatibile con l’ufficio di giudice di pace.
In generale deve ricordarsi che le incompatibilità dei giudici di pace sono disciplinate dall'art. 8 della legge 21 novembre 1991 n. 374 (come modificata dalle leggi successive) e dalle circolari consiliari (quella attualmente in vigore è la n. P-15880/2002 del 1° agosto 2002, Nuove modalità di nomina e conferma dei giudici di pace a seguito delle modifiche alla legge istitutiva
introdotte dalla legge 24 novembre 1999, n. 468).
Il primo comma della disposizione di legge prevede le ipotesi di incompatibilità assoluta, che sono poste a presidio dell'indipendenza del magistrato onorario ed il cui scopo è quello di evitare ogni potenziale conflitto di interessi nell’attività del giudice di pace: la presenza di una di queste cause di incompatibilità impedisce la nomina dell’aspirante ed il sopravvenire di una di esse comporta la decadenza dall'incarico onorario.
Vengono in rilievo, in primo luogo, alcune cariche pubbliche, anche elettive (i membri del Parlamento, i consiglieri regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali, i componenti dei comitati di controllo sugli atti degli enti locali e delle loro sezioni) o confessionali (gli ecclesiastici e i ministri di qualunque confessione religiosa); il ricoprire o aver ricoperto nei tre anni precedenti alla nomina incarichi direttivi o esecutivi nei partiti politici; lo svolgimento di attività professionale per imprese di assicurazione o banche.
Ai commi 1 bis ed 1 ter, l’art. 8 della legge 371/1994 disciplina le incompatibilità con l'esercizio della professione di avvocato del giudice di pace.
In dottrina si è posto il problema se il sistema di incompatibilità di funzioni previsto dalla legge 371/1994 per il giudice di pace debba essere considerato esaustivo, e quindi chiuso e compiuto, oppure se esso possa essere integrato dalle norme previste per i magistrati professionali, comunque più complete.
In proposito il Consiglio superiore, fin dalla circolare del 20 settembre 1995, ha ritenuto che “pur essendo i giudici di pace appartenenti all’ordine giudiziario” le ulteriori forme di incompatibilità previste dalle norme di ordinamento giudiziario non siano loro estensibili, giacché per i magistrati onorari in oggetto “le specifiche cause di incompatibilità sono tipizzate dalla legge n. 374 del 1991”.
Il sistema delle incompatibilità disciplinato dalla legge del 1991 è stato considerato, quindi, un sistema chiuso, che non permette di applicare per analogia le norme di ordinamento giudiziario e della legge delle guarentigie: il ricorso all’analogia è impedito dalla natura eccezionale delle norme in questione, in quanto limitative di un generale diritto di accesso agli uffici pubblici, garantito nella Costituzione dall’art. 51. Pertanto l’ampliamento delle cause di incompatibilità, mediante l’applicazione analogica di quelle previste per i magistrati professionali, realizzerebbe un’illegittima introduzione di limiti all’accesso all’ufficio pubblico (o alla permanenza in esso) non voluti dalla legge, che nella sostanza comporterebbero la riduzione del diritto costituzionalmente garantito.
Pur tuttavia, la normativa primaria è stata integrata dalla circolare n. P 15880/2002 del 1° agosto 2002 e successive modifiche, approvata con delibera del 30 luglio 2002, recante Nuove
modalità di nomina e conferma dei giudici di pace a seguito delle modifiche alla legge istitutiva
introdotte dalla legge 24 novembre 1999, n. 468.
Tale circolare ha specificato, praeter legem, che l'assunzione dell'incarico di giudice di pace è incompatibile, oltre che con le attività enucleate dalla legge, con l'esercizio di qualsiasi altro ufficio giudiziario onorario e con le funzioni di difensore civico; ciò consente di ritenere che, oltre alle cause di incompatibilità espressamente previste dalla legge, ve ne sono altre la cui ratio è da individuare nella assoluta inconciliabilità con l’attività svolta dal magistrato onorario.
Con riferimento in generale alle attività extragiudiziarie, la circolare P 15880/2002 ha ribadito l’inapplicabilità ai giudici di pace dell’art. 16 O.G., giacché la norma presuppone un rapporto professionale che nella specie manca, salvo il rispetto dell’art. 5, comma 3, della legge 21 novembre 1991, n. 374.
In particolare al capo IV, par. 1, primi tre commi, si legge: “1. – Il regime delle incompatibilità del giudice di pace contenuto nella legge istitutiva – legge 21 novembre 1991, n. 374 – è stato profondamente innovato dalle previsioni della legge 24 novembre 1999, n. 468, con l’aggiunta di nuove situazioni di incompatibilità, alcune riguardanti soltanto i giudici di pace che siano iscritti nell’albo degli avvocati. 2. – Preliminarmente si osserva che ai giudici di pace non è applicabile, quanto alle autorizzazioni, la disciplina prevista dall’art. 16 dell’Ordinamento giudiziario, per assenza di una espressa previsione in tal senso, sicché costoro possono espletare incarichi extragiudiziari senza necessità di previa autorizzazione da parte del Consiglio superiore della magistratura. Spetta, comunque, ad esso verificare la permanenza in concreto, in capo al giudice di pace, dei requisiti di indipendenza e terzietà, previsti dall’art. 5, comma 3, della legge 21 novembre 1991, n. 374, per l’ipotesi in cui il giudice di pace assuma incarichi extragiudiziari che, per la loro natura o le relative modalità di espletamento, possano porre in pericolo i menzionati caratteri della giurisdizione. I giudici di pace sono, pertanto, tenuti a dare comunicazione degli incarichi extragiudiziari svolti, al fine di consentire al Consiglio, nell’ambito dei suoi poteri di sorveglianza, una diretta cognizione delle attività espletate. 3. – L’art. 5, lett. h), della legge 21 novembre 1991, n. 374, prevede come requisito per la nomina, aver cessato, o impegnarsi a cessare, prima dell’assunzione delle funzioni di giudice di pace, l’esercizio di qualsiasi attività lavorativa dipendente pubblica o privata: tale previsione normativa comprende tutte le forme di lavoro subordinato e va riferito, quindi, anche ai rapporti di lavoro a tempo determinato ed a tempo parziale. Il sistema di incompatibilità non si estende, viceversa, all’attività lavorativa autonoma (quale ad esempio l’attività commerciale o quella esercitata in campo professionale diverso da quello forense). Tuttavia l’espletamento di singole attività a carattere autonomo deve essere valutato dal Consiglio superiore della magistratura ai fini dell’accertamento dell’esistenza del requisito generale della capacità di assolvere degnamente le funzioni di giudice di pace.”.
In base alla normativa primaria e secondaria, il giudice di pace può svolgere incarichi ed attività extragiudiziarie senza necessità di autorizzazione da parte del C.S.M., salva la verifica della loro compatibilità, per natura e modalità di espletamento, con i requisiti di indipendenza e terzietà; il magistrato onorario, pertanto, è tenuto a comunicare al C.S.M. gli incarichi e le attività extragiudiziarie eventualmente svolte, allo scopo di permettere e di accertare se esse possano pregiudicare il requisito dell’art. 5, comma III, L. 374/1991, vale a dire la capacità di assolvere degnamente, per indipendenza, equilibrio e prestigio acquisito e per esperienza giuridica e culturale, le funzioni di magistrato onorario.
3. - Applicando i principi esposti al caso in esame, si deve confermare l’opzione interpretativa adottata dall’Ufficio Studi di questo Consiglio con il parere n. 493 del 17 novembre 2008, con riferimento all’attività di conciliatore previa iscrizione negli elenchi predisposti presso la C.C.I.A.A., e ritenere che l’esercizio delle funzioni di mediatore professionista previsto dal D.Lgs. n. 28/10 non sia compatibile con le funzioni di giudice di pace.
Pur non essendo stata riproposta la disposizione dell’art. 7 del decreto ministeriale 23 luglio 2004 n. 222 contenente il “Regolamento recante la determinazione dei criteri e delle modalità di iscrizione nonché di tenuta del registro degli organismi di conciliazione di cui all’art. 38 del D.Lgs. 17 gennaio 2003, n.5”, che espressamente vietava ai giudici di pace di svolgere la conciliazione in forme e modi diversi da quelli stabiliti dall’art. 322 del codice di procedura civile (12), la disciplina positiva sopra descritta induce a ritenere inconciliabile l’attività di mediatore professionista con le funzioni e la posizione ordinamentale del giudice di pace.
In primo luogo va considerata la previsione dell’art. 322 cod. proc. civ., che disciplina l’attività conciliativa che il giudice di pace è chiamato a svolgere in via autonoma, al di fuori del
giudizio ed indipendentemente da esso, con l’evidente proponimento di evitarlo.
La conciliazione in sede non contenziosa del giudice di pace si pone tra le forme alternative di risoluzione delle controversie, intese come metodi di soluzione della lite, basati sul libero ed autonomo accordo delle parti con esclusione, pertanto, dei diritti indisponibili; laddove abbia esito positivo, essa porta alla redazione di un processo verbale di accordo, che costituisce titolo esecutivo suscettibile di esecuzione forzata, sempre che la vertenza rientri nella competenza del giudice di pace; ove tale competenza non sussista, il verbale di conciliazione degrada a mera scrittura privata riconosciuta. La distinzione appare, peraltro, oggi superata, atteso che il nuovo testo dell’art. 474, II comma n.3, cod. proc. civ. contempla fra i titoli esecutivi gli atti ricevuti da un pubblico ufficiale autorizzato dalla legge a riceverli, relativamente alle obbligazioni di denaro in essi contenute.
Appare dunque evidente che il giudice di pace, già istituzionalmente deputato ad espletare l’attività conciliativa stragiudiziale, non può rendere il medesimo servizio partecipando ad uno degli organismi di conciliazione previsti dall’art. 16 D.Lgs. 28/2010. Se ciò avvenisse, infatti, si avrebbe una sovrapposizione di ruoli per l’espletamento della medesima funzione di conciliatore, così non solo vanificando la stessa disposizione normativa di cui all’art. 322 cod. proc. civ., ma anche appannando la stessa immagine di imparzialità ed indipendenza di cui all’art. 5, III comma, L. 374/1991. Al giudice di pace sarebbe consentito di svolgere la medesima attività in ambito “pubblico” e, al contempo, in ambito “privato”, peraltro percependo specifici compensi, corrisposti dalle parti secondo le tariffe stabilite per la conciliazione stragiudiziale.
A ciò si aggiunga che tutto ciò potrebbe avvenire anche nel medesimo contesto territoriale in cui il giudice di pace esercita le funzioni giurisdizionali e con riferimento alla stragrande maggioranza dei procedimenti di sua competenza, considerato l’inserimento, tra le ipotesi di conciliazione obbligatoria, delle controversie giudiziarie in materia di condominio, diritti reali e di risarcimento dei danni derivanti dalla circolazione dei veicoli e dei natanti. Inoltre una eventuale limitazione territoriale della incompatibilità non avrebbe senso, tenendo a mente l’assenza di un criterio di collegamento territoriale tra sede dell’organismo di conciliazione e l’autorità giudiziaria.
L’incompatibilità assoluta appare essere del tutto coerente in relazione alla funzione svolta dalla conciliazione stragiudiziale - di cui si è detto in apertura – nonché al rispetto dell’art. 5, comma 3, della legge 374/1991. Invero la capacità di assolvere degnamente, per indipendenza, equilibrio e prestigio acquisito, le funzioni di magistrato onorario potrebbe essere, quanto meno sotto forma di immagine, pregiudicata dal contestuale esercizio nel medesimo contesto territoriale dell’incarico di conciliatore presso gli organismi a tanto deputati.
…omissis…
Per tutto quanto sopra esposto, il Consiglio delibera di rispondere che l’attività di mediatore professionista di cui al D.Lgs. 28/2010 non è compatibile con le funzioni di giudice di pace anche se svolte in ambiti territoriali di circondari di tribunale diversi da quelli nel quale sono esercitate le funzioni onorarie”.
AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.