è Corte cost. 14 maggio 2010, n. 178
Lo Stato ha già esercitato in via generale la sua potestà legislativa in materia, mediante il d.lgs. n. 28 del 2010, che, nel disciplinare il procedimento di mediazione come condizione di procedibilità dell'azione giudiziale relativa alle controversie anche in materia di responsabilità medica, stabilisce (art. 2, comma 2) che la normativa statale «non preclude le negoziazioni volontarie e paritetiche relative alle controversie civili e commerciali, né le procedure di reclamo previste dalle carte dei servizi».
Le Regioni possono predisporre servizi come quello previsto dalla legge veneta censurata, nell'ambito delle proprie competenze nelle singole materie, prevedendo organi e procedimenti specificamente adatti alla natura delle attività coinvolte, nel rispetto del limite generale della non obbligatorietà delle procedure e della non vincolatività delle proposte conciliative.
La ratio della legge della Regione Veneto censurata nel presente giudizio è, secondo la resistente, quella di prevenire controversie giudiziarie connesse all'erogazione di prestazioni sanitarie. Pertanto, la materia in cui ricadono le norme impugnate nella «tutela della salute» - attribuita alla competenza legislativa concorrente, di cui al terzo comma dell'art. 117 Cost. - sulla base della considerazione che l'economicità, la completezza e la qualità delle prestazioni sanitarie devono necessariamente caratterizzare tutta l'organizzazione posta a tutela della salute dei cittadini. La prevenzione delle controversie, e dei loro costi elevati, rientra pienamente tra gli strumenti idonei a raggiungere i predetti obiettivi, che devono essere perseguiti dalle aziende sanitarie, con l'effetto di liberare risorse da impiegare nel miglioramento dei servizi.
Nel fare salve tutte le negoziazioni volontarie e paritetiche, volte alla prevenzione delle liti, nonché le norme contenute nelle carte di servizi (che, nella materia della «tutela della salute», vengono emanate ed applicate nell'ambito di strutture sanitarie territoriali o ospedaliere dipendenti dalle Regioni), lo Stato riconosce ad altri enti (ivi comprese, naturalmente, le Regioni) l'implicita capacità di regolare la composizione stragiudiziale di controversie attinenti ad attività, nei limiti della propria sfera di competenza, senza sconfinare nella disciplina della funzione giurisdizionale o comunque di atti e procedure che possono incidere sulla stessa.
Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 8/2012
Corte Costituzionale
14 maggio 2010, n. 178
14 maggio 2010, n. 178
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Francesco AMIRANTE Presidente
- Ugo DE SIERVO Giudice
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale della legge della Regione Veneto 31 luglio 2009, n. 15 (Norme in materia di gestione stragiudiziale del contenzioso sanitario), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso notificato il 2-6 ottobre 2009, depositato in cancelleria il 12 ottobre 2009 ed iscritto al n. 87 del registro ricorsi 2009.
Visto l'atto di costituzione della Regione Veneto;
udito nell'udienza pubblica del 28 aprile 2010 il Giudice relatore Gaetano Silvestri;
uditi l'avvocato dello Stato Maurizio Borgo per il Presidente del Consiglio dei ministri e gli avvocati Mario Bertolissi e Luigi Manzi per la Regione Veneto.
Ritenuto in fatto
1. - Il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso, con ricorso notificato il 2-6 ottobre 2009 e depositato il successivo 12 ottobre, questioni di legittimità costituzionale della legge della Regione Veneto 31 luglio 2009, n. 15 (Norme in materia di gestione stragiudiziale del contenzioso sanitario), ed, in particolare, degli artt. 1, comma 2, 2 e 3 nonché delle «altre disposizioni inscindibilmente connesse ad essi», per violazione degli artt. 11 e 117, primo comma, secondo comma, lettera l), e terzo comma, della Costituzione.
Preliminarmente, il ricorrente evidenzia come la legge impugnata sia finalizzata alla riduzione del contenzioso in materia sanitaria, attraverso la promozione di «modalità di composizione stragiudiziale delle controversie insorte in occasione dell'erogazione delle prestazioni sanitarie» (art. 1, comma 1). Per il perseguimento di queste finalità «la Regione individua e disciplina le procedure funzionali alla composizione stragiudiziale delle controversie, promuovendone l'utilizzo da parte dei cittadini» (art. 1, comma 2). L'art. 2 della legge impugnata istituisce una «Commissione conciliativa regionale» con il compito di comporre in via stragiudiziale le controversie per danni da responsabilità civile derivanti da prestazioni sanitarie erogate dalle aziende sanitarie locali ed ospedaliere, nonché dalle strutture private provvisoriamente accreditate. L'art. 3 attribuisce alla Giunta regionale il compito di disciplinare l'organizzazione della Commissione, il procedimento davanti alla stessa, i criteri e le modalità di presentazione delle domande, e l'indennità spettante ai componenti, ai supplenti ed ai consulenti della suddetta Commissione. Spetta alla Giunta individuare, altresì, i mezzi, le risorse, la sede ed il personale da assegnare alla Commissione per l'espletamento delle sue funzioni (comma 1). Il comma 2 dell'art. 3 stabilisce, inoltre, i principi ed i criteri direttivi cui si deve ispirare il procedimento davanti alla Commissione, fra i quali, la non obbligatorietà, volontarietà, gratuità, imparzialità, celerità e riservatezza del procedimento conciliativo (lettere a, b, c, e, g ed i), la non vincolatività della decisione della Commissione (lettera d) e la definizione della conciliazione, in caso di accordo fra le parti, con un atto negoziale di diritto privato ai sensi dell'art. 1965 del codice civile (lettera h). L'art. 4 individua le parti necessarie nel procedimento ed i soggetti che possono intervenire, anche a mezzo di rappresentanti, e stabilisce i criteri di imputazione delle spese; l'art. 5 prevede il monitoraggio dell'attività conciliativa; l'art. 6 dispone l'istituzione di un fondo regionale finalizzato a risarcire i danni da responsabilità civile di un certo ammontare ed infine l'art. 7 reca una norma relativa alla copertura finanziaria della legge in esame.
1.1. - Secondo il ricorrente, la legge reg. n. 15 del 2009 ed, in particolare, gli artt. 1, comma 2, 2 e 3 violerebbero, in primo luogo, l'art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., poiché avrebbero ad oggetto l'istituto della conciliazione la cui disciplina rientra nella competenza legislativa statale in materia di «ordinamento civile» (sono richiamate le sentenze della Corte costituzionale n. 50 e n. 384 del 2005). Sarebbe al contempo violata la competenza legislativa statale in tema di «giurisdizione e norme processuali», a causa dell'«incidenza che la previsione e la regolamentazione del tentativo di componimento bonario delle liti possono avere sullo svolgimento del processo».
La difesa dello Stato osserva che la necessità di una disciplina uniforme degli strumenti di conciliazione su tutto il territorio nazionale è confermata dall'esigenza di regolare, in modo unitario, i rapporti tra lo svolgimento del procedimento di composizione stragiudiziale della controversia e l'esercizio del diritto di azione in sede giurisdizionale, con particolare riguardo alla decorrenza dei termini di prescrizione e di decadenza durante il tempo occorrente per l'espletamento del tentativo di conciliazione.
L'Avvocatura generale sottolinea, inoltre, come di recente lo Stato abbia esercitato la propria potestà legislativa in materia con l'approvazione della legge 18 giugno 2009, n. 69 (Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile), il cui art. 60 contiene una delega al Governo in materia di mediazione e di conciliazione delle controversie civili e commerciali.
A tal proposito, il ricorrente ritiene che l'art. 2, comma 3, della legge reg. n. 15 del 2009, nella parte in cui stabilisce che la Commissione conciliativa regionale è nominata dalla Giunta regionale e dura in carica tre anni, si ponga in contrasto con l'art. 60, comma 3, lettera b), della legge n. 69 del 2009, il quale individua, tra i principi e criteri direttivi, quello secondo cui la mediazione deve essere svolta da «organismi professionali e indipendenti, stabilmente destinati all'erogazione del servizio di conciliazione».
La violazione della competenza statale di cui all'art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., sarebbe poi di tutta evidenza con riferimento all'art. 3, comma 2, lettera h), della legge reg. n. 15 del 2009, il quale prevede, tra i principi cui deve ispirarsi il procedimento davanti alla Commissione conciliativa, la «definizione della conciliazione, in caso di accordo fra le parti, con un atto negoziale di diritto privato ai sensi dell'articolo 1965 del codice civile». Secondo il ricorrente, la norma in esame qualificherebbe come transazione l'accordo che conclude il procedimento di conciliazione anche qualora non sia caratterizzato dalle «reciproche concessioni», previste dall'art. 1965 cod. civ.
1.2. - Le norme della legge reg. n. 15 del 2009 sono impugnate anche per violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost., avuto riguardo alla competenza concorrente in materia di «professioni». Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, l'istituzione della Commissione conciliativa regionale (art. 2, comma 1) e la disciplina della sua composizione e del suo funzionamento determinerebbero la nascita di una nuova figura professionale - di conciliatore o mediatore - diversa da quella definita nell'art. 60 della legge n. 69 del 2009.
La difesa dello Stato richiama, al riguardo, la giurisprudenza costituzionale secondo la quale la potestà legislativa regionale nella materia concorrente delle «professioni» deve rispettare il principio per cui l'individuazione delle figure professionali, con i relativi titoli abilitanti, è riservata allo Stato, mentre spetta alle Regioni la disciplina dei profili che presentano uno specifico collegamento con la realtà regionale (sono citate le sentenze n. 153 del 2006 e n. 300 del 2007). Il ricorrente aggiunge che la giurisprudenza menzionata è stata pienamente recepita nel decreto legislativo 2 febbraio 2006, n. 30 (Ricognizione dei princìpi fondamentali in materia di professioni, ai sensi dell'articolo 1 della legge 5 giugno 2003, n. 131).
Inoltre, le norme regionali impugnate si porrebbero in contrasto con i principi dettati, in materia di professioni, dall'art. 60 della legge n. 69 del 2009, il quale, al comma 3, lettera c), ha previsto la creazione di un apposito registro degli organismi di conciliazione, sottoposto alla vigilanza del Ministero della giustizia, e alla lettera d) del medesimo comma ha regolamentato l'accesso a questa professione, prevedendo che i requisiti per l'iscrizione nel registro e per la sua conservazione siano stabiliti con decreto del Ministro della giustizia.
1.3. - Il Presidente del Consiglio dei ministri lamenta, infine, la violazione degli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., da parte delle norme censurate. Queste ultime, infatti, si porrebbero in contrasto con i principi contenuti nella direttiva 21 maggio 2008, n. 2008/52/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a determinati aspetti della mediazione in materia civile e commerciale), per il cui recepimento è stata conferita delega al Governo con l'art. 1 della legge 7 luglio 2009, n. 88 (Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee. Legge comunitaria 2008).
Al riguardo, la difesa dello Stato rileva come la citata direttiva comunitaria, analogamente alla normativa interna prima richiamata, preveda, quale condizione per lo svolgimento dell'attività di mediazione, i requisiti di imparzialità e di competenza del mediatore (art. 3); imponga agli Stati membri di adottare misure per consentire che gli accordi risultanti dalla mediazione abbiano efficacia esecutiva (art. 6); impegni gli Stati membri a salvaguardare il diritto di azione delle parti, che abbiano fatto ricorso al procedimento di mediazione, dagli effetti pregiudizievoli della prescrizione e della decadenza (art. 8).
Pertanto, le norme regionali impugnate, ponendosi in contrasto con le citate prescrizioni comunitarie, violerebbero gli artt. 11 e 117, primo comma, Cost.
2. - Nel giudizio si è costituita la Regione Veneto, eccependo l'inammissibilità e deducendo comunque l'infondatezza delle censure.
2.1. - In via preliminare, la difesa regionale si sofferma sul contesto nel quale si colloca la normativa impugnata, evidenziando come negli ultimi decenni, in Italia ed in altri Stati europei, si sia assistito ad un aumento esponenziale del contenzioso sanitario. I successi della medicina moderna ed il conseguente aumento delle aspettative di vita hanno indotto il paziente a credere che l'esito infausto sia sempre e comunque attribuibile al medico, e non all'intrinseca gravità della malattia o all'imprevedibilità della risposta dell'organismo umano alle cure.
La cosiddetta overcompensation (cioè l'aumento dell'entità dei risarcimenti ed, in generale, l'aumento del contenzioso) avrebbe determinato «una pericolosa patologia» (la cosiddetta overdeterrence) della classe medica e della struttura ospedaliera, nonché, di riflesso, delle compagnie di assicurazione. In altre parole, il rischio di incorrere in procedimenti giudiziari ed eventualmente in pronunzie di condanna per il risarcimento dei danni provocati, indurrebbe molti medici ad abbandonare le specialità più a rischio o a ricorrere ad esami diagnostici superflui prima di ogni intervento (fenomeno della cosiddetta medicina difensiva). Tutto ciò determinerebbe un aumento dei rischi a carico della salute del paziente, dei costi per la spesa sanitaria e dei premi assicurativi; in qualche caso, addirittura, le compagnie di assicurazione avrebbero deciso di uscire dal mercato, rifiutandosi di assicurare medici operanti nei settori maggiormente esposti al rischio di procedimenti giudiziari per risarcimento dei danni.
Secondo la Regione Veneto, la normativa impugnata sarebbe finalizzata a contenere le crescenti spese affrontate dalle strutture sanitarie per il pagamento dei premi assicurativi (che, per l'anno 2004, ammonterebbero a 38.289.425 euro). Pertanto, la legge reg. n. 15 del 2009 (modellata su esperienze straniere, in particolare, tedesca ed austriaca), attraverso l'istituzione della Commissione conciliativa regionale, sarebbe volta a ridurre la spesa pubblica regionale e ad assicurare una migliore allocazione delle risorse, nel rispetto dei vincoli comunitari di finanza pubblica.
La resistente evidenzia, altresì, come la legge regionale censurata preveda una forma di monitoraggio dell'attività conciliativa al fine di rafforzare la gestione del rischio clinico; così facendo, la normativa impugnata darebbe attuazione all'art. 32 Cost.
Infine, la Regione Veneto precisa che la legge reg. n. 15 del 2009 ottempera a quanto sancito nell'intesa del 20 marzo 2008 (in particolare, nel punto 6) tra il Governo, le Regioni e le Province autonome, concernente, appunto, la gestione del rischio clinico e la sicurezza dei pazienti e delle cure.
2.2. - Quanto alle censure mosse dal ricorrente, la difesa regionale ne eccepisce, in primis, l'inammissibilità, poiché l'impugnativa riguarderebbe in modo generico l'intera legge reg. n. 15 del 2009.
Inoltre, l'affermazione, contenuta nel ricorso, secondo cui sono impugnate anche le altre disposizioni della legge regionale «inscindibilmente connesse» alle norme espressamente censurate, rimetterebbe alla Corte costituzionale il compito di individuare le disposizioni oggetto dell'impugnazione, in violazione del principio della domanda (ex art. 34 della legge 11 marzo 1953, n. 87 - Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale). Quella appena rappresentata costituirebbe un'ulteriore causa di inammissibilità delle questioni.
2.3. - Nel merito, la Regione Veneto contesta le conclusioni cui è pervenuto il ricorrente.
2.3.1. - Quanto all'asserita violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., la resistente sottolinea come sia inconferente il richiamo delle sentenze della Corte costituzionale n. 50 e n. 384 del 2005, giacché queste ultime riguarderebbero fattispecie molto diverse da quella oggetto dell'odierno giudizio.
In particolare, la difesa regionale rileva che, a differenza delle norme scrutinate nei giudizi definiti con le predette sentenze, la legge reg. n. 15 del 2009 disciplina un procedimento di conciliazione facoltativo e ad esclusiva iniziativa delle parti, come si desume dall'art. 3, comma 2, lettere a) e b), della stessa legge. I caratteri di non obbligatorietà e volontarietà del procedimento di conciliazione sarebbero resi ancora più evidenti da quanto previsto nell'art. 3, comma 2, lettere d) e h), della legge reg. n. 15 del 2009.
Dalle suddette caratteristiche del procedimento conciliativo in esame la resistente deduce l'infondatezza delle questioni promosse sia rispetto all'art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. (al quale, secondo la difesa regionale, possono essere ricondotte le sole fattispecie di tentativo obbligatorio di conciliazione), sia in riferimento all'art. 117, terzo comma, Cost. (in quanto il procedimento di conciliazione facoltativo e ad esclusiva iniziativa delle parti non può essere ricompreso in alcuna delle materie elencate nella citata norma costituzionale).
In definitiva, la Regione Veneto ritiene che le norme impugnate siano espressione della potestà legislativa regionale residuale di cui all'art. 117, quarto comma, Cost.
Per le ragioni anzidette la resistente esclude l'esistenza di un contrasto tra la legge reg. n. 15 del 2009 e l'art. 60 della legge n. 69 del 2009, recante una delega legislativa in materia di mediazione e conciliazione delle controverse civili e commerciali. La Regione Veneto precisa come non fosse affatto tenuta a rispettare il citato art. 60 (il quale riguarderebbe i soli casi di tentativo obbligatorio di conciliazione), dal momento che la disciplina del procedimento di conciliazione facoltativo e ad esclusiva iniziativa delle parti è ascrivibile alla potestà legislativa regionale residuale.
In ogni caso, le norme impugnate sarebbero «in piena sintonia» con quanto stabilito dall'art. 60 della legge n. 69 del 2009. In particolare, la resistente contesta la tesi della difesa statale, secondo cui la nomina della Commissione conciliativa da parte della Giunta regionale ne minerebbe l'indipendenza, osservando che, se così fosse, non potrebbero essere considerate indipendenti neppure le diverse Autorità esistenti nell'ordinamento italiano (Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, Isvap, Consob ecc.) ed i cui vertici sono, quasi sempre, di nomina politica.
Inoltre, l'indipendenza e l'imparzialità della Commissione sarebbero garantite dall'art. 3 (recte, 2), comma 8, della legge reg. n. 15 del 2009, il quale prevede l'obbligo di astensione dei membri della Commissione in una serie di casi, «anche su richiesta delle parti». Nella stessa direzione andrebbe pure l'art. 3 (recte, 2), comma 7, secondo cui i componenti della Commissione «non possono essere scelti tra i dipendenti delle aziende ULSS ed ospedaliere nonché delle strutture private provvisoriamente accreditate della Regione del Veneto».
Infine, la difesa regionale ritiene che non sia condivisibile la lettura dell'art. 3, comma 2, lettera h), della legge reg. n. 15 del 2009, operata dal ricorrente, secondo cui la predetta norma qualificherebbe come transazione, ai sensi dell'art. 1965 cod. civ., l'accordo che conclude il procedimento di conciliazione «anche laddove non sia caratterizzato [...] da reciproche concessioni». A tal proposito, la resistente osserva che la non vincolatività della decisione della Commissione (art. 3, comma 2, lettera d) e quindi la possibilità per le parti di adire successivamente l'autorità giudiziaria, implicano l'esistenza di reciproche concessioni tra le stesse parti, nel caso in cui queste decidano di accettare l'esito del procedimento di conciliazione.
2.3.2. - In merito all'asserita violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost., la Regione Veneto evidenzia l'inconferenza del riferimento, contenuto nel ricorso, alle sentenze n. 153 del 2006 e n. 300 del 2007 della Corte costituzionale. L'oggetto dei giudizi di legittimità costituzionale definiti con le predette sentenze non sarebbe, infatti, assimilabile a quello dell'odierno giudizio, in quanto la normativa oggi impugnata non istituisce una nuova figura professionale di conciliatore o mediatore a valenza generale, ma affida ad una Commissione conciliativa regionale, di cui fanno parte un magistrato a riposo, un avvocato ed un medico legale, il compito di risolvere in via stragiudiziale le sole controversie indicate nell'art. 2, commi 1 e 2, della legge reg. n. 15 del 2009.
Pertanto, la resistente ritiene che il legislatore regionale non fosse tenuto a rispettare né i principi generali in materia di «professioni» dettati dal d.lgs. n. 30 del 2006, né quelli previsti dall'art. 60 della legge n. 69 del 2009. In ogni caso, la normativa impugnata sarebbe conforme ai suddetti principi.
2.3.3. - In merito all'asserita violazione dell'art. 117, primo comma, Cost., la Regione Veneto sottolinea come l'ambito di applicazione della legge reg. n. 15 del 2009 sia diverso da quello della direttiva n. 2008/52/CE, la quale riguarda le controversie transfrontaliere in materia civile e commerciale.
Peraltro, la normativa impugnata non si porrebbe in contrasto con la richiamata direttiva comunitaria (ed in particolare con gli artt. 6 e 8 di quest'ultima), essendo al contrario dubitabile la conformità dell'art. 60 della legge n. 69 del 2009 ai principi espressi dal medesimo atto comunitario, in quanto il citato art. 60 conterrebbe una nozione di «mediatore» meno ampia di quella recata dalla direttiva n. 2008/52/CE.
3. - In prossimità dell'udienza pubblica, la Regione Veneto ha depositato una memoria nella quale ribadisce quanto già affermato nell'atto di costituzione, anche alla luce del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28 (Attuazione dell'articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali).
In particolare, la difesa regionale sottolinea la differenza tra la conciliazione (di cui all'art. 60 della legge n. 69 del 2009 ed al d.lgs. n. 28 del 2010) e la transazione (di cui agli artt. 1965 e seguenti cod. civ., espressamente richiamati dalla legge reg. n. 15 del 2009).
Considerato in diritto
1. - Il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso questioni di legittimità costituzionale della legge della Regione Veneto 31 luglio 2009, n. 15 (Norme in materia di gestione stragiudiziale del contenzioso sanitario) ed, in particolare, degli artt. 1, comma 2, 2 e 3 nonché delle «altre disposizioni inscindibilmente connesse ad essi», per violazione degli artt. 11 e 117, primo comma, secondo comma, lettera l), e terzo comma, della Costituzione.
1.1. - Preliminarmente, deve essere esaminata l'eccezione di inammissibilità del ricorso, sollevata dalla Regione Veneto. Quest'ultima evidenzia come il ricorrente abbia impugnato un'intera legge e richiama la giurisprudenza costituzionale che ha escluso l'ammissibilità di questioni in tal modo proposte.
Al riguardo, deve essere richiamato il costante orientamento di questa Corte, secondo cui l'impugnativa di un'intera legge è inammissibile «ove ciò comporti la genericità delle censure che non consenta la individuazione della questione oggetto dello scrutinio di costituzionalità, mentre ammissibili sono le impugnative contro intere leggi caratterizzate da normative omogenee e tutte coinvolte dalle censure» (sentenza n. 201 del 2008).
Nell'odierno giudizio l'eccezione di inammissibilità deve essere rigettata, innanzitutto, perché il ricorrente non si limita ad impugnare genericamente l'intera legge, ma formula specifiche censure agli artt. 1, comma 2, 2 e 3, oltre a precisare che le altre disposizioni (ed in particolare l'art. 4) sono inscindibilmente connesse a quelle impugnate. In secondo luogo, la legge reg. Veneto n. 15 del 2009 presenta un contenuto omogeneo, essendo finalizzata a promuovere l'utilizzo di modalità di composizione stragiudiziale delle controversie sanitarie; pertanto, anche in assenza di specifiche censure, il ricorso sarebbe stato immune dal vizio di inammissibilità rilevato dalla Regione resistente.
2. - Le questioni non sono fondate.
2.1. - La ratio della legge della Regione Veneto censurata nel presente giudizio è, secondo la resistente, quella di prevenire controversie giudiziarie connesse all'erogazione di prestazioni sanitarie, con l'intento di ridurre l'ammontare dei risarcimenti, che gravano sui bilanci delle aziende sanitarie locali. La legge in questione nasce inoltre dall'esigenza di porre rimedio al forte aumento dei premi assicurativi, anch'essi a carico dei bilanci delle ASL, determinato dal rischio crescente di condanne al risarcimento dei danni derivanti dall'attività sanitaria. Ulteriore finalità della legge è quella di ridurre il fenomeno della cosiddetta "medicina difensiva", che porta alla prescrizione di accertamenti diagnostici non strettamente indispensabili prima di ogni intervento medico o chirurgico, al solo scopo di acquisire strumenti difensivi nella prospettiva di una eventuale, ma prevedibile, lite giudiziaria. La Regione resistente ha posto in rilievo, altresì, che le specialità mediche e chirurgiche più a rischio sono sempre meno ricercate, o addirittura abbandonate, dagli operatori e dagli specializzandi, con conseguenti difficoltà organizzative per le strutture sanitarie che intendono continuare a garantire livelli costanti di qualità e quantità delle prestazioni offerte ai cittadini.
2.2. - Quanto sopra premesso consente di individuare la materia in cui ricadono le norme impugnate nella «tutela della salute» - attribuita alla competenza legislativa concorrente, di cui al terzo comma dell'art. 117 Cost. - sulla base della considerazione che l'economicità, la completezza e la qualità delle prestazioni sanitarie devono necessariamente caratterizzare tutta l'organizzazione posta a tutela della salute dei cittadini. La prevenzione delle controversie, e dei loro costi elevati, rientra pienamente tra gli strumenti idonei a raggiungere i predetti obiettivi, che devono essere perseguiti dalle aziende sanitarie, con l'effetto di liberare risorse da impiegare nel miglioramento dei servizi.
3. - La suddetta individuazione della materia esclude che siano fondate le prospettazioni formulate in proposito dal ricorrente e dalla resistente.
3.1. - Non può essere condivisa l'evocazione, ad opera della difesa statale, dell'art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., vale a dire della competenza legislativa dello Stato in tema di «giurisdizione e norme processuali» e di «ordinamento civile».
Le norme censurate, a differenza di quelle statali, non creano un sistema conciliativo imposto ai soggetti che reclamano un risarcimento per pretesi danni derivanti da prestazioni sanitarie. Infatti, l'art. 5 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28 (Attuazione dell'articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali) dispone (comma 1): «L'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale». L'art. 13 dello stesso atto normativo stabilisce inoltre: «Quando il provvedimento che definisce il giudizio corrisponde interamente al contenuto della proposta [di conciliazione], il giudice esclude la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice che ha rifiutato la proposta, riferibili al periodo successivo alla formulazione della stessa, e la condanna al rimborso delle spese sostenute dalla parte soccombente relative allo stesso periodo, nonché al versamento all'entrata del bilancio dello Stato di un'ulteriore somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto».
Dalle due norme sopra richiamate - che attuano i principi ed i criteri direttivi dell'art. 60 della legge di delega n. 69 del 2009 - si ricava che la mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali è contrassegnata dalla sua obbligatorietà, quale procedimento da esperire prima dell'instaurazione di una lite giudiziaria, pena l'improcedibilità della domanda. Altro effetto discendente dal procedimento conciliativo disciplinato dalle norme statali è quello sanzionatorio, previsto dal citato art. 13, per la parte che, pur avendo ricevuto una proposta di conciliazione ritenuta poi valida dal giudice, abbia costretto la controparte e l'amministrazione della giustizia ad un impiego di risorse, umane e materiali, che poteva essere evitato. In definitiva, il procedimento conciliativo disciplinato dalla legge statale, di cui il ricorrente sostiene la violazione da parte della normativa impugnata, rientra nell'esercizio della funzione giudiziaria e nella sfera del diritto civile, giacché, con riferimento al caso di specie, condiziona l'esercizio del diritto di azione finalizzato al risarcimento dei danni da responsabilità civile e prevede ricadute negative per chi irragionevolmente abbia voluto instaurare un contenzioso davanti al giudice, nonostante fosse stata formulata una proposta conciliativa rivelatasi successivamente satisfattiva delle proprie ragioni.
3.2. - Nulla di tutto quanto precede si ritrova nella disciplina contenuta nella legge regionale censurata.
Innanzitutto, l'avvio del procedimento conciliativo non è obbligatorio ed è subordinato al consenso di tutte le parti (art. 3, comma 2, lettere a e b); inoltre, la decisione non è vincolante, lasciando alle parti stesse la facoltà di adire successivamente l'autorità giudiziaria (lettera d). A differenza di quanto accade nel procedimento conciliativo previsto dalle norme statali, la scelta, anche di una sola delle parti interessate, di non avvalersi dell'opportunità offerta dalla legge regionale in esame non condiziona in alcun modo l'esercizio del diritto di azione, né il rifiuto della proposta conciliativa produce conseguenze sfavorevoli su chi lo esprime, quale che sia il contenuto di eventuali pronunce giurisdizionali successive.
Da queste caratteristiche della conciliazione disciplinata dalla legge regionale si evince che la Regione si è limitata a porre a disposizione dei cittadini e delle aziende sanitarie pubbliche e di quelle private accreditate uno strumento tecnico-giuridico di facilitazione e di supporto delle trattative, che i soggetti interessati ritengano liberamente di intavolare, allo scopo di individuare soluzioni condivise in relazione a pretese risarcitorie nascenti da attività sanitaria, consentendo al cittadino un più rapido soddisfacimento delle proprie richieste ed alle amministrazioni sanitarie una riduzione dei pesi finanziari ed amministrativi di lunghe e costose controversie.
La volontarietà dell'esperimento conciliativo, prevista dalle norme regionali, rende palese l'infondatezza della censura del ricorrente, basata sulla mancata previsione - del resto impossibile - di una sospensione dei termini di prescrizione e di decadenza: i soggetti interessati al bonario componimento, infatti, non sono obbligati a ritardare l'esercizio del loro diritto fondamentale di azione - con conseguente necessità di tenerli indenni dagli effetti pregiudizievoli derivanti dalla decorrenza dei suddetti termini - e non fanno altro che svolgere un'attività di negoziazione rientrante nell'ambito della propria autonomia privata, avvalendosi, per propria libera scelta, di un servizio offerto dall'ente pubblico.
Lo stesso richiamo all'istituto della transazione, di cui agli artt. 1965 e seguenti del codice civile, contenuto nell'art. 3, comma 2, lettera h), della legge regionale impugnata, non solo non dimostra lo sconfinamento di quest'ultima nel campo dell'ordinamento civile, ma fornisce invece conferma dell'assenza di ogni condizionamento, sostanziale e processuale, sui soggetti interessati. La prova a contrario di tale ultima considerazione è fornita dall'art. 12 del d.lgs. n. 28 del 2010, che prevede invece l'efficacia esecutiva del verbale di accordo, dopo la sua omologazione da parte del Presidente del Tribunale competente per territorio. Neppure è condivisibile in proposito il rilievo del ricorrente, basato sulla presunta introduzione, da parte della normativa regionale, di un tipo di transazione, diverso da quello codicistico, in cui non avrebbero rilievo le «reciproche concessioni». La lettura del citato art. 3, comma 2, lettera h), della legge regionale impugnata dimostra viceversa che si è in presenza di un mero rinvio alle norme del codice civile, senza che vi sia traccia di alcuna innovazione o modifica, che certo sarebbe stata estranea alla competenza legislativa regionale.
In sintesi, la legge regionale, per avvalorare la natura volontaria del procedimento e la non vincolatività della pronuncia della Commissione conciliativa, si limita a precisare che tutto il procedimento è orientato a facilitare l'eventuale formazione di un accordo transattivo - teso ad evitare l'insorgenza di una lite, così come prevede l'art. 1965, primo comma, cod. civ. - che le parti possono stipulare, se lo vogliono, esattamente nei termini previsti dal medesimo codice civile.
3.3. - Neppure condivisibile è l'assunto della resistente, che inquadra la legge impugnata nella competenza legislativa residuale delle Regioni, di cui all'art. 117, quarto comma, Cost.
Tale tipo di competenza legislativa, avente carattere primario, escluderebbe la stretta connessione tra il servizio reso agli utenti ed agli operatori sanitari dalla legge in oggetto e la tutela della salute, che, come chiarito prima, non implica soltanto l'obbligo delle istituzioni pubbliche di fornire adeguate prestazioni sanitarie ai cittadini, ma presuppone altresì una organizzazione in grado di contenere i costi e di razionalizzare le spese, in vista di un efficace uso delle risorse disponibili. In questo campo, il ruolo dello Stato, quale legislatore di principio, è ineliminabile, allo scopo di assicurare una coerenza ed unitarietà di disciplina e soprattutto di rendere chiari i limiti invalicabili tra attività volte alla facilitazione di accordi privati e procedimenti contenziosi, legati invece, in modo diretto o indiretto, alla tutela giurisdizionale dei diritti ed ai procedimenti che su questa incidono, di competenza esclusiva dello Stato stesso.
Lo Stato ha già esercitato in via generale la sua potestà legislativa in materia, mediante il d.lgs. n. 28 del 2010, che, nel disciplinare il procedimento di mediazione come condizione di procedibilità dell'azione giudiziale relativa alle controversie anche in materia di responsabilità medica, stabilisce (art. 2, comma 2) che la normativa statale «non preclude le negoziazioni volontarie e paritetiche relative alle controversie civili e commerciali, né le procedure di reclamo previste dalle carte dei servizi».
È evidente che negoziazioni volontarie possono sorgere nei più diversi campi e rientrare pertanto in differenti materie, di competenza legislativa dello Stato o delle Regioni, o di entrambi, a seconda dei casi. Sarà, volta per volta, necessario valutare il titolo di competenza che abilita le Regioni ad intervenire con proprie norme allo scopo di predisporre servizi di supporto a tali negoziazioni. Per quanto riguarda la materia delle richieste di risarcimento del danno derivante da responsabilità medica, si deve sottolineare che tale area di intervento è esplicitamente contemplata dall'art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010, con riguardo alla conciliazione obbligatoria, con la riserva contenuta nel citato art. 2, comma 2, che consente discipline non statali con riferimento a negoziazioni «volontarie e paritetiche», tali cioè da escludere qualsiasi posizione autoritativa di organi di mediazione non statali, da cui possano discendere effetti limitativi del diritto di azione.
Del resto, nell'ambito delle attività di leale collaborazione tra Stato e Regioni, è stata stipulata, in sede di Conferenza Stato-Regioni, l'Intesa del 20 marzo 2008, che, al punto 6, indica «l'opportunità di promuovere iniziative, anche di carattere normativo nazionale e regionale finalizzate a consentire l'adozione, presso le aziende sanitarie locali, le aziende ospedaliere, le aziende ospedaliero-universitarie, i policlinici universitari a gestione diretta e gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico di diritto pubblico, nei limiti delle risorse finanziarie, umane e strumentali complessivamente disponibili, di misure organizzative atte a garantire la definizione stragiudiziale delle vertenze aventi ad oggetto danni derivanti da prestazioni fornite da operatori del Servizio sanitario nazionale, fermo restando il contenimento delle spese connesse al contenzioso, tenendo conto dei seguenti criteri: previsione della non obbligatorietà della conciliazione, quale strumento di composizione stragiudiziale delle controversie; garanzia della imparzialità, professionalità, celerità delle procedure e adeguata rappresentatività delle categorie interessate, con la esplicita esclusione della possibilità di utilizzare gli atti acquisiti e le dichiarazioni della procedura di conciliazione come fonte di prova, anche indiretta, nell'eventuale successivo giudizio e con la previsione che, in caso di accordo tra le parti, la conciliazione sia definita con un atto negoziale, ai sensi degli articoli 1965 e seguenti del codice civile».
Tutti i criteri previsti nell'Intesa di cui sopra sono stati recepiti nell'art. 3 della legge regionale censurata nel presente giudizio, ad eccezione di quello relativo alla non utilizzabilità degli atti e delle dichiarazioni relative alla procedura di conciliazione in un eventuale successivo giudizio, per l'evidente motivo che tale esclusione, incidendo sull'attività giurisdizionale, non spetta alle Regioni, bensì allo Stato.
La predisposizione di servizi volti a facilitare la conciliazione stragiudiziale in materia di danni da responsabilità sanitaria, mediante l'offerta di un supporto tecnico-giuridico è stata ed è oggetto di altre leggi regionali: legge della Regione Abruzzo 9 maggio 1990, n. 65 (Integrazione della legge regionale n. 20 del 2 aprile 1985, recante «Norme di salvaguardia dei diritti dell'utente dei servizi delle U.L.S.S.»); art. 65-quater della legge della Regione Lombardia 7 gennaio 1986, n. 1 (Riorganizzazione e programmazione dei servizi socio-assistenziali della Regione Lombardia), abrogata dall'art. 28, comma 1, lettera a), della legge della Regione Lombardia 12 marzo 2008, n. 3 (Governo della rete degli interventi e dei servizi alla persona in ambito sociale e sociosanitario); art. 4-bis della legge della Provincia di Bolzano 5 marzo 2001, n. 7 (Riordinamento del Servizio Sanitario provinciale).
Anche enti pubblici diversi dalle Regioni hanno emanato normative in materia: si veda, ad esempio, l'Ordine provinciale di Roma dei medici chirurghi e degli odontoiatri, che ha istituito l'ufficio "Accordia", quale sportello conciliativo delle controversie derivanti dai rapporti tra medici e pazienti.
In questo quadro variegato e complesso, fatto salvo nel suo insieme, e nei limiti indicati, dall'art. 2, comma 2, del d.lgs. n. 28 del 2010, la legge regionale de qua si pone come uno degli interventi di razionalizzazione legislativa in una materia, quella delle controversie nascenti da prestazioni sanitarie, profondamente connessa alla gestione delle strutture di competenza regionale. Lo Stato ha già stabilito, in via generale, che gli accordi, facilitati da organismi conciliativi disciplinati da fonti diverse dalla legge statale, devono avere carattere volontario e paritetico. Tale principio si riflette nei vari campi di competenza regionale, delimitando l'area di intervento della corrispondente potestà legislativa, concorrente o residuale, a seconda dei casi, senza che tuttavia possa ipotizzarsi un'attività di supporto alla negoziazione privata e stragiudiziale delle controversie in materie estranee alla competenza legislativa regionale.
In definitiva, le Regioni possono predisporre servizi come quello previsto dalla legge veneta censurata, nell'ambito delle proprie competenze nelle singole materie, prevedendo organi e procedimenti specificamente adatti alla natura delle attività coinvolte, nel rispetto del limite generale della non obbligatorietà delle procedure e della non vincolatività delle proposte conciliative.
Nel fare salve tutte le negoziazioni volontarie e paritetiche, volte alla prevenzione delle liti, nonché le norme contenute nelle carte di servizi (che, nella materia della «tutela della salute», vengono emanate ed applicate nell'ambito di strutture sanitarie territoriali o ospedaliere dipendenti dalle Regioni), lo Stato riconosce ad altri enti (ivi comprese, naturalmente, le Regioni) l'implicita capacità di regolare la composizione stragiudiziale di controversie attinenti ad attività, nei limiti della propria sfera di competenza, senza sconfinare nella disciplina della funzione giurisdizionale o comunque di atti e procedure che possono incidere sulla stessa. In definitiva, alla disciplina dell'attività volontaria e negoziale di prevenzione delle liti deve essere riconosciuta natura accessoria rispetto alla normazione delle attività ricadenti nelle singole materie, con le conseguenze che da ciò derivano in termini di limiti alla potestà legislativa regionale, di volta in volta esercitata.
4. - Deve ritenersi non fondata la censura del ricorrente basata sulla presunta violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost., sotto il profilo della competenza statale ad individuare nuove figure professionali, affermata e ribadita dalla giurisprudenza costante di questa Corte.
La legge censurata non introduce alcuna nuova figura professionale, giacché, nell'art. 2, comma 4, prevede che la Commissione conciliativa regionale è composta da un magistrato a riposo, da un avvocato e da un medico legale, che possiedono già ben precisi profili professionali e non acquistano alcuna ulteriore qualificazione per effetto della loro partecipazione alle attività della Commissione stessa. Nessuna interferenza è possibile quindi ravvisare con la normativa statale, che disciplina la figura dei mediatori nell'ambito delle procedure conciliative obbligatorie, avendo la Regione scelto di avvalersi di figure professionali già esistenti.
5. - Deve essere dichiarata non fondata pure la censura relativa alla violazione degli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., basata sull'asserito contrasto della legge regionale in questione con la direttiva 21 maggio 2008 n. 2008/52/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a determinati aspetti della mediazione in materia civile e commerciale). L'art. 1, comma 2, del suddetto atto normativo comunitario dispone infatti che lo stesso si applichi soltanto alle controversie transfrontaliere. Tanto vale ad escludere ogni sua attinenza con l'oggetto della legge della Regione Veneto impugnata nel presente giudizio.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1, comma 2, 2 e 3 della legge della Regione Veneto 31 luglio 2009, n. 15 (Norme in materia di gestione stragiudiziale del contenzioso sanitario), promosse dal Presidente del Consiglio dei ministri, per violazione degli artt. 11 e 117, primo comma, secondo comma, lettera l), e terzo comma, della Costituzione, con il ricorso in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 maggio 2010.
DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 14 MAG. 2010.
lo spazio che residua non soltanto alla potestà legislativa regionale, ma anche e soprattutto all'autonomia privata nello svolgimento dell'attività conciliativa/transattiva.