=> Tribunale di Roma, 1 febbraio 2018
Il mancato
rispetto dell'ordine impartito dal Giudice ai sensi dell'art. 5, comma 2, d.lgs. 28/2010 integra colpa
grave (se non dolo). La mancata
partecipazione ingiustificata al procedimento di mediazione c.d. demandata
può costituire valido motivo per la compensazione
delle spese anche nei confronti della parte interamente vincitrice (I).
(I) Si veda l’art.
5, comma 1-bis, D.lgs. 4 marzo 2010 n. 28 aggiornato al d.l. 50/2017 conv. con mod. in l. 96/2017 - manovra correttiva 2017 (Osservatorio Mediazione Civile n. 46/2017).
Fonte: Osservatorio
Mediazione Civile n. 34/2018
Tribunale di Roma
Sentenza
1 febbraio 2018
Omissis
Qui richiamati gli atti difensivi (citazione etc.) di ---, l'attrice
esponeva e lamentava, fra l'altro, che reduce da pregressi interventi di
artroprotesi delle anche, riportava, in ambito che non rileva in questa sede,
nel 2003 una lussazione della protesi sinistra, in conseguenza della quale in
data 18.3.2005 veniva operata dal dott. --- presso --- per un intervento di sostituzione della
protesi. Si accertava a mezzo TAC nei giorni seguenti, a seguito di un dolore
costante, l'avvenuto sfondamento dell'acetabolo da parte della protesi
femorale; sicché in data 14.4.2005 veniva eseguito, dallo stesso chirurgo, un
intervento di revisione con applicazione di innesti ossei e sostituzione della
componente acetabolare. Nell'immediato dell'intervento, insorgeva una riduzione
della sensibilità del piede e della motilità delle dita del piede, tanto da far
sospettare una lesione del nervo sciatico (forse dovuta al fatto che durante la
notte del 15 aprile a causa di un cambio di posizione effettuato da
un'infermiera della --- avvertiva un dolore intenso ed acuto). Essendo stata
accertata una nuova lussazione della protesi, veniva sottoposta in data
16.4.2005 ad un ulteriore intervento chirurgico a cura del dott. --- che le
riferiva che il nervo sciatico risultava integro. Nel gennaio 2006 un
accertamento elettromiografico evidenziava una grave sofferenza del nervo
sciatico. L'attrice lamentava gravi problemi di deambulazione ed altro, che
addebitava al medico (---) ed alla Casa di Cura. Chiedeva il risarcimento dei
danni nella misura complessiva di € 678.894.
I convenuti rigettavano ogni contestazione, dispiegando per quanto di
ragione domande di manleva e di regresso.
Va premesso che la domanda della --- contiene svariate imprecisioni,
fra le quali l'obliterazione che è incontestabile che il chirurgo che
effettivamente eseguiva l'intervento del 16.4.2005 non era il dott. ---
(presente in funzione di aiuto), ma esclusivamente il prof. ---.
Il rigetto delle domande dell'attrice deriva dalle seguenti circostanze
e considerazioni.
--- per come riferiva, era portatrice di protesi bilaterale d'anca (a
sinistra dal 1993 e a destra dal 1995); nel 1999 aveva subito un intervento di
revisione per anticipata mobilizzazione della protesi sx con sostituzione della
parte acetabolare e della testa della protesi; e nel 2004 accusava
mobilizzazione della protesi.
La condizioni fisiche della --- erano quindi, come si vede,
affacciandosi al primo intervento (18.3.2005), quelle di una persona ad
altissimo rischio per questo genere di interventi (...caso complesso di
revisione di protesi di anca destra impiantata nel 1995...con evidenza di
perdita del patrimonio osseo specialmente a carico della cavità acetabolare con
difficoltà tecniche nel posizione il neo cotile (---) così gli ausiliari del
Giudice, in particolare lo specialista ortopedico dott. ---); con una facilità
e predisposizione a mobilizzazione, rotture e dislocazioni delle protesi evidentemente
per le precarie condizioni e consistenza dei suoi materiali ossei.
Specificamente: paziente affetta da preesistenti esiti di artroprotesi di
entrambe le anche, già revisionata a sinistra con una situazione precaria di
instabilità articolare, come documentato da episodi lussativi riferiti in
anamnesi e pertanto un quadro clinico delicato nell'ambito del quale l'anca
destra presentava un significativo grado di usura della componente acetabolare,
tanto da rendere necessario un re-intervento non con l'utilizzo di un cotile
primario, ma comunque di un cotile da revisione (così il c.t.u. e lo
specialista ad esso associato, il dott. Romani, pag. 32 relazione peritale).
Condizioni fisiche (e ossee in particolare) deteriorate e deboli. Viatico
perfetto per un'elevata difficoltà degli interventi e rischiosità degli esiti.
Il Giudice non apprezzava, motivatamente (cfr. ordinanza del 25.6.2015)
il contenuto della relazione del C.T.U. (nominato dalla collega in precedenza
titolare della causa) e procedeva a nuova consulenza con specifico quesito
relativo alla lesione del nervo sciatico affidato alla dott. --- medico legale,
ed al dott. ---, specialista ortpedico.
La complessità della fattispecie (testimoniata dall'approfondita
ricerca della verità attraverso un accertamento tecnico preventivo e due
consulenze tecniche nella causa che a quello seguiva) non ha consentito
tuttavia di pervenire ad una risposta certa ed univoca (neppure applicando il
noto criterio residuale del più probabile che non) in termini di danno e di
nesso causale.
Va ancora premesso che il prof. --- chiamato in causa dalla s.p.a. ---
non è più parte di questa causa a seguito di rinunzia della stessa chiamante,
accettata da tutte le parti costituite (anche dal dott. ---, cfr. da ultimo la
sua comparsa conclusionale). Il Giudice dichiarava estinta nei confronti del
prof. --- la causa (ord. del 26.9.2016 integrativa dell'ordinanza del
25.6.2015) Tuttavia, quand'anche si esamini la condotta del prof. ---
(traguardata dal punto di vista dell'eventuale responsabilità della Casa di
Cura, la cui pretesa estraneità ad ogni responsabilità è, in linea di
principio, erronea considerata la contraria condivisa giurisprudenza al
riguardo, cfr.ord.20.2.2017), non si può non vedere che: - si trattava di
intervento di straordinaria difficoltà in una paziente plurioperata, con
condizioni ossee fragili e degradate e, per quanto riguarda l'anca destra,
sottoposta a 2 reintervento; - il chirurgo operatore, che era esclusivamente il
prof. --- (e non il dott. A.) provvedeva a individuare e proteggere il nervo
sciatico (cartella dell'intervento del 16.4).
L'art. 2236 c.c. prevede che se la prestazione implica la soluzione di
problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d'opera non risponde dei
danni, se non in caso di dolo o di colpa grave.
In epoca più recente, la giurisprudenza della S.C. ha svalutato
alquanto la portata della norma, ritenendola implicante "solamente una
valutazione della colpa del professionista in relazione alle circostanze del
caso concreto " (così Cass. 13/4/2007, n. 8826). Si tratta di un
understatement che si iscrive nella diffusa ed ampia tendenza, espressa negli
ultimi decenni, della S.C. ad aggravare sotto ogni profilo ed anche con
estremizzazioni difficilmente condivisibili (di cui sono esempi la costruzione
della responsabilità per c.d. contatto sociale, l'applicazione tutta
particolare per la responsabilità medica dell'istituto del danno da perdita di
chances etc.), la responsabilità del medico. Il tutto, con il rischio di
esondare rispetto alla funzione nomofilattica (ma non creativa) che la
Costituzione assegna al Supremo organo della giurisdizione ordinaria.
Occorre, anche nello spirito riequilibratore operato dalla recente L.
n. 24 del 2017, dare il corretto significato a tale norma che non è stata mai
abrogata, pur avendo subito interpretazioni mutevoli ratione tempore. La
parametrazione, disegnata sia pur timidamente nella predetta legge (agli artt.
5,6,7), della sussistenza o dell'intensità della colpa al rispetto o meno di
linee guida e buone pratiche cliniche, consente di affermare il principio che
non può ritenersi in colpa (da intendersi grave e quindi giuridicamente
significativa) il medico che, in presenza (come in questo caso) di problemi tecnici
di speciale difficoltà si sia attenuto alle linee guida o esse mancando, alle
buone pratiche cliniche-assistenziali, quali che siano stati i risultati
dell'intervento dal medesimo effettuato.
Peraltro, nel caso di specie non è stata neppure raggiunta la prova
dell'esistenza di una condotta erronea e colposa dei medici.
In particolare infatti, nulla si può addebitare al dott. --- - che
aveva già in passato trattato chirurgicamente e con successo --- - e che ha
operato con la massima diligenza, testimoniata da: la metodica usata (utilizzo
di cotile ---) era - per le conoscenze scientifiche dell'epoca- idonea al caso
(così c.t.u. ---); durante la manovra cruenta di tale tecnica si possono
verificare delle fratture della parete acetabolare, in quanto il limite fra
consistenza ossea e forza da applicare per ottenere una valida stabilità
dell'impianto è molto esile (così c.t.u. e dott. Romani ausiliario del
Giudice); aver preparato, prima dell'intervento vero e proprio, il nervo
sciatico proprio per prevenire danni allo stesso (risultanza della cartella
clinica del 14.4.2005); il re-reintervento effettuato il 14/04 veniva eseguito
dopo la rimozione del cotile e dott. e dott. --- ausiliario del Giudice che
risultava mobile, con il posizionamento di anelli di rinforzo a presa iliaca ed
ischiatica con cotile cementato con una metodica prevista per questi casi (così
il dott. ---, pag. 29), il che dimostra accortezza e prudenza, nonché adeguata
valutazione delle implicazioni della difficile operazione,
- aver voluto associare a sé, da parte del ---, un professionista con
maggiore competenza ed esperienza, il prof. --- è ulteriore testimonianza di
accortezza, diligenza e prudenza. In questo contesto, ipotizzare, essendo
assenti palesi e certi atti medici erronei, una responsabilità (da
partecipazione ad intervento chirurgico in equipe) del dott. --- costituirebbe
un'aporia (non essendo esigibile altro ad un medico che sia stato così accorto
da richiedere la presenza di altro e maggiormente esperto specialista), ovvero
una indebita applicazione di responsabilità oggettiva.
Con tale premesse, la consulenza disposta dal Giudice con ordinanza del
25.6.2015 non consente di ritenere raggiunta la prova (che incombe alla
danneggiata) del nesso causale fra operato dei medici e evento dannoso. Gli
ausiliari del Giudice invero, concludono il loro studio con la seguente
lapidaria affermazione (pag. 30 e 34 della relazione): "vi è stata una
lesione del Nervo Sciatico Popliteo Esterno (SPE) durante il terzo atto
chirurgico per manovre di stiramento o compressione eccessiva che hanno
prodotto una sofferenza del nervo medesimo". Tale conclusione va
sottoposta ad esame critico sulla base delle medesime (ed invero
contraddittorie) affermazioni che si leggono nella relazione: 18.3.2005
revisione (per complicanza estranea all' attività medica) protesi anca dx -
intervento di protesi anca chirurgo operatore dott. ---. Il dott. --- a pag. 28
prospetta ed individua manchevolezza del dott. ---, in sostanza, nella non
adeguata preventiva valutazione del rischio e gestione dello stesso
nell'immediato e la consistenza del fondo acetabolare e la stabilità del
fittone iliaco. Si tratta di affermazioni inconcludenti, infatti, in un ambito
di applicazione di metodica operatoria che viene definitiva corretta per
l'epoca, non è chiaro - perché gli ausiliari non lo dicono - che cosa sarebbe
cambiato, in meglio, se invece di accertarla (la frattura del fondo
acetabolare) il 7 aprile il dott. --- l'avesse accertata prima; evidentemente,
assolutamente niente. 14.4.2005 prima reintervento Veniva applicata metodica
definita corretta: lo stesso dott. --- espone infatti che in questo
reintervento si procedeva con il posizionamento di anelli di rinforzo a presa
iliaca ed ischiatica con cotile cementato con una metodica prevista per questi
casi. Il dott. --- (pag. 29 - 31) sostiene che la mattina del 15 si
manifestavano parestesie per cui il nervo doveva essere stato danneggiato
durante l'intervento chirurgico (del 14), mentre la frattura della protesi (che
considera - giustamente- complicanza non colposa) non ne sarebbe la causa
primaria, evocando quindi manovra incongrua sul nervo sciatico, 16.4.2005
secondo reintervento. Il dott. ---, con tali premesse, afferma (pag. 30 e 34
della relazione) in modo chiaro e preciso, che la lesione del nervo sciatico si
è verificata nel corso del terzo intervento chirurgico (2 reintervento)
indicando come unico responsabile il prof. --- (chirurgo operatore).
È di lampante (e disarmante) evidenza il corto circuito del
contraddittorio ragionamento che attesta vieppiù l'incertezza della ricerca e
individuazione dell'esatto svolgimento degli eventi, in particolare di quello
dannoso della lesione del nervo sciatico.
La verità che rimanda la lettura degli atti della vicenda in esame è
che non è dato sapere con certezza quando come e perché si sia prodotto
l'evento danno (lesione del nervo sciatico SPE), che ben potrebbe,
nell'irrisolvibile incertezza in cui si svolge il ragionamento dello
specialista e del c.t.u., essersi verificata a seguito della lussazione della
protesi (fatto che costituisce pacificamente una complicanza non colposa, cioè
non riconducibile ad errore medico essendo state attuate e rispettate
esattamente le linee guida vigenti all'epoca, cfr. c.t.u. ---), pure
considerato che dalla cartella clinica non risultano presenti parestesie dopo
l'intervento del 14 marzo se non ad oltre 16 ore di distanza dalla fine
dell'intervento.
Esclusa la percorribilità, per una causa datata, dove sono state
effettuate tutte le indagini possibili, di ulteriori accertamenti, occorre
evidenziare e seguire il fondamentale e condivisibile principio enunciato dalla
S.C. (Cass. 26 luglio 2017, n. 18392) secondo cui grava sul creditore l'onere
di provare il nesso di causalità fra l'azione o l'omissione del sanitario ed il
danno di cui domanda il risarcimento. Non solo il danno ma anche la sua
eziologia è parte del fatto costitutivo che incombe all'attore di provare. Ed
invero se si ascrive un danno ad una condotta non può non essere provata da
colui che allega tale ascrizione la riconducibilità in via causale del danno a
quella condotta. Se, al termine dell'istruttoria, resti incerti la reale causa
del danno, le conseguenze sfavorevoli in termini di onere della prova gravano
quindi sull'attore (conforme 26824/17 del 4.11.2017).
Al necessario rigetto delle domande della --- non consegue la condanna
alle spese di causa.
A tale proposito va evidenziato quanto segue.
Con l'ordinanza del 22.2.2017 il Giudice aveva articolato una proposta
ai sensi dell'art. 185-bis c.p.c. Disponendo che, ove non raggiunto l'accordo,
la discussione proseguisse in sede di mediazione (demandata ai sensi dell'art.
5 co.II D.Lgs. n. 28 del 2010).
La formulazione dell'ordinanza veniva, come di consueto, accompagnata
da indicazioni motivazionali e da indicazioni ed avvertimenti.
In particolare sulla circostanza che altro è la proposta conciliativa
che si fonda in larga parte sull'equità, che consente ad ognuna delle parti di
valutare al meglio, interessi e convenienze (compreso il rischio insito nei
vari gradi di giudizio nei quali si può articolare la causa non conciliata), ed
altro è la sentenza.
Inoltre il Giudice avvertiva delle conseguenze (latu sensu, sanzionatorie),
che derivano dalla ingiustificata partecipazione al procedimento di mediazione
demandata.
Conseguenze ampiamente note perché edite anche on line.
Che il mancato rispetto dell'ordine impartito dal Giudice ai sensi
dell'art. 5 co.II della legge integri colpa grave (se non dolo) è
indiscutibile, ampiamente motivato, dimostrato e confermato dalla
giurisprudenza, che si richiama, anche ai sensi dell'art. 118 att. c.p.c., in
nota. Inoltre, è stato affermato che la mancata partecipazione, ingiustificata
come in questo caso, al procedimento di mediazione può costituire valido motivo
per la compensazione delle spese anche nei confronti della parte interamente
vincitrice. Ed invero l'art. 92 c.p.c. dispone che il giudice, nel pronunciare
la condanna di cui all'articolo precedente, può escludere la ripetizione delle
spese sostenute dalla parte vincitrice, se le ritiene eccessive o superflue; e
può, indipendentemente dalla soccombenza, condannare una parte al rimborso
delle spese, anche non ripetibili, che, per trasgressione al dovere di cui
all'articolo 88 c.p.c., essa ha causato all'altra parte.
Premesso che è di ovvia evidenza che la condanna della parte vittoriosa
alle spese contiene, come il più contiene il meno, la possibilità di
compensazione, si reputa giusto procedervi nei rapporti fra i convenuti (che
hanno trasgredito al dovere di una leale condotta processuale) e l'attrice.
La sentenza è per legge esecutiva.
PQM
Definitivamente pronunziando, ogni contraria domanda eccezione e
deduzione respinta, così provvede: rigetta le domande ---; conferma
l'estromissione dal giudizio del prof. ---; compensa per intero le spese di
causa.