Pubblichiamo, con piacere, un interessante
contributo giunto in Redazione.
Tipologie di
razionalità in una situazione di mediazione
di Carlo Baratta
(Mediatore in Torino)
Il non
possibile e l'impossibile non sono
termini della mediazione.
Il conflitto
in mediazione va considerato come un campo di possibilità per mostrare
all'altra parte le proprie volontà, le proprie intenzioni o, al contrario, di
dissimulare queste volontà e queste intenzioni; o, ancora, simulando certe
intenzioni ed azioni, per spingere l'altro a comportarsi di conseguenza,
dunque, lo spazio di interazione e di comunicazione con l'altro diviene un vero
e proprio campo di manovra.
Le liti
moderne da risse verbali e fisiche si stanno trasformando, anche grazie alla
mediazione in conflitto per segni. Le armi che hanno a disposizione le due parti,sono armi virtuali, che
riguardano principalmente, non l'agire in senso materiale, ma la trasformazione
del comportamento atteso dell’altro: spingendolo a fare o a non fare
(manipolazione) all'impedire di fare (dissuasione), all'obbligare a fare
(costrizione), alla seduzione intesa come un mostrare di essere in un certo
modo, affinché l'altro faccia qualcosa.
Al fine di
aiutare il mediatore a districarsi nell’universo delle parole e dei
comportamenti delle parti è utile affidarsi a qualche concetto per collocare
meglio l’analisi sull’agire razionale in
mediazione: il necessario, il possibile e l'impossibile.
Per
realizzare una mediazione soddisfacente per tutti gli attori, le due parti e il
mediatore, ognuno dovrebbe stabilire cosa per lui è il necessario da condurre a
termine, in ogni modo, lavorando con forte volontà e con finalità coerenti con
il necessario con l’essenziale si possono perseguire delle soluzioni possibili,
queste diventano le condizioni per arrivare ad una soluzione ritenuta
inizialmente impossibile.
La
mediazione, come è noto è un sistema di ricerca di soluzioni flessibile con
l’unico vincolo delle norme imperative, ma queste ultime sono sempre più
ridotte dalla scienza e dalla tecnologia, si pensi ad esempio alla clonazione o
al trapianto di organi resi oggi azioni possibili, ma giudicate
impossibili fino a poco tempo fa.
Perciò si può affermare che, l'impossibile non esiste, basta fare tutto il necessario, per determinarlo. Il più delle volte non compiamo affatto il necessario e quindi non si riesce a raggiungere neppure il possibile.
Perciò si può affermare che, l'impossibile non esiste, basta fare tutto il necessario, per determinarlo. Il più delle volte non compiamo affatto il necessario e quindi non si riesce a raggiungere neppure il possibile.
L'impossibile
poi è tale secondo il senso della parola stessa, in genere non ci pensiamo
neppure.
Quindi occorre per prima cosa rendere possibile tutto il necessario, cioè guardare il problema per quello che è, questo modo di agire ci porterà a poter affrontare il possibile, la soluzione ovvia. poi, al termine dell'impresa, constatare che siamo riusciti a compiere quanto, in un primo tempo, ci pareva impossibile, la soluzione mediata.
Durante la procedura di mediazione due o più individui che comunicano le proprie intenzioni, discutono della situazione del possibile, stabiliscono perciò una relazione sociale. Questa può essere superficiale o profonda, cooperativa o conflittuale.
Quindi occorre per prima cosa rendere possibile tutto il necessario, cioè guardare il problema per quello che è, questo modo di agire ci porterà a poter affrontare il possibile, la soluzione ovvia. poi, al termine dell'impresa, constatare che siamo riusciti a compiere quanto, in un primo tempo, ci pareva impossibile, la soluzione mediata.
Durante la procedura di mediazione due o più individui che comunicano le proprie intenzioni, discutono della situazione del possibile, stabiliscono perciò una relazione sociale. Questa può essere superficiale o profonda, cooperativa o conflittuale.
L’azione
sociale è il risultato di questa relazione determinata dai comportamenti delle
parti messe in atto al fine di ottenere
i fini che si sono prefissi. Per capire meglio come si muovono le parti
in lite torna utile la teoria sociologica weberiana che permette di
classificare le interazioni tra i soggetti.
Weber ha
pensato la seguente tassonomia delle azioni sociali:
- azioni
razionali rispetto allo scopo,in questa relazione si valutata il rapporto tra
mezzi e fini nei termini di equilibrio o squilibrio;
- azioni
razionali rispetto al valore, in questa relazione si valutata la norma il
dovere che si pone in essere dovere senza preoccuparsi delle conseguenze
dell’azione;
- azioni
determinate affettivamente,hanno una componente non logica e anche in questa
relazione non si riferiscono alle
conseguenze;
- azioni
tradizionali, abitudini che si ripetono senza domande sul loro fine o valore.
La tassonomia
serve per capire il tipo di relazione, però è altrettanto importante conoscere
il contesto e il senso di queste relazioni, in caso contrario non si riuscirà a
facilitare l’azione che risolve la lite, in mediazione sono prevalenti le prime
tre.
L’interazione
che si instaura tra le parti può complicare il raggiungimento del fine,
ipotizzato dalle stesse, perché l’interazione
se pur è il processo per il quale due o più attori instaurano una
relazione sociale, questa dipende anche dal tipo di ruolo che ciascuna parte
interpreta. Il termine ruolo designa quell’insieme di norme e comportamenti
prevedibili che un membro apporta alle relazioni. Il ruolo è uno schema che
prescrive al membro come interagire, ma non il contenuto.
Habermas ha
riproposto la teoria dell'azione secondo il ruolo comunicativo delle parti,
distinguendo
l'agire in modelli teorici, per la mediazione sono basilari due.
Il primo,
definito agire comunicativo, considera l’agire nei termini di un'interazione
che si costituisce in base a regole fondate sulla comunicazione linguistica e
il secondo, definito agire teleologico, fondato sugli obiettivi, schema tipico
di una razionalità orientata al perseguimento delle soddisfazioni e degli scopi
dell'agente.
Quindi le parti in mediazione, secondo il
pensiero di Habermas, hanno due modi per
risolvere la lite o attraverso l’agire comunicativo, agire orientato
all'intesa, attivata dalla prassi argomentativa e dalla razionalità intrinseca
alla prassi comunicativa quotidiana; o all'agire teleologico, agire strategico,
agire orientato al successo , attivato dalla razionalità strumentale.
Anche in
questo caso le combinazioni reali sono
molteplici e anche con questo
approccio il ruolo che assume ciascuna parte
influisce sull’agire razionale di entrambi.
Una parte con
intenti comunicativi, può esprimere una determinata opinione e agire orientato
all’intesa, questa azione si chiama agire comunicativo, l’altra parte può
esprimersi con un intervento orientato al fìne con il quale persegue un
determinato scopo o agire teleologico.
Ambedue
incarnano un sapere fallibile; ambedue, sia le affermazioni di verità
soggettiva, che caratterizza l’agire comunicativo, che le azioni efficaci,che
mirano all’obiettivo e caratterizzano l’agire teleologico, sono strategie che
possono andar male.
Strategie che
si fondano sulla presunta verità per una parte e su una prospettiva di successo
(efficacia) per l’altra.
Per entrambe
le strategie si può parlare di azioni razionali, che non si riducono a azioni
logiche in quanto come ci ricorda Pareto molte delle azioni umane
sono razionali anche se non logiche, ci sono comunque differenze tra agire
comunicativo e agire teleologico.
L'agire
comunicativo è determinato dalla volontà
di intendersi e dipende dal linguaggio utilizzato, l'agire teleologica è, un comportamento che
mira ad un obiettivo il linguaggio è veicolato dall’obiettivo stesso.
Queste due
forme di azione portano a due logiche d'azione a volte incompatibili: intesa e
influenza.
Un’altra
differenza riguarda il tipo di relazione che si sviluppa tra le parti.
Nell'agire
comunicativo, si costruisce una relazione di almeno due soggetti che sviluppano
la comunicazione verbale ed extraverbale, stabilendo una interazione
interpersonale.
Le parti
cercano un'intesa attraverso la procedura di mediazione, per coordinare di
comune accordo i propri piani di azione e quindi il proprio agire.
Nell'agire
teleologico si instaurano relazioni fra una parte e un insieme di evidenze o di
dati esistenti, con questa impostazione il soggetto cerca di realizzare il suo
fine scegliendo i mezzi argomentativi adeguati ad un possibile raggiungimento
del successo. L'agire teleologico si amplia a strategico quando nel calcolo di
una parte, entra in gioco anche la previsione di influire sulle decisioni
dell’altra parte.
Nella teoria
habermasiana sono presenti altri modi di agire, che però interessano meno la
mediazione: l'agire regolato da norme, in questa situazione il rapporto è fra
un attore che, membro di un gruppo, orienta le proprie azioni "in base a
valori comuni"; l'agire drammaturgico, in cui i partecipanti
"costituiscono gli uni per gli altri un pubblico visibile" dinanzi al
quale essi "si rappresentano reciprocamente qualcosa".
Il linguaggio
è il fattore centrale per l'agire comunicativo, perché è il motore che
favorisce l’ agire orientato all'intesa interpersonale tra soggetti che
coordinano fra loro i rispettivi piani di azione definendo insieme la loro
situazione comune, la soluzione della lite.
Nell'agire
strategico il linguaggio è solo utilizzato per far prevalere un interesse
particolare o un'intenzione unilaterale, la soluzione che va bene a uno solo o
soluzione manipolata.
L' atto
perfomativo.
Per Habermas,
Il linguaggio va inteso, come l'attività con la quale, le persone si propongono
di raggiungere un certo numero di obiettivi.
Per
differenziare ulteriormente le azioni orientate all'intesa e le azioni
orientate al successo Habermas usa il termine "performativo".
Con questo
termine introduce un elemento di analisi più interessante per capire gli atti
linguistici: chi parla dice qualcosa, chi parla compie un'azione dicendo
qualcosa, chi parla può far produrre un certo numero di reazioni a chi lo
ascolta : questo ultimo comportamento è chiamato atto performativo.
Con questa
impostazione si supera l'idea di una netta separazione tra linguaggio e azione,
tra dire e fare. La teoria degli atti linguistici è perciò l’anello di
congiunzione tra il modo di comunicare delle parti e quindi della razionalità
che mettono in campo e il tipo di azione che intendono seguire.
Secondo la
teoria del sociologo di Francoforte gli atti linguistici sono di due tipi atti
illocutivi, capacità di trasmettere un intenzione, e atti perlocutivi, quelli
che producono conseguenze. .
Gli atti
illocutivi sono quelli messi in atto da
coloro che puntano su un agire orientato all'intesa, gli atti linguistici
perlocutivi sono quelli messi in atto da coloro che puntano su un agire
orientato al successo.
Va precisato
che per agire strategico il linguaggio che meglio lo rappresenta è il secondo,
infatti si ha agire strategico in quelle
interazioni nelle quali almeno uno delle parti con le sue azioni linguistiche
vuole produrre presso l’altra parte effetti perlocutivi.
In definitiva
si può parlare di agire comunicativo quando entrambe le parti costruiscono in
modo esplicito, cioè senza riserve, fini illocutivi o d’intesa concordata. Si
parla di agire strategico quando 'almeno uno mira ad effetti perlocutivi.
Si può
dedurre che gli atti perlocutivi sono da considerate una classe particolare di
interazioni strategiche, perché di fatto sono azioni strategiche camuffate.
Comportamenti di questo tipo sono
abbastanza frequenti nella mediazione soprattutto ad inizio procedura,
quando almeno una delle parti, ma a volte entrambe. si comporta in modo
strategico ingannando l’altra parte sul fatto di non riuscire a soddisfare
quelle premesse con le quali è possibile normalmente raggiungere fini
illocutivi, cioè si rifiuta di fare il possibile per giungere all’impossibile.
In realtà
chiunque agisca, in qualunque modello di azione, non potrà mai eliminare la
mediazione (il consenso comunicativo) come condizione del suo agire stesso.
Per meglio
favorire il successo nella mediazione
occorre capire qual è lo stile comunicativo delle parti.
Sempre
Habermas a questo proposito, propone a sua volta una tripartizione delle
interazioni mediate attraverso il linguaggio; la conversazione, l'agire guidato
da norme e quello drammaturgico. Nelle relazioni caratterizzate dall'agire
comunicativo, quello dove si sviluppa la
conversazione tra le parti, prevalgono azioni linguistiche di tipo espressivo
centrate sul destinatario, nelle relazioni caratterizzate dall'agire strategico
prevalgono linguaggi di tipo imperativo dove si cerca l’effetto dell'atto
linguistico sul destinatario.
La sede
dell’organismo, costituisce il contesto di riferimento ove le parti si
confrontano con modalità linguistiche
soggettive, il contesto è importante perché, come ogni mediatore ben sa
inizialmente ciascuna parte in lite presuppone che ogni agire comunicativo sia
basato e goda o della 'fiducia ingenua' dell’altra parte o dalla 'certezza'
delle considerazioni proprie e solo in
un ambiente neutro e imparziale si possono
mettere in discussione queste certezze.
Le regole
cerimoniali.
Per
analizzare meglio il contesto torna
utile l’analisi di un altro sociologo:
E. Goffman.
Per questo
autore la faccia è un elemento importante che ogni persona evidenzia quando interagisce
con altri.
La faccia è
l’immagine che ogni interagente ha di sé durante l’incontro, e ognuno degli
attori presuppone che la propria faccia
non venga messa in discussione.
Durante lo
svolgimento della procedura di mediazione
possono creare delle situazioni di crisi tali che venga messa in
discussione la credibilità di una delle parti.
In questa
situazione il mediatore può utilizzare i suggerimenti di Goffman, noti come
“giochi di faccia”, per aiutare la parte
in difficoltà a recuperare credibilità, eludendo o correggendo certe
affermazioni, aiutandolo a riformulare
ipotesi, sfidando la parte se esagera.
Un'altro
elemento che il mediatore deve tenere sotto controllo riguarda la
gerarchia degli scambi comunicativi tra
le parti.
Si possono
determinare scambi simmetrici o scambi
asimmetrici, ovvero tra uguali o tra
diversi, gli scambi asimmetrici se si vuole
giungere ad una buona mediazione sono da contrastare.
L'organismo
ove avviene la mediazione secondo il modello di Goffman è un’istituzione composta
da un’equipe di persone che condividono certi spazi fisici, hanno regole di
condotta proprie e una propria definizione della situazione che tendono a
presentare al pubblico degli estranei. Vi è netta distinzione tra estranei e
coloro che fanno parte dell’istituzione, l'istituzione è importante per il
raggiungimento dell'obiettivo.
La mediazione
non prevede procedure rigide e standardizzate, comunque per ottenere soluzioni
razionali è meglio far applicare alle parti quelle che Goffman chiama “Regole
cerimoniali”, che sono comportamenti rituali quali la deferenza e il contegno.
La deferenza
è il comportamento attraverso cui un individuo esprime il proprio apprezzamento
nei confronti di un destinatario il salutare, riverire, ringraziare, scusarsi o
complimentarsi, elementi che trasmettono l’idea di una faccia desiderabile,
amichevole, il contegno è lo strumento simbolico attraverso il
quale una parte dimostra all’altra parte di possedere determinate qualità.
Di seguito
uno schema che sintetizza le situazioni che si possono trovare in mediazione.
ll contesto,
la sede della mediazione, è caratterizzato da “regole cerimoniali” è perciò un
luogo teoricamente adatto a costruire una soluzione.
STILE DI RAGGIUNG.
FINE®
TIPO DI OBIETTIVO¯
|
RAZIONALITA’ RISPETTO FINE
|
RAZIONALITA’
RISPETTO NORME
|
RAZIONALITA’ì RISPETTO AFFETTI
|
AGIRE COMUNICATIVO
|
A
|
B
|
C
|
AGIRE
STRATEGICO
|
D
|
E
|
F
|
Nelle tre situazioni caratterizzate dalla simmetria comunicativa le parti
si confrontano con una modalità
comunicativa del tipo
“agire comunicativo” si possono ottenere
tre categorie di soluzioni:
A Il risultato
della mediazione ha un obiettivo
condiviso le argomentazioni messe in
campo dalle parti sono
coerenti con il fine stesso. Tra
le stesse si è creato un mutuo
rispetto dato dalla simmetria della
comunicazione- in questa situazione si
può ottenere ciò che inizialmente era
considerato impossibile.
B Il risultato della mediazione ha un obiettivo condiviso che deriva dalle conoscenze sulle norme
tecniche delle parti , anzi questa
conoscenza limita la qualità della comunicazione tra le parti che si riconoscono una eguale
competenza tecnica. In questa situazione
si ottiene al massimo il
necessario.
C Il risultato della mediazione ha anche in questo
caso un obiettivo condiviso che però
è veicolato da una componente affettiva, si pensi ad esempio alle problematiche di un eredità dove la comunicazione deraglia
su un particolare , un vaso, una penna, un soprammobile o a un patto di
famiglia, nella situazione di agire comunicativo c'è una situazione di rispetto
tra le parti, ma questo non significa
che si giunga ad una soluzione
La condizione C può portare ad una
soluzione non possibile, cioè educatamente rifiutata da una parte.
Nelle situazioni di agire comunicativo il mediatore deve riuscire a portare le parti verso un
approccio argomentativo orientato ad un obiettivo concreto misurabile, deve riuscire a portare
tutti nella situazione A.
Nelle tre situazione
caratterizzate dall'agire
strumentale di una o di entrambe le parti si
possono determinare altre tre
situazioni ideali. L'agire strumentale è un comportamento abbastanza
normale delle persone che si sentono in una situazione di vantaggio, in
questi casi il mediatore deve riuscire a smantellare la situazione di comunicazione asimmetrica tra le parti..
D Il risultato
della mediazione ha un obiettivo
comune, ma questo è imposto più o meno
palesemente da una parte,le argomentazioni sono coerenti al fine. Il risultato vede una
parte prevalere sull'altra, si tratta di
un caso di impossibile non previsto che
va a vantaggio di uno solo.
E Il risultato
della mediazione ha un obiettivo
che è vincolata da un sistema normativo, ad esempio una clausola contrattuale, questo fatto limita l'argomentare e la parte che agisce in modo strumentale può
portare a casa il risultato atteso, ad es. un esproprio, l'altra parte se si
limita ad argomentazioni nel merito
delle norme oggetto della lite non può che cercare il necessario per l'altra parte o al
limite rifiuta il verbale e si ritira dalla mediazione.
F Il risultato
della mediazione è originato da una componente affettiva, ad es,
la diffamazione, in questa circostanza
l'agire di una parte è sbilanciato
solo su un aspetto del problema. Questa situazione è di forza apparente, nel senso che è possibile
che entrambe le parti pensino di essere
più forti perciò la mediazione può fallire o nel migliore dei casi portare ad una soluzione limitata al necessario.
Tra le tre situazioni a simmetria comunicativa e le tre asimmetriche vi sono differenze profonde circa l’oggetto della
lite, nella situazione A l’oggetto ha contenuti
concreti e simbolici, anche la
componente affettiva è condivisa, è possibile una valutazione oggettiva di questo oggetto, passando nelle
situazioni B e C le componenti
simboliche, in B quelle normative, sia di tipo giuridico che tecniche,poi in C quelle affettive
rendono l’oggetto della lite meno valutabile perchè prevalgono criteri sempre
più soggettivi. In B ci creano
interpretazioni soggettive di norma più vantaggiose, in C la soggettività è massima.
Nelle situazioni asimmetriche la parte che si considera forte tenta di
imporre la sua visione oggettiva.
Nella situazione D, una parte cerca di imporre con argomentazioni di tipo
perlocutivo il suo obiettivo, in E queste argomentazioni sono limitate alla
componente tecnica o giuridica, in F cerca di imporre la sua visione affettiva
della lite la pone su un piano strettamente soggettivo e personale, per dirla
alla Habermas usa una comunicazione drammaturgica. In questi tre casi l’atto perlocutivo ha contenuti diversi in D
una parte spera di coinvolgere totalmente l’altra parte in E si limita a voler
imporre la sua verità normativa e in F cerca di corteggiare l’altra parte.
In genere nelle situazioni di agire comunicativo è sempre possibile, ma
poco probabile che la mediazione
fallisca, nelle situazioni a comunicazione asimmetrica è possibile e
probabile che fallisca.
Carlo Baratta mediatore
Arbimedia Torino.
Bibliografia
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editore 2003
E.Goffman Espressione e
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Mulino 2003
E. Goffman Relazioni in pubblichè Cortina 2008
J. Habermas Teoria dell’agire
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R.Hudson. Sociolinguistica.: il
Mulino.2001
Per le matrici a doppia entrata vedi.
prof. M.R. Ferrante Corso di Metodi statistici per l’economia e per
l’azienda http://www2.stat.unibo.it/ferrante/stat/AA0405/U8%20-%20Tabelle%20a%20doppia%20entrata1.pdf
prof .F, Bertolucci Università di
Urbino.
http://www.econ.uniurb.it/bartolucci/descrittiva-lezione1127.pdfAVVISO. Il testo riportato è quello inviato in Redazione dall'Autore, il quale è l'unico responsabile dei contenuti e della paternità dello scritto.
Fonte: Osservatorio
Mediazione Civile n. 18/2015
(www.osservatoriomediazionecivile.blogspot.com)