=> Tribunale di Roma, 10 aprile 2014
Disposta la mediazione
demandata ai sensi dell’art. 5 comma 2 d.lgs. n. 28/2010, la
convocazione deve riguardare anche la parte rimasta contumace in causa. In
particolare ciò, nel caso di più di due parti coinvolte nella controversia,
ha il fine di propiziare un accordo pieno che riguardi tutte le parti
coinvolte (nella specie compagnie co-assicuranti), senza che sia in ogni
caso di ostacolo all’esperimento del procedimento di mediazione ed al
raggiungimento dell’accordo l’eventuale assenza di una o più di esse. Vi
sono infatti situazioni in cui non è pensabile, in termini di efficacia
giuridica, un accordo al quale non partecipino tutte le parti interessate; vi sono,
invece, altre situazioni in cui non sussistendo alcun litisconsorzio
necessario, la presenza di tutte le parti convocate è utile ma non
indispensabile. In tal caso, le valutazioni ed i provvedimenti che si
dovessero trarre dalla mancata partecipazione alla procedura di mediazione
ai sensi delle norme vigenti (art. 8 comma 4-bis d.lgs. n. 28/2010) riguarderanno tout
court le parti costituite e solo ai sensi dell’art. 116 c.p.c. il contumace.
Fonte: Osservatorio
Mediazione Civile n. 16/2015
Tribunale di Roma
Sezione XIII
sentenza
10 aprile 2014
Omissis
letti gli atti e le istanze delle parti, osserva:
l’attrice lamenta che a seguito dell’intervento omissis presso la clinica omissis
di Roma contraeva infezione nell’ambito della permanenza in detta struttura che
non veniva immediatamente, come pure a suo dire possibile, considerata e
curata, tanto che subiva un danno consistente nel rallentamento del processo di consolidazione della ferita ed
impedimento di una corretta ripresa anatomo-funzionale del distretto
interessato.
Il C.T.U. nominato dal giudice rilevava per contro che il P.R. aveva
provveduto per quanto di sua competenza ad osservare ogni misura idonea a preservare
la salute della paziente.
Ed in effetti ciò è documentale come risulta dagli atti acquisiti alla
causa.
“ Il medico, al quale si
era rivolta l’attrice già prima dell’intervento e che aveva preso in cura R.S.
operandola, cioè il prof. P.R., impartiva adeguata tempestiva ed appropriata
cura antibiotica da proseguirsi anche dopo le dismissioni.
“ Ciò è irrefutabile e
documentale.
“ E pertanto la evocazione
in giudizio del medesimo era del tutto fuori luogo.
“ Di ciò la difesa
dell’attrice sembra non essere ancora consapevole nel redigere le errate note
critiche che omettono di considerare la immediata adeguata ed esaustiva
somministrazione di terapie antibiotiche proprio da parte del prof. P.R., il
medesimo che vista la non retrocessione della malattia provvedeva ad inviare
(anche qui il fatto è documentale) la paziente presso l’ospedale omissis per accertamenti ulteriori.
“Tutto ciò con scansioni
temporali ragionevoli, vista la necessità di attendere l’esito delle cure
somministrate ”.
Il C.T.U. dà atto che nel caso in esame era stata utilizzata una tecnica chirurgica consolidata da anni in conformità alle metodiche medico-chirurgiche stabilite dalla prassi e dalla scienza medica.
E che l’intervento era ben riuscito.
Il C.T.U. dà atto che nel caso in esame era stata utilizzata una tecnica chirurgica consolidata da anni in conformità alle metodiche medico-chirurgiche stabilite dalla prassi e dalla scienza medica.
E che l’intervento era ben riuscito.
D’altra parte la paziente non era affetta all’ingresso nella casa di
cura da alcuna infezione nella parte
qua del suo corpo.
I problemi successivi quindi non sono dipesi da una errata scelta ovvero
inadeguata modalità di esecuzione dell’intervento, né da pregresse patologie ed
infezioni in atto, ma da complicanze successivamente insorte.
A dire del CTU se è infatti evidente il nesso di causalità tra i postumi
derivati (processo infettivo postoperatorio) e l’intervento chirurgico al piede
destro effettuato il 23 gennaio 2007, tale nesso non può essere attribuito alle
responsabilità degli operatori sanitari ma ad un “cedimento” della catena della
prevenzione, i cui obblighi spettano alle strutture che forniscono i servizi
operatori, ospedali pubblici o case di cura private.
Il consulente tecnico di ufficio affermava altresì che le infezioni post-operatorie, in una piccola
percentuale (circa il 2%), costituiscono una complicanza degli interventi
chirurgici di ortopedia anche quando vengono rispettate tutte le procedure
raccomandate dalle più recenti linee guida; è necessario sottolineare anche che tali infezioni
così dette nosocomiali molto spesso presentano una forte resistenza a qualsiasi
terapia farmacologica.
Uscito di scena il medico che ha effettuato l’intervento chirurgico, va
rigettata, perché doppiamente erronea ed infondata, l’eccezione della casa di
cura che declina ogni sua responsabilità sotto il profilo che il rapporto
contrattuale è stato concluso solo fra l’attrice che assume il danno ed il
medico convenuto che non è un dipendente della casa di cura omissis né ha con la stessa rapporti di
collaborazione stabile con detta struttura, presso la quale si limita ad
eseguire sporadici interventi solo per la sua clientela. Ogni rapporto è
intercorso esclusivamente fra il medico e la paziente (scelta della clinica,
pagamento degli onorari, effettuazione delle prestazioni mediche e curative
etc.). Come da contratto specificamente stipulato fra i due soggetti (medico –
paziente) in data 23.1.2007 e consegnato alla casa di cura.
In primo luogo si condivide la giurisprudenza della S.C. che ha affermato la corresponsabilità nei confronti del paziente della casa di cura presso la quale ha operato il medico non legato da rapporti di dipendenza con la medesima
In primo luogo si condivide la giurisprudenza della S.C. che ha affermato la corresponsabilità nei confronti del paziente della casa di cura presso la quale ha operato il medico non legato da rapporti di dipendenza con la medesima
Invero la giurisprudenza ha ormai chiarito da tempo (Cass. n.
13066/2004, n. 9556/2002 e n.
103/99), che la responsabilità della struttura è di regola presente anche in presenza di intervento effettuato da medico non dipendente della stessa (“l’oggetto dell’obbligazione assunta dalla Casa di cura non è costituito semplicemente dalla prestazione medica dei propri dipendenti, ma da una più complessa prestazione, definita come ‘assistenza sanitaria’, oggetto di un contratto atipico, inquadrabile nella categoria della locatio operis. A carico della struttura sanitaria gravano infatti, prestazioni non solo di diagnosi e cura, ma anche di tipo organizzativo, connesse all’assistenza post-operatoria, alla sicurezza delle attrezzature, dei macchinari, alla vigilanza ed alla custodia dei pazienti, oltre a prestazioni più propriamente riconducibili al contratto d’albergo. L’attività del medico costituisce quindi solo un momento di una più complessa prestazione, ed il danno non sempre è conseguenza dell’errore del singolo operatore, ma talvolta anche del comportamento di più soggetti. Tanto comporta, oltre la responsabilità vicaria per il fatto del dipendente, altra, diretta, per la carente organizzazione, che può riguardare numerosi aspetti, quali la disponibilità di personale qualificato ed in numero sufficiente, la sorveglianza sul coordinamento dei servizi, la garanzia sulla salubrità degli ambienti, la disponibilità di attrezzature di adeguato livello tecnologico, la cui disponibilità sia esigibile per la natura delle prestazioni ivi offerte. Conseguentemente, la responsabilità dell’ente per il fatto dei propri medici ausiliari si fonda sulla previsione dell’art. 1228 c.c., in forza del quale, il debitore che nell’adempimento dell’obbligazione si avvale dell’opera di terzi, risponde anche dei fatti dolosi o colposi di costoro. La natura della responsabilità della struttura, poi, non muta se il paziente si sia rivolto direttamente ad una struttura sanitaria del S.s.n. o convenzionata, o se si sia rivolto ad un medico di fiducia che ha effettuato l’intervento presso una struttura privata, sempre che il professionista sia inserito nella stessa, in rapporto di dipendenza o di mera convenzione, supponendo anche la seconda forma di collaborazione una scelta del medico da parte della struttura, con assunzione del relativo rischio”).
Ed anzi la condotta (casa di cura) della convenuta induce a ritenere necessaria tale ricostruzione dogmatica del complesso rapporto giuridico paziente-medico-struttura ospedaliera.
E’ evidente infatti che avvalorando la tesi propugnata dalla convenuta, non vi sarebbe struttura privata che non imporrebbe a chiunque la forma di un modulo con su scritto: rapporto intercorso solo fra medico Caio e paziente Sempronio, la casa di cura non c’entra niente.
Inoltre se c’è un caso dove tale eccezione è del tutto fuori luogo è proprio in questa causa dove si parla di infezione nosocomiale.
103/99), che la responsabilità della struttura è di regola presente anche in presenza di intervento effettuato da medico non dipendente della stessa (“l’oggetto dell’obbligazione assunta dalla Casa di cura non è costituito semplicemente dalla prestazione medica dei propri dipendenti, ma da una più complessa prestazione, definita come ‘assistenza sanitaria’, oggetto di un contratto atipico, inquadrabile nella categoria della locatio operis. A carico della struttura sanitaria gravano infatti, prestazioni non solo di diagnosi e cura, ma anche di tipo organizzativo, connesse all’assistenza post-operatoria, alla sicurezza delle attrezzature, dei macchinari, alla vigilanza ed alla custodia dei pazienti, oltre a prestazioni più propriamente riconducibili al contratto d’albergo. L’attività del medico costituisce quindi solo un momento di una più complessa prestazione, ed il danno non sempre è conseguenza dell’errore del singolo operatore, ma talvolta anche del comportamento di più soggetti. Tanto comporta, oltre la responsabilità vicaria per il fatto del dipendente, altra, diretta, per la carente organizzazione, che può riguardare numerosi aspetti, quali la disponibilità di personale qualificato ed in numero sufficiente, la sorveglianza sul coordinamento dei servizi, la garanzia sulla salubrità degli ambienti, la disponibilità di attrezzature di adeguato livello tecnologico, la cui disponibilità sia esigibile per la natura delle prestazioni ivi offerte. Conseguentemente, la responsabilità dell’ente per il fatto dei propri medici ausiliari si fonda sulla previsione dell’art. 1228 c.c., in forza del quale, il debitore che nell’adempimento dell’obbligazione si avvale dell’opera di terzi, risponde anche dei fatti dolosi o colposi di costoro. La natura della responsabilità della struttura, poi, non muta se il paziente si sia rivolto direttamente ad una struttura sanitaria del S.s.n. o convenzionata, o se si sia rivolto ad un medico di fiducia che ha effettuato l’intervento presso una struttura privata, sempre che il professionista sia inserito nella stessa, in rapporto di dipendenza o di mera convenzione, supponendo anche la seconda forma di collaborazione una scelta del medico da parte della struttura, con assunzione del relativo rischio”).
Ed anzi la condotta (casa di cura) della convenuta induce a ritenere necessaria tale ricostruzione dogmatica del complesso rapporto giuridico paziente-medico-struttura ospedaliera.
E’ evidente infatti che avvalorando la tesi propugnata dalla convenuta, non vi sarebbe struttura privata che non imporrebbe a chiunque la forma di un modulo con su scritto: rapporto intercorso solo fra medico Caio e paziente Sempronio, la casa di cura non c’entra niente.
Inoltre se c’è un caso dove tale eccezione è del tutto fuori luogo è proprio in questa causa dove si parla di infezione nosocomiale.
Locuzione che evoca evidentemente possibili responsabilità della casa di
cura.
E pertanto ogni discettazione, in merito a solidarietà esterna e rapporti
di regresso interni, è sterile ed irrilevante.
Attese le indubbie semplificazione e laconicità che si riscontrano
nell’elaborato del consulente tecnico di ufficio vanno esposte ulteriori informazioni e principi pertinenti
ed utili in materia di infezioni nosocomiali.
Qual è il quadro che emerge da quanto sopra?
Fermo restando che una volta accertato che il paziente ha contratto
un’infezione nosocomiale, in virtù dei principi che regolano l’onere della
prova, in materia contrattuale (qual è quella che ci occupa, , ancorché non fondata sul contratto, ma sul
“contratto sociale”) non vi può essere alcun dubbio che incombe
alla struttura ospedaliera ed in questo caso alla clinica spa omissis provare di avere adottato tutte
le misure utili e necessarie per una corretta sanificazione ambientale, al fine
di evitare la contaminazione.
In altre parole la convenuta deve fornire la prova che l’evento dannoso
(contagio) non rientra fra le complicanze prevedibili ed evitabili.
Qual è il modo di adempiere a tale prova negativa ?
Quello di fornire la prova positiva di
aver fatto tutto quanto la scienza del settore ha finora escogitato per evitare
o quanto meno ridurre al massimo il rischio di contaminazione.
Si può dire che la convenuta abbia fornito tale prova ?
Sicuramente dall’esame a
contrariis della specifica minuziosa elencazione delle attività di
sanificazione che sarebbero state poste in essere di cui alla memoria ex art.
183 I° e II° c.p.c. della casa di cura convenuta si può escludere che sia stato
costituito ivi un CIO “organismo
multidisciplinare responsabile dei programmi e delle strategie di lotta e di
contrasto contro le infezioni ospedaliere”, così come che nell’ambito
delle funzioni di tale comitato o in qualsiasi altro modo siano stati
predisposti percorsi di formazione e di sensibilizzazione del personale a vario
titolo operante nella struttura al problema delle Infezioni Ospedaliere (IO) o
Correlate all’Assistenza (ICA)
In ogni caso il giudice ritiene che vi siano lacune istruttorie che
devono essere colmate.
Ma che di tali lacune debba farsi carico l’ufficio in dipendenza della non esaustiva indagine peritale.
Esclusa la rilevanza ed efficacia delle prove orali richieste dalla casa di cura, in primo luogo il C.T.U. dovrà validare, arricchendole ed integrandole se del caso, le affermazioni di cui alla nota due affinché diventino patrimonio formale della causa e non solo cognizione del giudice.
In secondo luogo il giudice intende appurare, mediante indagine integrativa da affidare al consulente, se oltre alle necessarie ordinarie cautele (di cui è traccia nella documentazione prodotta dalla casa di cura) siano stati attuati specifici protocolli diretti all’applicazione, monitoraggio, aggiornamento e verifica dei risultati delle pratiche dirette ad evitare o contenere le infezioni nosocomiali, se è stato istituito un comitato o gruppo di lavoro a ciò deputato, se e come abbia operato e quant’altro.
Ma che di tali lacune debba farsi carico l’ufficio in dipendenza della non esaustiva indagine peritale.
Esclusa la rilevanza ed efficacia delle prove orali richieste dalla casa di cura, in primo luogo il C.T.U. dovrà validare, arricchendole ed integrandole se del caso, le affermazioni di cui alla nota due affinché diventino patrimonio formale della causa e non solo cognizione del giudice.
In secondo luogo il giudice intende appurare, mediante indagine integrativa da affidare al consulente, se oltre alle necessarie ordinarie cautele (di cui è traccia nella documentazione prodotta dalla casa di cura) siano stati attuati specifici protocolli diretti all’applicazione, monitoraggio, aggiornamento e verifica dei risultati delle pratiche dirette ad evitare o contenere le infezioni nosocomiali, se è stato istituito un comitato o gruppo di lavoro a ciò deputato, se e come abbia operato e quant’altro.
Il tutto al fine di pervenire ad una ragionevole e motivata valutazione
-non fondata su un inaccettabile principio di responsabilità oggettiva- sulla
sussistenza del nesso causale fra evento (infezione) e deficit di
sanificazione.
Ovvero per escluderlo, mediante l’affermazione che avendo adempiuto la
casa di cura a quanto era possibile ed esigibile allo stato dell’arte, l’evento
danno va ascritto nel novero delle complicanze imprevedibili ed inevitabili
collegate alla presenza della paziente nel nosocomio.
Tale esclusione andrà rapportata ad un obiettivo c.d. di rischio minimo (ovvero l’adozione di un insieme di procedure e di protocolli elaborati allo stato attuale dalla scienza del settore per ridurre al minimo il rischio di esposizione ad infezioni nosocomiali dei pazienti).
A tale fine il consulente accerterà con ispezione in loco, e servendosi, occorrendo, di persona- le specializzato di sua fiducia, in relazione ai parametri supra esposti dal giudice, previa esame esteso alle scritture ed ai registri contabili della società, se e quali attività utili al fine risultino effettivamente attivate e con quali cadenze presso la casa di cura convenuta.
Tale esclusione andrà rapportata ad un obiettivo c.d. di rischio minimo (ovvero l’adozione di un insieme di procedure e di protocolli elaborati allo stato attuale dalla scienza del settore per ridurre al minimo il rischio di esposizione ad infezioni nosocomiali dei pazienti).
A tale fine il consulente accerterà con ispezione in loco, e servendosi, occorrendo, di persona- le specializzato di sua fiducia, in relazione ai parametri supra esposti dal giudice, previa esame esteso alle scritture ed ai registri contabili della società, se e quali attività utili al fine risultino effettivamente attivate e con quali cadenze presso la casa di cura convenuta.
Ritiene il giudice, prima di disporre la nuova
consulenza, che per la regolamentazione dei rapporti fra le parti possa essere
vantaggioso avviare un preventivo percorso di mediazione demandata ai sensi
dell’art.5 co.II° decr. legisl. 28/2010 al quale parteciperanno da una parte la casa di
cura convenuta e dall’altra le assicurazioni convenute (la presenza del medico
prof. P.R. non è ritenuta necessaria dal giudice ma utile).
La convocazione dovrà riguardare anche
l’assicurazione rimasta contumace in questa causa. Ciò al fine di propiziare un
accordo pieno che riguardi tutte le compagnie coassicuranti.
Senza che sia di ostacolo all’esperimento del procedimento di mediazione ed al raggiungimento dell’accordo l’eventuale assenza di una o più di esse.
Vi sono infatti situazioni in cui non è pensabile, in termini di efficacia giuridica, un accordo al quale non partecipino tutte le parti interessate. Pena che il negozio giuridico eventualmente siglato risulti inutiliter dato.
Senza che sia di ostacolo all’esperimento del procedimento di mediazione ed al raggiungimento dell’accordo l’eventuale assenza di una o più di esse.
Vi sono infatti situazioni in cui non è pensabile, in termini di efficacia giuridica, un accordo al quale non partecipino tutte le parti interessate. Pena che il negozio giuridico eventualmente siglato risulti inutiliter dato.
Vi sono altre situazioni, e questa vi rientra,
in cui non sussistendo alcun litisconsorzio necessario, la presenza di tutte le
parti convocate è utile ma non indispensabile.
Invero, nel caso in esame, una volta che fra la casa di cura e le assicurazioni chiamate in causa sia stato raggiunto l’auspicato accordo, il giudice provvederà a regolare, autonomamente, i rapporti fra la casa di cura e quella fra le assicurazioni che dovesse non aderire all’invito o non partecipare all’accordo. Che sia qui costituita o meno.
Invero, nel caso in esame, una volta che fra la casa di cura e le assicurazioni chiamate in causa sia stato raggiunto l’auspicato accordo, il giudice provvederà a regolare, autonomamente, i rapporti fra la casa di cura e quella fra le assicurazioni che dovesse non aderire all’invito o non partecipare all’accordo. Che sia qui costituita o meno.
Le valutazioni ed i provvedimenti che si
dovessero trarre dalla mancata partecipazione alla procedura di mediazione ai
sensi delle norme vigenti (art.8 co.4 bis decr. lgsl. 28/2010)
riguarderanno tout
court le assicurazioni costituite e solo ai sensi dell’art.116
c.p.c. l’assicurazione contumace.
La procedibilità delle domande della casa di cura di chiamata in
giudizio a manleva delle compagnie di assicurazione resta pertanto subordinata
al puntuale adempimento di quanto testé prescritto.
Le spese (che vengono regolate secondo le previsioni –orientative per il
giudice che tiene con-to di ogni utile circostanza per adeguare nel modo
migliore la liquidazione al caso concreto- della l.24.3.2012 n.27 e del D.M.
Ministero Giustizia 22.7.2012 n.140) seguono la soccombenza, e possono essere
liquidate fin da subito, nonostante si tratti si sentenza parziale, posto che
la stessa pur non definendo interamente il giudizio, regola completamente e
definitivamente i rapporti fra l’attrice ed il medico convenuto.
La sentenza è per legge esecutiva.
P.Q.M.
Non definitivamente pronunziando, salvo che per il rapporto fra R.S.
ogni contraria domanda eccezione e deduzione respinta, così provvede:
rigetta le domande
di R.S. contro il prof. P.R.;
condanna R.S. al
pagamento in favore del prof. P.R. delle spese di causa che liquida in favore
del predetto in complessivi €.3.000,00 di cui €.600,00 per spese, oltre IVA e
CAP;
dispone con separata ordinanza per il prosieguo.
dispone con separata ordinanza per il prosieguo.
Sentenza esecutiva
Roma lì 10.4.2014
Roma lì 10.4.2014