=> Trib. Palermo, 16 luglio 2014
Disposta la
mediazione ex officio iudicis, la
condizione di procedibilità della domanda giudiziale si riterrà formata
soltanto se nel primo incontro il tentativo di mediazione sarà effettuato
dalle parti in modo effettivo. Difatti, per soddisfare la condizione di
procedibilità non basta che nel primo incontro il mediatore chiarisca alle
parti la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione ed inviti poi
le parti ed i loro avvocati ad esprimersi sulla possibilità di iniziare la
procedura di mediazione; non basta, quindi, l’incontro sulla la mera
valutazione di mediabilità (anticamera del procedimento mediativo), occorrendo
invece dare effettivamente inizio alla procedura.
Fonte: Osservatorio
Mediazione Civile n. 56/2014
Tribunale di Palermo
16 luglio 2014
Ordinanza
…omissis…
Comunque, in caso di mancata accettazione
della proposta in questione, questo giudice disporrà la mediazione ex
officio iudicis.
Sul punto è bene ricordare che, al di là dei
casi di mediazione obbligatoria ex lege, la legge 98/13 ha pure
stabilito che il giudice può – anche in grado di appello e valutata la natura
della causa, lo stato dell’istruzione ed il comportamento delle parti –
disporre l’esperimento del procedimento di mediazione a pena di improcedibilità
della domanda. La legge 98/13 attribuisce quindi al giudice il potere di
imporre alle parti di intraprendere un procedimento di mediazione nel corso del
processo (in passato, invece, il giudice poteva solo invitarle a svolgere un
tentativo stragiudiziale di mediazione, attendendo l’eventuale risposta
positiva delle parti), in tal modo creando una nuova condizione di
procedibilità (sopravvenuta) per ordine del giudice. Si tratta di una norma che
rimette al giudice l’effettività di tale canale di accesso alla mediazione (che
opera non quale filtro preventivo alle liti, ma successivo e non per questo
meno utile ed efficace) e può operare in ogni lite, purché abbia ad oggetto
diritti disponibili.
Peraltro, la mediazione ex officio
iudicis può essere disposta anche per i procedimenti pendenti alla
data di entrata in vigore della legge 98/13 (e ciò in forza del principio per
cui tempus regit actum ed in quanto il nuovo comma 2 dell’art.
5 del d.lgs. 28/10 attribuisce un nuovo potere discrezionale al magistrato che
va considerato come una nuova facoltà processuale e quindi applicabile dal
momento dell’entrata in vigore della norma a tutti i procedimenti, compresi
quelli pendenti) nonché pure per le materie diverse da quelle assoggettare a
mediazione obbligatoria ex lege in base al comma 1 bis dell’art. 5 del d.lgs.
28/10 (il che sembra del tutto evidente se si considera che per le materie di
cui al citato comma 1 bis è già prevista una forma di mediazione obbligatoria
ed a nulla varrebbe la mediazione ex officio iudicis).
Con particolare riferimento ai giudizi
pendenti, va poi osservato che nelle materie già selezionate dal Legislatore
per la mediazione obbligatoria ex lege (come la responsabilità medico-sanitaria
rivendicata nel presente giudizio) può ritenersi sussistente una “presunzione
semplice” di opportunità, avendo già la normativa formulato ex ante una
prognosi favorevole quanto all’efficacia del procedimento di mediazione.
A ciò si aggiunga che la mediazione ex
officio iudicis può poi essere disposta anche se una delle parti del
processo è una Amministrazione Pubblica. Nelle fonti normative non si
rinvengono, infatti, disposizioni che escludono le pubbliche amministrazioni
dall’ambito di applicazione della disciplina introdotta. Pertanto, la normativa
in materia di mediazione in ambito civile e commerciale trova applicazione
anche in riferimento al settore pubblico, come pure si legge nella circolare
del Dipartimento della funzione pubblica n. 9/2012.
È bene adesso svolgere qualche considerazione
in relazione alle conseguenze derivanti dalla mancata attivazione ad opera
delle parti della mediazione prescritta dal giudice. La soluzione preferibile è
quella che ritiene necessaria l’emissione di una sentenza di improcedibilità
della domanda, restando però da chiarire se tale tipo di decisione sia da
ritenere non adottabile ogniqualvolta venga instaurato il procedimento di
mediazione disposto dal giudice o se occorra qualcosa di più per ritenere adempiuto
l’ordine giudiziale.
Secondo Trib. Firenze, sez. II civile,
19.3.2014 le condizioni verificatesi le quali può ritenersi correttamente
eseguito l’ordine del giudice e può quindi considerarsi formata la condizione
di procedibilità sono: 1) che vi sia stata la presenza personale delle parti;
2) che le parti abbiano effettuato un tentativo di mediazione vero e proprio
(ed anche per Trib. Firenze, sez. spec. impresa, 17.3.2014 occorre la
comparizione personale delle parti).
Nel suo articolato e ben strutturato
ragionamento il giudice fiorentino (ord. 19.3.2014) parte dalla considerazione
per cui l’art. 5 e l’art. 8 del d.lgs. 28/10 sono formulati in modo ambiguo,
posto che nell’art. 8 sembra che il primo incontro sia destinato solo alle
informazioni date dal mediatore ed a verificare la volontà di iniziare la
mediazione (l’art. 8 prevede, infatti, che “durante il primo incontro il mediatore chiarisce alle parti la funzione
e le modalità di svolgimento della mediazione. Il mediatore, sempre nello
stesso primo incontro, invita poi le parti e i loro avvocati a esprimersi sulla
possibilità di iniziare la procedura di mediazione e, nel caso positivo,
procede con lo svolgimento”). Tuttavia, nell’art. 5, comma 5 bis, si parla di “primo incontro concluso senza l’accordo”.
Sembra dunque che il primo incontro non sia una fase estranea alla mediazione
vera e propria. Non avrebbe molto senso, secondo il Tribunale di Firenze,
parlare di “mancato accordo” se il primo incontro fosse destinato non a
ricercare l’accordo tra le parti rispetto alla lite, ma solo la volontà di
iniziare la mediazione vera e propria. Ciò a prescindere dalle difficoltà di
individuare con precisione scientifica il
confine tra la fase c.d. preliminare e la mediazione vera e propria (difficoltà
ben nota a chi ha pratica della mediazione), data la non felice formulazione
della norma.
Pertanto, il Tribunale di Firenze ha ritenuto
necessario, al fine di spiegare la detta ambiguità interpretativa, ricostruire
la regola avendo presente lo scopo della disciplina, anche alla luce del
contesto europeo in cui si inserisce (direttiva 2008/52/CE).
Sei sono gli argomenti che hanno portato il
Tribunale di Firenze a ritenere necessaria, per la formazione della condizione
di procedibilità della domanda giudiziale dopo la mediazione ex officio
iudicis, la presenza effettiva delle parti nel procedimento di mediazione e
l’effettivo avvio di un sostanziale tentativo di mediazione: 1) i difensori,
definiti mediatori di diritto dalla stessa legge, hanno sicuramente già
conoscenza della natura della mediazione e delle sue finalità. Se così non
fosse non si vede come potrebbero fornire al cliente l’informazione prescritta
dall’art. 4, comma 3, del d.lgs 28/2010, senza contare che obblighi informativi
in tal senso si desumono già sul piano deontologico (art. 40 codice
deontologico ). Non avrebbe dunque senso imporre l’incontro tra i soli
difensori e il mediatore solo in vista di un’informativa; 2) la natura della
mediazione esige che siano presenti di persona anche le parti: l’istituto mira
a riattivare la comunicazione tra i litiganti al fine di renderli in grado di
verificare la possibilità di una soluzione concordata del conflitto: questo
implica necessariamente che sia possibile una interazione immediata tra le
parti di fronte al mediatore. L’assenza delle parti, rappresentate dai soli
difensori, dà vita ad altro sistema di soluzione dei conflitti, che può avere
la sua utilità, ma non può considerarsi mediazione. D’altronde, questa
conclusione emerge anche dall’interpretazione letterale: l’art. 5, comma
1 bis e l’art. 8 prevedono che le parti esperiscano il
(o partecipinoal) procedimento mediativo con l’assistenza degli
avvocati, e questo implica la presenza degli assistiti; 3) ritenere che la
condizione di procedibilità sia assolta dopo un primo incontro in cui il
mediatore si limiti a chiarire alle parti la funzione e le modalità di
svolgimento della mediazione vuol dire in realtà ridurre ad un’inaccettabile
dimensione notarile il ruolo del giudice, quello del mediatore e quello dei
difensori. Non avrebbe ragion d’essere una dilazione del processo civile per un
adempimento burocratico del genere. La dilazione si giustifica solo quando una
mediazione sia effettivamente svolta e vi sia stata un’effettiva chance di raggiungimento dell’accordo
alle parti. Pertanto occorre che sia svolta una vera e propria sessione di
mediazione. Altrimenti, si porrebbe un ostacolo non giustificabile all’accesso
alla giurisdizione; 4) l’informazione sulle finalità della mediazione e le
modalità di svolgimento ben possono in realtà essere rapidamente assicurate in
altro modo: 1. Dall’informativa che i difensori hanno l’obbligo di fornire ex
art. 4 cit., come si è detto; 2. dalla possibilità di sessioni informative
presso luoghi adeguati (v. direttiva europea) e, per quanto concerne il
Tribunale di Firenze, presso l’URP (v. articolo 11 del protocollo Progetto
Nausica 2 ) e da ultimo, sempre nell’ambito di tale Progetto, presso l’ufficio
di orientamento gestito dal Laboratorio Unaltromododell’Università di Firenze; 5) l’ipotesi che la
condizione si verifichi con il solo incontro tra gli avvocati e il mediatore
per le informazioni appare particolarmente irrazionale nella mediazione
disposta dal giudice: in tal caso, infatti, si presuppone che il giudice abbia
già svolto la valutazione di ‘mediabilità’ del conflitto (come prevede l’art. 5
cit.: che impone al giudice di valutare ”la natura della causa, lo stato dell’istruzione e il comportamento
delle parti”), e che tale valutazione si sia svolta nel colloquio
processuale con i difensori. Questo presuppone anche un’adeguata informazione
ai clienti da parte dei difensori; inoltre, in caso di lacuna al riguardo, lo
stesso giudice, qualora verifichi la mancata allegazione del documento
informativo, deve a sua volta informare la parte della facoltà di chiedere la
mediazione. Come si vede, dunque, sono previsti plurimi livelli informativi e
non è pensabile che il processo venga momentaneamente interrotto per
un’ulteriore informazione anziché per un serio tentativo di risolvere il
conflitto; 6) l’art. 5 della direttiva europea 2008/52/CE distingue le ipotesi
in cui il giudice invia le parti in mediazione rispetto all’invito (sempre da
parte del giudice) per una semplice sessione informativa: un ulteriore motivo
per ritenere che nella mediazione disposta dal giudice viene chiesto alle parti
(e ai difensori) di esperire la mediazione e cioè l’attività svolta dal terzo imparziale finalizzata ad assistere due o
più soggetti nella ricerca di un accordo amichevole (secondo la
definizione data dall’art. 1 del d.lgs. n. 28/2010) e non di acquisire
una mera informazione e di rendere al mediatore una dichiarazione sulla volontà
o meno di iniziare la procedura mediativa.
Alla luce delle considerazioni che precedono
il giudice fiorentino ha considerato quale criterio fondamentale la ragion
d’essere della mediazione, che ruota attorno all’esigenza di tentare realmente
di pervenire ad una soluzione non giudiziale della controversia, ed ha
affermato la necessità che le parti compaiano personalmente (assistite dai
propri difensori come previsto dall’art. 8 d.lgs. n. 28/2010) e che la
mediazione sia effettivamente avviata.
Un’altra strada interpretativa è quella
seguita (allo stato) dal Tribunale di Milano (strada, però, inaugurata prima
della presa di posizione di Firenze): la condizione di procedibilità è
soddisfatta anche quanto sia tenuto solo il primo incontro di mediazione senza
accordo (l’incontro di cui all’art. 8 comma I d.lgs. 28/2010). Le differenze
non sono di scarsa rilevanza. Nel primo incontro il mediatore chiarisce alle
parti la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione. Il mediatore,
sempre nello stesso primo incontro, invita poi le parti ed i loro avvocati ad
esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione e, nel caso
positivo, procede con lo svolgimento. Si tratta, dunque, secondo il Tribunale
di Milano, dell’incontro dedicato alla cd. valutazione di mediabilità e, cioè,
dell’anticamera del procedimento mediativo.
Secondo il primo indirizzo illustrato
(Tribunale di Firenze), per soddisfare la condizione di procedibilità questo
primo incontro non basta: occorre dare effettivamente inizio alla procedura.
Per il secondo indirizzo segnalato (Tribunale di Milano) questa prima relazione
al tavolo di mediazione è già sufficiente.
La lettura che conferisce maggiore razionalità
all’istituto è certamente quella fiorentina e ciò almeno per quanto riguarda
l’effettivo tentativo di mediazione, considerato che è invece difficile
sostenere che le parti debbano essere personalmente presenti, essendo loro
diritto conferire eventualmente una procura di carattere sostanziale ad un altro
soggetto (che può pure essere l’avvocato difensore).
Sussiste, però, un nodo interpretativo da
risolvere. Il Legislatore ha espressamente regolato il regime giuridico sotteso
alla condizione di procedibilità e previsto, all’art. 5 comma 2 bis,
che «quando l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di
procedibilità della domanda giudiziale la condizione si considera
avverata se il primo incontro
dinanzi al mediatore si conclude senza l’accordo». La disposizione,
dunque, sembra richiamare espressamente “il primo incontro” di cui all’art. 8
comma I cit.
Il giudice non potrebbe quindi esigere, al
fine di ritenere correttamente formata la condizione di procedibilità, che le
mediazione sia stata tentata anche oltre il primo incontro.
Tuttavia, egli può comunque richiedere che in
questo primo incontro il tentativo di mediazione sia stato effettivo.
Certo, è vero che può sembrare che in questo
primo incontro il mediatore potrebbe non avere neppure la possibilità di
tentare un accordo se le parti non vogliono che ciò accada. Infatti, secondo
quanto previsto dall’art. 8 del nuovo d.lgs. 28/10, “durante il primo incontro il mediatore chiarisce alle parti la funzione
e le modalità di svolgimento della mediazione. Il mediatore, sempre nello
stesso primo incontro, invita poi le parti e i loro avvocati a esprimersi sulla
possibilità di iniziare la procedura di mediazione e, nel caso positivo,
procede con lo svolgimento”.
Una prima lettura delle disposizioni normative
pare giustificare un’interpretazione per cui se le parti e i loro avvocati non
vogliono effettuare un vero tentativo di conciliazione (magari per non pagare
il compenso all’organismo di mediazione) ben possono esprimere in questa prima
parte del primo incontro, di natura preliminare, la loro volontà contraria
all’inizio di una mediazione e il tutto finisce lì. La disposizione normativa
in questione, così interpretata, sarebbe molto discutibile in quanto
rischierebbe di rendere la mediazione di fatto facoltativa. Il mediatore
potrebbe pure pensare, alla luce di tale disposizione normativa, di non potere
neppure tentare di verificare se effettivamente le posizioni delle parti sono
inconciliabili. Se, infatti, in quest’ultimo caso si può parlare di un
fallimento della mediazione, nel caso teoricamente consentito dal legislatore
di manifestazione (anche ad opera di una sola delle parti) della sua volontà
contraria alla mediazione vi sarebbe un aborto legale della mediazione.
Peraltro, se si ritiene che ogni parte può impedire fin dall’inizio l’effettivo
svolgimento del procedimento di mediazione, ognuno dei partecipanti sarebbe
titolare di un diritto potestativo alla chiusura del procedimento e gli altri
sarebbero tutti in una posizione di soggezione. Ed è da credere che tale
diritto potestativo verrebbe spesso esercitato se si considera che, come
accennato, è stato aggiunto il comma 5 ter dell’art. 17 del d.lgs. 28/10,
secondo cui nel caso di mancato accordo all’esito del primo incontro nessun
compenso è dovuto per l’organismo di mediazione.
Tuttavia, una corretta interpretazione (in
linea con la ratio della direttiva europea – ed è noto che gli operatori
nazionali sono tenuti, secondo la Corte di giustizia UE, a tentare
un’interpretazione delle disposizioni nazionali conforme alle norme europee –
che mira ad agevolare il più possibile la soluzione delle controversie in modo
alternativo a quello giudiziario) è quella che ritiene che il mediatore,
nell’invitare le parti e i loro procuratori a esprimersi sulla “possibilità” di
iniziare la procedura di mediazione, deve verificare se vi siano i presupposti
per poter procedere nell’effettivo svolgimento della mediazione (il cui
procedimento comunque già inizia con il deposito dell’istanza di mediazione).
Tali presupposti sono, ad esempio, l’esistenza di una delibera che autorizza
l’amministratore di condominio a stare in mediazione (così come previsto dalla
legge 220/12) o l’esistenza di un’autorizzazione del giudice tutelare se a
partecipare alla mediazione deve anche essere un minore ovvero la presenza di tutti
i litisconsorti necessari. Il mediatore non dovrebbe chiedere, come invece
ritenuto da molti, se le parti vogliono andare avanti. Egli non deve verificare
la “volontà” delle parti e dei procuratori, ma li invita ad esprimersi sulla “possibilità”di iniziare la procedura
di mediazione. E nel punto in cui la norma dice che “nel caso positivo, procede con lo svolgimento” essa non va
intesa nel senso che se gli avvocati dicono che c’è tale possibilità si va
avanti, mentre se dicono che non sussiste questa possibilità non si procede
oltre. È il mediatore che, tenuto conto di quello che dicono le parti e gli
avvocati, valuta se sussiste questa possibilità (nella norma, infatti, non si
legge “nel caso di risposta positiva”,
ma “nel caso positivo”). Si
comprende, quindi, il motivo per cui il comma 5 ter dell’art. 17 del d.lgs.
28/10 contempla (come il comma 2 bis dell’art. 5) la possibilità di un accordo
tra le parti in sede di primo incontro (prevedendo che in caso di mancato
incontro non è dovuto compenso all’organismo).
In conclusione, in caso di mancata
accettazione della proposta conciliativa formulata dal giudice, verrà disposta
la mediazione ex officio iudicis quale
condizione di procedibilità della domanda giudiziale, condizione che si riterrà
formata soltanto se nel primo incontro il tentativo di mediazione sarà
effettuato dalle parti in modo effettivo.
Né rileva che la mediazione sia già stata
tentata in via preventiva, in forza del d.lgs. 28/2010 nella versione
antecedente la declaratoria di illegittimità costituzionale da parte della
Consulta, in quanto parte convenuta non si è presentata in quella procedura
(mentre dovrà presentarsi nella futura, eventuale mediazione ex officio iudicis) e poiché, dopo
l’espletamento della CTU, vi sono ora maggiori possibilità di addivenire ad una
soluzione transattiva basata sulle risultanze dell’accertamento peritale.
P.Q.M.
Formula alle parti la proposta conciliativa
indicata in parte motiva;
fissa per la verifica della posizione delle
parti sulla detta proposta conciliativa l’udienza del giorno 29.9.2014, ore
12.00, riservandosi di disporre nell’indicata udienza, in caso di mancata
accettazione della proposta conciliativa, l’esperimento del procedimento di
mediazione ex officio iudicis quale
condizione di procedibilità della domanda giudiziale, che si riterrà formata
soltanto se nel primo incontro il tentativo di mediazione sia stato effettuato
dalle parti in modo effettivo.
Si comunichi.
Palermo, 16.7.2014
Il Giudice
Michele Ruvolo