=> Trib. Santa Maria Capua Vetere, 23 dicembre
2013
Va accolta la richiesta di condanna ex art. 96 comma 3 c.p.c. qualora si ravvisi l’elemento soggettivo della mala fede in capo
ad una delle parti la quale, anziché recepire l’invito della controparte che avrebbe potuto condurre ad una soluzione
del problema – abbia preferito adire il Tribunale, in un’ottica
conflittuale decisamente lontana dalla nuova prospettiva nella quale, anche
alla luce della recente reintroduzione con il c.d. decreto del fare della
mediazione obbligatoria, appare muoversi il legislatore negli ultimi tempi;
prospettiva che attribuisce al difensore un ruolo centrale, prima
ancora che nel giudizio, nell’attività di mediazione delle controversie e
che tende sempre di più ad individuare nel ricorso al Tribunale l’extrema ratio per la soluzione della quasi
totalità delle controversie civili.
Fattispecie: il Giudice osserva che nel caso di specie si sarebbe potuto agevolmente risolvere il problema
emerso nel corso del rapporto locatizio senza ricorrere all’autorità
giudiziaria, semplicemente raccogliendo l’invito della resistente a far
visionare l’immobile locato (emblematica del comportamento posto in essere
dai ricorrenti, contrario ai doveri di buona fede contrattuale, è la circostanza
che il ricorso per accertamento tecnico preventivo è stato depositato il giorno
immediatamente successivo alla trasmissione del fax con il quale la resistente
specificamente diffidava i ricorrenti, a mezzo del proprio legale, a prendere
contatti al fine di poter risolvere il problema dell’accesso all’immobile,
stante la persistente irreperibilità degli stessi).
Fonte: Osservatorio
Mediazione Civile n. 19/2014
Tribunale di Santa
Maria Capua Vetere
Sezione I Civile
23 dicembre 2013
…omissis…
1. I ricorrenti hanno proposto ricorso per
accertamento tecnico preventivo ai sensi dell’articolo 696 c.p.c. al fine di
accertare le cause generanti le macchie di muffa e di umidità presenti
nell’appartamento da essi condotto in locazione; la resistente ha eccepito la
mancanza dei presupposti per disporre l’accertamento tecnico preventivo,
evidenziando che nel caso di specie non vi era nessuna necessità di effettuare
tale accertamento nella prospettiva di un giudizio, avendo la locatrice
manifestato piena disponibilità ad accertare le cause delle pretese
infiltrazione e ad eliminarle, disponibilità che, tuttavia, era stata
vanificata dal comportamento poco collaborativo dei ricorrenti.
2. I rilievi svolti dalla resistente sono
sostanzialmente condivisibili e inducono al rigetto della domanda.
In particolare, deve osservarsi che dalla
documentazione prodotta dalla resistente emerge, a conforto di quanto da essa
dedotto, che effettivamente sin dalle prime segnalazioni da parte dei
conduttori, vi è stata piena disponibilità della locatrice a risolvere il
problema delle presunte infiltrazioni; ciò si evince in particolare dalla
lettera/fax del 3.04.2013 indirizzata al difensore dei ricorrenti (e ricevuta,
come emerge dalla dicitura “ok” attestante la corretta trasmissione del fax),
nella quale si evidenziava come la resistente avesse cercato vanamente più
volte di contattare uno dei conduttori al fine di fissare un appuntamento per
consentire di visionare l’immobile da un proprio operaio di fiducia.
Addirittura, nella successiva lettera del
22.10.2013, sottoscritta anche dalla locatrice, si rappresentava come,
nonostante numerosi tentativi di contattare il conduttore, non fosse stato
possibile accedere all’immobile con conseguente rischio di aggravamento delle
condizioni dello stesso.
La circostanza che le ripetute (e documentate)
richieste della locatrice di fissare un appuntamento per verificare lo stato
dei luoghi – atto indispensabile per consentire al proprietario di verificare
le condizioni dell’immobile e valutare gli interventi da effettuare e
l’eventuale necessità di coinvolgere il condominio (cfr. lettera del
28.11.2013) – non abbiano avuto alcun esito assume rilievo decisivo; infatti,
da un lato, evidenzia che nel caso di specie non può ritenersi sussistente una
situazione di pregiudizio irreparabile tale da giustificare il ricorso alla
tutela cautelare: è evidente, infatti, che diversamente gli odierni ricorrenti
avrebbero dimostrato maggiore disponibilità e solerzia nel rispondere agli
inviti della locatrice, anche nell’ottica del principio di buona fede tra le
parti di un contratto di locazione, che richiede l’adozione di comportamenti
collaborativi e positivi. Dall’altro lato evidenzia che, anche a voler ritenere
che nel caso di specie si sia creata una situazione di pregiudizio
irreparabile, a causare tale situazione è stato, in definitiva, proprio il
comportamento scarsamente collaborativo dei ricorrenti che, anziché consentire
l’accesso all’immobile da essi condotto, hanno preferito agire in giudizio, con
conseguente aggravamento di tempi e costi per la soluzione del problema da essi
lamentato. E ciò senza considerare che, per stessa ammissione dei ricorrenti,
il fenomeno infiltrativo si manifestava già a pochi mesi dalla stipula del
contratto di locazione (avvenuta nel 2008), il che rende ancor più evidente la
mancanza di periculum in mora nel caso di specie.
Alla luce di ciò, il ricorso deve essere rigettato.
3. Quanto alle spese processuali, le stesse seguono
la soccombenza e sono liquidate d’ufficio ai sensi del D.M. n. 140/12
applicando i valori medi dello scaglione di riferimento, con esclusione della
voce relativa alla fase istruttoria e con riduzione del 30% delle altre voci
considerata la natura sommaria del procedimento. Le spese sono liquidate con
attribuzione al procuratore antistatario avv. Gloria Martignetti che ne ha
fatto richiesta.
4. Va accolta, infine, la richiesta di condanna ex
art. 96 comma 3 c.p.c. potendo ravvisarsi, nel caso di specie, l’elemento
soggettivo della mala fede in capo ai ricorrenti, in considerazione della
evidenziata e documentata disponibilità manifestata dalla resistente per
risolvere il problema delle lamentate infiltrazioni del tutto ignorata prima
della proposizione del ricorso ed in ordine alla quale, peraltro, è stato
omesso ogni riferimento nel ricorso.
Nel caso di specie,
infatti, si sarebbe potuto agevolmente risolvere il problema emerso nel corso
del rapporto locatizio senza ricorrere all’autorità giudiziaria, semplicemente
raccogliendo l’invito della resistente a far visionare l’immobile locato.
Emblematica del comportamento posto in essere dai ricorrenti, contrario ai
doveri di buona fede contrattuale, è la circostanza che il ricorso per
accertamento tecnico preventivo è stato depositato il 23.10.2013, ovvero il
giorno immediatamente successivo alla trasmissione del fax (del 22.10.2013) con
il quale la resistente specificamente diffidava i ricorrenti, a mezzo del proprio
legale, a prendere contatti al fine di poter risolvere il problema dell’accesso
all’immobile, stante la persistente irreperibilità degli stessi. Infatti,
anziché recepire l’invito della locatrice, che avrebbe potuto condurre ad una
soluzione del problema, si è preferito adire il Tribunale, in un’ottica
conflittuale decisamente lontana dalla nuova prospettiva nella quale, anche
alla luce della recente reintroduzione con il c.d. decreto del fare della
mediazione obbligatoria, appare muoversi il legislatore negli ultimi tempi,
prospettiva che attribuisce al difensore un ruolo centrale, prima ancora che
nel giudizio, nell’attività di mediazione delle controversie – al punto da
prevedere, con le modifiche operate dal D.L. n. 69/2013 che gli avvocati siano di
diritto mediatori e debbano assistere la parte nel procedimento di mediazione –
prospettiva che tende sempre di più ad individuare nel ricorso al Tribunale l’extrema
ratio per la soluzione della quasi totalità delle controversie civili.
Quanto all’importo della somma da porre a carico
dei ricorrenti, la stessa può essere determinata in via equitativa, in un
multiplo dell’importo liquidato per le spese processuali; in particolare, nel
caso di specie, tenuto conto della natura della controversia, del valore della
stessa, delle ragioni della decisione e della gravità del comportamento dei
ricorrenti, questi ultimi vanno condannati, ai sensi dell’art. 96 co. 3 c.p.c.,
al pagamento dell’importo di euro
1.266,50, pari al doppio dell’importo liquidato a
titolo di spese processuali.
P.Q.M.
rigetta il ricorso;
1) condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al
pagamento delle spese processuali in favore della resistente, che liquida in
euro 633,25 per compenso professionale ex D.M. n. 140/12, oltre IVA e CPA come
per legge, con attribuzione al procuratore antistatario avv. ---;
2) condanna i ricorrenti, in solido tra loro, ai
sensi dell’art. 96 co. 3 c.p.c. al pagamento in favore della resistente di euro
1.266,50.
Si comunichi.
S. Maria C.V., 23.12.2013
Il Presidente delegato dott. Luca CAPUTO