=> Corte di appello di Milano, 24 maggio 2017
Con riferimento alla questione se il mancato rispetto del termine di 15 giorni
assegnato dal giudice per avviare il tentativo di mediazione, alla stregua
della legge sulla mediazione processuale, possa ritenersi equivalente al
mancato tentativo di mediazione nei casi in cui esso sia previsto come
obbligatorio (art. 5 d.lgs. 28/2010), situazione - quest’ultima - che certamente determina
l’improcedibilità del giudizio ordinario, va affermato che qualora il tentativo di mediazione sia stato comunque
esperito (nella specie con esito negativo), il giudice deve rilevare che la condizione di procedibilità dell’azione
giudiziale si è in ogni caso avverata, sebbene con ritardo rispetto al
termine (ordinatorio) inizialmente assegnato.
Ed infatti, il
termine in questione, corrispondente a quello indicato
dall’art. 5 cit. senza alcuna indicazione del
carattere perentorio del medesimo, non appare corrispondere a un termine
processuale cui applicare il disposto di cui all’art. 154 c.p.c.; invero, nessuna norma della legge in esame
attribuisce allo spirare di quel termine un effetto preclusivo dell’attività di
mediazione e lo spirare del termine per l’attivazione del procedimento di
mediazione non è previsto dalla legge come processuale (posto che il
procedimento di mediazione non è assimilabile al procedimento ordinario e
costituisce uno strumento di risoluzione delle liti alternativo al procedimento
ordinario e giurisdizionale). Inoltre lo stesso principio di effettività dei diritti, immanente al diritto di
accesso alla giustizia cui si conforma la legge sulla mediazione, imporrebbe di
non considerare come penalizzanti termini che la legge non definisce come
perentori, e che chiaramente si devono definire come regolatori degli interessi
in gioco. Nella specie poi non consta
che il procedimento di mediazione si sia concluso oltre il termine di tre mesi di
sospensione previsto ex lege come perentorio per espletare il tentativo di
mediazione, e quindi con eventuale eccessiva dilazione del diritto di agire (I).
Fonte: Osservatorio
Mediazione Civile n. 22/2018
Corte di appello di Milano
Sezione I
Sentenza
24 maggio 2017
Omissis
Svolgimento del processo
1. In data 03.03.2015 il sig. C. proponeva opposizione avverso il
decreto ingiuntivo n. omissis emesso
dal tribunale di Monza per la somma di € 115.433,18 in favore di I. S.p.a.
quale procuratore di Intesa Sanpaolo S.p.a. Nell’opporsi al decreto ingiuntivo
C. deduceva la falsità della propria sottoscrizione sulla fideiussione,
costituente il titolo in base al quale gli era stato ingiunto il decreto
ingiuntivo.
Il giudice, alla prima udienza del 16.7.2015, rilevava che la
controversia rientrava tra quelle per cui è stata reso obbligatorio il
tentativo di mediazione e assegnava i termini di legge per avviare detto
procedimento. L’opponente avviava tardivamente il procedimento di mediazione
telematica che dava esito negativo all’incontro del 16.12.2015.
2. In data 21.01.2016, il Tribunale di Monza con sentenza omissis respingeva l’opposizione
dichiarandola improcedibile per mancato esperimento del tentativo di mediazione
nel termine assegnato e confermava il decreto ingiuntivo.
3. Avverso la suddetta decisione omissis
svolgeva appello con atto di citazione notificato regolarmente alla
controparte, deducendo l’erroneità della sentenza nella parte in cui ha
ritenuto che il termine di 15 giorni indicato dal giudice per la presentazione
della domanda di mediazione fosse inutilmente spirato senza richiesta di
proroga. Assumeva l’appellante che il termine di legge non fosse da ritenersi
perentorio e che il successivo esperimento del tentativo di mediazione fosse
idoneo a precludere qualsiasi censura di improcedibilità o inammissibilità
dell’atto di citazione in opposizione. Nel merito l’appellante insisteva per
l’espletamento della CTU grafologica a seguito del disconoscimento della
sottoscrizione apposta sulla polizza fideiussoria prodotta da controparte a
fondamento del proprio credito, cui era immediatamente stata annessa la
richiesta di verificazione da parte della convenuta opposta.
4. Alla prima udienza del 28 giugno 2016 la Corte disponeva la CTU
richiesta.
5. Esperita la CTU grafologica nel corso del giudizio di appello, la
controversia giungeva nella fase decisionale per l’udienza del 28 febbraio
2017, sulle conclusioni sopra indicate.
Motivi della decisione
6. Le questioni su cui la Corte è chiamata a pronunciarsi sono le
seguenti: questione uno: sulla improcedibilità della controversia per tardivo
esperimento del procedimento di mediazione; questione due: sulla sussistenza
dell’obbligo fideiussorio del Sig. C.
Sulla prima questione
7. Il giudice di prime cure ha rilevato come il mancato rispetto del
termine di quindici giorni, fissato per l’instaurazione del procedimento di
mediazione da parte dell’opponente, su cui grava il relativo onere, comporta
l’improcedibilità dell’opposizione, con la conseguente conferma del decreto
ingiuntivo opposto (richiamando Cass. 24629/2015).
In specie, la procedura conciliativa avrebbe dovuto essere attivata
entro il 31.07.2015. Quindi, rilevato che il deposito della relativa istanza da
parte del sig. C. era stata inoltrata solo in data 18.11.2015, il giudice di
prime cure ha dichiarato improcedibile l’opposizione.
8. L’appellante C. deduce come il deposito tardivo della domanda di
mediazione (avvenuto il 18.11.2015) non potrebbe essere assimilato al mancato
deposito della istanza, oltre tutto per un tentativo di mediazione che ha dato
esito negativo. Difatti, nonostante l’istanza di mediazione fosse stata
depositata tardivamente, il procedimento di mediazione si è comunque svolto,
integrando così la condizione di procedibilità richiesta dalla legge.
Opinione della Corte
9. Ritiene questa Corte che, nel caso in esame, la sentenza n.
24629/2015 della Corte di cassazione che, con riguardo all’esperimento del
tentativo obbligatorio di mediazione nel procedimento di opposizione a decreto
ingiuntivo, ha distribuito gli oneri tra le parti, e in particolare ha gravato
di detto onere il debitore opponente, non rilevi nel caso concreto, ove si discute
in merito al preteso mancato rispetto da parte del debitore opponente del
termine di 15 giorni indicato dal giudice quale termine per attivare detto
procedimento. Difatti in tale circostanza il procedimento di mediazione è stato
sì attivato dall’opponente (e dunque da una parte processuale), ma con ritardo
rispetto al termine assegnato dal giudice in sede di opposizione a decreto
ingiuntivo.
Questa Corte dunque è chiamata a decidere se il mancato rispetto del
termine di 15 giorni assegnato dal giudice per avviare il tentativo di
mediazione, alla stregua della legge sulla mediazione processuale, possa
ritenersi equivalente al mancato tentativo di mediazione nei casi in cui esso
sia previsto come obbligatorio, situazione - quest’ultima - che certamente determina
l’improcedibilità del giudizio ordinario.
10. Rispetto a tale evenienza, la Corte rileva come il termine
assegnato dal giudice corrisponda a quello di quindici giorni indicato dalla
legge nell’art. 5 del d.lgs 28/2010 senza alcuna indicazione del carattere perentorio
del medesimo. Quindi, considerando che il tentativo di mediazione è stato
comunque esperito (con esito negativo), il giudice avrebbe dovuto rilevare che
la condizione di procedibilità dell’azione giudiziale si era in ogni caso
avverata, sebbene con ritardo rispetto al termine (ordinatorio) inizialmente
assegnato.
Ed infatti, il termine di quindici giorni non appare corrispondere a un
termine processuale cui applicare il disposto di cui all’art. 154 c.p.c.
Lo spirare di tale termine, invero, non avrebbe neanche dovuto
condurre il giudice a ritenere necessaria una richiesta di proroga del
termine, una volta fosse inutilmente spirato, circostanza che avrebbe avuto
come effetto (questo sì paradossale) di allungare ulteriormente i termini di
espletamento del tentativo di mediazione. Difatti il procedimento di mediazione
costituisce una parentesi (giustappunto un’alternativa) del procedimento
ordinario; e non può ritenersi come un’appendice di quest’ultimo, certamente
sottoposto a più rigorose regole endoprocessuali.
11. Invero, nessuna norma della legge in esame attribuisce allo spirare
di quel termine un effetto preclusivo dell’attività di mediazione come,
viceversa, affermato dal primo giudice. Lo stesso principio di effettività dei
diritti, immanente al diritto di accesso alla giustizia cui si conforma la
legge sulla mediazione, imporrebbe di non considerare come penalizzanti termini
che la legge non definisce come perentori, e che chiaramente si devono definire
come regolatori degli interessi in gioco.
Nella normativa in esame, invero, l’unico termine perentorio stabilito
dalla legge (v. art. 6, comma 1, d.lgs. n.28 del 4.3.2010, come modificato
dalla L. n. 98 del 9.8.2913), è riferito al termine di sospensione di tre mesi
del giudizio che il giudice non potrebbe superare per consentire l’espletamento
del tentativo di mediazione, sia esso obbligatorio che demandato dal giudice
(v. art. 6 “ 1. il procedimento di mediazione ha una durata non superiore a tre
mesi. 2. Il termine di cui al comma 1 decorre dalla data di deposito della
domanda di mediazione, ovvero dalla scadenza di quello fissato dal giudice per
il deposito della stessa e, anche nei casi in cui il giudice dispone il rinvio
della causa ai sensi del sesto o del settimo periodo del comma 1-bis
dell’articolo 5 ovvero ai sensi del comma 2 dell’articolo 5, non è soggetto a
sospensione feriale”).
Sempre secondo la legge, l’esperimento del tentativo di mediazione vale
come condizione di procedibilità dell’azione, la quale a sua volta non è
sottoposta ad alcun termine se non a quello ordinario previsto eventualmente
dalla legge (v. prescrizione o decadenza processuale prevista in caso di
opposizione a decreto ingiuntivo). Pertanto sarebbe del tutto incoerente
ritenere che un termine riferito al particolare e alternativo procedimento di
mediazione possa incidere così pesantemente sui diritti processuali delle
parti.
12. Il caso portato all’esame della Corte, invero, non involge neanche
la questione inerente al superamento, da parte del giudice, del termine di tre
mesi di sospensione previsto ex lege come perentorio per espletare il tentativo
di mediazione, ma solo quello attinente al tardivo esperimento del tentativo di
mediazione entro il termine di quindici giorni che lo stesso giudice di prime
cure ha indicato essere sì un termine ordinatorio, ma non prorogabile in
assenza di istanza di parte rivolta al giudice. Del resto, a questa Corte non
consta che il procedimento di mediazione si sia concluso oltre il termine di
sospensione indicato dal giudice, e quindi con eventuale eccessiva dilazione
del diritto di agire (fatto di cui nessuna parte si è lamentata).
13. In conclusione, si deve assumere che nel procedimento de quo,
nonostante il tentativo di conciliazione sia stato espletato, il giudizio
ordinario di opposizione al decreto ingiuntivo sia stato erroneamente dichiarato
improcedibile, da parte del giudice di primo grado, sul rilievo dello spirare
di un termine per l’attivazione del procedimento di mediazione che non è
previsto dalla legge come processuale, posto che il procedimento di mediazione
non è assimilabile al procedimento ordinario e costituisce uno strumento di risoluzione
delle liti alternativo al procedimento ordinario e giurisdizionale. Sicché, la
mancata osservanza di un termine finalizzato a regolare un procedimento
alternativo a quello giurisdizionale, non potrebbe certamente avere effetti
processuali regolati da norme riferibili solo al procedimento ordinario e,
tanto meno, essere interpretata alla stregua di un mancato avveramento di una
condizione di procedibilità dell’azione, con definitiva compressione del
diritto d’azione costituzionalmente protetto.
14. Un’interpretazione di diverso senso, difatti, aprirebbe un vulnus
nella stessa legge di mediazione di derivazione comunitaria che, se nella
versione nazionale scelta dal legislatore interno ha previsto come obbligatorio
il tentativo di mediazione nella fase preliminare di alcuni contenziosi civili,
come imprescindibile condizione di procedibilità, rimane pur sempre una
disciplina orientata a incentivare soluzioni delle controversie pacifiche e
alternative alla giurisdizione, senza eccessiva compromissione del diritto di
agire, il quale non potrebbe essere impedito frapponendo ulteriori ostacoli
temporali o decadenze processuali incompatibili con il principio del giusto
processo e con il diritto di libero accesso alla giustizia, di matrice
costituzionale e convenzionale (v. art. 24 Cost. e art. 6 Convenzione del
diritti dell’Uomo).
15. Per tale motivo, la Corte ritiene che nel caso specifico non possa
operare la causa di improcedibilità ravvisata d’ufficio dal giudice, rendendosi
necessario riformare in questo punto la sentenza impugnata.
Conseguentemente, il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo in
esame, essendo stato inutilmente esperito il tentativo di mediazione previsto
come obbligatorio dalla legge, deve essere considerato procedibile.
16. Sotto il profilo degli effetti di tale dichiarazione di
procedibilità dell’azione resa in sede di appello, per un giudizio che non si è
svolto nel primo grado perché erroneamente dichiarato improcedibile, valgono i principi
comuni che regolano il processo d’appello, non potendo la controversia
regredire alla fase di primo grado (mancandone i presupposti di legge indicati
tassativamente nell’art. 354 c.p.c. quali cause di rimessione del giudizio al
primo giudice).
Pertanto, la questione sottoposta all’esame della Corte deve essere
considerata nel merito in questa fase di appello.
17. Per questo motivo la Corte ha ritenuto di dovere ammettere ed
espletare la CTU grafologica richiesta dalla parte opposta mediante istanza di
verificazione, della quale si terrà conto ai fini della decisione.
Sulla seconda questione
omissis
Sulle spese
23. Attesa la sostanziale soccombenza dell’opponente appellante, le
spese del giudizio di primo grado, liquidate in € 4000,00, oltre spese
forfettarie , Iva e CPA , e quelle di tale fase di giudizio, liquidate in € 5.000,00
, oltre spese forfettarie, spese di CTU separatamente liquidate, oneri per Iva
e CPA , sono poste a carico dell’appellante in favore della parte appellata,
convenuta opposta.
PQM
La Corte d’appello di Milano, definitivamente pronunciando sull’appello
proposto: in riforma della sentenza n. 156/2016 del tribunale di Monza,
dichiara procedibile l’opposizione a decreto
ingiuntivo; nel merito, respinge l’opposizione a decreto ingiuntivo
proposta da C. nei confronti di I. S.P.A., confermando integralmente il decreto
ingiuntivo opposto; condanna C. al pagamento delle spese del primo grado di
giudizio liquidate in € 4000,00, oltre spese forfettarie , Iva e CPA , e di
quelle della fase di appello, liquidate in € 5.000,00, oltre spese forfettarie,
spese di CTU separatamente liquidate, e oneri per Iva e CPA, in favore della
parte appellata I. S.P.A.