=> Trib. Firenze, 31 ottobre
2014
Premesso che in caso
di pretesa azionata in via monitoria, l'esperimento della mediazione è
possibile solo a seguito di opposizione, e comunque dopo l'adozione dei
provvedimenti, considerati urgenti e latu sensu cautelari, sulla esecutività
del provvedimento monitorio emesso, al fine di non optare per una
interpretazione dell'art. 5, II co. D.Lgs. n. 28 del 2010, incoerente e
dissonante con le suddette peculiarità, deve ritenersi che con riferimento a
tali procedimenti, così come per quello di appello, la locuzione
"improcedibilità della domanda giudiziale" debba interpretarsi alla
stregua di improcedibilità/estinzione dell'opposizione (o dell'impugnazione
in caso di appello) e non come improcedibilità della domanda monitoria
consacrata nel provvedimento ingiuntivo.
Fonte: Osservatorio
Mediazione Civile n. 2/2015
Tribunale di Firenze
Sezione III civile
31 ottobre 2014
Sentenza
omissis
La Scuderia M. SRL ha proposto opposizione
avanti alla sezione distaccata di Empoli avverso il D.I., emesso in quella
sede, n. 947/2009 R.I., con il quale le è stato ingiunto il pagamento in favore
della E. SRL dell'importo di Euro 22.003,59, oltre interessi legali ex D.Lgs.
n. 231 del 2002 e spese, a titolo di corrispettivo per fornitura di merce
(truciolo per cavalli).
A sostegno della opposizione la stessa ha
eccepito, in rito, la incompetenza per territorio di questo Ufficio, per essere
competente il Tribunale di Milano in applicazione degli artt. 19 e 20 c.p.c.,
e, nel merito, il grave inadempimento della parte opposta, per avere la
medesima cessato arbitrariamente ogni fornitura dopo la prima consegna di
materiale.
La Scuderia, pertanto, ha chiesto la revoca
del D.I. nonché, in via riconvenzionale, disporsi la risoluzione del contratto
di fornitura per inadempimento di E.; con il favore delle spese.
Quest'ultima si è costituita in giudizio,
resistendo alla opposizione ed alla domanda riconvenzionale, evidenziandone
l'infondatezza. Assumendo la temerarietà dell'opposizione, la stessa ha quindi
chiesto la condanna di parte opponente per responsabilità processuale aggravata
ai sensi dell'art. 96 c.p.c., oltre la condanna alle spese.
Con ordinanza 13.7.10 l'ufficio ha concesso la
provvisoria esecuzione del D.I.
La causa è stata istruita su base documentale,
con l'interrogatorio formale del legale rappresentante della convenuta opposta,
cui lo stesso non si è presentato, con prova per testi e mediante ordine di
esibizione documentale.
A seguito della soppressione della sede
distaccata di Empoli il processo è stato trattato in sede centrale ed assegnato
a questo giudice (cfr provv. Presidenziale 6.11.2013).
Con decreto 13.1.2014, comunicato via PEC in
pari data, questo Giudice ha fissato udienza all'8.7.2014 per la prosecuzione
del processo avanti a sé e la precisazione delle conclusioni, ed ha disposto la
mediazione delegata ai sensi dell'art. 5, II co. D.Lgs. n. 28 del 2010, così
come novellato dal D.L. n. 69 del 2013 conv. con modif. dalla L. n. 98 del
2013, assegnando all'uopo termine di gg 15 per la proposizione della relativa
istanza.
All'udienza suddetta il difensore di parte
opponente ha chiesto la remissione in termini per introdurre la mediazione, in
quanto per un disguido, costituito dalla mancata lettura dell'allegato alla
comunicazione di cancelleria contenente la copia del Provv. 13 gennaio 2014, la
parte non aveva appreso della mediazione delegata.
Respinta l'istanza di remissione in termini, è
stata quindi rilevata d'ufficio la improcedibilità della domanda e le parti,
autorizzate, hanno depositato note difensive sul punto.
La causa è stata trattenuta in decisione
all'udienza 30.9.2014 sulle conclusioni precisate dalle parti come da
rispettivi atti introduttivi.
Non sono stati concessi i termini di cui
all'art. 190 c.p.c., per avervi le parti rinunciato.
1) L'eccezione di incompetenza La questione è
inammissibile.
Il Tribunale condivide quel consolidato
orientamento della S.C. secondo cui "In tema di competenza territoriale
derogabile, per la quale sussistano più criteri concorrenti (nella specie, quelli
indicati negli artt. 18, 19 e 20 cod. proc. civ., trattandosi di causa relativa
a diritti di obbligazione), grava sul convenuto che eccepisca l' incompetenza
del giudice adito (trattandosi di eccezione in senso proprio) l'onere di
contestare specificamente l'applicabilità di ciascuno dei suddetti criteri e di
fornire la prova delle circostanze di fatto dedotte a sostegno di tale
contestazione, con la conseguenza che, in mancanza di tale contestazione e di
detta prova, l' eccezione deve essere rigettata, restando, per l'effetto,
definitivamente fissato il collegamento indicato dall'attore, con correlativa
competenza del giudice adito" (Cass. Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 15996 del
21/07/2011; N. 14236 del 1999).
Nella fattispecie parte opponente, convenuta in
senso sostanziale, ha eccepito la incompetenza per territorio esclusivamente
con riferimento al foro generale del convenuto (art. 19 c.p.c.) evidenziando di
avere sede in Milano, ed al luogo ove l'obbligazione avrebbe dovuto essere
eseguita (Milano, attuale sede della creditrice).
Nulla è invece detto circa il luogo in cui la
pretesa di pagamento azionata è sorta.
Tale omissione rende pertanto irrituale
l'eccezione, con conseguente conferma della competenza di questo giudice.
Ad abundantiam si osserva che la competenza si
radicherebbe ai sensi degli artt. 1182, III co., c.c. e 20 c.p.c.
Il decreto ingiuntivo è infatti fondato su
fatture relative a forniture eseguite sino al marzo 2009, epoca in cui la E. ha
trasferito la propria sede legale da STABBIA, località rientrante nel
territorio di questo Circondario, a Milano.
Poiché la stragrande maggioranza del credito
era diventata esigibile prima del trasferimento della sede sociale, ne segue
che correttamente il D.I. è stato richiesto presso questo Tribunale, posto che
"l'obbligazione che ha ad oggetto il pagamento di una somma di denaro deve
essere adempiuta al domicilio che il creditore ha al momento della
scadenza".
Il tutto senza considerare che non è mai stata
contestata l'affermazione secondo cui il contratto di fornitura è stato
concluso a Stabbia.
2) Il mancato esperimento della mediazione
delegata
Premesso che è pacifico il mancato esperimento
nel termine assegnato del procedimento di mediazione delegata ai sensi dell'art.
5, II co. D.Lgs. n. 28 del 2010 e s.m.i., deve valutarsi in questa sede la
conseguenza di tale omissione, avuto riguardo alla particolare natura del
giudizio qui instaurato (opposizione a decreto ingiuntivo ai sensi dell'art.
645 e ss c.p.c., con proposizione di domanda riconvenzionale e con riconventio
riconventionis ai sensi dell'art. 96 c.p.c. della parte opposta).
La disposizione citata prevede che "...
il giudice, anche in sede di giudizio di appello, valutata la natura della
causa, lo stato dell'istruzione ed il comportamento delle parti, può disporre
l'esperimento del procedimento di mediazione; in tal caso l'esperimento del
procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda
giudiziale anche in sede di appello".
Il comma 4 della medesima disposizione
prescrive inoltre che i commi 1 bis e 2, e cioè quelli che prevedono la
mediazione prima del giudizio ovvero la mediazione delegata dal giudice per le
cause già pendenti, non si applicano " nei procedimenti di ingiunzione,
inclusa l'opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e
sospensione della provvisoria esecuzione" (lett. a).
Ad avviso del giudicante con tale disposizione
si è inteso escludere sia che la proposizione del ricorso monitorio o della
opposizione in materia rientrante tra quelle per le quali è prevista la
mediazione ante causam, siano condizionate da tale incombente, sia che in tali
procedimenti e nel susseguente giudizio di opposizione sino a quando siano
stati adottati i provvedimenti, ritenuti evidentemente urgenti ed incompatibili
con i tempi della mediazione, di cui agli artt. 648 e 649 c.p.c., possa essere
disposta la mediazione delegata dal giudice.
La ratio di tale disciplina è evidente. Si è
cioè ritenuto che lo svolgimento della procedura di mediazione fosse
sostanzialmente incompatibile con le peculiari caratteristiche del procedimento
monitorio, caratterizzato dalla rapidità e assenza di previa attivazione del
contraddittorio, e dell'opposizione, il cui termine di proponibilità è contingentato
dall'art. 641 c.p.c.
Alla luce di tale disposizione ne segue che,
in caso di pretesa azionata in via monitoria, l'esperimento della mediazione è
possibile solo a seguito di opposizione, e comunque dopo l'adozione dei
provvedimenti, considerati urgenti e latu sensu cautelari, sulla esecutività
del provvedimento monitorio emesso.
Ciò posto, fermo restando che ai sensi
dell'art. 5, co. II, D.Lgs. n. 28 del 2010 il mancato esperimento della
mediazione delegata dal giudice, così come la mediazione ante causam, comporta
la "improcedibilità della domanda giudiziale", è assai discusso in
dottrina e giurisprudenza chi abbia l'onere di promuovere la mediazione, e
quindi abbia interesse ad evitare la declaratoria di improcedibilità, in caso
di mediazionenel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo.
E' evidente infatti che, in una causa
ordinaria, l'interesse a promuovere la mediazione sarà sempre dell'attore, in
quanto parte che mira ad ottenere sentenza di merito sulla domanda proposta.
Il convenuto potrà infatti avere interesse ad
eseguire la mediazione solo laddove abbia proposto domanda riconvenzionale,
ovvero comunque confidi nella probabile emissione di una pronuncia di merito
favorevole, come tale idonea al giudicato sostanziale ai sensi dell'art. 2909
c.c.
Negli altri casi, l'eventuale declaratoria di
improcedibilità non pregiudica direttamente il convenuto, che anzi vede
allontanarsi il rischio di una pronuncia di merito sfavorevole.
Controversa è invece la questione, ove la mediazione
omessa attenga ad un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo.
Secondo un primo indirizzo che, valorizza la
consolidata giurisprudenza circa l'oggetto del giudizio di opposizione, la
declaratoria di improcedibilità avrebbe ad oggetto la domanda sostanziale
proposta in via monitoria.
Viene infatti richiamato in proposito il
principio, peraltro senz'altro condivisibile, secondo cui il processo di
esecuzione verte sul rapporto dedotto in giudizio dal creditore e non
esclusivamente sulla legittimità del D.I., e che l'onere probatorio e le
relative facoltà processuali vanno valutate non avendo riguardo alla qualità
formale di attore e convenuto in opposizione, bensì con riferimento alla
rilevanza sostanziale della rispettiva posizione processuale (per cui il
ricorrente in monitorio, formalmente convenuto in opposizione, è da
considerarsi attore in senso sostanziale, mentre l'opponente è convenuto
sostanziale).
Ne segue che il convenuto opposto, titolare
delle pretesa creditoria azionata ed oggetto del giudizio di opposizione,
sarebbe l'unico soggetto che, al di fuori dei casi di domanda riconvenzionale,
propone la "domanda giudiziale" e che pertanto dovrebbe subire gli
effetti della declaratoria di improcedibilità.
Tale soggetto, pertanto, concludono i fautori
di tale tesi, avrà l'onere di promuovere la mediazione, subendo, in alternativa
, gli effetti deteriori della relativa omissione.
Diversamente argomentando, si osserva,
"vi sarebbe un irragionevole squilibrio ai danni del debitore che non solo
subisce l'ingiunzione di pagamento a contraddittorio differito, ma nella
procedura successiva alla fase sommaria, viene pure gravato di altro onere che,
nel procedimento ordinario, non spetterebbe a lui. E ciò sulla base di una
scelta discrezionale del creditore" (Trib. Varese sentenza 18.5.2012, est.
Buffone, reperibile su siti internet specializzati; analoga opzione
interpretativa è stata accolta anche da questa stessa sezione del Tribunale
nell'ordinanza 17.3.2014, NRG 15408/13, est. Scionti, reperibile su internet, e
nella Sent. 24.9.2014, NRG 16792/13, est. Guida, inedita).
Secondo invece un diverso orientamento, che
muove della ritenuta scarsa chiarezza obbiettiva delle disposizioni letterali
utilizzate e che valorizza la particolare disciplina giuridica del giudizio di
opposizione, è stata sostenuta, in caso di omessa mediazione, la
improcedibilità della opposizione, con conseguente passaggio in giudicato del
D.I. opposto (Trib. Prato, sent. 18.7.2011, est. IANNONE; Trib. Rimini sent.
5.8.14 est. BERNARDI in sito MONDO ADR, Trib. Siena 25.6.2012, est.
Caramellino).
Ad avviso di questo Giudice, pur consapevole
della obbiettiva controvertibilità della questione, la tesi corretta è la
seconda. Essa, infatti, è l'unica che si armonizza con i principi generali in
materia di effetti della inattività delle parti nel giudizio di opposizione a
decreto ingiuntivo e che valorizza la stessa ratio deflattiva del procedimento
di mediazione.
Va premesso che la mancata attivazione della
mediazione disposta dal giudice, al di là della terminologia utilizzata dal
Legislatore e dalla sanzione prevista (improcedibilità della domanda
giudiziale, anche in appello), altro non è che una forma qualificata di
inattività delle parti, per avere le stesse omesso di dare esecuzione
all'ordine del giudice.
E' noto che secondo la legge processuale
l'inattività delle parti rispetto a specifici adempimenti comporta l'estinzione
del processo (si pensi all'inosservanza all'ordine giudiziale di integrazione
del contraddittorio nei confronti di litisconsorte necessario, alla mancata
rinnovazione della citazione, alla omessa riassunzione del processo, alla
mancata comparizione delle parti a due udienze consecutive - artt 102, 181, 307
e 309 c.p.c.).
L'estinzione non produce peraltro particolari
effetti sotto il profilo sostanziale, salvo che nelle more della pendenza del
giudizio estinto non sia maturata qualche decadenza o prescrizione di natura
sostanziale.
Recita, infatti, l'art. 310, I co. c.p.c. che
"l'estinzione del processo non estingue l'azione".
In buona sostanza, la parte, che vede
"cadere" il processo a seguito di declaratoria di estinzione, ben
potrà, di regola, avviare una nuova iniziativa processuale, riproponendo la
medesima domanda di merito.
Tale regola, però, non vale in caso di
estinzione riguardante il giudizio di opposizione a D.I..
E' infatti previsto che, in tal caso, "il
decreto, che non ne sia già munito, acquista efficacia esecutiva" giusto
il disposto di cui all'art. 653, I co. c.p.c.
Secondo la costante interpretazione della
giurisprudenza di legittimità, concorde la prevalente dottrina, tale
disposizione va intesa nel senso che l'estinzione del giudizio di opposizione
produce gli stessi effetti dell'estinzione del giudizio di impugnazione: il
decreto ingiuntivo opposto diviene definitivo ed acquisisce l'incontrovertibilità
tipica del giudicato (CASS. N. 4294/2004; n. 849/00).
Non sarà pertanto possibile riproporre
l'opposizione e resteranno coperti da giudicato implicito tutte le questioni
costituenti antecedente logico necessario della decisione (cfr sul punto, tra
le altre, Cass. 15178/00).
Evidente è l'analogia di ratio e di disciplina
dell'estinzione dell'opposizione a D.I. e quella relativa ai vizi del processo
di appello.
Si pensi, sotto altro profilo, alla sanzione
dell'improcedibilità ai sensi dell'art. 647 c.p.c. dell'opposizione conseguente
alla sua tardiva proposizione, nei casi diversi di quelli di cui
all'opposizione tardiva (art. 650 c.p.c.).
Sul punto è consolidata la giurisprudenza di
legittimità nel senso di ritenere che la tardiva costituzione della parte
opponente comporta improcedibilità dell'opposizione (CASS.), con passaggio in
giudicato del D.I. (così come si evince dal combinato disposto di cui agli artt.
647 e 656 c.p.c.).
Trattasi di disciplina che trova il suo
corrispondente in fase di appello nell'art. 348, I co. c.p.c., il quale
espressamente prevede la sanzione dell'improcedibilità dell'appello, se
l'appellante non si costituisce nei termini. E' pacifico che in tal caso la
sentenza di primo grado passa in giudicato.
Ancora, si pensi all'inammissibilità
dell'opposizione, perché proposta dopo il termine di cui all'art. 641 c.p.c.,
ed alla analogia di trattamento rispetto al mancato rispetto in fase di
impugnazione dei termini perentori di cui agli artt. 325 e 327 c.p.c., ovvero
agli effetti dell'estinzione del giudizio di appello (art. 338 c.p.c. secondo
cui "l'estinzione del giudizio di appello... fa passare in giudicato la
sentenza impugnata...") , che sono sostanzialmente sovrapponibili a quelli
di al citato art. 653, I co., c.p.c..
Ciò risponde all'elementare esigenza di porre
a carico della parte opponente/appellante, che si avvale dei rimedi previsti
per evitare il consolidarsi di provvedimento giudiziale idoneo al giudicato e
per ottenerne la revoca/riforma, l'onere di proporre e coltivare ritualmente il
processo di opposizione o di gravame, ponendo in essere ritualmente tutti gli
atti di impulso necessari.
Alla luce di quanto sopra, la interpretazione
delle disposizioni di cui al D.Lgs. n. 28 del 2010 in materia di conseguenze
dell'omessa mediazione non può prescindere dalla particolare natura dei giudizi
cui essa può operare, e segnatamente delle peculiarità del giudizio di
opposizione a D.I., che presunta taluni aspetti di analogia con la struttura
dei giudizi impugnatori.
Alla luce di quanto sopra, ed al fine di non
optare per una interpretazione dell'art. 5, II co. D.Lgs. n. 28 del 2010,
incoerente e dissonante con le suddette peculiarità, deve pertanto ritenersi
che con riferimento a tali procedimenti, così come per quello di appello, la
locuzione "improcedibilità della domanda giudiziale" debba
interpretarsi alla stregua di improcedibilità/estinzione dell'opposizione (o
dell'impugnazione in caso di appello) e non come improcedibilità della domanda
monitoria consacrata nel provvedimento ingiuntivo.
Invero, la tesi per prima indicata appare
fondata essenzialmente, al di là delle suggestioni relative allo scollamento
tra qualità formale e sostanziale delle parti, peraltro costituente anch'essa
caratteristica di tale tipo di procedimento, su una mera interpretazione
letterale della disciplina, secondo cui "l'improcedibilità della domanda
giudiziale" sarebbe senz'altro da individuare, anche ai sensi dell'art. 39
ultimo comma c.p.c., nell'originario ricorso monitorio.
Peraltro, così argomentando, si verrebbe a
configurare, come è stato evidenziato in dottrina, una singolare
"improcedibilità postuma" che dovrebbe colpire un provvedimento
giudiziario condannatorio idoneo al giudicato sostanziale, già definitivamente
emesso, ancorché sub judice.
Si tratterebbe, in sostanza, di sanzione
processuale che non consta abbia uguali nell'ordinamento processuale.
Il tutto senza considerare l'inopportunità di
porre nel nulla una pretesa che è già stata scrutinata positivamente
dall'autorità giudiziaria, sia pure non nel contraddittorio delle parti, con
provvedimento idoneo al giudicato sostanziale.
Si aggiunga che in tal caso, ove la domanda
sia una pretesa creditoria di condanna, dovrebbe allora ritenersi, con
riferimento al giudizio di appello, che la omessa mediazione disposta dal
giudice dovrebbe comportare, ove la sentenza di primo grado abbia interamente
accolto la domanda ed il gravame sia stato proposto dal debitore condannato che
non abbia avanzato alcuna riconvenzionale, l'integrale travolgimento non solo
del giudizio di appello, ma anche di quello di primo grado e della sentenza
impugnata.
Fare riferimento alla domanda sostanziale, ed
alla nozione di attore in senso sostanziale, porterebbe cioè all'inevitabile
conseguenza, sempreché nelle more non siano maturate decadenze o prescrizioni,
che il processo dovrebbe ricominciare da zero.
Dove sia la ratio deflattiva dell'istituto
della mediazione delegata, così interpretata, resta incomprensibile.
In realtà in caso di omessa mediazione non si
avrebbe alcun deflazionamento effettivo, bensì il raddoppio dei processi e
degli adempimenti. Il creditore che non ottiene soddisfazione dal processo
"improcedibile" non esiterà, nella maggior parte dei casi, a
riproporre in via giudiziale la medesima domanda.
Si aggiunga che la soluzione interpretativa
proposta esalta la portata e l'efficacia deflativa dell'istituto, essendo
evidente che il formarsi del giudicato rende non più ulteriormente discutibile
il rapporto controverso, con conseguente rigetto in rito dell'eventuale
riproposizione della medesima domanda (o di altre con questa incompatibili).
Le questione poste a base dell'opposizione a
DI, come nel caso dell'appello, una volta dichiarate "improcedibili",
non potrebbero essere più utilmente riproposte.
Né d'altra parte può ritenersi, così come
sostenuto nella citata pronuncia dal Tribunale di Varese, che tale soluzione
circa l'opposizione a D.I., creerebbe "un irragionevole squilibrio ai
danni del debitore che non solo subisce l'ingiunzione di pagamento a
contraddittorio differito, ma nella procedura successiva alla fase sommaria,
viene pure gravato di altro onere che, nel procedimento ordinario, non
spetterebbe a lui. E ciò sulla base di una scelta discrezionale del
creditore" .
Invero, non può ravvisarsi alcuna disparità
irragionevole nella circostanza che la scelta tra i diversi strumenti
processuali attivabili dall'attore sostanziale possa comportare oneri e costi
diversi per la parte convenuta.
D'altra parte non è seriamente contestabile la
piena legittimità e compatibilità del rito monitorio e della disciplina
codicistica dell'opposizione con i principi del giusto processo di cui all'art.
111 Cost. e ciò anche se è indubbio che la scelta tra le diverse opzioni
possibili di esercizio del diritto di azione, e segnatamente quella del rito
monitorio, pone a carico della parte ingiunta oneri diversi ed ulteriori (si
pensi solo al termine più breve per proporre l'opposizione, rispetto a quello
di cui all'art. 163 bis c.p.c., e di costituzione in giudizio, ovvero ai costi
di iscrizione a ruolo e di notifica della causa di opposizione) rispetto a
quelli che la stessa deve assolvere, ove evocata in giudizio in via ordinaria.
Ciò che è certo è che i costi della promozione
della mediazione, che consistono in sostanza nella mera redazione ed invio
della richiesta all'organismo di mediazione con pagamento delle spese di segreteria
per poche decine di Euro, per la loro obbiettiva modestia, non possono certo
considerarsi di per sé tali da far valutare irragionevole la scelta legislativa
in questione.
D'altra parte va richiamato il combinato
disposto di cui agli artt. 5 comma 2 bis e 17, comma 5 ter D.Lgs. n. 28 del
2010, così come introdotti dal D.L. n. 69 del 2013 conv. L. n. 98 del 2013, da
cui si evince, da un lato che la condizione di procedibilità della domanda
giudiziale "si considera avverata se il primo incontro avanti al mediatore
si conclude senza l'accordo" e, dall'altro, che "nel caso di mancato
accordo all'esito del primo incontro, nessun compenso è dovuto per l'organismo
di mediazione".
Non sembra pertanto che porre l'onere
dell'avvio della mediazione a carico del debitore opponente comporti alcun
sacrificio economicamente apprezzabile.
Si aggiunga che tale opzione interpretativa,
che pone a carico della parte opponente l'onere della proposizione della
mediazione, dovrà applicarsi, ovviamente, non solo nei giudizi ex art. 645
c.p.c., ma ogni qualvolta il processo abbia già prodotto un provvedimento
idoneo al giudicato ex art. 2909 c.c.. (es. ordinanze ex art. 186 bis e ter
c.p.c. ecc.).
Anche in tal caso la omessa mediazione
comporterà la intangibilità del provvedimento adottato, con le inevitabili
conseguenze circa gli antecedenti logici della decisione e l'oggetto del
giudicato.
In tutti gli altri casi, ovviamente, non può
che prendersi atto della scelta legislativa circa la sanzione processuale
applicata, di mero rito, e della conseguente possibilità di riproposizione
della domanda senza limiti, salva l'eventuale maturazione di decadenze o
prescrizioni.
Conclusioni
Va pertanto dichiarata l'improcedibilità
dell'opposizione e della domanda riconvenzionale proposta.
Analogamente va sanzionata la domanda ex art.
96 c.p.c. avanzata da parte opposta.
Resta assorbita ogni questione di merito.
Spese del giudizio
Considerata la complessità della questione, la
mancanza di precedenti di legittimità, e la presenza di orientamenti
giurisprudenziali di merito e dottrinali difformi, anche di questo Ufficio, le
spese di lite vanno interamente compensate.
P.Q.M.
Visto l'art. 281 quinquies c.p.c.
Il Tribunale di Firenze, III Sez. Civ.,
definitivamente decidendo, ogni altra e contraria istanza disattesa, così
provvede:
1) Dichiara improcedibile l'opposizione e la
domanda riconvenzionale proposte dall'opponente e quella ex art. 96 c.p.c.
avanzata da parte opposta;
2) Dichiara la irrevocabilità del D.I. n.
947/09 R.I., S. D. Empoli;
3) Compensa le spese di lite.
Così deciso in Firenze, il 30 ottobre 2014.