=> TAR Lazio, 23 gennaio 2015,
n. 1351
Va escluso che il sistema della mediazione c.d.
obbligatoria delineato dal d.lgs. n. 28/2010 oggi vigente (così come riformato
nel 2013) possa sostanziare il pericolo di una indebita restrizione
dell’accesso alla giustizia, ravvisabile in
occasione dell’esame delle originarie formulazioni del d.lgs. 28/2010 e del
d.m. 180/2010. Le nuove norme (tra cui, fra l’altro, la previsione
dell’assistenza tecnica del difensore, la più ragionevole regolazione del primo
incontro della mediazione, la rimessione della proposta conciliativa a una fase
eventuale e successiva, condizionata al previo accertamento della volontà
espressa in tal senso dalle parti) si qualificano, peraltro, come strumenti
volti indirettamente a favorire, più che il ricorso alla conciliazione, la partecipazione
diligente e in buona fede al relativo procedimento, come conseguenza dell’atto
di assenso inizialmente prestato. Anche la nuova disciplina relativa al rifiuto
della proposta conciliativa, pertanto, ha più che altro la finalità di
sanzionare il mancato assolvimento dell’onere di ponderare il contenuto
della proposta, onere che trova esclusiva fonte nell’assenso alla
conciliazione prestato dall’onerato. Pertanto, le questioni di legittimità
costituzionale avverso il d. lgs. n. 28 del 2010, come modificato nelle more
del giudizio dall’art. 84 del d.l. 21 giugno 2013, n. 79, convertito dalla l. 9
agosto 2013, n. 98, in riferimento agli artt. 24 e 77 Cost. risultano infondate.
Va disposto l’annullamento degli artt.16, commi 2 e
9, e 4, comma 3, lett. b), del decreto n. 180 del 18 ottobre 2010, adottato dal
Ministro della giustizia di concerto con il Ministro dello sviluppo economico: il comma 2 dell’art. 16 del d.m. 180/2010 (“Per le spese di
avvio, a valere sull'indennità complessiva, è dovuto da ciascuna parte per lo
svolgimento del primo incontro un importo di euro 40,00 per le liti di valore
fino a 250.000,00 euro e di euro 80,00 per quelle di valore superiore, oltre
alle spese vive documentate che è versato dall'istante al momento del deposito
della domanda di mediazione e dalla parte chiamata alla mediazione al momento
della sua adesione al procedimento. L'importo è dovuto anche in caso di mancato
accordo”) e il comma 9 dello stesso art. 16 (“Le spese di mediazione
sono corrisposte prima dell'inizio del primo incontro di mediazione in misura
non inferiore alla metà”) si pongono in contrasto con la gratuità del primo
incontro del procedimento di conciliazione, previsto dalla legge laddove
le parti non dichiarino la loro disponibilità ad aderire al tentativo; l’art.
4, comma 3, lett. b), del decreto n. 180/2010 (che prevede “il possesso, da
parte dei mediatori, di una specifica formazione e di uno specifico
aggiornamento almeno biennale, acquisiti presso gli enti di formazione in base
all'articolo 18, nonché la partecipazione, da parte dei mediatori, nel biennio
di aggiornamento e in forma di tirocinio assistito, ad almeno venti casi di
mediazione svolti presso organismi iscritti”) si profila palesemente in
contrasto con le nuove disposizioni, nella misura in cui è suscettibile di
essere applicata in via generale, ovvero anche nei confronti degli avvocati
iscritti all'albo, che la legge dichiara mediatori di diritto, e la cui
formazione in materia di mediazione viene regolata con precipue disposizioni.
Fonte: Osservatorio
Mediazione Civile n. 3/2015
TAR Lazio
Sezione I
23 gennaio 2015
Sentenza n. 1351
Omissis
1. La direttiva
21 maggio 2008, n. 2008/52/CE del Parlamento europeo e del Consiglio
dell’Unione europea ha disciplinato alcuni aspetti della mediazione in materia
civile e commerciale.
L’art. 60 della
l. 18 giugno 2009, n. 69, ha delegato il Governo ad adottare uno o più decreti
legislativi in materia di mediazione e di conciliazione in ambito civile e
commerciale, prescrivendo, tra altro, al legislatore delegato di disciplinare
la mediazione nel rispetto ed in coerenza con la normativa comunitaria (comma
2; comma 3, lett. c).
La delega è
stata esercitata con il d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28.
Con l’atto
introduttivo della controversia all’odierna trattazione la ricorrente Unione
Nazionale delle Camere Civili (UNCC) di Parma, associazione non riconosciuta,
costituita tra associazioni di avvocati civilisti, ha interposto azione
impugnatoria avverso alcune disposizioni del decreto18 ottobre 2010, n. 180,
adottato dal Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dello
sviluppo economico, che, in forza della previsione di cui all’art. 16 del
citato d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, ha regolamentato la determinazione dei
criteri e delle modalità di iscrizione e tenuta del registro degli organismi di
mediazione e dell'elenco dei formatori per la mediazione, nonché l'approvazione
delle indennità spettanti ai suddetti organismi.
Parte ricorrente
deduce avverso l’atto gravato tre censure.
Con la prima
doglianza (illegittimità derivata dalla illegittimità costituzionale degli
artt. 5 e 17 del d. lgs. 28/2010 in relazione agli artt. 24, 76 e 77 della
Costituzione) la ricorrente sostiene che il legislatore delegato è incorso in
eccesso di delega laddove ha introdotto l’obbligatorietà della mediazione e
l’improcedibilità del giudizio interposto senza il previo esperimento della
mediazione, entrambi non previsti dalla legge delega.
Con la seconda
doglianza (illegittimità derivata dalla illegittimità costituzionale dell’art.
8 del d. lgs. 28/2010 in relazione agli artt. 24, 76 e 77 della Costituzione)
la ricorrente sostiene che, poiché nella logica del decreto delegato, le scelte
che la parte è chiamata ad effettuare nel procedimento di mediazione sono
suscettibili di condizionare l’esito del successivo processo, per un verso la
mancata previsione nel procedimento stesso della obbligatorietà dell’assistenza
del difensore viola l’art. 24 della Costituzione (nonché favorisce le classi
più abbienti, facoltizzate ad avvalersene), per altro verso l’introduzione
della possibilità di acquisire elementi di prova in assenza di difesa tecnica,
non prevista dalla legge delega, concreta eccesso di delega ex art. 76 Cost..
Con il terzo
motivo di gravame [violazione dell’art. 60, comma III, lett. b) della l. n. 69
del 2009 e dell’art. 16 del d. lgs. 20/2010 – eccesso di potere per
irragionevolezza - illegittimità derivata dalla illegittimità costituzionale
dell’art. 16 del d. lgs. 28/2010 in relazione agli artt. 76 e 77 della
Costituzione] la ricorrente lamenta che, laddove la legge delega pone il
requisito dell’indipendenza sia in capo agli organismi di mediazione sia in
capo ai singoli mediatori, l’art. 4 del decreto impugnato assicura tale
indipendenza in misura molto minore, riferendola esclusivamente “allo
svolgimento del servizio di mediazione”.
Esaurita
l’illustrazione delle illegittimità rilevate a carico dell’atto gravato, la
ricorrente ha domandato l’annullamento del provvedimento impugnato e la
dichiarazione di non manifesta infondatezza delle spiegate questioni di
legittimità.
2. Si sono
costituiti in resistenza il Ministero della giustizia e il Ministero dello
sviluppo economico, che hanno eccepito il difetto di legittimazione attiva
della ricorrente, per carenza in capo alla stessa della rappresentanza
istituzionale degli interessi della categoria degli avvocati, spettante solo al
Consiglio Nazionale Forense e agli ordini esponenziali.
Le resistenti
amministrazioni hanno poi confutato analiticamente le argomentazioni difensive
di parte ricorrente, domandando il rigetto del gravame.
3. Con ordinanza
12 aprile 2011, n. 3202, questa Sezione, ritenendo alcune questioni di
legittimità costituzionale proposte dalla ricorrente rilevanti ai fini del
decidere e non manifestamente infondate, ha sospeso il processo e rimesso gli
atti alla Corte Costituzionale per l’esame della questione di legittimità
costituzionale, per contrasto con gli artt. 24 e 77 Cost. degli artt. 5, comma
1, primo, secondo e terzo periodo, e 16, comma 1, in parte, del d.lgs. n. 28
del 2010, disponenti, rispettivamente, l’obbligatorietà del previo esperimento
della mediazione al fine dell’esercizio della tutela giudiziale in determinate
materie e i soli requisiti di serietà ed efficienza degli enti pubblici e
privati abilitati a costituire gli organismi deputati, su istanza della parte
interessata, a gestire il procedimento di mediazione.
4. Con ordinanze
10 giugno 2011, n. 2167 e 20 dicembre 2011, n. 4911 non è stata accolta la
domanda di sospensione interinale degli effetti dell’atto gravato,
incidentalmente formulata dalla parte ricorrente.
5. La Corte
Costituzionale, con sentenza 6 dicembre 2012, n. 272, nel pronunziare in ordine
alla citata ordinanza della Sezione n. 3202 del 2011, nonché in relazione a
successive ordinanze di rimessione di altre autorità giudiziarie, sempre
vertenti sulla materia della mediazione, ha dichiarato l’illegittimità
costituzionale dell’articolo 5, comma 1, del d.lgs. 28/2010 in relazione al
carattere obbligatorio dell’istituto della mediazione e alla conseguente
strutturazione della relativa procedura come condizione di procedibilità della
domanda giudiziale nelle controversie ivi previste, per violazione degli artt.
76 e 77 Cost., e di una serie di disposizioni dello stesso decreto a esso
strettamente correlate.
Parte ricorrente
ha presentato indi istanza ex art. 80 c.p.a. per la prosecuzione del giudizio
sospeso.
6. Pendente il
giudizio dinnanzi al Giudice delle leggi, il legislatore, con l’art. 12 , comma
1, lett. a), del d.l. 22 dicembre 2011, n. 212, aveva modificato in alcune
parti la formulazione dell’art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010. Tale modifica non
veniva però confermata dalla legge di conversione 17 febbraio 2012, n. 10.
Successivamente
alla ridetta pronunzia della Corte Costituzionale n. 272 del 2012, la materia
della mediazione obbligatoria è stata ridisciplinata dall’art. 84, comma 1,
lett. b), del d.l. 21 giugno 2013, n. 69 (c.d. “decreto del fare”), convertito,
con modificazioni, dalla l. 9 agosto 2013, n. 98, che, mediante l’inserimento
del comma 1-bis e altre modifiche apportate sia all’art. 5 del d.lgs. 28/2010
che ad altre disposizioni della legge, ha nuovamente regolamentato
l’esperimento della conciliazione quale condizione di procedibilità per la
domanda giudiziale in alcune materie.
7. Parte
ricorrente ha interposto atto di motivi aggiunti.
In particolare,
parte ricorrente formula anche avverso il novellato d.lgs. 28/2010, nonché
avverso l’art. 84, comma 1, d.l. 69/2013 e l’art. 1, comma 1, della legge di
conversione 98/2013, censure di illegittimità costituzionale in riferimento
all’art. 77 Cost., sostenendo l’incompatibilità dell’introduzione a regime del
nuovo sistema di accesso alla giustizia con lo strumento del decreto-legge,
stante la carenza del carattere di straordinaria necessità e urgenza che ne
legittima l’utilizzo, carenza che ritiene testimoniata dalla previsione che la
nuova disposizione si applichi decorsi trenta giorni dall’entrata in vigore
della legge di conversione del decreto (art. 84 del “decreto del fare”).
Parte ricorrente
ritiene inoltre costituzionalmente illegittima anche la nuova previsione di cui
all’art. 5, comma 2, del d.lgs. 28/2010, laddove prevede che “il giudice, anche
in sede di giudizio di appello, valutata la natura della causa, lo stato
dell'istruzione e il comportamento delle parti, può disporre l'esperimento del
procedimento di mediazione; in tal caso, l'esperimento del procedimento di
mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale anche in sede
di appello”.
Parte ricorrente
ritiene tale previsione, soprattutto in relazione alla facoltà concessa anche
al giudice di appello, di carattere discrezionale, di disporre l'esperimento
del procedimento di mediazione, illogica nonché violativa della ragionevole
durata del processo di cui all’art. 111 Cost..
Parte ricorrente
denunzia poi l’incostituzionalità dell’art. 13 del d.lgs. 28/2010 (“Quando il
provvedimento che definisce il giudizio corrisponde interamente al contenuto
della proposta, il giudice esclude la ripetizione delle spese sostenute dalla
parte vincitrice che ha rifiutato la proposta, riferibili al periodo successivo
alla formulazione della stessa, e la condanna al rimborso delle spese sostenute
dalla parte soccombente relative allo stesso periodo, nonché al versamento
all'entrata del bilancio dello Stato di un'ulteriore somma di importo
corrispondente al contributo unificato dovuto”), ritenuta una forzatura e un
indebito ostacolo all’accesso alla giustizia, in violazione dell’art. 24 Cost.,
nonché incompatibile con un sistema che non garantisce l’adeguata configurazione
della professionalità del mediatore.
Parte
ricorrente, infine, in relazione alle nuove previsioni normative, deduce
ulteriori profili di illegittimità a carico del d.m. 180/2010.
In particolare,
parte ricorrente sottolinea che le disposizioni di cui all’art. 16, commi 2 e
9, e all’art. 4, comma 3, lett. b), del decreto impugnato siano del tutto in
contrasto, rispettivamente, con i novellati artt. 17, comma 5-ter e 16, comma
4-bis del d.lgs. 28/2010.
Parte ricorrente
ha conclusivamente ribadito le domande demolitorie già introdotte avverso il
decreto n. 180 del 2010 e ha domandato la dichiarazione della non manifesta
infondatezza delle proposte questioni di legittimità costituzionale.
8. Parte
ricorrente ha affidato a memorie lo sviluppo delle proprie tesi difensive.
Le
amministrazioni resistenti hanno depositato ulteriori memorie, sostenendo
l’infondatezza delle nuove questioni di costituzionalità dedotte dalla
ricorrente.
9. Il ricorso è
stato indi trattenuto in decisione alla pubblica udienza dell’8 ottobre 2014.
Diritto
1. Il Collegio
non può esimersi dall’illustrazione del quadro normativo della controversia,
per quanto di interesse.
2. In forza
dell’invito formulato agli Stati membri dal Consiglio europeo nella riunione di
Tampere del 15 e 16 ottobre 1999, delle conclusioni adottate dal Consiglio nel
maggio 2000 sui metodi alternativi di risoluzione delle controversie in materia
civile e commerciale, nonché del Libro verde presentato dalla Commissione
nell’aprile del 2002, relativo ai modi alternativi di risoluzione delle
controversie nelle predette materie, la direttiva 21 maggio 2008, n. 2008/52/CE
del Parlamento europeo e del Consiglio dell’Unione europea ha disciplinato
alcuni aspetti della mediazione in materia civile e commerciale.
Come sempre in tema
di diritto comunitario, i “considerando” della direttiva delineano la generale
impostazione conferita all’oggetto della regolazione, sia quanto alle finalità,
sia quanto alle caratteristiche.
La direttiva
chiarisce innanzitutto che l’obiettivo di garantire un miglior accesso alla
giustizia sia giudiziale che extragiudiziale, e, segnatamente, la disponibilità
del servizio di mediazione, nel contesto della politica dell’Unione europea
volta a istituire uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia, è un importante
contributo al corretto funzionamento del mercato interno (quinto considerando).
Alla luce del
sesto considerando della direttiva, la mediazione è, infatti, ritenuta una
risoluzione extragiudiziale conveniente e rapida delle controversie in materia
civile e commerciale, poiché le relative procedure sono concepite in base alle
esigenze delle parti, e gli accordi risultanti dalla mediazione hanno maggiori
probabilità di essere rispettati volontariamente, oltre a preservare più
facilmente una relazione amichevole e sostenibile tra le parti, benefici che
diventano anche più evidenti nelle questioni di portata transfrontaliera.
La direttiva
intende indi delinearne gli elementi chiave, per rendere certo il relativo
contesto giuridico (settimo considerando).
Sotto il profilo
sostanziale, in positivo, si afferma che la direttiva dovrebbe applicarsi alle
controversie transfrontaliere, ma che nulla dovrebbe vietare agli Stati membri
di estenderla ai “procedimenti di mediazione interni” (ottavo considerando).
In negativo, si
afferma che la mediazione non dovrebbe applicarsi: “ai diritti e agli obblighi
su cui le parti non hanno la facoltà di decidere da sole in base alla
pertinente legge applicabile. Tali diritti ed obblighi sono particolarmente
frequenti in materia di diritti di famiglia e del lavoro” (decimo
considerando); “alle trattative precontrattuali o ai procedimenti di natura
arbitrale quali talune forme di conciliazione dinanzi ad un organo
giurisdizionale, i reclami dei consumatori, l’arbitrato e la valutazione di
periti o i procedimenti gestiti da persone od organismi che emettono una
raccomandazione formale, sia essa legalmente vincolante o meno, per la
risoluzione della controversia” (undicesimo considerando).
Quanto agli
elementi chiave della mediazione, vengono in evidenza, sempre tra i
considerando, la differenza tra mediatore e giudice (dodicesimo considerando),
la possibilità di rendere il ricorso alla mediazione obbligatorio ovvero
soggetto a incentivi o sanzioni, purchè non venga impedito alle parti “di
esercitare il loro diritto di accesso al sistema giudiziario” (quattordicesimo
considerando) ovvero non si impedisca alle parti, nell’incoraggiare la
mediazione, in relazione ai termini di prescrizione e di decadenza, “di adire
un organo giurisdizionale o di ricorrere all’arbitrato in caso di infruttuoso
tentativo di mediazione” (ventiquattresimo considerando), la fissazione di un
termine al processo di mediazione (tredicesimo considerando), la riservatezza del
relativo procedimento, anche in relazione all’eventuale successivo procedimento
giudiziario od arbitrale (ventitreesimo considerando), l’esecutività
dell’accordo scritto raggiunto, fatta salva l’ipotesi di contrasto tra lo
stesso e il diritto nazionale ovvero quella che l’obbligo contemplato
nell’accordo non possa essere per sua natura reso esecutivo (diciannovesimo
considerando); ai fini erariali, la tendenziale neutralità finanziaria in
relazione agli stati membri della mediazione, che può includere “il ricorso a
soluzioni basate sul mercato”(diciassettesimo considerando).
Viene inoltre in
rilievo l’assistenza del mediatore (decimo considerando), la sua formazione e
l’introduzione di efficaci meccanismi di controllo della qualità della
fornitura del servizio (sedicesimo considerando), la flessibilità del
procedimento di mediazione e l’autonomia delle parti, nonché l’efficacia
l’imparzialità e la competenza della mediazione (diciassettesimo considerando).
La direttiva
2008/52/CE regola indi la materia con 14 articoli.
In particolare:
- l’art. 1
enuncia l’obiettivo della regolazione (“…facilitare l’accesso alla risoluzione
alternativa delle controversie e di promuovere la composizione amichevole delle
medesime incoraggiando il ricorso alla mediazione e garantendo un’equilibrata
relazione tra mediazione e procedimento giudiziario”) e ne delinea il campo di
applicazione [“…controversie transfrontaliere, in materia civile e commerciale
tranne per i diritti e gli obblighi non riconosciuti alle parti dalla pertinente
legge applicabile. Essa non si estende, in particolare, alla materia fiscale,
doganale e amministrativa né alla responsabilità dello Stato per atti o
omissioni nell’esercizio di pubblici poteri (acta iure imperii)];
- l’art. 3,
dedicato alle definizioni, dispone che per mediazione, al di là della
denominazione, si intende un procedimento strutturato ove “…due o più parti di
una controversia tentano esse stesse, su base volontaria, di raggiungere un
accordo sulla risoluzione della medesima con l’assistenza di un mediatore. Tale
procedimento può essere avviato dalle parti, suggerito od ordinato da un organo
giurisdizionale o prescritto di diritto da uno Stato membro”;
- lo stesso art.
3 esplicita che per mediatore si intende “…qualunque terzo cui è chiesto di
condurre la mediazione in modo efficace, imparziale e competente,
indipendentemente dalla denominazione o dalla professione di questo terzo nello
Stato membro interessato…” (lett. b), che comunque incoraggia “…la formazione
iniziale e successiva dei mediatori allo scopo di garantire che la mediazione
sia gestita in maniera efficace, imparziale e competente in relazione alle
parti” (par. 2);
- l’art. 5,
dedicato al ricorso alla mediazione, esplicitando l’intendimento già anticipato
dal preambolo, prevede che “L’organo giurisdizionale investito di una causa
può, se lo ritiene appropriato e tenuto conto di tutte le circostanze del caso,
invitare le parti a ricorrere alla mediazione allo scopo di dirimere la
controversia…” e che “La presente direttiva lascia impregiudicata la
legislazione nazionale che rende il ricorso alla mediazione obbligatorio oppure
soggetto a incentivi o sanzioni, sia prima che dopo l’inizio del procedimento
giudiziario, purché tale legislazione non impedisca alle parti di esercitare il
diritto di accesso al sistema giudiziario”;
- l’art. 6
delinea la esecutività degli accordi risultanti dalla mediazione, che è,
peraltro, esclusa laddove “…il contenuto dell’accordo è contrario alla legge
dello Stato membro in cui viene presentata la richiesta o se la legge di detto
Stato membro non ne prevede l’esecutività”;
- l’art. 8
dispone che “Gli Stati membri provvedono affinché alle parti che scelgono la
mediazione nel tentativo di dirimere una controversia non sia successivamente
impedito di avviare un procedimento giudiziario o di arbitrato in relazione a
tale controversia per il fatto che durante il procedimento di mediazione siano
scaduti i termini di prescrizione o decadenza”;
Con la legge 18
giugno 2009, n. 69, titolata “Disposizioni per lo sviluppo economico, la
semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile”, e,
segnatamente, con l’art. 60, il legislatore nazionale ha delegato il Governo ad
adottare uno o più decreti legislativi in materia di mediazione e di conciliazione
in ambito civile e commerciale (comma 1), nel rispetto e in coerenza con la
normativa comunitaria e in conformità ai principi e criteri direttivi enunciati
al comma 3 (comma 2).
Tra questi
ultimi, sono attinenti alla materia dell’odierno contendere i principi e
criteri direttivi dettati dalle lettere:
“a) prevedere
che la mediazione, finalizzata alla conciliazione, abbia per oggetto
controversie su diritti disponibili, senza precludere l’accesso alla giustizia;
b) prevedere che
la mediazione sia svolta da organismi professionali e indipendenti, stabilmente
destinati all’erogazione del servizio di conciliazione;
c) disciplinare
la mediazione, nel rispetto della normativa comunitaria, anche attraverso
l’estensione delle disposizioni di cui al decreto legislativo 17 gennaio 2003,
n. 5, e in ogni caso attraverso l’istituzione, presso il Ministero della
giustizia, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, di un Registro
degli organismi di conciliazione…;
d) prevedere che
i requisiti per l’iscrizione nel Registro e per la sua conservazione siano
stabiliti con decreto del Ministro della giustizia;
e) prevedere la
possibilità, per i consigli degli ordini degli avvocati, di istituire, presso i
tribunali, organismi di conciliazione che, per il loro funzionamento, si
avvalgono del personale degli stessi consigli;
f) prevedere che
gli organismi di conciliazione istituiti presso i tribunali siano iscritti di
diritto nel Registro;
g) prevedere,
per le controversie in particolari materie, la facoltà di istituire organismi
di conciliazione presso i consigli degli ordini professionali;
h) prevedere che
gli organismi di conciliazione di cui alla lettera g) siano iscritti di diritto
nel Registro;
n) prevedere il
dovere dell’avvocato di informare il cliente, prima dell’instaurazione del
giudizio, della possibilità di avvalersi dell’istituto della conciliazione
nonché di ricorrere agli organismi di conciliazione;
p) prevedere,
nei casi in cui il provvedimento che chiude il processo corrisponda interamente
al contenuto dell’accordo proposto in sede di procedimento di conciliazione,
che il giudice possa escludere la ripetizione delle spese sostenute dal
vincitore che ha rifiutato l’accordo successivamente alla proposta dello
stesso, condannandolo altresì, e nella stessa misura, al rimborso delle spese
sostenute dal soccombente… e, inoltre, che possa condannare il vincitore al
pagamento di un’ulteriore somma a titolo di contributo unificato...;
q) prevedere che
il procedimento di conciliazione non possa avere una durata eccedente i quattro
mesi;
r) prevedere,
nel rispetto del codice deontologico, un regime di incompatibilità tale da
garantire la neutralità, l’indipendenza e l’imparzialità del conciliatore nello
svolgimento delle sue funzioni;
s) prevedere che
il verbale di conciliazione abbia efficacia esecutiva per l’espropriazione
forzata, per l’esecuzione in forma specifica e costituisca titolo per
l’iscrizione di ipoteca giudiziale”.
La delega in
parola è stata esercitata con il d. lgs. 4 marzo 2010, n. 28.
3. Nell’ambito
dell’appena menzionato decreto legislativo 28/2010, viene in particolare
rilievo l’art. 5.
Come riferito in
narrativa, in seguito all’ordinanza di rimessione della Sezione 12 aprile 2011,
n. 3202, che ha rilevato, tra altro, come l’obbligatorietà del ricorso alla
mediazione in alcune materie non fosse prevista in alcun principio e criterio
direttivo dettato dall’art. 60 delle l. 69/2009, e travalicasse, pertanto, i
limiti della delega legislativa, la Corte Costituzionale, con sentenza 6
dicembre 2012, n. 272, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo il comma 1
della disposizione, unitamente ad altre norme correlate della decretazione
delegata, in relazione al carattere obbligatorio dell’istituto della mediazione
e alla conseguente strutturazione della relativa procedura come condizione di
procedibilità della domanda giudiziale nelle controversie ivi previste, per
violazione degli artt. 76 e 77 Cost..
Il Giudice delle
leggi, in particolare, ha dichiarato:
-
l’illegittimità costituzionale “dell’articolo 5, comma 1, del decreto
legislativo 4 marzo 2010, n. 28 (Attuazione dell’articolo 60 della legge 18
giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione
delle controversie civili e commerciali)”;
- “in via
consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme
sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale),
l’illegittimità costituzionale: a) dell’art. 4, comma 3, del decreto
legislativo n. 28 del 2010, limitatamente al secondo periodo («L’avvocato
informa altresì l’assistito dei casi in cui l’esperimento del procedimento di
mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale») e al sesto
periodo, limitatamente alla frase «se non provvede ai sensi dell’articolo 5,
comma 1»; b) dell’art. 5, comma 2, primo periodo, del detto decreto
legislativo, limitatamente alle parole «Fermo quanto previsto dal comma 1 e»,
c) dell’art. 5, comma 4, del detto decreto legislativo, limitatamente alle parole
«I commi 1 e»; d) dell’art. 5, comma 5 del detto decreto legislativo,
limitatamente alle parole «Fermo quanto previsto dal comma 1 e»; e) dell’art.
6, comma 2, del detto decreto legislativo, limitatamente alla frase «e, anche
nei casi in cui il giudice dispone il rinvio della causa ai sensi del quarto o
del quinto periodo del comma 1 dell’articolo cinque,»; f) dell’art. 7 del detto
decreto legislativo, limitatamente alla frase «e il periodo del rinvio disposto
dal giudice ai sensi dell’art. 5, comma 1»; g) dello stesso articolo 7 nella
parte in cui usa il verbo «computano» anziché «computa»; h) dell’art. 8, comma
5, del detto decreto legislativo; i) dell’art. 11, comma 1, del detto decreto
legislativo, limitatamente al periodo «Prima della formulazione della proposta,
il mediatore informa le parti delle possibili conseguenze di cui all’art. 13»;
l) dell’intero art. 13 del detto decreto legislativo, escluso il periodo «resta
ferma l’applicabilità degli articoli 92 e 96 del codice di procedura civile»;
m) dell’art. 17, comma 4, lettera d), del detto decreto legislativo; n)
dell’art. 17, comma 5, del detto decreto legislativo; o), dell’art. 24 del
detto decreto legislativo”.
Come pure già
precedentemente rilevato, pendente il giudizio dinnanzi al Giudice delle leggi,
il legislatore, con l’art. 12, comma 1, lett. a), del d.l. 22 dicembre 2011, n.
212, aveva tentato di modificare in alcune parti la formulazione dell’art. 5
del d.lgs. n. 28 del 2010. Tale modifica non veniva però confermata dalla legge
di conversione 17 febbraio 2012, n. 10.
Successivamente
alla ridetta pronunzia della Corte Costituzionale n. 272 del 2012, la materia
della mediazione obbligatoria è stata ridisciplinata dall’art. 84 del d.l. 21
giugno 2013, n. 69 (c.d. “decreto del fare”), convertito, con modificazioni,
dalla l. 9 agosto 2013, n. 98, che, mediante l’inserimento del comma 1-bis e
varie modifiche apportate sia all’art. 5 del d.lgs. 28/2010 che ad altre
disposizioni della legge, ha nuovamente regolamentato l’esperimento della
conciliazione quale condizione di procedibilità per la domanda giudiziale in
alcune materie.
E’ bene a questo
punto illustrare il comma 1 (dichiarato costituzionalmente illegittimo con la
pronunzia n. 272 del 2012 della Corte Costituzionale) e il comma 1-bis dell’art.
5 del d.lgs. n. 28 del 2010, allo stato vigente.
La disposizione
dichiarata illegittima prevedeva che:
“1. Chi intende
esercitare in giudizio un'azione relativa ad una controversia in materia di
condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di
famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno
derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, da responsabilità medica e
da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità,
contratti assicurativi, bancari e finanziari, è tenuto preliminarmente a
esperire il procedimento di mediazione ai sensi del presente decreto ovvero il
procedimento di conciliazione previsto dal decreto legislativo 8 ottobre 2007,
n. 179, ovvero il procedimento istituito in attuazione dell'articolo 128-bis
del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia di cui al decreto
legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni, per le
materie ivi regolate. L'esperimento del procedimento di mediazione è condizione
di procedibilità della domanda giudiziale. L'improcedibilità deve essere
eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d'ufficio dal giudice,
non oltre la prima udienza. Il giudice ove rilevi che la mediazione è già
iniziata, ma non si è conclusa, fissa la successiva udienza dopo la scadenza
del termine di cui all'articolo 6. Allo stesso modo provvede quando la
mediazione non è stata esperita, assegnando contestualmente alle parti il
termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione. Il
presente comma non si applica alle azioni previste dagli articoli 37, 140 e
140-bis del codice del consumo di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005,
n. 206, e successive modificazioni”.
Il comma 1-bis
dell’art. 5 del d.lgs. 28/2010 prevede ora che:
“1-bis. Chi
intende esercitare in giudizio un'azione relativa a una controversia in materia
di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di
famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno
derivante da responsabilità medica e sanitaria e da diffamazione con il mezzo
della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e
finanziari, è tenuto, assistito dall'avvocato, preliminarmente a esperire il
procedimento di mediazione ai sensi del presente decreto ovvero il procedimento
di conciliazione previsto dal decreto legislativo 8 ottobre 2007, n. 179,
ovvero il procedimento istituito in attuazione dell'articolo 128-bis del testo
unico delle leggi in materia bancaria e creditizia di cui al decreto
legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni, per le
materie ivi regolate. L'esperimento del procedimento di mediazione è condizione
di procedibilità della domanda giudiziale. La presente disposizione ha
efficacia per i quattro anni successivi alla data della sua entrata in vigore.
Al termine di due anni dalla medesima data di entrata in vigore è attivato su
iniziativa del Ministero della giustizia il monitoraggio degli esiti di tale
sperimentazione. L'improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto, a pena
di decadenza, o rilevata d'ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza. Il
giudice ove rilevi che la mediazione è già iniziata, ma non si è conclusa,
fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all'articolo 6.
Allo stesso modo provvede quando la mediazione non è stata esperita, assegnando
contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione
della domanda di mediazione. Il presente comma non si applica alle azioni
previste dagli articoli 37, 140 e 140-bis del codice del consumo di cui al
decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, e successive modificazioni”.
Viene altresì in
rilievo nell’ambito dell’odierno contenzioso l’art. 16 dello stesso d.lgs.
28/2010, in forza del quale è stato adottato il regolamento 18 ottobre 2010, n.
180, ovvero l’atto gravato in questa sede.
Anche l’art. 16
ha subito modifiche per effetto dell’art. 84 del d.l. n. 69 del 2013,
convertito dalla l. n. 98 del 2013.
La disposizione
prevede al comma 1 che “Gli enti pubblici o privati, che diano garanzie di
serietà ed efficienza, sono abilitati a costituire organismi deputati, su
istanza della parte interessata, a gestire il procedimento di mediazione nelle
materie di cui all'articolo 2 del presente decreto. Gli organismi devono essere
iscritti nel registro”
Il comma 2
stabilisce che “La formazione del registro e la sua revisione, l'iscrizione, la
sospensione e la cancellazione degli iscritti, l'istituzione di separate
sezioni del registro per la trattazione degli affari che richiedono specifiche
competenze anche in materia di consumo e internazionali, nonché la
determinazione delle indennità spettanti agli organismi sono disciplinati con
appositi decreti del Ministro della giustizia, di concerto, relativamente alla
materia del consumo, con il Ministro dello sviluppo economico. Fino
all'adozione di tali decreti si applicano, in quanto compatibili, le
disposizioni dei decreti del Ministro della giustizia 23 luglio 2004, n. 222 e 23
luglio 2004, n. 223. A tali disposizioni si conformano, sino alla medesima
data, gli organismi di composizione extragiudiziale previsti dall'articolo 141
del codice del consumo, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206,
e successive modificazioni”.
Il comma 3
recita che “L'organismo, unitamente alla domanda di iscrizione nel registro,
deposita presso il Ministero della giustizia il proprio regolamento di
procedura e il codice etico, comunicando ogni successiva variazione. Nel
regolamento devono essere previste, fermo quanto stabilito dal presente
decreto, le procedure telematiche eventualmente utilizzate dall'organismo, in
modo da garantire la sicurezza delle comunicazioni e il rispetto della
riservatezza dei dati. Al regolamento devono essere allegate le tabelle delle
indennità spettanti agli organismi costituiti da enti privati, proposte per
l'approvazione a norma dell'articolo 17. Ai fini dell'iscrizione nel registro
il Ministero della giustizia valuta l'idoneità del regolamento”.
Il comma 4
dispone che “La vigilanza sul registro è esercitata dal Ministero della
giustizia e, con riferimento alla sezione per la trattazione degli affari in
materia di consumo di cui al comma 2, anche dal Ministero dello sviluppo
economico”.
Il comma 4-bis,
novella – si sottolinea – inserita dall’art. 84 del d.l. n. 69 del 2013,
convertito dalla l. n. 98 del 2013, stabilisce che “Gli avvocati iscritti
all'albo sono di diritto mediatori. Gli avvocati iscritti ad organismi di
mediazione devono essere adeguatamente formati in materia di mediazione e
mantenere la propria preparazione con percorsi di aggiornamento teorico-pratici
a ciò finalizzati, nel rispetto di quanto previsto dall'articolo 55-bis del
codice deontologico forense. Dall'attuazione della presente disposizione non
devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
Il comma 5
prevede che “Presso il Ministero della giustizia è istituito, con decreto
ministeriale, l'elenco dei formatori per la mediazione. Il decreto stabilisce i
criteri per l'iscrizione, la sospensione e la cancellazione degli iscritti,
nonché per lo svolgimento dell'attività di formazione, in modo da garantire
elevati livelli di formazione dei mediatori. Con lo stesso decreto, è stabilita
la data a decorrere dalla quale la partecipazione all'attività di formazione di
cui al presente comma costituisce per il mediatore requisito di qualificazione
professionale”.
Il comma 6 detta
infine una disposizione di carattere finanziario.
4. Può ora
passarsi alla disamina delle questioni poste dal gravame all’odierna
trattazione.
5. Va, com’è
d’uopo, prioritariamente esaminata la questione di carattere pregiudiziale
spiegata dai resistenti Ministero della giustizia e Ministero per lo sviluppo
economico, che ritengono l’Associazione ricorrente priva di legittimazione
attiva, per carenza in capo alla stessa della rappresentanza istituzionale
degli interessi della categoria degli avvocati, spettante solo al Consiglio
Nazionale Forense e agli ordini esponenziali.
Al riguardo,
osserva il Collegio che è principio giurisprudenziale pacifico che
un'associazione professionale, se e in quanto ne sia comprovato un apprezzabile
grado di rappresentatività, può essere legittimata ad impugnare provvedimenti
lesivi, oltre che di interessi propri, di interessi collettivi della categoria,
non anche di singole posizioni giuridiche degli associati (C. Stato, V, 22
ottobre 2007, n. 5498; Tar Lazio, Roma, I, 5 dicembre 2008, n. 11015).
Applicando le
predette coordinate ermeneutiche al caso di specie, l’eccezione in esame non
risulta persuasiva.
Alla luce dello
statuto dell’UNCC, la ricorrente risulta essere associazione non riconosciuta
costituita tra associazioni di avvocati civilisti, avente scopo, tra altri, di
promuovere iniziative dirette a conseguire un miglior funzionamento della
giustizia, con particolare riguardo a quella civile (art. 2, lett. a) e di
rappresentare a livello nazionale le istanze degli avvocati civilisti e degli
iscritti alle Camere Civili aderenti all’Unione, nei rapporti con gli organi
istituzionali dell’Avvocatura, i rappresentanti dei pubblici poteri, l’Ordine
Giudiziario, le altre Associazioni forensi (art. 2, lett. g), senza che lo
statuto stesso preveda una qualche limitazione dei mezzi mediante i quali
realizzare i detti scopi.
Riferisce,
inoltre, la ricorrente, senza essere smentita dalle eccepenti, di contare circa
settemila iscritti sull’intero territorio nazionale, e di essere stata
riconosciuta dal Congresso Nazionale Forense tra le associazioni maggiormente
rappresentative dell’Avvocatura nel suo complesso.
Infine, va anche
tenuto conto della materia investita dalla controversia, che, come rilevato
dalla Corte Costituzionale nella citata sentenza n. 272/2012, attiene a giudizi
(tra cui quello che occupa) nell’ambito dei quali “i rapporti sostanziali
dedotti in causa concernono profili attinenti alla mediazione nel processo
civile, che possono anche riguardare interessi professionali della classe
forense”.
L’eccezione in
esame va per tutto quanto sopra respinta.
6. Si passa all’esame
del merito del ricorso.
7. I due primi
motivi dedotti nell’atto introduttivo del giudizio possono essere
congiuntamente trattati.
Con la prima
doglianza (illegittimità derivata dalla illegittimità costituzionale degli
artt. 5 e 17 del d. lgs. 28/2010 in relazione agli artt. 24, 76 e 77 della
Costituzione) la ricorrente sostiene che il legislatore delegato è incorso in
eccesso di delega laddove ha introdotto l’obbligatorietà della mediazione e
l’improcedibilità del giudizio interposto senza il previo esperimento della
mediazione, entrambi non previsti dalla legge delega.
Con la seconda
doglianza (illegittimità derivata dalla illegittimità costituzionale dell’art.
8 del d. lgs. 28/2010 in relazione agli artt. 24, 76 e 77 della Costituzione)
la ricorrente sostiene che, poiché nella logica del decreto delegato, le scelte
che la parte è chiamata ad effettuare nel procedimento di mediazione sono
suscettibili di condizionare l’esito del successivo processo, per un verso la
mancata previsione nel procedimento stesso della obbligatorietà dell’assistenza
del difensore viola l’art. 24 della Costituzione (nonché favorisce le classi
più abbienti, facoltizzate ad avvalersene), per altro verso l’introduzione
della possibilità di acquisire elementi di prova in assenza di difesa tecnica,
non prevista dalla legge delega, concreta eccesso di delega ex art. 76 Cost..
7.1. Osserva al
riguardo il Collegio che le censure di cui si discute, più che evidenziare
l’illegittimità del decreto 18072010 per violazione degli artt. 5 e 16 del
d.lgs.180/2010, sono volte a contestare la stessa disciplina normativa recata
dai predetti articoli, ritenuta antinomica rispetto alla direttiva comunitaria
21 maggio 2008, n. 2008/52/CE, e alla legge delega, art. 60 della l. 18 giugno
2009, n. 69.
Come già
ampiamente riferito, la Sezione ha ritenuto persuasive la più parte di tali
censure, rilevando anche come le stesse racchiudessero i tratti salienti
dell’interesse azionato in giudizio dalla ricorrente, finalizzato
sostanzialmente, per il tramite dell’impugnativa del d.m. 180/2010, allo
scrutinio di costituzionalità degli artt. 5 e 16 del d.lgs. 28/10.
E infatti, con
la più volte richiamata ordinanza 12 aprile 2011, n. 3202, la Sezione ha
sospeso il processo e rimesso gli atti alla Corte Costituzionale per l’esame
della questione di legittimità costituzionale, per contrasto con gli artt. 24 e
77 Cost. degli artt. 5, comma 1, primo, secondo e terzo periodo, e 16, comma 1,
in parte, del d.lgs. n. 28 del 2010, disponenti, rispettivamente,
l’obbligatorietà del previo esperimento della mediazione al fine dell’esercizio
della tutela giudiziale in determinate materie e i soli requisiti di serietà ed
efficienza degli enti pubblici e privati abilitati a costituire gli organismi
deputati, su istanza della parte interessata, a gestire il procedimento di
mediazione.
Al contempo, nella
stessa ordinanza n. 3202 del 2011, la Sezione ha ritenuto che l’eccezione di
costituzionalità relativa alla mancata previsione nel procedimento di
mediazione obbligatoria dell’assistenza del difensore si profilasse non
rilevante ai fini del presente giudizio, in quanto priva di qualsiasi
collegamento diretto od indiretto con la domanda demolitoria del regolamento
impugnato avanzata innanzi a questa sede.
Come già detto,
successivamente alla ridetta pronunzia della Corte Costituzionale n. 272 del
2012, che, accogliendo parzialmente la prospettazione di cui alla predetta
ordinanza, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo il comma 1 dell’art. 5
del d.lgs. 28/2010 e altre disposizioni a esso correlate, per violazione degli
artt. 76 e 77 Cost., la materia della mediazione obbligatoria è stata
ridisciplinata dall’art. 84 del d.l. 21 giugno 2013, n. 69 (c.d. “decreto del
fare”), convertito, con modificazioni, dalla l. 9 agosto 2013, n. 98, mediante
l’inserimento del comma 1-bis nel corpo dell’art. 5 del d.lgs. 28/2010 e varie
modifiche apportate sia allo stesso art. 5 che ad altre disposizioni del
decreto.
La novella
legislativa, rispetto all’angolo visuale in cui si è situato il ricorso, ha
apportato rilevanti modifiche all’istituto della mediazione.
Basti osservare
sul punto, come meglio si dirà in seguito, che se è vero che l’esperimento
della mediazione è stato ancora una volta configurato quale condizione di
procedibilità per la domanda giudiziale in alcune materie, comunque rivisitate
rispetto alle precedenti, è altresì vero che il nuovo testo del d.lgs. 28/2010
ha prescritto l’assistenza dell'avvocato.
Inoltre, gli
stessi ricorrenti, a seguito delle modifiche normative di cui sopra, hanno
spiegato avverso l’art. 84 del d.l. n. 69/2013, convertito dalla l. 98/2013, le
nuove doglianze di costituzionalità, di cui ai motivi aggiunti.
Ne consegue che,
allo stato, le censure in parola, affidate a un impianto argomentativo
complessivo non più coerente con l’attuale quadro normativo, vanno dichiarate
improcedibili.
8. Con il terzo
motivo di gravame [violazione dell’art. 60, comma 3, lett. b) della l. n. 69
del 2009 e dell’art. 16 del d. lgs. 20/2010 – eccesso di potere per
irragionevolezza - illegittimità derivata dalla illegittimità costituzionale
dell’art. 16 del d. lgs. 28/2010 in relazione agli artt. 76 e 77 della
Costituzione] la ricorrente lamenta che, laddove la legge delega pone il
requisito dell’indipendenza sia in capo agli organismi di mediazione sia in
capo ai singoli mediatori, l’art. 4 del decreto impugnato assicura tale
indipendenza in misura molto minore, riferendola esclusivamente “allo
svolgimento del servizio di mediazione” [comma 2, lett. e)].
Nella ridetta
ordinanza n. 3202 del 2011, la Sezione ha ritenuto che anche tale censura si
profilasse estranea alle sollevate questioni di costituzionalità, perché
afferente esclusivamente allo scrutinio di legittimità dell’art. 4 del
regolamento 180/2010.
La tematica
deve, indi, essere ora affrontata.
8.1. L’art. 60,
comma 3, lett. b), della l. delega n. 69 del 2009 indica tra i principi e
criteri direttivi la previsione che la mediazione sia svolta da organismi
professionali e indipendenti, stabilmente destinati all’erogazione del servizio
di conciliazione.
L’art. 4 del
d.m. 180/2010, censurato dalla ricorrente, ha subito modifiche per effetto dei
decreti ministeriali 6 luglio 2011, n. 145 e 4 agosto 2014, n. 39.
Ma, già dalla
originaria formulazione, come all’attualità, la disposizione prevede al comma 2
che, ai fini dell’iscrizione nel registro, siano verificati a carico degli
organismi di mediazione:
- i requisiti di
onorabilità dei soci, associati, amministratori o rappresentanti dei predetti
enti, conformi a quelli fissati dall'articolo 13 del decreto legislativo 24
febbraio 1998, n. 58 [lett. c)];
- la trasparenza
amministrativa e contabile dell'organismo, ivi compreso il rapporto giuridico
ed economico tra l'organismo e l'ente di cui eventualmente costituisca
articolazione interna al fine della dimostrazione della necessaria autonomia
finanziaria e funzionale [lett. d)];
- le garanzie di
indipendenza, imparzialità e riservatezza nello svolgimento del servizio di
mediazione, nonché la conformità del regolamento alla legge e decreto, anche
per quanto attiene al rapporto giuridico con i mediatori [lett. e)].
La norma quindi
prescrive, nell’ordine di cui sopra:
- in capo ai
soci, associati, amministratori o rappresentanti degli organismi, per effetto
dell’espresso richiamo all’art. 13, d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, testo unico
delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, il possesso dei
requisiti previsti per i soggetti che svolgono funzioni di amministrazione,
direzione e controllo presso SIM, società di gestione del risparmio, SICAV e
Sicaf. Tra tali requisiti, oltre la professionalità e l’onorabilità, figura
l’indipendenza;
- l’autonomia
(finanziaria e) funzionale dell’organismo;
-
l’indipendenza, l’imparzialità e la riservatezza nello svolgimento del servizio
di mediazione.
Tali
prescrizioni declinano a carico degli organismi di mediazione, sotto i profili
personali, strutturali e funzionali, e indi compiutamente, il concetto
sostanziale di indipendenza assunto nella legge delega.
La censura è,
pertanto, infondata.
9.
Conclusivamente, alla luce di tutto quanto sopra, l’atto introduttivo del
giudizio va dichiarato in parte improcedibile e per il restante respinto.
10. Come
ampiamente sopra riferito, con pronunzia n. 272 del 2012 la Corte
Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 5,
comma 1, del d.lgs. 28/2010 in relazione al carattere obbligatorio
dell’istituto della mediazione e alla conseguente strutturazione della relativa
procedura come condizione di procedibilità della domanda giudiziale nelle
controversie ivi previste, per violazione degli artt. 76 e 77 Cost., e di una
serie di disposizioni dello stesso decreto a esso strettamente correlate.
In particolare,
il Giudice delle leggi, al fine di verificare il rispetto dei principi posti in
sede di emanazione del d.lgs. n. 28 del 2010, ha rilevato come né la direttiva
comunitaria 2008/52/CE sopra illustrata, né gli altri atti comunitari presi in
considerazione dalla pronunzia, né, infine, la legge delega pure illustrata
(art. 60 della legge n. 69 del 2009), esplicitassero in alcun modo la
previsione del carattere obbligatorio della mediazione finalizzata alla
conciliazione assunto dal menzionato art. 5, comma 1, della legge delegata.
Successivamente
alla ridetta pronunzia della Corte Costituzionale n. 272 del 2012, la materia
della mediazione obbligatoria è stata ridisciplinata dall’art. 84, comma 1,
lett. b), del d.l. 21 giugno 2013, n. 69 (c.d. “decreto del fare”), convertito,
con modificazioni, dalla l. 9 agosto 2013, n. 98, che, mediante l’inserimento
del comma 1-bis e altre modifiche apportate sia all’art. 5 del d.lgs. 28/2010
che ad altre disposizioni della legge, ha nuovamente regolamentato
l’esperimento della conciliazione quale condizione di procedibilità per la
domanda giudiziale in alcune materie.
Mediante atto di
motivi aggiunti parte ricorrente ha formulato anche avverso la predetta novella
censure di illegittimità costituzionale, che si passa a esaminare.
11. Parte
ricorrente assume in primo luogo che il novellato d.lgs. 28/2010, nonché l’art.
84, comma 1, del d.l. 69/2013 e l’art. 1, comma 1, della legge di conversione
98/2013, violino l’art. 77 Cost., sostenendo l’incompatibilità
dell’introduzione a regime del nuovo sistema di accesso alla giustizia con lo
strumento del decreto-legge, stante la carenza del carattere di straordinaria
necessità e urgenza che ne legittima l’utilizzo, carenza che ritiene
testimoniata dalla previsione che la nuova disposizione si applichi decorsi
trenta giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione del decreto
(art. 84 del “decreto del fare”).
11.1. La censura
non persuade.
Va, al riguardo,
considerato primariamente come la Sezione, nell’ordinanza di remissione
3202/2011 più volte citata, non abbia mai dubitato della possibilità, insita
nella già illustrata direttiva 21 maggio 2008, n. 2008/52/CE [espressamente
finalizzata a facilitare l’accesso alla risoluzione alternativa delle
controversie e a promuovere la composizione amichevole delle medesime
incoraggiando il ricorso alla mediazione e garantendo un’equilibrata relazione
tra mediazione e procedimento giudiziario (art. 1, comma 1)], concessa agli
Stati membri:
- di estendere,
o meno, il campo di applicazione delle disposizioni comunitarie sulla
mediazione in materia civile e commerciale da quello privilegiato, costituito
dalle controversie transfrontaliere ai “procedimenti di mediazione interni”
(ottavo considerando e art. 1);
- di renderlo, o
meno, obbligatorio (art. 5, comma 2: “La presente direttiva lascia
impregiudicata la legislazione nazionale che rende il ricorso alla mediazione
obbligatorio oppure soggetto a incentivi o sanzioni, sia prima che dopo
l’inizio del procedimento giudiziario, purché tale legislazione non impedisca
alle parti di esercitare il diritto di accesso al sistema giudiziario”).
La Sezione ha,
piuttosto, rilevato che il grado di valorizzazione della mediazione, quale
strumento tendenzialmente generale di risoluzione delle controversie, mediante
l’esercizio delle predette opzioni discrezionali estensive dell’istituto –
comportante, la prima, la scelta di renderla applicabile a rapporti che
ricadono interamente nell’ambito degli ordinamenti interni degli Stati membri,
la seconda, la scelta di renderla obbligatoria e in quale misura – inerisse,
attenendo ai massimi livelli del sistema nazionale del settore “giustizia” in
materia civile, secondo le attribuzioni proprie dell’ordinamento nazionale
vigente, alla fonte normativa primaria [art. 111 Cost.; art. 117, lett. l) e m)
Cost.].
La Sezione ha
negato, quindi, e a ragione (come attestato dalla sentenza costituzionale n.
272/2012), che la seconda di tali scelte potesse essere legittimante esercitata
dal Governo in sede di legge delegata (d.lgs. 28/2010), in assenza nella legge
delega (art. 60, l. n. 69 del 2009) di uno specifico principio e criterio
direttivo.
Nel tema ora in
discussione si versa in una fattispecie completamente diversa.
Non vi è dubbio,
invero, che la scelta di rendere obbligatoria la mediazione nelle materie
delineate dal nuovo comma 1-bis dell’art. 5 del d.lgs. 28/2010 sia stata ora
compiuta in esercizio di funzione legislativa, e ciò sia in sede di adozione
del decreto-legge n. 69 del 2013, sia in sede di conversione del decreto, con
la l. n. 989 del 2013.
Tanto premesso,
e passando alla questione, posta dalla ricorrente, se lo strumento della
decretazione d’urgenza sia idoneo a normare la materia, deve rammentarsi che la
Corte Costituzionale, con giurisprudenza costante sin dal 1995 (sentenza n. 29
del 1995), ha affermato che l'esistenza dei requisiti della straordinarietà del
caso di necessità e d'urgenza può essere oggetto di scrutinio di
costituzionalità.
Tuttavia, la
Corte Costituzionale (sentenza n. 171 del 2007) ha al riguardo chiarito che il
relativo giudizio non sostituisce e non si sovrappone a quello iniziale del
Governo e a quello successivo del Parlamento, in sede di conversione, dovendosi
svolgere su un piano diverso, con la funzione di preservare l'assetto delle
fonti normative e, con esso, il rispetto dei valori a tutela dei quali detto
compito è predisposto, con l’effetto di riconoscere ai requisiti di necessità e
urgenza cui l’art. 77 Cost. subordina il potere straordinario del Governo di
emanare norme primarie ancorché provvisorie comporta l'inevitabile conseguenza
di dare alla disposizione un largo margine di elasticità.
In tal modo il
Giudice delle leggi ha ritenuto, per un verso, che la straordinarietà del caso,
tale da imporre la necessità di dettare con urgenza una disciplina in
proposito, può essere dovuta ad una pluralità di situazioni (eventi naturali,
comportamenti umani e anche atti e provvedimenti di pubblici poteri) in
relazione alle quali non sono configurabili rigidi parametri, valevoli per ogni
ipotesi, per altro verso, che l’eventuale difetto dei presupposti di
legittimità della decretazione d'urgenza, in sede di scrutinio di
costituzionalità, debba risultare evidente.
Nella specie, la
Sezione non ravvisa nella fattispecie in esame l’evidenza richiesta per
sollevare nuovamente la questione di costituzionalità della mediazione
obbligatoria, dedotta dalla ricorrente.
Invero, non può
essere fondatamente posto in dubbio come il riconoscimento, da parte della
sentenza della Corte Costituzionale n. 272/2012, dell’illegittimità
costituzionale dell’articolo 5, comma 1, del d.lgs. 28/2010 in relazione al
carattere obbligatorio dell’istituto della mediazione e alla conseguente
strutturazione della relativa procedura come condizione di procedibilità della
domanda giudiziale nelle controversie ivi previste, per violazione degli artt.
76 e 77 Cost., ovvero per l’accertata carenza nella legge delega di cui
all’art. 60 della l. 69/09 di criteri e principi direttivi legittimanti tale
scelta da parte del legislatore delegato, abbia frustrato le chiare finalità
deflattive del contenzioso giudiziario che il legislatore delegato stesso ha
riconnesso all’intero sistema delineato dallo stesso d.lgs. 28/2010.
E ciò in un
contesto di nota evidenza della necessità di riforme in materia di giustizia
civile, sottolineato anche dalla “Raccomandazione del Consiglio [Europeo, n.d.r.]
sul programma nazionale di riforma 2013 dell’Italia e che formula un parere del
Consiglio sul programma di stabilità dell’Italia 2012-2017” del 29 maggio 2013.
Tale
raccomandazione, invero:
- all’undicesimo
considerando, ha rilevato come “Per migliorare il contesto in cui operano le
imprese occorre completare la riforma della giustizia civile dando rapidamente
attuazione alla riorganizzazione dei tribunali, abbreviando la durata eccessiva
dei procedimenti e riducendo il volume dell’arretrato e il livello di
contenzioso”, ritenendo specificamente che “A seguito della sentenza della
Corte costituzionale dell’ottobre 2012 sulla mediazione, è necessario
intervenire per promuovere il ricorso a meccanismi extragiudiziali di
risoluzione delle controversie”;
- al punto 2, ha
raccomandato all’Italia di “abbreviare la durata dei procedimenti civili e
ridurre l’alto livello di contenzioso civile, anche promuovendo il ricorso a
procedure extragiudiziali di risoluzione delle controversie.
E’ parimenti
indubitabile che gli organismi di mediazione venuti a esistenza e iscrittisi
nel registro degli organismi di mediazione nel non breve periodo decorrente tra
l’entrata in vigore del d.lgs. 28/10, e segnatamente dell’art. 5 vecchia
formulazione, e la pronunzia del Giudice delle leggi n. 272 del 2012, si siano
necessariamente strutturati sulla base di tutte le previsioni originarie del
decreto, ivi comprese quelle relative all’obbligatorietà della mediazione in
determinate materie, risultando, in tal modo, interamente portata a compimento
l’organizzazione strutturale cui il legislatore delegato intendeva far ricorso,
anche coattivo, per introdurre la detta modalità di risoluzione delle
controversie alternativa al sistema giudiziario.
Applicando a
tale contesto le predette coordinate ermeneutiche, deve riconoscersi la
sussistenza di quella straordinarietà del caso, tale da legittimare, ai sensi
dell’art. 77, come interpretato dalla Corte Costituzionale, la necessità di
dettare con urgenza una disciplina in proposito.
Nulla muta, al
riguardo, considerando che previsione che l’art. 84 del “decreto del fare” ha
previsto che la novella si applichi decorsi trenta giorni dall’entrata in
vigore della legge di conversione del decreto.
Si tratta,
infatti, per un verso, di una opportuna disposizione di cautela, che rimanda
alla conversione del decreto-legge l’operatività del sistema introdotto.
Non va invero
dimenticato che, come già precedentemente riferito, pendente il giudizio
conclusosi con la sentenza 272/2012 dinnanzi al Giudice delle leggi, con d.l.
22 dicembre 2011, n. 212 (art. 12, comma 1, lett. a), il Governo aveva tentato
di modificare in alcune parti la formulazione originaria dell’art. 5 del d.lgs.
n. 28 del 2010, ma tale modifica non è stata confermata dalla legge di conversione
17 febbraio 2012, n. 10.
Per altro verso,
poi, la disposizione è inidonea a confermare l’assunto dei ricorrenti in ordine
alla insussistenza dell’urgenza, atteso che, in ogni caso, il “decreto del
fare”, approvato il 21 giugno 2013, non avrebbe comunque potuto determinare
l’immediata ripresa della mediazione, stante la sospensione feriale dei termini
giudiziari e l’eventualità che gli organismi di mediazione necessitassero,
successivamente alla ridetta sentenza n. 272/2012, di una ripartenza organizzativa
12. Parte
ricorrente ritiene inoltre costituzionalmente illegittima anche la nuova
previsione di cui all’art. 5, comma 2, del d.lgs. 28/2010, laddove prevede che
“il giudice, anche in sede di giudizio di appello, valutata la natura della
causa, lo stato dell'istruzione e il comportamento delle parti, può disporre
l'esperimento del procedimento di mediazione; in tal caso, l'esperimento del
procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda
giudiziale anche in sede di appello”.
Parte ricorrente,
in particolare, ritiene che la facoltà, di carattere discrezionale, concessa al
giudice di appello, di disporre l'esperimento del procedimento di mediazione,
sia illogica nonché violativa della ragionevole durata del processo di cui
all’art. 111 Cost..
La Sezione non
ritiene di poter aderire a tale prospettazione.
Basti osservare,
al riguardo, che la direttiva 2008/52/CE illustrata in premessa, al fine di
incoraggiare la risoluzione alternativa e amichevole delle controversie
costituita dal ricorso alla mediazione, per le precipue finalità già sopra
descritte:
- all’art. 3,
precisato il concetto di mediazione, chiarisce che tale procedimento, oltre che
essere avviato dalle parti, può essere anche “suggerito od ordinato da un
organo giurisdizionale”;
- all’art. 5,
stabilisce che “L’organo giurisdizionale investito di una causa può, se lo
ritiene appropriato e tenuto conto di tutte le circostanze del caso, invitare
le parti a ricorrere alla mediazione allo scopo di dirimere la controversia…”.
Quindi, per la
citata direttiva, che non precisa in quale segmento della causa già pendente
l’organo giurisdizionale può suggerire o ordinare il ricorso alla mediazione,
la eventuale ricorrenza di un siffatto provvedimento in fase di appello non
contrasta ex se con gli scopi principali assunti dalla direttiva, ravvisabili
nella garanzia di un miglior accesso alla giustizia (quinto considerando),
sulla base di una risoluzione extragiudiziale conveniente e rapida (sesto
considerando).
Inoltre,
l’eccezione oblitera che la diposizione prevede che la remissione giudiziale
delle parti al procedimento di mediazione, anche in appello, è subordinata alla
valutazione della “natura della causa”, dello “stato dell'istruzione” e del
“comportamento delle parti”, apprezzamenti tutti da effettuarsi da parte del
giudice, proprio nell’ambito di un procedimento giudiziale rispondente ai
requisiti del giusto processo di cui all’invocato art. 11 Cost..
Anche tale
questione va quindi respinta.
13. Parte
ricorrente denunzia ancora l’incostituzionalità dell’art. 13 del d.lgs.
28/2010, che prevede che “ Quando il provvedimento che definisce il giudizio
corrisponde interamente al contenuto della proposta, il giudice esclude la
ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice che ha rifiutato la
proposta, riferibili al periodo successivo alla formulazione della stessa, e la
condanna al rimborso delle spese sostenute dalla parte soccombente relative
allo stesso periodo, nonché al versamento all'entrata del bilancio dello Stato
di un'ulteriore somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto”.
La disposizione
viene qualificata come una costrizione finalizzata a imporre il ricorso alla
mediazione e un indebito ostacolo all’accesso alla giustizia, in violazione
dell’art. 24 Cost., nonché incompatibile con un sistema che non garantisce
l’adeguata configurazione della professionalità del mediatore.
La tesi non ha
pregio.
Si rammenta che
la Corte Costituzionale, nella ridetta sentenza 272/2002, nel dichiarare
l’incostituzionalità dell’art. 5, comma 1, del d.lgs. 28/2010, per contrasto
con gli artt. 76 e 77 Cost., ha assorbito ogni questione, pure sollevata,
relativa alla eventuale incostituzionalità della mediazione obbligatoria per
violazione dell’art. 24 Cost..
La questione,
quindi, è aperta, e non può ora che essere affrontata alla luce delle novelle
apportate in materia dal “decreto del fare”.
La nuova
mediazione obbligatoria introdotta dall’art. 5, comma 1-bis, del d.lgs.
28/2010, per effetto delle complessive modifiche apportate alla disposizione e
al decreto legislativo nel suo complesso, è profondamente difforme dalla
precedente.
E’ peraltro
anche vero che la stessa si caratterizza per la presenza di numerose
discrepanze.
Ne costituiscono
esempio le contraddizioni ravvisabili nel testo di legge in punto di assistenza
dell’avvocato nella procedura di mediazione.
Essa va ritenuta
senz’altro obbligatoria ai sensi del comma 1 dell’art. 8, stante
l’inequivocabile formulazione letterale della norma e la circostanza che l’art.
8 è precipuamente dedicato al procedimento di mediazione, con la conseguente
centralità sul punto della disposizione, che, però, non coincide perfettamente
né con l’art. 5, comma 1-bis, che riferisce l’assistenza dell’avvocato al mero
atto di impulso della conciliazione obbligatoria, né con l’art. 12, comma 1,
che prevede che solo ove tutte le parti aderenti alla mediazione siano
assistite da un avvocato, l'accordo che sia stato sottoscritto dalle parti e
dagli stessi avvocati costituisce titolo esecutivo per l'espropriazione
forzata, l'esecuzione per consegna e rilascio, l'esecuzione degli obblighi di
fare e non fare, nonché per l'iscrizione di ipoteca giudiziale.
Tali
contraddizioni, peraltro, potranno essere risolte in sede di rivisitazione del
testo del decreto delegato 28/2010, già programmato. L’art. 5, comma 1-bis,
chiarisce, infatti, che “La presente disposizione ha efficacia per i quattro
anni successivi alla data della sua entrata in vigore. Al termine di due anni
dalla medesima data di entrata in vigore è attivato su iniziativa del Ministero
della giustizia il monitoraggio degli esiti di tale sperimentazione”.
Ma, anche tenuto
conto di quanto appena sopra, è certo che non sono riproducibili nei confronti
della “nuova” conciliazione obbligatoria quei rilievi critici cui aveva dato
luogo il previgente sistema, poggianti sul combinato disposto di alcune
previsioni, poi modificate, che hanno fatto fondatamente dubitare della
suscettibilità della “vecchia” mediazione obbligatoria di consentire
l’esercizio effettivo del diritto di difesa in giudizio e la possibilità di
condurre a una composizione delle controversie in conformità all’alto rango dei
principi che caratterizzano la materia nell’ordinamento nazionale vigente.
Basti, infatti,
osservare che:
- le materie per
cui la mediazione è obbligatoria e costituisce condizione di procedibilità
della domanda giudiziale sono state rivisitate in senso diminutivo, non
essendovi più tra le stesse il risarcimento del danno derivante dalla
circolazione di veicoli e natanti (art. 5, comma 1-bis);
- la condizione
di procedibilità è ora assolta senza che sia necessario esperire un vero e
proprio tentativo di conciliazione, ovvero con la mera partecipazione a un
primo incontro (art. 5, comma 2-bis);
- nel caso di
mancato accordo all'esito del primo incontro, da svolgersi non oltre trenta
giorni dalla domanda di mediazione (art. 8, comma 1), nessun compenso è dovuto
per l'organismo di mediazione (art. 17, comma 5-ter);
- si prevede
l’assistenza dell’avvocato per promuovere la conciliazione obbligatoria (art.
5, comma 1-bis);
- si prevede
l'assistenza dell'avvocato fino al termine della procedura (art. 8, comma 1);
- la proposta
del mediatore interviene soltanto all’avverarsi delle relative condizioni, dopo
il primo incontro, nell’ambito del quale il mediatore chiarisce alle parti la
funzione e le modalità di svolgimento della mediazione e invita poi le parti e
i loro avvocati a esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di
mediazione, procedendo nel caso positivo (art. 8, comma 1);
- solo ove tutte
le parti aderenti alla mediazione siano assistite da un avvocato, l'accordo che
sia stato sottoscritto dalle parti e dagli stessi avvocati costituisce titolo
esecutivo per l'espropriazione forzata, l'esecuzione per consegna e rilascio,
l'esecuzione degli obblighi di fare e non fare, nonché per l'iscrizione di
ipoteca giudiziale (art. 12, comma 1);
- al fine di
sottrarsi alle conseguenze pregiudizievoli, in tema di argomenti di prova e di
sanzioni, derivanti nel successivo giudizio dalla mancata partecipazione al
procedimento di mediazione laddove obbligatorio, possono essere addotti
giustificati motivi (art. 8, comma 4-bis);
- gli avvocati
iscritti all'albo sono di diritto mediatori (art. 16, comma 4-bis).
A ciò si
aggiunga che le modifiche medio tempore apportate al d.m. 180/2010 hanno
rafforzato la qualità del servizio di mediazione.
Basti
richiamare, al riguardo, le nuove disposizioni ora vigenti in tema di
formazione, aggiornamento e tirocinio dei mediatori (art. 4), nonché la
prescrizione che il regolamento dell’organismo di mediazione contenga criteri
inderogabili per l'assegnazione degli affari di mediazione predeterminati e
rispettosi della specifica competenza professionale del mediatore designato,
desunta anche dalla tipologia di laurea universitaria posseduta [art. 7, comma
5, lett. e)].
Considerazioni
tutte, queste appena elencate, che fanno escludere che il sistema in esame,
allo stato vigente, possa sostanziare il pericolo di una indebita restrizione
dell’accesso alla giustizia, ravvisabile (e ravvisato dalla Sezione con
l’ordinanza 3202/11) in occasione dell’esame delle originarie formulazioni del
d.lgs. 28/2010 e del d.m. 180/2010.
Ne consegue che,
nell’ambito della rimodulazione incisiva dell’istituto – anche mediante la
previsione dell’assistenza tecnica del difensore, la più ragionevole
regolazione del primo incontro della mediazione, finalizzata all’illustrazione
alle parti degli scopi che le sono propri e alla verifica della disponibilità
di entrambe le parti a pervenire in via generale a un accordo conciliativo, la
rimessione della proposta conciliativa a una fase eventuale e successiva,
condizionata al previo accertamento della volontà espressa in tal senso dalle
parti – le norme di cui si discute, incentrate sulla già venuta a esistenza di
una “proposta”, si qualificano come strumenti volti indirettamente a favorire,
più che il ricorso alla conciliazione, la partecipazione diligente e in buona
fede al relativo procedimento, come conseguenza dell’atto di assenso
inizialmente prestato.
E’ evidente,
infatti, che l’inveramento della fattispecie di cui si discute e le relative
conseguenze pregiudizievoli previste dalla disposizione richiedono la presenza
di una proposta conciliativa, e, quindi, ora, presuppongono che vi sia stata
l’adesione delle parti alla possibilità della risoluzione conciliativa.
La norma in
parola, pertanto, ha più che altro la finalità di sanzionare il mancato assolvimento
dell’onere di ponderare il contenuto della proposta, onere che trova esclusiva
fonte nell’assenso alla conciliazione prestato dall’onerato.
Si versa,
pertanto, in una ipotesi che, rimarcando il carattere negoziale del
procedimento di conciliazione, risulta del tutto estranea all’art. 24 Cost..
14. Le questioni
di legittimità costituzionale spiegate dai ricorrenti avverso il d. lgs. n. 28
del 2010, come modificato nelle more del giudizio dall’art. 84 del d.l. 21
giugno 2013, n. 79, convertito dalla l. 9 agosto 2013, n. 98, in riferimento
agli artt. 24 e 77 Cost. risultano, per quanto sopra, infondate.
15. Restano da
esaminare i nuovi profili di illegittimità dedotti con i mezzi aggiunti a
carico del d.m. 180/2010.
15.1. Parte
ricorrente sottolinea il sopravvenuto contrasto tra il novellato art. 17, comma
5-ter, del d.lgs. 28/2010 e la disposizione di cui all’art. 16, commi 2 e 9,
del d.m. 180/2010.
L’art. 5-ter in
parola prescrive che “Nel caso di mancato accordo all'esito del primo incontro,
nessun compenso è dovuto per l'organismo di mediazione”.
Il comma 2
dell’art. 16 del d.m. 180/2010 prevede che “Per le spese di avvio, a valere
sull'indennità complessiva, è dovuto da ciascuna parte per lo svolgimento del
primo incontro un importo di euro 40,00 per le liti di valore fino a 250.000,00
euro e di euro 80,00 per quelle di valore superiore, oltre alle spese vive
documentate che è versato dall'istante al momento del deposito della domanda di
mediazione e dalla parte chiamata alla mediazione al momento della sua adesione
al procedimento. L'importo è dovuto anche in caso di mancato accordo”.
A sua volta, il
comma 9 dello stesso art. 16 prevede che “Le spese di mediazione sono
corrisposte prima dell'inizio del primo incontro di mediazione in misura non inferiore
alla metà”.
E’ evidente che
entrambe le disposizioni regolamentari si pongono in contrasto con la gratuità
del primo incontro del procedimento di conciliazione, previsto dalla legge
laddove le parti non dichiarino la loro disponibilità ad aderire al tentativo.
La censura è
pertanto fondata e va accolta.
15.2. Parte
ricorrente sottolinea ancora il sopravvenuto contrasto tra il novellato art.
16, comma 4-bis del d.lgs. 28/2010 e la disposizione di cui all’art. 4, comma
3, lett. b), del decreto n. 180/2010.
L’art. 16, comma
4-bis, del d.lgs. 28/2010 prevede che “Gli avvocati iscritti all'albo sono di
diritto mediatori. Gli avvocati iscritti ad organismi di mediazione devono
essere adeguatamente formati in materia di mediazione e mantenere la propria
preparazione con percorsi di aggiornamento teorico-pratici a ciò finalizzati,
nel rispetto di quanto previsto dall'articolo 55-bis del codice deontologico
forense”.
L’art. 4, comma
3, lett. b) del d.m. 180/2010 prevede il “il possesso, da parte dei mediatori,
di una specifica formazione e di uno specifico aggiornamento almeno biennale,
acquisiti presso gli enti di formazione in base all'articolo 18, nonché la
partecipazione, da parte dei mediatori, nel biennio di aggiornamento e in forma
di tirocinio assistito, ad almeno venti casi di mediazione svolti presso
organismi iscritti”.
Anche tale norma
si profila palesemente in contrasto con le nuove disposizioni, nella misura in
cui è suscettibile di essere applicata in via generale, ovvero anche nei
confronti degli avvocati iscritti all'albo, che la legge dichiara mediatori di
diritto, e la cui formazione in materia di mediazione viene regolata con
precipue disposizioni.
16. In
definitiva, le doglianze di cui al ricorso e ai motivi aggiunti in esame vanno
dichiarate in parte improcedibili, e in parte accolte, nei sensi e nei limiti
di cui sopra.
L’andamento
della controversia, la complessità e la novità delle questioni trattate
giustificano l’integrale compensazione tra le parti costituite delle spese di
lite.
P.Q.M.
Il Tribunale
Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima) definitivamente
pronunciando sul ricorso di cui in epigrafe, lo dichiara in parte improcedibile
e in parte lo accoglie, nei sensi e nei limiti di cui al punto 15 della
motivazione, disponendo, per l’effetto, l’annullamento degli artt.16, commi 2 e
9, e 4, comma 3, lett. b), del decreto n. 180 del 18 ottobre 2010 e s.m.i.,
adottato dal Ministro della giustizia di concerto con il Ministro dello
sviluppo economico.
Spese
compensate.
Ordina che la
presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.