=> Corte di Giustizia, 14 giugno 2017, Causa C‑75/16
La Corte di Giustizia ha affermato che la dir. 2013/11 sulla risoluzione
alternativa delle controversie dei consumatori deve essere interpretata nel
senso che essa non osta a una normativa nazionale, come quella di cui al d.lgs. 28/2010, che prevede (nelle controversie di cui all’art. 2,
par. 1, dir. cit.) il ricorso a una procedura di mediazione come condizione di procedibilità della domanda
giudiziale, purché ciò non impedisca alle parti di esercitare il loro diritto di accesso al sistema giudiziario.
Tuttavia, la medesima direttiva deve essere interpretata nel senso che essa
osta a una normativa nazionale la quale prevede che, nell’ambito di una
mediazione siffatta, i consumatori
debbano essere assistiti da un avvocato e possano ritirarsi da una procedura di mediazione solo se dimostrano l’esistenza
di un giustificato motivo a sostegno di tale decisione (I) (II).
(I) Per la
versione aggiornata del d.lgs. 28/2010 si veda: D.lgs. 4 marzo 2010 n. 28 aggiornatoal d.l. 50/2017 conv. con mod. in l. 96/2017 - manovra correttiva 2017 (Osservatorio Mediazione Civile n. 46/2017). Per approfondimenti si veda SPINA, CODICE OPERATIVO DEI NUOVI ADR,
Pacini ed., Pisa, 2016 (Osservatorio Mediazione Civile n. 64/2016).
(II) Per
approfondimenti si veda SPINA, Risoluzione alternativa delle controversie dei consumatori e mediazione obbligatoria: no all’assistenza obbligatoria dell’avvocato e al ritiro solo per giustificato motivo, La nuova proceduracivile, 5, 2017.
(III) In
argomento si veda lo Speciale ADR per i consumatori.
Fonte: Osservatorio
Mediazione Civile n. 48/2017
Corte di Giustizia
Sentenza
14 giugno 2017
Causa C‑75/16
Omissis
1 La domanda di pronuncia pregiudiziale
verte sull’interpretazione della direttiva 2013/11/UE del Parlamento europeo e
del Consiglio, del 21 maggio 2013, sulla risoluzione alternativa delle
controversie dei consumatori, che modifica il regolamento (CE) n. 2006/2004 e
la direttiva 2009/22/CE (direttiva sull’ADR per i consumatori) (GU 2013, L 165,
pag. 63), e della direttiva 2008/52/CE del Parlamento europeo e del Consiglio,
del 21 maggio 2008, relativa a determinati aspetti della mediazione in materia
civile e commerciale (GU 2008, L 136, pag. 3).
2 Tale domanda è stata proposta
nell’ambito di una controversia che contrappone il sig. Livio Menini e la
sig.ra Maria Antonia Rampanelli al Banco Popolare Società Cooperativa,
controversia avente ad oggetto il regolamento del saldo debitore di un conto
corrente di cui il sig. Menini e la sig.ra Rampanelli sono titolari presso il
Banco popolare, a seguito di un’apertura di credito concessa loro da
quest’ultimo.
Contesto normativo
Diritto dell’Unione
Direttiva 2008/52
3 I considerando 8 e 13 della direttiva
2008/52 così recitano:
«(8) Le disposizioni della presente direttiva
dovrebbero applicarsi soltanto alla mediazione nelle controversie
transfrontaliere, ma nulla dovrebbe vietare agli Stati membri di applicare tali
disposizioni anche ai procedimenti di mediazione interni.
(…)
(13) La mediazione di cui alla presente
direttiva dovrebbe essere un procedimento di volontaria giurisdizione nel senso
che le parti gestiscono esse stesse il procedimento e possono organizzarlo come
desiderano e porvi fine in qualsiasi momento. (…)».
4 Ai sensi dell’articolo 1 di tale
direttiva:
«1. La presente direttiva ha l’obiettivo di
facilitare l’accesso alla risoluzione alternativa delle controversie e di
promuovere la composizione amichevole delle medesime incoraggiando il ricorso
alla mediazione e garantendo un’equilibrata relazione tra mediazione e
procedimento giudiziario.
2. La presente direttiva si applica, nelle
controversie transfrontaliere, in materia civile e commerciale tranne per i
diritti e gli obblighi non riconosciuti alle parti dalla pertinente legge
applicabile. Essa non si estende, in particolare, alla materia fiscale,
doganale e amministrativa né alla responsabilità dello Stato per atti o
omissioni nell’esercizio di pubblici poteri (acta iure imperii).
(...)».
5 L’articolo 2, paragrafo 1, della
suddetta direttiva dispone quanto segue:
«Ai fini della
presente direttiva per controversia transfrontaliera si intende una
controversia in cui almeno una delle parti è domiciliata o risiede abitualmente
in uno Stato membro diverso da quello di qualsiasi altra parte alla data in
cui:
a) le parti concordano di ricorrere alla
mediazione dopo il sorgere della controversia;
b) il ricorso alla mediazione è ordinato da
un organo giurisdizionale;
c) l’obbligo di ricorrere alla mediazione
sorge a norma del diritto nazionale; o
d) ai fini dell’articolo 5, un invito è
rivolto alle parti».
6 L’articolo 3, lettera a), della
medesima direttiva definisce la nozione di «mediazione» come un procedimento
strutturato, indipendentemente dalla denominazione, dove due o più parti di una
controversia tentano esse stesse, su base volontaria, di raggiungere un accordo
sulla risoluzione della medesima con l’assistenza di un mediatore. Tale
procedimento può essere avviato dalle parti, suggerito od ordinato da un organo
giurisdizionale o prescritto dal diritto di uno Stato membro.
7 L’articolo 5, paragrafo 2, della
direttiva 2008/52 così prevede:
«La presente
direttiva lascia impregiudicata la legislazione nazionale che rende il ricorso
alla mediazione obbligatorio oppure soggetto a incentivi o sanzioni, sia prima
che dopo l’inizio del procedimento giudiziario, purché tale legislazione non
impedisca alle parti di esercitare il diritto di accesso al sistema
giudiziario».
Direttiva 2013/11
8 Ai sensi dei considerando 16, 19 e 45
della direttiva 2013/11:
«(16) (...) La
presente direttiva dovrebbe applicarsi ai reclami presentati dai consumatori
nei confronti dei professionisti. Essa non dovrebbe applicarsi ai reclami
presentati dai professionisti nei riguardi di consumatori o alle controversie
tra professionisti. Tuttavia, essa non dovrebbe impedire agli Stati membri di
adottare o mantenere in vigore disposizioni relative a procedure per la risoluzione
extragiudiziale di tali controversie.
(...)
(19) Alcuni atti giuridici dell’Unione in
vigore già contengono disposizioni relative [alla risoluzione alternativa delle
controversie (ADR)]. Per garantire la certezza giuridica è opportuno prevedere che,
in caso di conflitto, prevalga la presente direttiva, salvo qualora sia
espressamente previsto altrimenti. In particolare, la presente direttiva non
dovrebbe pregiudicare la direttiva [2008/52], che definisce già un quadro di
riferimento per i sistemi di mediazione a livello di Unione per quanto concerne
le controversie transfrontaliere, senza impedire l’applicazione di tale
direttiva ai sistemi di mediazione interna. La presente direttiva è destinata a
essere applicata orizzontalmente a tutti i tipi di procedure ADR, comprese le
procedure ADR contemplate dalla direttiva [2008/52].
(...)
(45) Il diritto a un ricorso effettivo e a un
giudice imparziale sono diritti fondamentali sanciti dall’articolo 47 della
Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Pertanto, l’obiettivo delle
procedure ADR non dovrebbe essere né quello di sostituire le procedure
giudiziali né quello di privare i consumatori o i professionisti del diritto di
rivolgersi agli organi giurisdizionali. È opportuno che la presente direttiva
non contenga alcun elemento che possa impedire alle parti di esercitare il diritto
di accesso al sistema giudiziario. Nei casi in cui una controversia non possa
essere risolta secondo una determinata procedura ADR il cui esito non sia
vincolante, è auspicabile che alle parti non sia successivamente impedito di
avviare un procedimento giudiziario in relazione a tale controversia. Gli Stati
membri dovrebbero avere la possibilità di scegliere i mezzi appropriati per
conseguire tale obiettivo. Essi dovrebbero poter prevedere, tra l’altro, che i
termini di prescrizione o decadenza non vengano a scadenza durante una
procedura ADR».
9 L’articolo 1 della direttiva in parola
è così formulato:
«L’obiettivo della
presente direttiva è di contribuire, mediante il raggiungimento di un livello
elevato di protezione dei consumatori, al corretto funzionamento del mercato
interno garantendo che i consumatori possano, su base volontaria, presentare
reclamo nei confronti di professionisti dinanzi a organismi che offrono
procedure indipendenti, imparziali, trasparenti, efficaci, rapide ed eque di
[ADR]. La presente direttiva non pregiudica la legislazione nazionale che
prevede l’obbligatorietà di tali procedure, a condizione che tale legislazione
non impedisca alle parti di esercitare il loro diritto di accedere al sistema
giudiziario».
10 L’articolo 3 della suddetta direttiva
prevede quanto segue:
«1. Salvo ove la presente direttiva disponga
diversamente, in caso di conflitto tra una qualsiasi disposizione della
presente direttiva e una disposizione di un altro atto giuridico dell’Unione
riguardante le procedure extragiudiziali di ricorso avviate da un consumatore
nei confronti di un professionista, prevale la disposizione della presente
direttiva.
2. La presente direttiva si applica fatta
salva la direttiva [2008/52].
(...)».
11 L’articolo 4 della medesima direttiva è
del seguente tenore:
«1. Ai fini della presente direttiva, si
intende per:
a) “consumatore”: qualsiasi persona fisica
che agisca a fini che non rientrano nella sua attività commerciale, industriale,
artigianale o professionale;
b) “professionista”: qualsiasi persona
fisica o giuridica che, indipendentemente dal fatto che si tratti di un
soggetto privato o pubblico, agisca nel quadro della sua attività commerciale,
industriale, artigianale o professionale, anche tramite qualsiasi altra persona
che agisca in suo nome o per suo conto;
c) “contratto di vendita”: qualsiasi
contratto in base al quale il professionista trasferisce o si impegna a
trasferire la proprietà di beni al consumatore e il consumatore ne paga o si
impegna a pagarne il prezzo, inclusi i contratti che hanno come oggetto sia
beni che servizi;
d) “contratto di servizi”: qualsiasi
contratto diverso da un contratto di vendita in base al quale il professionista
fornisce o si impegna a fornire un servizio al consumatore e il consumatore ne
paga o si impegna a pagarne il prezzo;
e) “controversia nazionale”: una
controversia contrattuale derivante da un contratto di vendita o di servizi,
nell’ambito della quale il consumatore, quando ordina i beni o i servizi,
risiede nello stesso Stato membro in cui è stabilito il professionista;
f) “controversia transfrontaliera”: una
controversia contrattuale derivante da un contratto di vendita o di servizi,
nell’ambito della quale il consumatore, quando ordina i beni o i servizi,
risiede in uno Stato membro diverso da quello in cui è stabilito il
professionista;
g) “procedura ADR”: una procedura di cui
all’articolo 2 conforme ai requisiti di cui alla presente direttiva ed eseguita
da un organismo ADR;
h) “organismo ADR”: qualsiasi organismo, a
prescindere dalla sua denominazione, istituito su base permanente, che offre la
risoluzione di una controversia attraverso una procedura ADR ed è inserito in
elenco ai sensi dell’articolo 20, paragrafo 2;
i) “autorità competente”: qualsiasi autorità
pubblica designata da uno Stato membro ai fini della presente direttiva e
istituita a livello nazionale, regionale o locale.
2. Il professionista è stabilito:
– se si tratta di una persona fisica,
presso la sua sede di attività,
– se si tratta di una società o di un’altra
persona giuridica o di un’associazione di persone fisiche o giuridiche, presso
la sua sede legale, la sua amministrazione centrale o la sua sede di attività,
comprese le filiali, le agenzie o qualsiasi altra sede.
3. L’organismo ADR è stabilito:
– se è gestito da una persona fisica, nel
luogo in cui svolge le attività ADR,
– se l’organismo è gestito da una persona
giuridica o da un’associazione di persone fisiche o di persone giuridiche, nel
luogo in cui tale persona giuridica o associazione di persone fisiche o
giuridiche svolge le attività ADR o ha la sua sede legale,
– se è gestito da un’autorità o da un
altro ente pubblico, nel luogo in cui tale autorità o altro ente pubblico ha la
propria sede».
12 L’articolo 8 della direttiva 2013/11 è
redatto nei seguenti termini:
«Gli Stati membri
garantiscono che le procedure ADR siano efficaci e rispettino i seguenti
requisiti:
a) la procedura ADR è disponibile e
facilmente accessibile online e offline per entrambe le parti, a prescindere
dalla loro ubicazione;
b) le parti hanno accesso alla procedura
senza essere obbligate a ricorrere a un avvocato o consulente legale senza che
la procedura precluda alle parti il loro diritto di ricorrere al parere di un
soggetto indipendente o di essere rappresentate o assistite da terzi in
qualsiasi fase della procedura;
c) la procedura ADR è gratuita o disponibile
a costi minimi per i consumatori;
(...)».
13 Ai sensi dell’articolo 9 di tale
direttiva:
«1. Gli Stati membri garantiscono che
nell’ambito delle procedure ADR:
(...)
b) le parti siano informate del fatto che
non sono obbligate a ricorrere a un avvocato o consulente legale, ma possono
chiedere un parere indipendente o essere rappresentate o assistite da terzi in
qualsiasi fase della procedura;
(...)
2. Nell’ambito delle procedure ADR
volte a risolvere la controversia proponendo una soluzione, gli Stati membri
garantiscono che:
a) le parti abbiano la possibilità di
ritirarsi dalla procedura in qualsiasi momento se non sono soddisfatte delle
prestazioni o del funzionamento della procedura. Le parti sono informate di
tale diritto prima dell’avvio della procedura. Nel caso in cui le norme
nazionali prevedano la partecipazione obbligatoria del professionista alle
procedure ADR, la presente lettera si applica esclusivamente ai consumatori;
(...)
3. Qualora, conformemente al diritto
nazionale, le procedure ADR prevedano che il loro esito diventi vincolante per
il professionista una volta che il consumatore abbia accettato la soluzione
proposta, l’articolo 9, paragrafo 2 deve leggersi come applicabile solo al
consumatore».
14 L’articolo 12 della medesima direttiva
così dispone:
«1. Gli Stati membri provvedono affinché alle
parti che, nel tentativo di dirimere una controversia, ricorrono a procedure
ADR il cui esito non sia vincolante, non sia successivamente impedito di
avviare un procedimento giudiziario in relazione a tale controversia in ragione
della scadenza dei termini di prescrizione o decadenza nel corso della
procedura ADR.
2. Il paragrafo 1 lascia impregiudicate le
disposizioni relative alla prescrizione o alla decadenza contenute negli
accordi internazionali di cui gli Stati membri sono parte».
Diritto italiano
15 L’articolo 4, comma 3, del decreto
legislativo del 4 marzo 2010, n. 28, recante attuazione dell’articolo 60 della
legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla
conciliazione delle controversie civili e commerciali (GURI n. 53 del 5 marzo
2010, pag. 1; in prosieguo: il «decreto legislativo n. 28/2010»), che
garantisce il recepimento della direttiva 2008/52 nell’ordinamento italiano,
nella sua versione applicabile ratione temporis prevede quanto segue:
«All’atto del
conferimento dell’incarico, l’avvocato è tenuto a informare l’assistito della
possibilità di avvalersi del procedimento di mediazione disciplinato dal
presente decreto e delle agevolazioni fiscali di cui agli articoli 17 e 20.
L’avvocato informa altresì l’assistito dei casi in cui l’esperimento del
procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda
giudiziale. L’informazione deve essere fornita chiaramente e per iscritto. In
caso di violazione degli obblighi di informazione, il contratto tra l’avvocato
e l’assistito è annullabile. (...)».
16 L’articolo 5 del decreto legislativo n.
28/2010 dispone quanto segue:
«(...)
1-bis. Chi intende
esercitare in giudizio un’azione relativa a una controversia in materia di
(...) contratti assicurativi, bancari e finanziari, è tenuto, assistito
dall’avvocato, preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione ai
sensi del presente decreto ovvero il procedimento di conciliazione previsto dal
decreto legislativo 8 ottobre 2007, n. 179, ovvero il procedimento istituito in
attuazione dell’articolo 128-bis del testo unico delle leggi in materia
bancaria e creditizia di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385,
e successive modificazioni, per le materie ivi regolate. L’esperimento del
procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda
giudiziale. (...)
(...)
2-bis. Quando l’esperimento del procedimento di
mediazione costituisce condizione di procedibilità della domanda giudiziale la
condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si
conclude senza l’accordo.
(...)
4. I commi 1-bis e 2 non si applicano:
a) nei procedimenti per ingiunzione, inclusa
l’opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione
della provvisoria esecuzione;
(...)».
17 L’articolo 8 del suddetto decreto
legislativo è così formulato:
«1. All’atto della presentazione della
domanda di mediazione, il responsabile dell’organismo designa un mediatore e
fissa il primo incontro tra le parti non oltre trenta giorni dal deposito della
domanda. La domanda e la data del primo incontro sono comunicate all’altra
parte con ogni mezzo idoneo ad assicurarne la ricezione, anche a cura della
parte istante. Al primo incontro e agli incontri successivi, fino al termine
della procedura, le parti devono partecipare con l’assistenza dell’avvocato.
(...)
(...)
4-bis. Dalla
mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione
il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi
dell’articolo 116, secondo comma, del codice di procedura civile. Il giudice
condanna la parte costituita che, nei casi previsti dall’articolo 5, non ha
partecipato al procedimento senza giustificato motivo, al versamento
all’entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al
contributo unificato dovuto per il giudizio.
(...)».
18 Il decreto legislativo del 6 agosto 2015,
n. 130, recante attuazione della direttiva 2013/11/UE sulla risoluzione
alternativa delle controversie dei consumatori, che modifica il regolamento
(CE) n. 2006/2004 e la direttiva 2009/22/CE (direttiva sull’ADR per i
consumatori) (GURI n. 191 del 19 agosto 2015; in prosieguo: il «decreto
legislativo n. 130/2015»), ha inserito, nel decreto legislativo del 6 settembre
2005, n. 206, recante Codice del consumo (GURI n. 235 dell’8 ottobre 2005; in prosieguo:
il «codice del consumo»), un titolo II-bis rubricato «Risoluzione
extragiudiziale delle controversie». L’articolo 141 di tale codice, come
modificato dal decreto legislativo n. 130/2015, che figura all’interno di
questo nuovo titolo, prevede quanto segue:
«(...)
4. Le disposizioni di cui al presente
titolo, si applicano alle procedure volontarie di composizione extragiudiziale
per la risoluzione, anche in via telematica, delle controversie nazionali e
transfrontaliere, tra consumatori e professionisti residenti e stabiliti
nell’Unione europea, nell’ambito delle quali l’organismo ADR propone una
soluzione o riunisce le parti al fine di agevolare una soluzione amichevole e,
in particolare, agli organismi di mediazione per la trattazione degli affari in
materia di consumo iscritti nella sezione speciale di cui all’articolo 16,
commi 2 e 4, del decreto legislativo [n. 28/2010], e agli altri organismi ADR
istituiti o iscritti presso gli elenchi tenuti e vigilati dalle autorità di cui
al comma 1, lettera i), previa la verifica della sussistenza dei requisiti e
della conformità della propria organizzazione e delle proprie procedure alle
prescrizioni del presente titolo. (...)
(...)
6. Sono fatte salve le seguenti disposizioni
che prevedono l’obbligatorietà delle procedure di risoluzione extragiudiziale
delle controversie:
a) articolo 5, comma 1-bis, del decreto
legislativo [n. 28/2010], che disciplina i casi di condizione di procedibilità
con riferimento alla mediazione finalizzata alla conciliazione delle
controversie civili e commerciali;
(...)».
Procedimento principale e questioni
pregiudiziali
19 Il Banco Popolare ha concesso al sig.
Menini e alla sig.ra Rampanelli aperture di credito in conto corrente sulla
base di tre contratti successivi al fine di consentire loro l’acquisto di
azioni, tra cui quelle emesse dal Banco Popolare stesso o da altre società al
medesimo appartenenti.
20 Il 15 giugno 2015 il Banco Popolare ha
ottenuto un decreto ingiuntivo nei confronti del sig. Menini e della sig.ra
Rampanelli, per un importo di EUR 991 848,21, corrispondente al saldo che, a
suo avviso, gli era ancora dovuto sulla base di un contratto firmato il 16
luglio 2009 per l’apertura di un conto corrente con garanzia ipotecaria. Il sig.
Menini e la sig.ra Rampanelli hanno proposto opposizione a tale decreto,
chiedendo la sospensione della provvisoria esecuzione del medesimo.
21 Il Tribunale Ordinario di Verona
(Italia), giudice del rinvio, rileva che, ai sensi del diritto nazionale,
condizione di procedibilità di una simile opposizione è il previo esperimento
ad opera delle parti di una procedura di mediazione, in applicazione
dell’articolo 5, commi 1-bis e 4, del decreto legislativo n. 28/2010. Esso
rileva altresì che la controversia al suo esame rientra nell’ambito di
applicazione del codice del consumo, come modificato dal decreto legislativo n.
130/2015, che ha recepito la direttiva 2013/11 nell’ordinamento italiano.
Infatti, il sig. Menini e la sig.ra Rampanelli dovrebbero essere considerati
«consumatori», ai sensi dell’articolo 4, lettera a), di tale direttiva, i quali
hanno stipulato contratti qualificabili come «contratti di servizi» a norma
dell’articolo 4, lettera d), della medesima direttiva.
22 Secondo il giudice del rinvio, non vi è
chiarezza sul fatto che l’espresso rinvio della direttiva 2013/11 alla
direttiva 2008/52 implichi che la prima di queste direttive abbia inteso
riservare agli Stati membri la facoltà di prevedere il ricorso obbligatorio a
una procedura di mediazione anziché alla procedura di ADR contemplata dalla
direttiva 2013/11 in materia di controversie riguardanti i consumatori.
Infatti, l’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva 2008/52, laddove consente
agli Stati membri di prevedere la mediazione come condizione di procedibilità
delle procedure giudiziali, non avrebbe carattere precettivo, lasciando tale
scelta alla discrezionalità degli Stati membri.
23 Ciò premesso, il giudice nazionale
ritiene che le disposizioni di diritto italiano in materia di mediazione
obbligatoria siano in contrasto con la direttiva 2013/11. Infatti, quest’ultima
istituirebbe un sistema unitario, esclusivo e armonizzato per le controversie
riguardanti i consumatori, che vincolerebbe gli Stati membri al conseguimento
dell’obiettivo da essa perseguito. Tale direttiva dovrebbe quindi applicarsi
anche ai procedimenti previsti dalla direttiva 2008/52.
24 Il giudice del rinvio sottolinea anche il
fatto che l’articolo 9 della direttiva 2013/11 lascia alle parti la scelta non
solo di partecipare o meno alla procedura ADR, ma anche di ritirarsi in
qualsiasi momento dalla stessa, ragion per cui il ricorso obbligatorio alla mediazione,
previsto dal diritto nazionale, porrebbe il consumatore in una posizione più
sfavorevole di quella in cui si troverebbe se un simile ricorso avesse mero
carattere facoltativo.
25 Infine, secondo il giudice del rinvio, la
procedura di mediazione obbligatoria prevista dal diritto nazionale non è
conforme all’articolo 9, paragrafo 2, della direttiva 2013/11, in quanto, nel
procedimento nazionale, le parti non possono ritirarsi dalla procedura di
mediazione in ogni momento, e senza conseguenze di sorta, se non sono
soddisfatte delle prestazioni o del funzionamento della procedura. Esse
potrebbero farlo solamente in presenza di un giustificato motivo, a pena di
esporsi a una sanzione pecuniaria che il giudice è tenuto a infliggere
quand’anche la parte che abbia così rinunciato alla procedura di mediazione
risulti vittoriosa al termine del procedimento giudiziario.
26 In tale contesto, il Tribunale Ordinario
di Verona ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le
seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se 1’articolo 3, paragrafo 2, della
direttiva 2013/11, nella parte in cui prevede che la medesima direttiva si
applichi “fatta salva la direttiva 2008/52”, vada inteso nel senso che fa salva
la possibilità per i singoli Stati membri di prevedere la mediazione
obbligatoria per le sole ipotesi che non ricadono nell’ambito di applicazione
della direttiva 2013/11, vale a dire le ipotesi di cui all’articolo 2,
paragrafo 2 della direttiva 2013/11, le controversie contrattuali derivanti da
contratti diversi da quelli di vendita o di servizi oltre quelle che non
riguardino consumatori.
2) Se l’articolo 1 (...) della direttiva
2013/11, nella parte in cui assicura ai consumatori la possibilità di
presentare reclamo nei confronti dei professionisti dinanzi ad appositi
organismi di risoluzione alternativa delle controversie, vada interpretato nel
senso che tale norma osta ad una norma nazionale che prevede il ricorso alla
mediazione, in una delle controversie di cui all’articolo 2, paragrafo 1 della
direttiva 2013/11, quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale
della parte qualificabile come consumatore, e, in ogni caso, ad una norma
nazionale che preveda l’assistenza difensiva obbligatoria, ed i relativi costi,
per il consumatore che partecipi alla mediazione relativa ad una delle predette
controversie, nonché la possibilità di non partecipare alla mediazione se non
in presenza di un giustificato motivo».
Sulle questioni pregiudiziali
Sulla ricevibilità della domanda di pronuncia
pregiudiziale
27 I governi italiano e tedesco mettono in
discussione la ricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale, in quanto
la direttiva 2013/11 non sarebbe applicabile alla controversia principale. Il
governo italiano afferma che tale controversia si innesta in un procedimento
per ingiunzione di pagamento promosso da un professionista nei confronti di un
consumatore e, a questo titolo, è escluso dall’ambito di applicazione della
direttiva 2013/11. Quanto al governo tedesco, esso considera che il giudice del
rinvio non precisa se la procedura di mediazione istituita dal decreto
legislativo n. 28/2010 configuri una «procedura ADR» dinanzi a un «organismo
ADR» secondo le definizioni fornite dalla direttiva 2013/11, unica ipotesi in
cui tale direttiva sarebbe applicabile.
28 Secondo costante giurisprudenza della
Corte, il rigetto da parte di quest’ultima di una domanda proposta da un
giudice nazionale è possibile solo quando appaia in modo manifesto che
l’interpretazione del diritto dell’Unione richiesta da tale giudice non ha
alcuna relazione con l’effettività o con l’oggetto del procedimento principale,
qualora il problema sia di natura ipotetica oppure, ancora, quando la Corte non
disponga degli elementi di fatto o di diritto necessari per fornire una
soluzione utile alle questioni che le vengono sottoposte (sentenza del 14 marzo
2013, Allianz Hungária Biztosító e a., C‑32/11, EU:C:2013:160, punto 26 e
giurisprudenza ivi citata).
29 Nella fattispecie, risulta tuttavia che
la questione dell’applicabilità della direttiva 2013/11 alla controversia
principale è indissolubilmente collegata alle risposte che devono essere
fornite alla domanda di pronuncia pregiudiziale in esame. Alla luce di tali
considerazioni, la Corte è competente a rispondere a tale domanda (v., per
analogia, sentenza del 7 marzo 2017, X e X, C‑638/16 PPU, EU:C:2017:173, punto 37 e
giurisprudenza ivi citata).
Sulla prima questione
30 Con la sua prima questione, il giudice
del rinvio domanda, in sostanza, se l’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva
2013/11, nella parte in cui dispone che tale direttiva si applichi «fatta
salva» la direttiva 2008/52, debba essere interpretato nel senso che esso osta
a una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, che
prevede una procedura di mediazione obbligatoria nelle controversie indicate
all’articolo 2, paragrafo 1, della direttiva 2013/11.
31 Si deve ricordare che l’articolo 1,
paragrafo 1, della direttiva 2008/52 enuncia che essa ha l’obiettivo di
facilitare l’accesso alla risoluzione alternativa delle controversie e di
promuovere la composizione amichevole delle medesime incoraggiando il ricorso
alla mediazione. Il successivo paragrafo 2 sottolinea che tale direttiva si applica
alle controversie transfrontaliere in materia civile e commerciale, ossia,
conformemente al suo articolo 2, alle controversie in cui almeno una delle
parti è domiciliata o risiede abitualmente in uno Stato membro diverso da
quello di qualsiasi altra parte.
32 Orbene, nella fattispecie, è pacifico che
la controversia principale non integra una controversia transfrontaliera
siffatta.
33 È pur vero che, come enunciato dal
considerando 8 della direttiva 2008/52, nulla vieta agli Stati membri di
applicare tale direttiva ai procedimenti di mediazione interni, facoltà di cui,
come emerge dalla domanda di pronuncia pregiudiziale, il legislatore italiano
si è avvalso. Nello stesso senso, il considerando 19 della direttiva 2013/11
ricorda che la direttiva 2008/52 definisce un quadro di riferimento per i
sistemi di mediazione a livello di Unione per quanto concerne le controversie
transfrontaliere, senza impedire l’applicazione di tale direttiva ai sistemi di
mediazione interna.
34 Tuttavia, come rilevato dall’avvocato
generale al paragrafo 60 delle conclusioni, la scelta del legislatore italiano
di estendere l’applicazione del decreto legislativo n. 28/2010 alle
controversie nazionali non può avere l’effetto di ampliare l’ambito di
applicazione della direttiva 2008/52, come definito all’articolo 1, paragrafo
2, della stessa.
35 Ne consegue che, poiché la direttiva
2008/52 non è applicabile a una controversia come quella principale, non è
necessario, nella presente causa, pronunciarsi sulla questione dei rapporti tra
tale direttiva e la direttiva 2013/11. Quanto al punto se quest’ultima
direttiva osti a una normativa nazionale come quella di cui al procedimento
principale, esso è precisamente oggetto della seconda questione sollevata dal
giudice del rinvio e deve, pertanto, essere esaminato in tale contesto.
36 Alla luce delle suesposte considerazioni,
non occorre rispondere alla prima questione.
Sulla seconda questione
37 Con la sua seconda questione, il giudice
del rinvio domanda, in sostanza, se la direttiva 2013/11 debba essere
interpretata nel senso che essa osta a una normativa nazionale, come quella di
cui al procedimento principale, la quale prevede, in primo luogo, il ricorso
obbligatorio a una procedura di mediazione, nelle controversie indicate
all’articolo 2, paragrafo 1, di tale direttiva, come condizione di
procedibilità della domanda giudiziale relativa a queste medesime controversie,
in secondo luogo, che, nell’ambito di una mediazione siffatta, i consumatori
debbano essere assistiti da un avvocato e, in terzo luogo, che i consumatori
possano sottrarsi a un previo ricorso alla mediazione solo se dimostrano
l’esistenza di un giustificato motivo a sostegno di tale decisione.
38 Per rispondere a tale questione, occorre
esaminare, in limine, se la direttiva 2013/11 possa applicarsi a una normativa
come quella di cui al procedimento principale.
39 A tale riguardo occorre rilevare che,
conformemente al suo articolo 1, la direttiva 2013/11 è volta a dare ai
consumatori la possibilità di presentare, su base volontaria, reclamo nei
confronti di professionisti attraverso procedure ADR.
40 La direttiva 2013/11 si applica non a
tutte le controversie che coinvolgono consumatori, ma solo alle procedure che
soddisfano i seguenti presupposti cumulativi: in primo luogo, la procedura deve
essere stata promossa da un consumatore nei confronti di un professionista con
riferimento a obbligazioni contrattuali derivanti da contratti di vendita o di
servizi, in secondo luogo, conformemente all’articolo 4, paragrafo 1, lettera
g), della direttiva 2013/11, tale procedura deve soddisfare i requisiti
previsti dalla suddetta direttiva – e in particolare, sotto tale profilo,
essere indipendente, imparziale, trasparente, efficace, rapida ed equa – e, in
terzo luogo, detta procedura deve essere affidata a un organismo ADR, ossia,
conformemente all’articolo 4, paragrafo 1, lettera h), della medesima
direttiva, a un organismo, a prescindere dalla sua denominazione, istituito su
base permanente, che offre la risoluzione di una controversia attraverso una
procedura ADR ed è inserito in elenco ai sensi dell’articolo 20, paragrafo 2,
della direttiva 2013/11, elenco notificato alla Commissione europea.
41 Per determinare se la direttiva 2013/11
sia applicabile a una procedura ADR come quella discussa nel procedimento
principale, occorre verificare la sussistenza dei suddetti presupposti.
42 Quanto al primo presupposto, la questione
se una procedura ADR, come quella discussa nel procedimento principale, si
debba considerare promossa non da un professionista, ma da un consumatore,
ricade nella sfera di valutazione del giudice nazionale e in quella di
applicazione del diritto interno di ciascuno Stato membro. Di conseguenza, con
riferimento al procedimento principale, spetta al giudice del rinvio valutare
se l’opposizione a un decreto ingiuntivo nonché la domanda di sospensione della
provvisoria esecuzione del medesimo configurino un reclamo presentato da un
consumatore, avente carattere autonomo rispetto al procedimento di ingiunzione
promosso da un professionista del settore creditizio, come quello di cui al
procedimento principale.
43 Quanto al secondo e al terzo presupposto,
la domanda di pronuncia pregiudiziale non precisa se la procedura di mediazione
prevista dalla normativa italiana si svolga dinanzi a un organismo ADR, ai
sensi della direttiva 2013/11. Anche sotto tale profilo, spetta al giudice del
rinvio valutare se l’organismo previsto all’articolo 141, comma 4, del codice
del consumo, come modificato dal decreto legislativo n. 130/2015, sia un
organismo ADR, che soddisfa i requisiti imposti dalla direttiva 2013/11, dal
momento che ciò costituisce un presupposto per la sua applicazione.
44 Ne consegue che la direttiva 2013/11,
fatte salve le verifiche da compiersi a cura del giudice del rinvio, può
trovare applicazione a una normativa come quella discussa nel procedimento
principale.
45 Per quanto riguarda i tre elementi
contenuti nella questione sollevata dal giudice del rinvio e, in primo luogo,
quanto al requisito di una procedura di mediazione come condizione di
procedibilità di un’azione giudiziaria riguardante la controversia oggetto di
tale procedura, requisito previsto all’articolo 5, paragrafo 1-bis, del decreto
legislativo n. 28/2010, è pur vero che l’articolo 1, prima frase, della
direttiva 2013/11 prevede la facoltà per i consumatori di presentare «su base
volontaria» reclamo nei confronti dei professionisti dinanzi a organismi ADR.
46 A questo proposito il giudice del rinvio
si domanda se, sulla base di un’interpretazione letterale di detto articolo 1,
prima frase, gli Stati membri siano autorizzati a mantenere un simile ricorso
preventivo e obbligatorio alla mediazione per le sole tipologie di controversie
che non rientrano nell’ambito di applicazione di tale direttiva.
47 Tuttavia, secondo costante giurisprudenza
della Corte, ai fini dell’interpretazione delle disposizioni di diritto
dell’Unione si deve tener conto non soltanto del loro tenore letterale, ma
anche del loro contesto e degli scopi perseguiti dalla normativa di cui esse
fanno parte (sentenza del 15 ottobre 2014, Hoštická e a., C‑561/13,
EU:C:2014:2287, punto 29).
48 A tale riguardo, anche se l’articolo 1,
prima frase, della direttiva 2013/11 utilizza l’espressione «su base
volontaria», si deve rilevare che la seconda frase di detto articolo prevede
espressamente la possibilità, per gli Stati membri, di rendere obbligatoria la
partecipazione alle procedure ADR, a condizione che una tale legislazione non
impedisca alle parti di esercitare il loro diritto di accedere al sistema
giudiziario.
49 Tale interpretazione è corroborata
dall’articolo 3, lettera a), della direttiva 2008/52, che definisce la mediazione
come un procedimento strutturato, indipendentemente dalla denominazione, dove
due o più parti di una controversia tentano esse stesse, su base volontaria, di
raggiungere un accordo sulla risoluzione della medesima. Infatti, tale
procedimento può essere avviato dalle parti oppure suggerito od ordinato da un
organo giurisdizionale, ma anche prescritto dal diritto di uno Stato membro.
Inoltre, conformemente all’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva 2008/52,
quest’ultima lascia impregiudicata la legislazione nazionale che rende il
ricorso alla mediazione obbligatorio, purché tale legislazione non impedisca
alle parti di esercitare il diritto di accesso al sistema giudiziario.
50 Come emerge dal considerando 13 della
direttiva 2008/52, il carattere volontario della mediazione consiste, pertanto,
non già nella libertà delle parti di ricorrere o meno a tale procedimento,
bensì nel fatto che «le parti gestiscono esse stesse il procedimento e possono
organizzarlo come desiderano e porvi fine in qualsiasi momento».
51 Assume quindi rilevanza non il carattere
obbligatorio o facoltativo del sistema di mediazione, ma il fatto che il
diritto di accesso delle parti al sistema giudiziario sia preservato. A tal
fine, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 75 delle conclusioni,
gli Stati membri conservano la loro piena autonomia legislativa, a condizione
che sia rispettato l’effetto utile della direttiva 2013/11.
52 Pertanto, il fatto che una normativa
nazionale come quella di cui trattasi nel procedimento principale abbia non
solo introdotto una procedura di mediazione extragiudiziale, ma abbia, in
aggiunta, reso obbligatorio il ricorso a quest’ultima prima di adire un organo
giurisdizionale non è tale da pregiudicare la realizzazione dell’obiettivo
della direttiva 2013/11 (v., per analogia, sentenza del 18 marzo 2010, Alassini
e a., da C‑317/08
a C‑320/08,
EU:C:2010:146, punto 45).
53 Indubbiamente, è evidente che,
condizionando la procedibilità delle domande giudiziali presentate nelle
materie previste all’articolo 5, paragrafo 1-bis, del decreto legislativo n.
28/2010 all’esperimento di un tentativo di mediazione obbligatoria, la
normativa nazionale di cui al procedimento principale introduce una tappa
aggiuntiva da superare prima di poter accedere al giudice. Tale condizione
potrebbe incidere sul principio della tutela giurisdizionale effettiva (v., in
tal senso, sentenza del 18 marzo 2010, Alassini e a., da C‑317/08 a C‑320/08,
EU:C:2010:146, punto 62).
54 Tuttavia, secondo costante giurisprudenza
della Corte, i diritti fondamentali non si configurano come prerogative
assolute, ma possono soggiacere a restrizioni, a condizione che queste
rispondano effettivamente a obiettivi di interesse generale perseguiti dalla
misura di cui trattasi e non costituiscano, rispetto allo scopo perseguito, un
intervento sproporzionato e inaccettabile, tale da ledere la sostanza stessa
dei diritti così garantiti (sentenza del 18 marzo 2010, Alassini e a., da C‑317/08 a C‑320/08,
EU:C:2010:146, punto 63 e giurisprudenza ivi citata).
55 Come rilevato dall’avvocato generale al
paragrafo 81 delle conclusioni, sebbene la sentenza del 18 marzo 2010, Alassini
e a. (da C‑317/08
a C‑320/08,
EU:C:2010:146), riguardi una procedura di conciliazione, il ragionamento
seguito dalla Corte nell’ambito di quella sentenza è trasponibile a normative
nazionali che rendano obbligatorio il ricorso ad altre procedure
extragiudiziali, quali la procedura di mediazione discussa nel procedimento
principale.
56 Ciò rilevato, come enunciato, in
sostanza, dal considerando 45 della direttiva 2013/11, gli Stati membri sono
liberi di scegliere i mezzi che giudicano appropriati per far sì che l’accesso
al sistema giudiziario non sia ostacolato, fermo restando che, da un lato, il
fatto che l’esito della procedura ADR non sia vincolante per le parti e,
dall’altro, il fatto che i termini di prescrizione o decadenza non scadano
durante una procedura siffatta costituiscono due mezzi che, tra gli altri,
sarebbero adeguati per conseguire tale obiettivo.
57 Per quanto riguarda il carattere
vincolante dell’esito della procedura ADR, l’articolo 9, paragrafo 2, lettera
a), della direttiva 2013/11 impone agli Stati membri di garantire che,
nell’ambito di tale procedura, le parti abbiano la possibilità di ritirarsi
dalla stessa in qualsiasi momento se non sono soddisfatte delle sue prestazioni
o del suo funzionamento. Inoltre, conformemente all’articolo 9, paragrafo 2,
lettera b), di tale direttiva, al termine della procedura ADR, viene solamente
proposta una soluzione alle parti, e queste sono libere di accettare o seguire
la soluzione proposta o meno.
58 Anche se l’articolo 9, paragrafo 3, della
direttiva 2013/11 sancisce la possibilità per le normative nazionali di
prevedere che l’esito delle procedure ADR sia vincolante per i professionisti,
una simile possibilità richiede che il consumatore abbia precedentemente
accettato la soluzione proposta.
59 Quanto ai termini di prescrizione o
decadenza, l’articolo 12 della direttiva 2013/11 dispone che gli Stati membri
provvedano affinché alle parti che ricorrono a una procedura ADR nel tentativo
di dirimere una controversia non sia impedito di avviare un procedimento
giudiziario in ragione della scadenza dei termini di prescrizione o decadenza
nel corso di tale procedura.
60 Peraltro, a termini dell’articolo 8,
lettera a), della direttiva 2013/11, la procedura ADR dev’essere accessibile
online o offline per entrambe le parti, a prescindere dalla loro ubicazione.
61 Il requisito di una procedura di
mediazione come condizione di procedibilità di un ricorso giurisdizionale può
quindi rivelarsi compatibile con il principio della tutela giurisdizionale
effettiva qualora tale procedura non conduca a una decisione vincolante per le
parti, non comporti un ritardo sostanziale per la proposizione di un ricorso
giurisdizionale, sospenda la prescrizione o la decadenza dei diritti in
questione e non generi costi, ovvero generi costi non ingenti, per le parti, a
patto però che la via elettronica non costituisca l’unica modalità di accesso a
detta procedura di conciliazione e che sia possibile disporre provvedimenti
provvisori nei casi eccezionali in cui l’urgenza della situazione lo impone
(v., in tal senso, sentenza del 18 marzo 2010, Alassini e a., da C‑317/08 a C‑320/08,
EU:C:2010:146, punto 67).
62 Spetta quindi al giudice del rinvio
verificare se la normativa nazionale discussa nel procedimento principale, in
particolare l’articolo 5 del decreto legislativo n. 28/2010 nonché l’articolo
141 del codice del consumo, come modificato dal decreto legislativo n.
130/2015, non impedisca alle parti di esercitare il loro diritto di accesso al
sistema giudiziario, come richiesto dall’articolo 1 della direttiva 2013/11, in
quanto risponde ai requisiti indicati al punto precedente.
63 Qualora tale esigenza sia rispettata, il
requisito di una procedura di mediazione come condizione di procedibilità di un
ricorso giurisdizionale sarebbe infatti compatibile con l’articolo 1 della
direttiva 2013/11.
64 In secondo luogo, quanto all’obbligo, per
il consumatore, di essere assistito da un avvocato per promuovere una procedura
di mediazione, la risposta a tale questione emerge dalla formulazione
dell’articolo 8, lettera b), della direttiva 2013/11. Tale articolo, infatti,
relativo all’efficacia della procedura, stabilisce che gli Stati membri
garantiscono che le parti abbiano accesso alla procedura ADR senza essere
obbligate a ricorrere a un avvocato o a un consulente legale. Inoltre,
l’articolo 9, paragrafo 1, lettera b), della suddetta direttiva dispone che le
parti siano informate del fatto che non sono obbligate a ricorrere a un
avvocato o a un consulente legale.
65 Pertanto, una normativa nazionale non può
imporre al consumatore che prende parte a una procedura ADR di essere assistito
obbligatoriamente da un avvocato.
66 Infine, in terzo luogo, quanto alla
questione della necessità di interpretare la direttiva 2013/11 nel senso che
esso osta a una disposizione di diritto nazionale secondo la quale i
consumatori possono ritirarsi da una procedura di mediazione nel solo caso in
cui dimostrino l’esistenza di un giustificato motivo a sostegno di tale
decisione, a pena di sanzioni nell’ambito del successivo procedimento
giudiziario, si deve ritenere che una limitazione siffatta sia tale da
restringere il diritto di accesso delle parti al sistema giudiziario,
contrariamente all’obiettivo perseguito dalla direttiva 2013/11, richiamato al
suo articolo 1. Infatti, l’eventuale ritiro del consumatore dalla procedura ADR
non deve avere conseguenze sfavorevoli nei suoi confronti nell’ambito del
ricorso giurisdizionale relativo alla controversia che è stata, o avrebbe
dovuto essere, oggetto di tale procedura.
67 Quest’ultima considerazione è corroborata
dalla formulazione dell’articolo 9, paragrafo 2, lettera a), della direttiva
2013/11, il quale, con riferimento alle procedure ADR volte a risolvere la
controversia proponendo una soluzione, impone agli Stati membri di garantire
che le parti abbiano la possibilità di ritirarsi dalla procedura in qualsiasi
momento se non sono soddisfatte delle prestazioni o del funzionamento della
procedura.
68 Questa stessa disposizione precisa
altresì che, nel caso in cui la normativa nazionale preveda la partecipazione
obbligatoria del professionista alle procedure ADR, il consumatore, e solamente
lui, deve sempre beneficiare di tale diritto di ritirarsi.
69 Di conseguenza, la direttiva 2013/11
dev’essere interpretata nel senso che essa osta a una normativa nazionale che
limita il diritto dei consumatori di ritirarsi dalla procedura di mediazione al
solo caso in cui dimostrino l’esistenza di un giustificato motivo a sostegno di
tale decisione.
70 Ciò constatato, occorre rilevare che,
durante l’udienza, il governo italiano ha dichiarato che l’imposizione di
un’ammenda da parte del giudice in un successivo procedimento è prevista
soltanto in caso di mancata partecipazione senza giustificato motivo alla
procedura di mediazione, e non in caso di ritiro dalla medesima. Se così è,
circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare, la direttiva 2013/11
non osta a una normativa nazionale che consente al consumatore di rifiutare di
partecipare a una previa procedura di mediazione solamente per un giustificato
motivo, purché egli possa porvi fine senza restrizioni successivamente al primo
incontro col mediatore.
71 Alla luce delle suesposte considerazioni,
occorre rispondere alla seconda questione dichiarando che:
– la direttiva 2013/11 dev’essere
interpretata nel senso che essa non osta a una normativa nazionale, come quella
di cui al procedimento principale, che prevede il ricorso a una procedura di
mediazione, nelle controversie indicate all’articolo 2, paragrafo 1, di tale
direttiva, come condizione di procedibilità della domanda giudiziale relativa a
queste medesime controversie, purché un requisito siffatto non impedisca alle
parti di esercitare il loro diritto di accesso al sistema giudiziario;
– la medesima direttiva dev’essere invece
interpretata nel senso che essa osta a una normativa nazionale, come quella di
cui al procedimento principale, la quale prevede che, nell’ambito di una
mediazione siffatta, i consumatori debbano essere assistiti da un avvocato e
possano ritirarsi da una procedura di mediazione solo se dimostrano l’esistenza
di un giustificato motivo a sostegno di tale decisione.
Sulle spese
72 Nei confronti delle parti nel
procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato
dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese
sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono
dar luogo a rifusione.
Per questi motivi,
la Corte (Prima Sezione) dichiara:
La direttiva
2013/11/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2013, sulla
risoluzione alternativa delle controversie dei consumatori, che modifica il
regolamento (CE) n. 2006/2004 e la direttiva 2009/22/CE (direttiva sull’ADR per
i consumatori), dev’essere interpretata nel senso che essa non osta a una
normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, che prevede
il ricorso a una procedura di mediazione, nelle controversie indicate
all’articolo 2, paragrafo 1, di tale direttiva, come condizione di
procedibilità della domanda giudiziale relativa a queste medesime controversie,
purché un requisito siffatto non impedisca alle parti di esercitare il loro
diritto di accesso al sistema giudiziario.
La medesima
direttiva dev’essere invece interpretata nel senso che essa osta a una
normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, la quale
prevede che, nell’ambito di una mediazione siffatta, i consumatori debbano
essere assistiti da un avvocato e possano ritirarsi da una procedura di
mediazione solo se dimostrano l’esistenza di un giustificato motivo a sostegno
di tale decisione.