Di seguito, estratto, relativo ad ADR e mediazione civile, della Relazione sull’amministrazione della giustizia nell’anno 2024 della Prima Presidente della Corte di Margherita CASSANO in occasione dell’Inaugurazione anno giudiziario 2025, Roma, 24 gennaio 2024 (così come pubblicata integralmente sul portale ufficiale della suprema Corte di cassazione).
Per approfondimenti è possibile consultare il FOCUS TEMATICO curato dall’Osservatorio Nazionale sulla Mediazione Civile Speciale: MEDIAZIONE E INAUGURAZIONE ANNO GIUDIZIARIO (monitoraggio dall’anno 2013).
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3. Gli strumenti alternativi di risoluzione delle controversie
La teoria classica dello Stato di diritto, che si regge sull’affermazione dei principi di eguaglianza dei cittadini e di divisione dei poteri, riserva agli organi della giurisdizione, precostituiti, indipendenti, imparziali e aperti all’accesso di tutti, il compito di interpretare ed applicare le leggi e di risolvere le liti tra privati o tra la pubblica Amministrazione e un privato con le dovute procedure e con esiti vincolanti.
Se l’Amministrazione, in forza della soggezione al principio di legalità, è parimenti tenuta a dare concreta applicazione alla legge, ciò essa fa essenzialmente avvalendosi dei suoi poteri autoritativi, sicché è alla giurisdizione che si rivolgono le aspettative di tutela delle libertà e dei diritti dei soggetti dell’ordinamento, a conferma della giuridicità dello stesso.
La centralità costituzionale del diritto di azione e di difesa in giudizio, della sottoposizione del giudice soltanto alla legge, dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura e della nomina dei magistrati per concorso è alla base della connotazione eminentemente pubblica della funzione di tutela dei diritti e di risoluzione delle controversie.
La salvaguardia dei diritti, nel disegno della Carta costituzionale, è, quindi, riservata alla specialità della iurisdictio, potere attribuito a soggetti la cui selezione e la cui carriera sono disciplinate dalla legge sulla base di specifici requisiti professionali di competenza giuridica.
Il conferimento della funzione di esercizio della giurisdizione e di tutela dei diritti è perciò costituzionalmente basato su un’investitura opposta a quella, di vocazione egualmente pubblica, che riguarda, invece, gli organi muniti di rappresentanza politica, scelti con modalità elettive, come anche a quella, di carattere privatistico, che conferisce ad un arbitro privato il compito di dirimere la lite.
Non di meno, l’attuale sistema multilivello delle fonti, la contemporanea applicabilità di norme interne e sovranazionali, il diffuso utilizzo di regole strutturate su clausole generali flessibili e adattabili, le cogenti istanze di omogeneità applicativa derivanti soprattutto dal primato del diritto dell’Unione europea (come la frequenza di un contenzioso seriale che moltiplica il numero delle controversie), hanno indotto il legislatore negli ultimi anni ad affidare un ruolo di avamposto di tutela dei diritti ad istituzioni non collocate nell’ambito delle singole articolazioni della giurisdizione statuale.
Queste motivazioni hanno portato alla predisposizione di numerosi strumenti alternativi di risoluzione delle controversie, nell’auspicio di procurare una costante deflazione del contenzioso, scongiurando la frammentazione della elaborazione giurisprudenziale.
I modi alternativi di composizione o di risoluzione delle controversie in materia civile e commerciale, quali la negoziazione assistita, la mediazione e l’arbitrato, rappresentano forme di giustizia privata, chiamata a sopperire alla crisi di efficacia, efficienza ed effettività della giurisdizione dello Stato, e dovrebbero integrare il funzionamento della cosiddetta giustizia predittiva, quest’ultima volta a rendere comprensibili e prevedibili gli esiti della futura eventuale lite, i primi, invece, mirando a comporre la lite già insorta prima che si renda necessario il ricorso al giudice.
Si tratta, in realtà, di subprocedimenti di natura conciliativa che si innestano nella giurisdizione pubblica e si connotano come adempimenti obbligatori condizionanti la procedibilità della domanda giudiziale, al fine di incentivare la propensione delle parti ad un componimento consensuale della lite. È insita in questi istituti un’idea di flessibilità dei diritti disponibili, che pospone l’istanza di immediata attivazione della giurisdizione, la quale diviene rimedio ultimo da sollecitare solo quando permanga la inconciliabilità delle contrapposte posizioni dei litiganti.
In presenza di frequenti forme di giurisdizione condizionata, occorre considerare come l’effettività del diritto inviolabile ad agire e a difendersi in giudizio, seppur non postuli una assoluta contestualità tra il sorgere del diritto sostanziale e la sua azionabilità, implica che il differimento di quest’ultima si dimostri tollerabile, che ricorrano esigenze di ordine generale e superiori finalità di giustizia e che non siano imposti ai cittadini oneri o modalità tali da rendere impossibile o estremamente difficile lo svolgimento dell’attività processuale.
Così, l’obbligatorietà della mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali, da tempo ormai operante per un numero consistente di controversie, e non più soltanto per procedimenti specifici o per singoli settori, potrà pienamente giustificarsi sol quando risulterà significativamente conseguito l’obiettivo di ridurre il contenzioso gravante sui giudici, in maniera che il complesso modulo procedimentale si riveli davvero idoneo a perseguire effetti deflattivi e quindi a semplificare l’accesso alla giustizia, a migliorare l’efficienza del sistema giudiziario e ad accelerare i tempi di definizione del contenzioso civile.
La sentenza delle Sezioni Unite civili n. 3452 del 2024, nel decidere la questione dell’applicabilità della mediazione obbligatoria ex art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010 anche alle domande riconvenzionali, ha, appunto, rimarcato che tale istituto, al pari delle ulteriori misure di ADR (Alternative dispute resolution), si inserisce in un contesto riformatore che esprime la ratio di costituire una reale spinta deflattiva del contenzioso, al fine di preservare la “risorsa non illimitata” della giurisdizione. Il differimento dell’esercizio del diritto di azione può, allora, dirsi ragionevole in vista di un reale effetto positivo dell’istituto conciliativo, consistente nel raggiungere sollecitamente una soluzione stragiudiziale, tramutandosi, altrimenti, in un inutile intralcio.
Anche alla creazione di collegi arbitrali presso le Autorità di regolazione del mercato, la Banca d’Italia, la Consob e l’IVASS è stata diffusamente affidata la prospettiva di allestire una forma di giustizia predittiva, che possa venire incontro, mediante adeguata indicizzazione delle sue reiterate decisioni, alle esigenze di certezza delle imprese e della clientela di consumatori che si muovono in detti settori dell’economia.
Le decisioni di tali collegi arbitrali, pur non essendo vincolanti, rivestono un cospicuo valore informativo e, per il loro contenuto specialistico, trovano ormai eco anche nelle motivazioni delle pronunce della Corte di cassazione. Proprio questa crescente influenza della giustizia arbitrale specializzata avverte della necessità di massima professionalità ed efficienza nella gestione delle pratiche, essendone coinvolta anche la tutela degli interessi di contraenti deboli.
Il moltiplicarsi di organismi e di procedure preordinati alla risoluzione delle controversie che non coinvolgono la giurisdizione nasconde, in realtà, anche una sorta di rassegnata impotenza dello Stato a far fronte, in maniera effettiva ed in tempi ragionevoli, all’impegno costituzionale di azionabilità dei diritti.
La funzione statale preordinata alla tutela giudiziale dei diritti non può, del resto, essere regolata, sul modello di altri servizi pubblici, dal principio di sussidiarietà. Peraltro, i rimedi di carattere arbitrale, pur somministrati da soggetti di elevata esperienza e collaudata specializzazione, nonché muniti di rappresentatività, non offrono, sul piano strutturale e funzionale, le garanzie degli organi chiamati a svolgere funzioni giurisdizionali, ancorati al fondamento costituzionale e alla riserva di legge, quanto, in specie, ai criteri e requisiti di nomina dei componenti, al loro stato giuridico e al complesso delle regole deontologiche.
Né può infine trascurarsi la contemporanea proliferazione nel nostro sistema del modello delle autorità amministrative indipendenti, che cumulano funzioni di vigilanza, sanzionatorie e lato sensu giustiziali, o «para-giurisdizionali», consistenti nella composizione delle liti, nell’applicazione della legge nel singolo caso, nell’accertamento delle violazioni di norme di settore, e perciò particolarmente incidenti, sotto il profilo dell’afflittività, nella sfera dei diritti.
Pur nella peculiare condizione di autonomia di giudizio e di valutazione, connaturata alla finalità di assicurare una regolazione ed un controllo uniforme di fondamentali settori della vita civile, le autorità indipendenti si collocano nell’apparato amministrativo dello Stato e non sono equiparabili agli organi della giurisdizione in senso proprio. La compresenza nelle autorità indipendenti di funzioni di attuazione del diritto e di risoluzione dei conflitti, tipiche della giurisdizione, e la loro separazione dal potere esecutivo, non devono, quindi, alterare il rapporto ordinamentale tra pubblica Amministrazione e potere giudiziario, essendo quest’ultimo il garante della legalità dell’azione amministrativa.
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NOTA: grassetto e link sono a cura dell’Osservatorio.
Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 3/2025