=> Tribunale di Vasto, 15 maggio 2017
In tema di
mediazione demandata ex art. 5, comma 2, d.lgs. 28/2010,
se il ritardo nella presentazione della domanda di mediazione non ha avuto alcuna ripercussione negativa,
né sulla durata complessiva della
procedura, né sui tempi di definizione
del processo, la condizione di procedibilità della domanda giudiziale deve ritenersi
avverata (I) (II).
(I) Per la
versione aggiornata del d.lgs. 28/2010 si veda: D.lgs. 4 marzo 2010 n. 28 aggiornato al d.l. 50/2017 conv. con mod. in l. 96/2017 - manovra correttiva 2017 (Osservatorio Mediazione Civile n. 46/2017).
(II) Per approfondimenti
si veda Tribunale, Vasto, ordinanza 15/05/2017, con NOTA di SPINA, in Altalex, 30.11.2017
Fonte: Osservatorio
Mediazione Civile n. 62/2017
Tribunale di Vasto
ordinanza
15 maggio 2017
Omissis
1. Con ordinanza omissis, questo giudice – dopo aver
evidenziato e indicato alle parti gli indici di concreta mediabilità della
controversia – disponeva, ai sensi dell’art. 5, secondo comma, del D.L.gs. 4
marzo 2010, n. 28, l’esperimento della procedura di mediazione per la ricerca
di una soluzione amichevole della lite. In ottemperanza alle statuizioni
giudiziali, la parte attrice dava inizio al procedimento comparendo,
personalmente e con l’assistenza del proprio difensore, al primo incontro,
tenutosi in data 28.09.2015 innanzi all’organismo di mediazione prescelto. La
procedura, però, non sortiva esito positivo, dal momento che al primo incontro
il mediatore prendeva atto della mancata comparizione della parte invitata e al
successivo incontro del 13.10.2015 dichiarava, di conseguenza, chiuso il
procedimento.
2. All’udienza di
rinvio del 03.03.2016, la parte convenuta, prima di chiedere la fissazione
dell’udienza di precisazione delle conclusioni, formulava una preliminare
eccezione di improcedibilità della domanda attorea, sull’assunto che la domanda
di mediazione fosse stata presentata tardivamente, oltre il termine di quindici
giorni assegnato dal giudice con l’ordinanza di rimessione delle parti in
mediazione. L’attore si opponeva all’accoglimento dell’eccezione e chiedeva, in
ogni caso, fissarsi udienza di precisazione delle conclusioni.
3. Prima di avviare
la causa alla fase decisoria, si impone la necessità di operare un
approfondimento sul tema della natura del termine di giorni quindici che, ai
sensi dell’art. 5, commi 1 bis e 2, D. Lgs. n. 28/10, il giudice assegna alle
parti per la presentazione della domanda di mediazione, quando decide di
disporne l’esperimento, una volta «valutata la natura della causa, lo stato
dell’istruzione e il comportamento delle parti».
Sulla natura
perentoria o ordinatoria del predetto termine, nella giurisprudenza di merito
si registrano orientamenti oscillanti, che dalla sua qualificazione fanno
discendere conseguenze diverse in ordine alla improcedibilità della domanda
giudiziale.
3.1. Secondo un
primo indirizzo, il termine di quindici giorni assegnato dal giudice ha
carattere perentorio, pur in assenza di una esplicita previsione legale in tal
senso, derivando tale conclusione dal principio giurisprudenziale secondo cui
il carattere della perentorietà del termine può desumersi, anche in via
interpretativa, tutte le volte che, per lo scopo che persegue e la funzione che
adempie, lo stesso debba essere rigorosamente osservato (cfr., in questo senso,
Cass. n. 14624/00; Cass., n. 4530/04). In relazione alla fattispecie della
mediazione demandata, l’implicita natura perentoria del termine in parola si
evincerebbe dalla stessa gravità della sanzione prevista, vale a dire
l’improcedibilità della domanda giudiziale per il mancato esperimento della
mediazione. Ne consegue che il tardivo esperimento della mediazione disposta
dal giudice, ai sensi dell’art. 5, comma 2, D.Lgs. n. 28/2010, produce gli
stessi effetti del mancato esperimento della stessa, ossia impedisce l’avveramento
della condizione di procedibilità ed impone, sempre e comunque (vale a dire,
senza possibilità di sanatoria), la declaratoria di improcedibilità del
giudizio, con chiusura in rito del processo (cfr., in tal senso, Trib. Lecce,
03.03.2017; Trib. Cagliari, 08.02.2017; Trib. Firenze, 14.09.2016; Trib. Reggio
Emilia, 14.07.2016; Trib. Firenze, 04.06.2015; Trib. Bologna, 15.03.2015).
3.2. Un opposto
orientamento giurisprudenziale ritiene, invece, che, in assenza di espressa
previsione di perentorietà del termine assegnato dal giudice ex art. 5, secondo
comma, D.Lgs. n. 28/2010, la presentazione della domanda di mediazione
successivamente al termine di quindici giorni assegnato dal giudice non
consente di ritenere operante la sanzione di improcedibilità prevista per il
mancato esperimento del tentativo di mediazione, dovendosi dare prevalenza
all’effetto sostanziale dello svolgimento del procedimento (cfr., Trib. Milano,
27.09.2016; Trib. Pavia, 14.10.2015). Ne deriva che la tardività
dell’instaurazione del procedimento di mediazione non può essere equiparata al
mancato svolgimento del procedimento medesimo.
A tale
considerazione è stato aggiunto che, non essendo la domanda di mediazione un
atto del processo, “predicare la perentorietà del termine per la sua
presentazione è fuori luogo” (cfr., in tal senso, Trib. Roma, 14.07.2016, n.
14185), per cui la disciplina dello stesso non è riconducibile al regime di cui
all’art. 152 c.p.c.
La tesi della
natura ordinatoria conduce alla conclusione che il deposito dell'istanza oltre
il termine suddetto non determina l'improcedibilità della domanda, a meno che
il ritardo nella presentazione della domanda di mediazione non abbia
pregiudicato l’effettivo esperimento della procedura prima della udienza di
verifica, fissata ai sensi del secondo comma dell'art. 5 D.Lgs. n. 28/10 (come
accadrebbe, ad esempio, nel caso in cui la mediazione demandata dal giudice
venga introdotta con molto ritardo rispetto a quanto disposto e a breve
distanza temporale dall'udienza di rinvio (cfr., Trib. Roma, 14.07.2016, n.
14185).
3.3. Un indirizzo
interpretativo intermedio (cfr., Trib. Savona, 26.10.2016; Trib. Piacenza,
18.10.2016; Trib. Monza, 21.01.2016, n. 156; Trib. Como, 12.01.2015), pur riconoscendo la natura
ordinatoria e non perentoria del termine in discorso, afferma che la parte a
carico della quale è stato posto l’onere di instaurare il procedimento di
mediazione può ottenere dal giudice una proroga del termine, sempreché depositi
tempestivamente l’istanza prima della scadenza del termine stesso. È noto,
infatti, che i termini ordinatori possono essere prorogati ai sensi dell’art.
154 c.p.c. (in virtù del quale “il giudice, prima della scadenza, può
abbreviare o prorogare, anche d’ufficio, il termine che non sia stabilito a pena
di decadenza. La proroga non può avere una durata superiore al termine
originario. Non può essere consentita proroga ulteriore, se non per motivi
particolarmente gravi e con provvedimento motivato”), ma solo a condizione che
essi non siano ancora scaduti e che la proroga non superi la durata del termine
originario, mentre una eventuale ulteriore proroga può essere ammessa
subordinatamente alla ricorrenza di motivi particolarmente gravi; ciò sia per
l’effetto preclusivo determinato dallo spirare del termine, sia per il
contemporaneo verificarsi della decadenza dal diritto di compiere l’attività
che ne consegue (in tal senso, tra le innumerevoli sentenze, si vedano Cass.,
21.02.2013, n. 4448; Cass., 27.11.2010, n. 23227).
Ne deriva che, in
caso di mancata proposizione dell’istanza di proroga del termine prima della
sua scadenza, la parte inevitabilmente decadrebbe dalla relativa facoltà di
instaurare il procedimento di mediazione, con la conseguenza che, anche secondo
questo indirizzo giurisprudenziale, la tardiva proposizione della domanda di
mediazione andrebbe equiparata, sotto il profilo della conseguente
improcedibilità della domanda giudiziale, alla sua totale omissione.
4. Nel variegato
panorama di opzioni interpretative, questo Giudice ritiene di aderire alla tesi
della natura non perentoria del termine assegnato dal giudice per la
presentazione della domanda di mediazione, per un duplice ordine di
argomentazioni.
Sotto un profilo
meramente formale, la mancanza di una espressa previsione legale di
perentorietà del termine deve condurre alla conclusione che lo stesso abbia
natura ordinatoria e non perentoria, in applicazione del principio statuito
dall’art. 152, secondo comma, c.p.c.
Da un punto di
vista sostanziale, non ricorrono i presupposti per desumere tale carattere di
perentorietà in via interpretativa, sulla base dello scopo che il termine
persegue e della funzione che esso adempie.
Analizzando il dato
testuale dell’art. 5, secondo comma, D.Lgs. n. 28/10, si evince che lo scopo
sotteso alla assegnazione del termine di quindici giorni per la presentazione
della domanda di mediazione è quello di compulsare le parti all’attivazione
della procedura, in modo che essa possa essere portata a termine prima della
celebrazione della udienza di rinvio, che – a sua volta – deve essere fissata
dopo la scadenza del termine di durata della mediazione, non superiore a tre
mesi. In altre parole, la ratio legis della previsione del termine di quindici
giorni risponde alla esigenza di garantire certezza dei tempi di definizione
della procedura di mediazione, affinchè la parentesi extraprocessuale, che si
apre con l’emissione della ordinanza di rimessione delle parti in mediazione,
possa chiudersi entro la data di rinvio del processo ed in tempo utile ad
evitare che il tentativo di raggiungimento di un accordo amichevole tra le
parti ridondi in danno della durata complessiva del processo, provocando uno
slittamento ulteriore della udienza di rinvio e, dunque, un allungamento dei tempi
di definizione del giudizio. Tale considerazione trova conferma nella
disposizione dell’art. 6, secondo comma, D.Lgs. n. 28/10, che stabilisce che,
nella mediazione demandata dal giudice, il termine di durata del procedimento
di mediazione decorre, al più tardi, “dalla scadenza di quello fissato dal
giudice per il deposito della domanda”, nel caso in cui – ovviamente – a quella
data le parti non abbiano già depositato l’istanza.
Ricostruita in
questi termini la funzione, per così dire, acceleratoria del termine in
discussione, è evidente che ad esso non possa essere attribuito carattere di
perentorietà, tanto più che la legge non prevede alcuna sanzione per la sua
inosservanza. Dall’attento scrutinio del dato normativo si ricava, infatti, che
la sanzione di improcedibilità della domanda giudiziale non consegue alla
mancata proposizione della domanda di mediazione entro il termine di quindici
giorni, bensì all’omesso esperimento del procedimento entro il termine di
celebrazione della udienza di rinvio del processo, il quale viene, a sua volta,
calibrato dal giudice in ragione del termine di durata della mediazione, pari a
tre mesi decorrenti, al più tardi, dal termine assegnato per la presentazione
della istanza.
Da quanto finora
detto deriva che la parte istante può ben decidere di avanzare la domanda di
mediazione delegata oltre il termine ordinatorio assegnato dal giudice, senza -
per ciò solo - incorrere nella declaratoria di improcedibilità della domanda
giudiziale.
Tuttavia, la parte
che ritarda l’attivazione della procedura si accolla il rischio che il
procedimento non riesca a concludersi nel termine massimo di tre mesi, che
inizia comunque a decorrere, indipendentemente dalla iniziativa
dell’interessato, dalla scadenza del termine assegnato dal giudice.
Questo significa
che, ove l’udienza di rinvio del processo sia stata fissata subito dopo la
scadenza del termine di durata della mediazione, senza che il procedimento sia
stato iniziato o comunque si sia concluso per una colpevole inerzia iniziale
della parte, che ha ritardato la presentazione della istanza, quest’ultima si
espone al rischio che la sua domanda giudiziale sia dichiarata improcedibile, a
causa del mancato esperimento della mediazione entro il termine di durata della
procedura o, in ogni caso, entro il più ampio termine di rinvio del processo
all’udienza di verifica.
Diversamente, ove
il procedimento di mediazione si sia concluso entro il termine di legge (o,
comunque, anche successivamente ma sempre prima della celebrazione della udienza
di rinvio), benché iniziato dopo la scadenza del termine assegnato dal giudice,
giammai l’iniziale ritardo potrà determinare la declaratoria di improcedibilità
della domanda giudiziale.
Non può, dunque,
assolutamente condividersi la tesi che equipara, ai fini della improcedibilità
della domanda giudiziale, il tardivo esperimento della mediazione al mancato
esperimento della stessa, giacchè tale impostazione ha il triplice difetto: a)
di desumere la natura perentoria del termine assegnato dal giudice sulla base
di una controvertibile ricostruzione dello scopo e della funzione del termine
medesimo; b) di giungere, per tal via, ad un’interpretazione estensiva in malam
partem della disposizione normativa che sanziona con l’improcedibilità della
domanda giudiziale il solo caso di mancato esperimento della procedura di
mediazione e non anche la diversa ipotesi di tardiva attivazione di un
procedimento regolarmente conclusosi; c) di attribuire maggiore rilevanza ad un
elemento formale (vale a dire, il rispetto del termine di quindici giorni)
rispetto al fattore sostanziale dello svolgimento del procedimento,
contrariamente alla ratio legis di incentivazione del ricorso alla mediazione.
La chiave di
lettura che qui si propone ha, invece, il pregio di valorizzare il dato
sostanziale dell’esperimento del procedimento di mediazione e si pone in linea
con lo spirito della normativa sulla mediazione, che risponde alla logica di
favorire, quanto più possibile, la scelta delle parti di ricorrere alla
procedura di risoluzione alternativa della controversia, senza penalizzare con
gravi sanzioni processuali un contegno di formale ritardo nella attivazione del
procedimento, in tutti i casi in cui l’inerzia iniziale della parte non abbia
pregiudicato il tempestivo e corretto svolgimento della procedura, né provocato
alcun allungamento dei tempi di definizione del giudizio.
5. Facendo
applicazione al caso di specie dei principi di diritto innanzi enunciati,
risulta dalla documentazione versata in atti che il primo incontro di
mediazione si è svolto in data 28.09.2015 ed è altresì provato (oltre che non
contestato) che la parte attrice ha presentato la domanda di mediazione il
27.08.2015, vale a dire oltre il termine di quindici giorni assegnato dal
giudice con l’ordinanza del 13.07.2015, comunicata solo il 08.08.2015 (per la
precisione tre giorni dopo la data di scadenza del termine, ricadente il
24.08.2015).
Tuttavia, emerge
dal verbale del primo incontro che la procedura di mediazione si è svolta con
la regolare convocazione della controparte e si è conclusa in data 13.10.2015
con esito negativo, poiché l’odierno convenuto non ha inteso aderire
all’invito, senza – peraltro – fornire alcuna giustificazione della sua mancata
partecipazione al primo incontro di mediazione.
Orbene, non vi è
dubbio che nel caso in esame l’incontestato ritardo nella presentazione della
domanda di mediazione non ha avuto alcuna ripercussione negativa, né sulla
durata complessiva della procedura, che si è comunque conclusa entro il termine
massimo di durata di tre mesi, decorrenti dalla scadenza del termine assegnato
dal giudice, né tantomeno sui tempi di definizione del processo, posto che
all’udienza di rinvio, fissata da questo giudice per il 09.02.2016 e poi
rinviata d’ufficio al 03.03.2016 (vale a dire, ad una data successiva rispetto
alla scadenza del termine massimo di durata della mediazione), le parti non
hanno avanzato alcuna istanza di rinvio o di proroga di un procedimento che è
stato comunque ritualmente esperito.
Sulla scorta delle
riferite considerazioni, la condizione di procedibilità della domanda
giudiziale avanzata da omissis deve
ritenersi avverata e, quindi, l’eccezione di improcedibilità sollevata da omissis non merita di essere accolta.
6. In disparte
della questione della improcedibilità della domanda, deve prendersi atto che la
parte invitata non ha partecipato al procedimento di mediazione e non ha
fornito alcuna giustificazione di tale assenza, né nel corso della procedura
mediativa, né nell’ambito del presente giudizio; non può certamente
considerarsi giustificato motivo di assenza il rilievo della tardività nella
presentazione della domanda di mediazione, non potendo avere il dedotto
ritardo, di per sé, alcuna ripercussione
sulla ritualità della procedura. Per tali motivi, ricorrono i presupposti per
adottare, ai sensi dell’art. 8, comma 4 bis, del D.Lgs. n. 28/10, una pronuncia
di condanna della stessa (che si è ritualmente costituita in giudizio) al
versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo
corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio. La lettera della
citata disposizione, in virtù dell’uso da parte del legislatore del tempo
indicativo presente, induce a ritenere obbligatoria la pronuncia di condanna in
questione ogniqualvolta la parte che non ha partecipato al procedimento non
fornisca una idonea giustificazione alla propria condotta.
Sulla questione
della applicabilità della predetta disposizione anche in corso di causa, questo
giudicante ritiene che l’irrogazione della sanzione pecuniaria prescinda del
tutto dall’esito del giudizio e non sia necessariamente subordinata alla
decisione del merito della controversia. Conformemente a quanto affermato da
una parte della giurisprudenza di merito (cfr., Trib. Termini Imerese,
09/05/2012; Trib. Mantova, 22/12/2015), la sanzione pecuniaria in questione
può, dunque, ben essere irrogata anche alla prima udienza o, comunque, in un
momento temporalmente antecedente rispetto alla pronuncia del provvedimento che
definisce il giudizio.
7. Superata
l’eccezione di improcedibilità della domanda, la causa deve essere rinviata per
la precisazione delle conclusioni, in conformità alla richiesta congiuntamente
avanzata sul punto dalle parti, essendo matura per la decisione ed essendo già
state rigettate le richieste istruttorie avanzate dalle parti.
PQM
Disattesa ogni
diversa richiesta, così provvede: rigetta l’eccezione di improcedibilità della
domanda principale, sollevata da omissis;
condanna la parte convenuta omissis
al versamento, in favore dell’Erario, della somma di € 206,00, pari all’importo
del contributo unificato dovuto per il presente giudizio, in conseguenza della
mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento obbligatorio
di mediazione; fissa, per la precisazione delle conclusioni, che ciascuna parte
dovrà redigere su separato atto da depositare telematicamente, la successiva omissis. Manda alla Cancelleria per la
comunicazione della presente ordinanza alle parti.
Vasto, 15 maggio
2017
Il Giudice
Dott. Fabrizio
Pasquale