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21 maggio 2013

41/13. La mediazione delle controversie ambientali (Osservatorio Mediazione Civile n. 41/2013)


La mediazione delle controversie ambientali
Giulio Spina
Estratto da Ambiente & Sviluppo n. 5/2013

[…]
L’opportunità di intraprendere un siffatto percorso appare notevolmente evidente proprio con riferimento alle controversie in materia ambientale, specie in quelle relative al danno ambientale ove, come noto, anche in linea con i principi informanti la materia del risarcimento del diritto ambientale di matrice europea[1], la priorità è quella del ripristino dello stato dei luoghi piuttosto che il mero risarcimento per equivalente monetario[2] (forma risarcitoria ripristinatoria che anche la più recente giurisprudenza di legittimità descrive come “ontologicamente più idonea di quella per equivalente a garantire l’effettività dei risultati della reazione del soggetto leso dal lamentato danno ambientale e della risposta giudiziaria che ne riconosca il fondamento”[3]).
Proprio in questa peculiare caratteristica della disciplina del risarcimento del danno ambientale emerge come anche il legislatore si sia preoccupato di dare priorità all’interesse reale sotteso alla lite piuttosto che alla posizione di diritto da tutelare (ovvero alla tutela del bene ambiente, nella concretezza della fattispecie di volta in volta in analisi)[4]; ciò posto, si consideri come il ripristino dello stato dei luoghi possa in realità avvenire con innumerevoli modalità con riferimento alle quali un consapevole dialogo tra le parti potrebbe portare alla definizione di modalità pratiche ripristinatorie non solo che soddisfino le stesse maggiormente, ma che ne garantisca poi anche una più agevole realizzazione concreta[5]; vi sono inoltre minori probabilità che nascano specifici contenzioni tra le parti in merito all’esecuzione di un accordo volontariamente raggiunto tra le stesse, piuttosto che con riferimento all’adempimento di un obbligo imposto da altri[6].
L’ampiezza degli aspetti che possono entrare in una mediazione, che dunque non riguarda solo la definizione del singolo elemento in controversia, ma che può ampliarsi sino a comprendere in senso più ampio l’interezza dei rapporti tra le parti in lite, anche (e soprattutto) in una prospettiva futura, risulta al riguardo elemento peculiare di tale procedimento, che ne suggerisce una potenziale ed ampia applicazione proprio con riferimento a numerose tipologie di controversie ambientali[7].
In questi termini appare evidente come la mediazione […].

Estratto da

Ambiente & Sviluppo

Consulenza epratica per l'impresa e gli enti locali

Ipsoa

n. 5 del 2013



[1] Al riguardo basta rimare ai principi espressi dalla nota Direttiva n. 2004/35/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale, nonché alla connessa procedura di infrazione n. 2007/4679 attivata proprio nei confronti dell’Italia in tema di risarcimento del danno ambientale in forma pecuniaria.
[2] Tale forma risarcitoria (tutela reale) è considerata quale disciplina speciale rispetto alle norme generali dettate dal codice civile in materia di risarcimento del danno. Come noto, infatti, il c.d. Codice dell’ambiente (D.lgs. n. 152 del 2006, nel testo oggi vigente) stabilisce: all’art. 311, comma 1 che il Ministero dell’ambiente agisce per il risarcimento del danno in forma specifica e, se è necessario, per equivalente patrimoniale; all’art. 311, comma 2 che chiunque, realizzando un fatto illecito, o omettendo attività o comportamenti doverosi, con violazione di legge, di regolamento, o di provvedimento amministrativo, con negligenza, imperizia, imprudenza o in spregio a norme tecniche, arrechi danno all’ambiente è obbligato al ripristino della precedente situazione e, in mancanza, al risarcimento per equivalente patrimoniale nei confronti dello Stato; all’art. 303, comma 1, lett. f), che i richiamati criteri di determinazione dell’obbligazione risarcitoria in tema di danno ambientale si applicano anche alle domande di risarcimento proposte o da proporre ai sensi della legge 18 luglio 1986, n. 349, art. 18, in luogo, in particolare, delle previsioni di cui al Titolo 9 del Libro 4 del codice civile.
[3] Si veda al riguardo Cass. civ. n. 22382 del 2012, la quale – in applicazione di tali principi – ha affermato la tesi della potenziale officiosità dell’ordine di ripristino (e cioè del risarcimento in forma specifica anche laddove l’attore abbia richiesto esclusivamente una tutela per equivalente, essendo ammissibile il passaggio dalla richiesta di tutela per equivalente a quella reale, in chiave sollecitativa di una facoltà riconosciuta al giudice).
[4] In questo senso, in dottrina, evidenziando come la mediazione ambientale rivesta occupi in Italia ancora uno spazio di nicchia, è stata sottolineata le potenzialità della valenza applicativa della mediazione proprio con riferimento alla materia del risarcimento del danno ambientale (da intendersi, richiamando il dettato normativo di cui all’art. 300 D.lgs. n. 300 del 2006, quale “deterioramento significativo e misurabile, diretto o indiretto, di una risorsa naturale o dell’utilità assicurata da quest’ultima”) nonché delle connesse questioni relative alla risarcibilità del danno non patrimoniale, magari di modesta entità, che derivi da menomazione del rilievo istituzionale dell’ente costituitosi parte civile. M. G. Imbesi, Il valore sociale della mediazione ambientale, in Giureta - Rivista di Diritto dell’Economia, dei Trasporti e dell’Ambiente, n. X del 2012, p. 517.
[5] In questo senso è stato infatti osservato come “nell’eventualità di un’effettiva compromissione delle matrici ambientali potrebbe, talvolta, risultare fruttuoso lo svolgimento di un procedimento di mediazione – ad istanza di parte o su sollecitazione del Giudice – in cui negoziare (meramente) le modalità del ripristino dello stato dei luoghi, il risarcimento per le c.d. perdite provvisorie (e, eventualmente, il danno non patrimoniale da menomazione del rilievo istituzionale dell’ente). L. Giampietro, I procedimenti di mediazione in materia ambientale: spunti di riflessione, Ambiente & Sviluppo, Ipsoa, n. 3 del 2011, p. 251.
[6] Proprio con riferimento al ripristino è stato infatti osservato che “scegliere la procedura conciliativa potrebbe, in linea teorica, rivelarsi utile per limitare le contestazioni (e conseguenti contenziosi), incentrati sulla reale efficacia degli interventi messi in atto”. L. Giampietro, I procedimenti di mediazione in materia ambientale: spunti di riflessione, in Ambiente & Sviluppo, Ipsoa, n. 3 del 2011, p. 251.
Si ritiene tuttavia che l’utilizzo della mediazione non possa essere circoscritto ai soli “casi di modesta compromissione ambientale” (come quelli nei quali il ripristino comporti la semplice rimozione di materiali non pericolosi), potendo l’istituto in esame – sempre sulla base delle premesse sopra ricordate con riferimento all’ambito applicativo del D.lgs. n. 28 del 2010 – trovare fruttuose applicazione anche (o forse soprattutto) in situazioni più complesse.
Quanto agli accordi conciliativi in materia raggiungibili in sede di mediazione va inoltre ricordata l’importanza di definire, con sufficiente specificità, le modalità dell’eventuale monitoraggio.
[7] Si veda al riguardo la formulazione dell’art. 4, comma 2, D.lgs. n. 28 del 2010 in ordine agli elementi dell’istanza di mediazione, con riferimento alla quale lo stesso legislatore delegato precisa che essa è volta a delineare “una cornice più snella rispetto a quella della domanda giudiziale, in quanto riferibile a una contesa che investa un rapporto fonte di possibili plurime cause”. Relazione illustrativa al decreto 4 marzo 2010, n. 28, in riferimento all’art. 4, comma 2.

Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 41/2013 (www.osservatoriomediazionecivile.blogspot.com)

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