DIRITTO D'AUTORE


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31 ottobre 2017

54/17. Mediazione demandata effettiva: se l’istante vuole andare oltre il primo incontro e la controparte deve farlo verbalizzare (Osservatorio Mediazione Civile n. 54/2017)

=> Tribunale di Roma, 23 febbraio 2017

Ove l'istante intenda svolgere effettivamente la mediazione demandata, non fermandosi all'incontro informativo, e ciò a differenza della parte antagonista che non intenda procedere, deve dichiararlo e farlo verbalizzare dal mediatore, distinguendo in tale modo la sua posizione da quella della parte renitente. In tale caso, il mancato svolgimento della mediazione demandata non comporterà l'improcedibilità della domanda, bensì, ove il diniego della controparte non risulti giustificabile, l'applicazione a carico di quest'ultima dell'art. 8, d.lgs. 28/2010 oltre, ricorrendone i presupposti, dell'art. 96 c. 3 c.p.c. (I).



Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 54/2017

Tribunale di Roma
Sentenza
23 febbraio 2017

Omissis

Fatto

Il fatto
ZZZ esponeva
che il giorno 30.04.2010, alle ore 02.00 M., coniuge dell'esponente, si trovava in qualità di terza trasportata sull'autovettura Opel Agila targata omissis di proprietà e condotta dalla sig.ra FFF che percorreva in Roma piazza di Cinecittà;
che nelle predette circostanze di tempo e di luogo, l'autovettura Opel Agila giunta all'altezza dell'intersezione con viale Palmiro Togliatti entrava in collisione con l'autovettura Mercedes targata omissis di proprietà del sig. --- e condotta dalla sig.ra FFF;
che a seguito del violento urto la sig.ra M. ha riportato gravissime lesione personali, e veniva trasportata presso il P.S. del Policlinico Casilino, ove veniva refertata con la seguente diagnosi: Politrauma con ematoma subdurale parietale dx, ematoma intraparenchimale temporale dx, frattura lineare dell'osso temporale sn con interessamento della porzione timpanica e del processo mastoideo, contusioni polmonari bilaterali con versamento pleurico;
che sul luogo del sinistro interveniva una pattuglia della Polizia Municipale del X° Gruppo, che redigeva verbale dell'accaduto;
che il sinistro de quo ha causato deficit di deambulazione e deficit cognitivo, come risulta dal riconoscimento da parte della Commissione della ASL RM/A ai sensi della legge 104/92 di una invalidità pari al 100% con diritto all'indennità di accompagnamento per "encelopatia post traumatica con tetra paresi spastica", come da documentazione allegata;
che la TTT S.p.A., con lettera del 20.09.2010 contestava il risarcimento del danno in quanto non dovuto alla attrice per mancato uso delle cinture di sicurezza, e, di conseguenza non formulava alcuna offerta risarcitoria; chiedendo il risarcimento dei danni tutti ed a qualsiasi titolo maturati. Sia relativamente al periodo di invalidità della de cuius (dal 30.4.2012 al 4.1.2013) e sia relativamente al decesso della de cuius, avvenuto in data 4.1.2013 e conseguente al sinistro de quo.
L'assicurazione si costituiva eccependo che aveva corrisposto alla M. la somma di E.300.000 in data 3.2.2012; che la predetta non aveva indossato la cintura di sicurezza (come si evinceva dal fatto che era stata sbalzata alcuni metri fuori della vettura) sicché sussisteva cooperazione colposa della medesima (ex art. 1227 c.c.) e che comunque le domande avanzate in sede di riassunzione erano da considerarsi nuove, improcedibili ed irricevibili (in ogni caso contestava che la morte avvenuta tre anni dopo fosse correlabile al sinistro del 30.4.2010)
Con ordinanza del 21.10.2013 ritenute ammissibili le domande contenute nella citazione in riassunzione, il Giudice disponeva consulenze tecniche, cinematica e medico-legale. La relazione del perito nominato dal tribunale rendeva chiaro ed esplicito che M. indossava regolarmente al momento del sinistro la cintura di sicurezza e che tuttavia riportava egualmente gravissime lesioni a causa della posizione in cui si trovava all'interno dell'autovettura (passeggera sul sedile anteriore destro) e l'urto violentissimo (l'autovettura antagonista viaggiava a circa di 70 km orari) avvenuto lateralmente proprio dalla sua parte.
La macchia ematica rinvenuta a distanza sul suolo non ha il significato che assume l'assicurazione. Non vi è alcuna prova che la M. sia stata sbalzata dall'autovettura. Quella traccia può essere interpretata diversamente ed in vari modi (ad esempio, se della M., formata nel corso delle operazioni di trasbordo sull'autoambulanza).
Le opinioni del CTP dell'assicurazione sono forzate, illogiche ed errate. Correttamente rileva il consulente del Giudice: per valutare la possibilità di proiezione della passeggera della Opel Agila fuori dalla vettura che la trasportava quando questa colpiva l'aiuola spartitraffico, deve premettersi che tale proiezione deve essersi realizzata lungo una traiettoria pressoché orizzontale, che la passeggera della Opel Agila sedeva ad una altezza dal suolo di circa 0,64 mt. quando nell'istante dell'urto contro lo spartitraffico la vettura che la trasportava possedeva una velocità di circa 37,25 Km/h e che la distanza delle tracce ematiche ad essa riconducibili misurava circa 11 mt. da tale punto. In tale contesto obiettivo si ritiene che detta passeggera non possa essere stata lanciata nel punto in cui venivano rilevate le tracce ematiche addebitategli, ovvero ad una distanza di 11 metri dal punto in cui l'Opel Agila colpiva lo spartitraffico con la ruota anteriore destra. D'altro canto non si può fare a meno di notare che al momento della proiezione contro lo spartitraffico, e a seguito dell'apertura dello sportello (lato passeggero), venivano proiettati sull'isola spartitraffico: il pannello della porta, il gruppo ottico anteriore e la scarpa della passeggera e quindi una eventuale proiezione della passeggera sullo spartitraffico non poteva verificarsi in un punto troppo distante dal pannello o dalla scarpa e oltretutto con una traiettoria di lancio diversa. Infatti il corpo della passeggera (decisamente più pesante del pannello della porta o della scarpa ) a fronte di pari contraccolpo non poteva essere lanciato ad una distanza maggiore, stante l'avvenuta esplosione dell'air-bag lato passeggero e la posizione della porta lato conducente che rimaneva "agganciata" al montante della vettura, fatto questo che impedisce di comprendere dove poteva passare nella fase di lancio il corpo della passeggera .... la traccia ematica rilevata da PG non si ritiene compatibile con una ipotetica proiezione di corpo della trasportata Sig.ra M".
All'esito di tali indagini, con un quadro sufficientemente chiaro della situazione, in fatto ed in diritto, il Giudice emetteva l'ordinanza di cui infra.
L'ordinanza di invio in mediazione del giudice
Con ordinanza del 25.5.2015 il Giudice esposte con estrema precisione le modalità con le quali le parti avrebbero dovuto dare seguito a quanto ivi prescritto ed avvertitele delle conseguenze di un'eventuale inottemperanza e dopo aver premesso che delle molteplici voci di danno considerabili (pur nella carente sommaria esposizione dell'attrice prima e degli attori in riassunzione poi) vanno considerati:
1. il danno parentale (degli attori), iure proprio, con ciò intendendosi quello connesso ad un diritto personale e proprio di quei soggetti, in questo caso, marito e figli, che hanno patito e patiranno la perdita (in data 4.1.2013, da porsi in diretta connessione con l'evento del 30.4.2010) della presenza, con tutto ciò che questo implica, rispettivamente della moglie e della madre nell'ambito della famiglia;
2. il danno biologico (del defunto), iure hereditario, che attinge la privazione, in capo a M., del diritto al bene della salute, della integrità psico-fisica e della vita. Al di là delle speculazioni che su questo ultimo punto agitano la giurisprudenza è ben arduo ammettere che la privazione, in grado supremo, del bene della vita, sia a costo zero (salvo eventuali sanzioni penali) per il danneggiante. Nel caso di specie il lasso temporale fra lesione e decesso dispensa, attesa la favorevole giurisprudenza, ulteriori disquisizioni, consentendo ingresso a tale diritto. Tale diritto si trasmette agli eredi. Né vanno operate decurtazioni della somma concessa, in virtù della ragionevole dipendenza della morte dal sinistro del 4.2010; e ritenuto che vanno applicate per entrambe le voci suddette le tabelle del tribunale di Roma, adeguate nell'uso appropriato, a ben regolare la personalizzazione dei danni afferenti alle stesse; allogata al 30% la percentuale di concorso di colpa; proponeva: il pagamento a favore di ZZZ in proprio e nella qualità di esercente la potestà sui minori M. P. e A. P. della complessiva somma di E.970.000,00 (al netto di quanto già percepito e del concorso di colpa) a carico della spa TTT Oltre al pagamento, a carico della stessa parte, di un contributo alle spese di causa a favore degli attori per l'importo di E 8.000,00 oltre ad IVA CAP e spese generali; nonché spese di consulenza tecnica di ufficio.
L'assicurazione non accettava la proposta esponendo due motivazioni: il danno biologico riconosciuto dal Giudice nella proposta non può essere conteggiato con riferimento alla vita media del soggetto, bensì con riferimento alla effettiva esistenza in vita della M. pari a due anni e otto mesi; le pretese attrici non sono ammissibili in quanto nella fattispecie non può essere riconosciuto il danno catastrofale non previsto nella proposta del Giudice.
L'attore quindi introduceva il procedimento di mediazione introdotto presso l'Organismo Forense del Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Roma.
Dal verbale di mediazione depositato in atti risulta che all'incontro del 13.10.2015 partecipavano l'avv. C.M. per l'attore e l'avv. G.C. per l'assicurazione, con procura contenente facoltà di mediare e conciliare.
L'avvocato M. depositava procura speciale da parte di ZZZ nella quale si comunicava che l'attore non avrebbe partecipato per motivi familiari (sic).
Nel verbale risultavano cancellate le parti relative alle informative che il mediatore deve effettuare alle parti circa la natura, scopo e finalità del procedimento di mediazione nonché dei benefici fiscali.
Nel verbale non veniva altresì dato atto che: il mediatore aveva richiesto alle parti ed ai loro avvocati di esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione. Sempre nel verbale, si legge che le parti dichiarano congiuntamente di aver tentato di raggiungere un accordo anche in considerazione dell'ordinanza dell'Ill.mo Giudice Moriconi, senza alcun esito positivo. In ragione di ciò le parti congiuntamente dichiarano che non sussistono i presupposti per proseguire la mediazione.
La procedura si conclude quindi con esito negativo.
É di tutta evidenza che non è stata data rituale e piena esecuzione all'ordinanza che precede e che le parti non hanno esperito alcuna mediazione. In questo specifico caso, addirittura neppure la fase introduttiva della stessa, con quanto ne consegue.
Va ricordato che a mente dell'art. 8 c. 1 d.lg. 28/2010 al primo incontro e agli incontri successivi, fino al termine della procedura, le parti devono partecipare con l'assistenza dell'avvocato. Durante il primo incontro il mediatore chiarisce alle parti la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione. Il mediatore, sempre nello stesso primo incontro, invita poi le parti e i loro avvocati a esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione e, nel caso positivo, procede con lo svolgimento.
D'altro canto l'art. 2 bis del'art. 5 della norma prevede che quando l'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l'accordo.
Pur volendo ritenere, contro l'evidenza, che le parti abbiano svolto la fase introduttiva e preliminare della mediazione, vale osservare quanto segue.
Un'interpretazione delle norme che conduca a ritenere che esista un diritto potestativo della parte di non dare corso al provvedimento del giudice che ordina la mediazione demandata ai sensi dell'art. 5 c. 2 della norma, è erronea e non può in alcun modo essere accettata.
Va considerato che il non chiaro testo normativo necessita di un'interpretazione adeguatrice che lo ponga a riparo dalla altrimenti inevitabile censura di incostituzionalità per irragionevolezza, come nel caso che si accogliesse la tesi che le parti siano libere di non dare corso alla mediazione (che tale non può essere definito il mero incontro informativo), raggiungendo lo stesso vantaggioso risultato (inveramento della condizione di procedibilità) che la legge assicura a chi la mediazione ha effettivamente e sostanzialmente esperito.
Identificare la "mediazione" con l'incontro informativo è un errore grossolano.
È la stessa legge infatti che definisce la mediazione come altro rispetto all'incontro informativo, che è una fase preliminare e propedeutica alla mediazione.
Predicare che assolto all'incontro informativo, non volenti le parti entrare in mediazione, si debba considerare questa - contro la realtà - egualmente svolta, è un'assurdità logica e giuridica.
Nell'incontro informativo, massime nella mediazione demandata, il mediatore svolge una funzione di modesto rilievo, posto che essendo già in corso la causa, le parti sono già state debitamente ed esaurientemente informate, per preciso obbligo di legge, dagli avvocati (e occorrendo dal giudice), che accompagnano e assistono obbligatoriamente le parti all'incontro, di tutto ciò che devono sapere sulla mediazione, al quale nulla può aggiungere il mediatore.
La giurisprudenza che si è occupata di tale problema è unanime nell'affermare che solo la presenza di obiettive circostanze procedurali (et similia) integra l'impossibilità di procedere alla mediazione, fermandosi all'incontro informativo, nessun'altra accezione della parola "possibilità" essendo ammissibile.
In particolare tale giurisprudenza, inaugurata dal Tribunale di Firenze ha trovato, nella sua assoluta razionalità e logica giuridica, meritato consenso e condivisione, tanto da potersi affermare che essa costituisce diritto vivente del diritto nazionale sul punto (Tribunale di Roma, sentenza n. 8554 del 28.04.2016).
La natura dell'incontro di mediazione di cui all'art. 8 c. 5 d.lg. 28/2010.
Un'interpretazione che si fermasse al dato meramente letterale delle norme (in particolare del comma 2 bis dell'art. 5 della legge) potrebbe indurre in equivoco opinando che ove le parti, o una di esse, neghino, a domanda del mediatore, che sussista la possibilità di iniziare la procedura di mediazione, il procedimento di mediazione sia correttamente concluso e la condizione di procedibilità della domanda giudiziale realizzata.
L'erroneità di tale opzione interpretativa è agevolmente dimostrabile.
Ed invero, che il procedimento di mediazione sia concluso non volendo le parti esperirlo è esatto; che tale condotta delle parti sia corretta e la condizione di procedibilità sia stata realizzata, sicuramente non lo è.
Sarebbe a dire, assecondando l'aporia, che da una parte la legge prescrive che per introdurre (o proseguire) la causa occorre che venga esperito il procedimento di mediazione (che consiste nelle attività ben descritte nella lettera a. dell'art. 1 della legge, nonché negli artt. 8 commi 2-4 ed nell'art. 11 della legge) e dall'altra che anche se le parti (ed in particolare il proponente la domanda di mediazione) dichiarano di non voler effettuare la mediazione (alla quale quindi non si è proceduto), la mediazione si considera svolta e la procedibilità attinta... Un perfetto ossimoro.
Aderendo a tale accezione e tenendo bene a mente il significato della parola "mediazione" (cfr. nota 1) si dovrebbe ammettere che le parti abbiano il diritto potestativo di decidere di non svolgere la mediazione (finanche quando il giudice lo abbia ordinato), ottenendo però il medesimo vantaggioso risultato (procedibilità, assenza di sanzioni per la mancata partecipazione) che se la mediazione fosse stata esperita davvero. Conclusione questa del tutto azzardata ed irrazionale, perché significa predicare come avvenuta una cosa quando indiscutibilmente essa non lo è.
E non solo. Immaginare che le parti in mediazione demandata (qual è quella che ci occupa) possano ricevere le informazioni che il mediatore gli somministra nel corso del "primo incontro" (il mediatore chiarisce alle parti la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione) come un quid novi che dischiuda loro, solo in quel momento, le prospettive della mediazione e del suo significato, è cosa aberrante e confliggente, specialmente nella demandata, con la realtà, posto che le parti sono state già preventivamente informate di che trattasi. Una prima volta al momento del conferimento del mandato all'avvocato (cfr. art. 4 della legge, norma particolarmente puntigliosa al riguardo; che contiene anche una clausola di salvaguardia contro l'informativa mancata, con l'intervento suppletivo del giudice) ed una seconda, all'atto della doverosa informativa dell'avvocato al cliente del contenuto dell'ordinanza di mediazione demandata con il connesso dialogo che precede la presentazione della parte e dell'avvocato all'incontro. Il primo all'incontro di mediazione, dovendogli necessariamente spiegare a che pro.
Ed ancora. Il giudice, anche in sede di giudizio di appello, valutata la natura della causa, lo stato dell'istruzione e il comportamento delle parti, può disporre l'esperimento del procedimento di mediazione.
A fronte di tale impegno del magistrato, che presuppone lo studio degli atti, la valutazione di opportunità, e l'individuazione del momento migliore per la mediazione, e che si sostanzia infine nella redazione di un provvedimento che può anche contenere - come l'esperienza sempre più spesso attesta- utili spunti ed indicazioni per la discussione ed il confronto fra le parti con il mediatore, il non possumus delle parti (o di una di esse) si qualifica come ingiustificata e pregiudiziale renitenza ad un ordine legittimamente dato dal giudice ed espressione di un volontario quanto ingiustificabile rifiuto a priori di sperimentare realmente con lealtà e senza riserve mentali un percorso conciliativo.
L'interpretazione costituzionalmente orientata delle norme di cui agli att. 8 c. 1 e 2 bis dell'art. 5 del d.lg. 28/2010
Quale che sia stato l'intento (non dei più chiari e lineari) del legislatore, è necessario apprestare per le norme in commento un'interpretazione in linea con la Carta Costituzionale.
Va premesso che per molto tempo nel nostro Paese, il giudizio di costituzionalità delle leggi è stato considerato, sotto ogni aspetto, monopolio e riserva della Corte Costituzionale. Ciò in virtù della originaria (e tuttora immutata) scelta del legislatore Costituente che ha privilegiato la formula del controllo di costituzionalità accentrato su un solo soggetto, creato ad hoc, la Corte Costituzionale.
Le ragioni sono state molteplici e non è questa la sede per esporle.
Ciò che conta è che nel corso degli anni, il timore che i giudici ordinari non fossero sufficientemente sensibili al controllo di costituzionalità delle leggi (questa storicamente è stata una delle ragioni) è svanito superato dalla prova dei fatti, che hanno dimostrato il contrario.
Ed è proprio in dipendenza della grande attenzione ed interesse della magistratura alla conformità alla Costituzione delle norme di legge, attraverso la rimessione degli atti alla Corte Costituzionale in presenza di norme di dubbia costituzionalità, che si è da tempo avviato un processo inverso che si può riassumere nella nota espressione della interpretazione costituzionalmente orientata della legge da parte del giudice ordinario. Non si è pervenuti per tale strada, né si potrebbe, ad un controllo di costituzionalità diffuso (per il limite costituito dalla diversa previsione costituzionale) ed il giudice ordinario non espunge le norme dall'ordinamento giuridico come fa la Corte.
Tuttavia, con l'avallo della stessa Corte Costituzionale, tale forma di controllo contribuisce ad arricchire l'opera di adeguamento delle norme ordinarie a quelle costituzionali (e più prosaicamente, a sgravare la Corte da una parte dell'ingente lavoro che la onera).
Detto ciò, resta da ricordare che uno dei riferimenti elaborati dalla Corte (e che il giudice per quanto detto è correlativamente autorizzato ad adoperare) per il vaglio di costituzionalità, è quello della ragionevolezza della norma sottoposta a scrutinio.
Nel caso in esame, l'interpretazione letterale che è stata supra esposta presta visibilmente il fianco ad una fondata censura di incostituzionalità sotto entrambi i profili che sono stati elaborati, per questo vizio, dalla Corte Costituzionale.
Che in un primo tempo aveva correlato la ragionevolezza all'art. 3 della Costituzione, con la conseguente necessità, per accertare l'irragionevolezza della norma, che fosse individuato il c.d. tertium comparationis (che in questo caso esiste ed è evidente, consistendo precisamente nel caso in cui le parti abbiano svolto effettivamente la mediazione consentendo al mediatore di svolgere la sua attività, che non è ovviamente solo quella informativa, bensì quella ricordata con la nota n. 2). L'interpretazione che si ripudia pone sullo stesso piano e prevede le medesime conseguenze (avveramento della condizione di procedibilità, mancanza di sanzioni per la parte renitente) ad entrambe le (pur diverse e opposte) situazioni.
Successivamente ed allo stato, il parametro della ragionevolezza viene dalla Corte Costituzionale non più rapportato all'art. 3 della Costituzione, quanto individuato nella sostanziale disparità di trattamento tra fattispecie omogenee, allorché la norma presenti una intrinseca incoerenza, contraddittorietà od illogicità rispetto alla complessiva finalità perseguita dal legislatore.
Anche in base a tale parametro l'interpretazione letterale non supera lo scrutinio di costituzionalità, essendo di tutta evidenza che solo in presenza di ragioni ostative formali/procedurali (si pensi ad esempio ad un convocato in mediazione caduto vittima di un grave incidente, per il quale è in corso la procedura per la nomina di un amministratore di sostegno; ad un convocato deceduto nelle more della presentazione all'incontro al quale si presenti uno degli eredi per dichiararlo, etc.) può ammettersi che sussista l'impossibilità ad iniziare la procedura di mediazione e quindi la ragionevolezza del considerare validamente concluso il procedimento di mediazione (con l'inveramento della condizione di procedibilità e l'assenza di sanzioni).
Per inciso, è notorio a chiunque abbia anche una sommaria pratica di mediazione, che dietro alla dichiarazione di impossibilità ad iniziare la mediazione ci sono pressoché sempre divergenze nel merito delle questioni che costituiscono la materia del contendere.
Dal che l'inevitabile sillogismo che una vera impossibilità ad iniziare la mediazione non esiste (quasi) mai.
Per completezza, è opportuno interrogarsi se così interpretata la norma, non si incorra nel rischio (opposto) di prefigurare una sorta di mediazione forzata che l'intervento normativo con le modifiche al testo originario del d.lg. 28/2010 di cui alla novella del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (artt. 8 c. 1 terzo periodo in poi e 2 bis dell'art. 5) intendeva scongiurare.
Occorre intendersi sul significato della parola "mediazione"
Dal punto di vista sostanziale, va da sé che le parti che partecipano all'incontro di mediazione sono del tutto libere di accordarsi o meno.
E pertanto nell'accezione di accordo, conciliazione et similia, la mediazione non è mai obbligata.
Né dal mancato raggiungimento dell'accordo in mediazione può derivare alle parti o a taluna di esse pregiudizio di sorta, di alcun genere.
Dal punto di vista procedurale, alla domanda se vi sia un obbligo a carico delle parti di partecipazione alla mediazione (intesa questa volta non come accordo, ma come procedura nel significato di cui alla nota 2) la risposta è invece senz'altro affermativa; come rivela in modo icastico tutto il sistema sanzionatorio previsto dalla legge (improcedibilità per la mancata proposizione della domanda, conseguenze negative previste dall'art. 8 della legge; possibile applicazione dell'art. 96 c. 3 come riconosciuto dalla giurisprudenza.
Tale interpretazione - che ragionevolmente contempla l'eventuale situazione di inesigibilità della prosecuzione oltre il primo incontro informativo - è perfettamente in linea con la logica, il buon senso e la Costituzione.
Invero salvaguarda le parti dalla necessità dello svolgimento della mediazione (con i costi relativi) nei casi nei quali oggettive ragioni "pregiudiziali" non lo rendano possibile, nell'accezione supra illustrata; viceversa imponendolo, tutte le volte che la discussione possa concentrarsi sul merito e sul contenuto del conflitto, senza che possa fare da usbergo al soggetto renitente l'opinione di aver ragione e quindi di ritenere inutile dialogare con l'altra parte (per quanto all'evidenza viziata dal punto di vista logico, vera e propria aporia, è questa la più diffusa giustificazione che viene offerta da chi non intende aderire e partecipare alla mediazione.
Le parti (o taluna di esse) si fermano ingiustificatamente all'incontro informativo: conseguenze
La verbalizzazione delle ragioni della impossibilità di procedere alla mediazione.
In mancanza di qualsiasi dichiarazione, che le parti possono richiedere di verbalizzare liberando in tal modo il mediatore dall'obbligo di riservatezza, sulla ragione del rifiuto di proseguire nel procedimento di mediazione, tale rifiuto va considerato non giustificato. Invero la regola di base espressa dal decreto legislativo 28/2010 è l'obbligatorio svolgimento del procedimento di mediazione di cui agli artt. 5 commi 1 bis e 2 (come attesta inequivocabilmente il sistema sanzionatorio previsto dalla legge stessa per la mancata partecipazione, oltre che, a fortiori, per la mancata introduzione della domanda di mediazione). Ne consegue che il rifiuto di procedere e partecipare alla mediazione costituisce la violazione della regola.
E, come per ogni violazione, in qualsiasi sistema (penale e non), è la parte che invoca una giustificazione a doverla quanto meno allegare.
Le conseguenze di tale rifiuto - ingiustificato- di procedere e di partecipare alla mediazione sono, se espresso dall'istante/attore, sovrapponibili alla mancanza tout court della (introduzione della domanda di) mediazione.
Sarebbe infatti un'aporia ritenere soddisfatto il precetto della legge in materia di mediazione obbligatoria e demandata, ritenendo che sia sufficiente al fine di integrare la condizione di procedibilità la semplice formale introduzione della domanda.
Il legislatore persegue l'obiettivo dell'accordo e della pacificazione e una domanda di mediazione che rimanga monca, senza alcun seguito, non serve a tale scopo.
Con quanto ne consegue (improcedibilità della domanda ai sensi dell'art. 5 c. 2 d.lg. 28/10 per la parte istante, attore nella causa).
Non può infatti essere oggetto di dubbio - giova ribadire quanto supra ampiamente dimostrato - che il mero incontro informativo (che, per come configurato dalla legge, nulla ha a che vedere con lo specifico merito della controversia insorta fra le parti), non può, specialmente nella mediazione demandata, neppure con i più acrobatici sforzi dialettici, essere parificato allo svolgimento dell'esperimento della mediazione
La quale, come ricordato, consiste nell'attività, comunque denominata, svolta da un terzo imparziale e finalizzata ad assistere due o più soggetti nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia, anche con formulazione di una proposta per la risoluzione della stessa (art. 1 d.lg. 28/10).
Nel caso di specie il deficit di diligenza dell'attore è particolarmente evidente. Va ricordato infatti che nell'ordinanza del 25.5.2015 il Giudice aveva evidenziato in neretto e sottolineato la necessità di effettiva partecipazione al procedimento di mediazione della parte personalmente (in questo caso la labiale giustificazione motivi familiari è priva di specificità e non accettabile) e che è richiesta l'effettiva partecipazione al procedimento di mediazione demandata, laddove per effettiva si richiede che le parti non si fermino alla sessione informativa e che oltre agli avvocati difensori siano presenti le parti personalmente.
Per contro l'attore: nonostante il chiaro provvedimento del Giudice non ha voluto darvi seguito esperendo un valido percorso di mediazione senza distinguere e separare, con apposita dichiarazione a verbale, la sua posizione e volontà da quella dell'assicurazione (come attesta l'avverbio "congiuntamente" ripetuto due volte) ha impedito, in limine mediationis, che il mediatore potesse svolgere il suo lavoro, addirittura, in questo caso, neppure procedere alla fase informativa; in altre parole le parti si sono recate presso l'organismo di mediazione semplicemente per informare (sic) il mediatore che non avevano raggiunto l'accordo. Questa non è mediazione; non ha partecipato personalmente, senza valida giustificazione, all'incontro di mediazione come prescritto dal Giudice.
In conclusione va affermato (e ribadito) il principio che ove l'istante intenda svolgere effettivamente la mediazione demandata, non fermandosi all'incontro informativo, e ciò a differenza della parte antagonista che non intenda procedere, deve dichiararlo e farlo verbalizzare dal mediatore, distinguendo in tale modo la sua posizione da quella della parte renitente. In tale caso, il mancato svolgimento della mediazione demandata non comporterà l'improcedibilità della domanda, bensì, ove il diniego della controparte non risulti giustificabile, l'applicazione a carico di quest'ultima dell'art. 8 d.lg. 28/2010 oltre, ricorrendone i presupposti, dell'art. 96 c. 3 c.p.c.
In considerazione delle ragioni della decisione è giusto compensare interamente le spese di causa fra le parti; dichiarando irripetibili quelle erogate.

PQM

Definitivamente pronunziando, ogni contraria domanda eccezione e deduzione respinta, così provvede: dà atto del mancato svolgimento della mediazione demandata dal Giudice; dichiara improcedibile le domande di ZZZ iure proprio e iure hereditatis nella qualità di genitore esercente la potestà sui minori e XXX;
Compensa interamente le spese di causa, dichiarando irripetibili quelle erogate.
Roma lì 23.2.2017

(1) con l'atto di citazione in riassunzione dopo il decesso di M. coniugata con ZZZ e dei minori omissis che al momento dell'evento dannoso avevano rispettivamente 7 e 3 anni ;
(2) va considerato che il mutamento delle circostanze (morte della M.) si è verificato nel corso della causa, sicché sarebbe del tutto irrazionale ammettere che la causa petendi ed il petitum si dovessero considerare cristallizzati ed immodificabili con l'effetto di rendere del tutto inutile, in palese contrasto con i principi di economicità e concentrazione dell'attività giudiziaria, bene e risorsa limitata, la presente causa, essendo le domande iniziali (che si fondavano sulle gravi lesioni di M.) disassate rispetto alla situazione (ed alla conseguente domanda) derivante dal decesso della M.
(3) Ordinanza del 25.5.2015:
con la proposta del giudice, le parti possono predeterminare i risultati del percorso, valutarne da subito la convenienza e beneficiarne degli effetti.
Nell'ipotesi che taluna delle parti non sia disponibile ad aderire all'accordo, ne dovrà essere esposto a verbale il motivo in modo specifico, in modo da consentire al giudice di regolare, con la sentenza, le posizioni delle parti secondo giustizia (che in questo caso potrebbe equivalere a sanzionare la irragionevolezza del rifiuto ed il pregiudizievole disinteresse alla trattativa traendone le debite conclusioni a mente dell'art. 91 e c. 3 dell'art. 96 c.p.c. e nonché delle altre norme in materia di A.D.R. così come previste dalla legge e sviluppate dalla giurisprudenza, massime di questo giudice)
In particolare si formula la proposta in calce sviluppata, che è parte integrante di questa ordinanza. Benché la legge non preveda che la proposta formulata dal giudice ai sensi dell'art. 185 bis c.p.c. debba essere motivata (le motivazioni dei provvedimenti sono funzionali alla loro impugnazione, e la proposta ovviamente non lo è, non avendo natura decisionale); tuttavia si indicano alcune fondamentali direttrici che potrebbero orientare le parti nella riflessione sul contenuto della proposta e nella opportunità e convenienza di farla propria, ovvero di svilupparla autonomamente.
Sotto tale ultimo profilo, vale a dire la possibilità che le parti, assistite dai rispettivi difensori, possano trarre utilità dall'ausilio, nella ricerca di un accordo, ed anche alla luce della proposta del giudice, di un mediatore professionale di un organismo che dia garanzie di professionalità e di serietà, è possibile prevedere, anche all'interno dello stesso provvedimento che contiene la proposta del giudice, un successivo percorso di mediazione demandata dal magistrato.
Alle parti si assegna termine fino alla data del 30.9.2015 per il raggiungimento di un accordo amichevole sulla base di tale proposta.
Dalla eventuale infruttuosa scadenza del suddetto termine, decorrerà quello ulteriore di gg.15 per depositare presso un organismo di mediazione, a scelta delle parti congiuntamente o di quella che per prima vi proceda, la domanda di cui al secondo comma dell'art. 5 del decreto; con il vantaggio di poter pervenire rapidamente ad una conclusione, per tutte le parti vantaggiosa, anche da punto di vista economico e fiscale (cfr. artt. 17 e 20 d.lg. 4.3.2010 n.28), della controversia in atto.
Vanno, ancora, avvertite le parti che:
1. la proposta del giudice che segue è permeata da un contenuto di equità e che oltre a ciò l'esito dell'ulteriore corso della causa, laddove mancasse l'accordo, non consente a ciascuna delle parti di considerare definitivamente stabilizzati, nel bene e nel male, i suoi contenuti;
2. ai sensi e per l'effetto del secondo comma dell'art. 5 d.lg. 28/10 come modificato dal d.l. 69/2013 è richiesta l'effettiva partecipazione al procedimento di mediazione demandata, laddove per effettiva si richiede che le parti non si fermino alla sessione informativa e che oltre agli avvocati difensori siano presenti le parti personalmente;
Viene infine fissata un'udienza alla quale in caso di accordo le parti potranno anche non comparire; viceversa, in caso di mancato accordo, fisseranno a verbale in quella sede, come supra detto, le loro posizioni al riguardo.
(4) Si tratta in tutta evidenza di motivazioni illogiche, errate in punto di fatto e di diritto; prive di qualsiasi fondamento e pertinenza. La seconda non ha alcun senso. Il danno catastrofale non è stato menzionato dal Giudice e non può quindi essere motivo di rifiuto della proposta (sic) La prima ragione integra un errore madornale. La morte della M. è stata conseguenza del sinistro. E quindi il danno biologico in tutte le sue componenti (invalidità temporanea e permanente) è stato acquisito al patrimonio della M. e per essa, dopo il decesso, dei suoi eredi. Quanto al calcolo del danno permanente non vi deve essere, come è facile intendere (sarebbe un bel lucrare da parte del danneggiante ai danni della persona lesa!), alcuna riduzione rispetto alla vita media, perché è esattamente quella che il sinistro e la conseguente morte hanno sottratto indebitamente alla parte danneggiata (la M.); diversamente nel caso in cui la morte non fosse stata dipendente dal sinistro. In quel caso il Giudice avrebbe riparametrato il calcolo in relazione alla durata effettiva della vita della vittima.
(5) Secondo l'art. 1 della legge la mediazione è l'attività, comunque denominata, svolta da un terzo imparziale e finalizzata ad assistere due o più soggetti nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia, anche con formulazione di una proposta per la risoluzione della stessa.
(6) in questo caso, come si è detto, il mediatore dell'organismo compulsato NON ha fatto neppure quello!
(7) Art. 4 comma 3 della legge: All'atto del conferimento dell'incarico, l'avvocato è tenuto a informare l'assistito della possibilità di avvalersi del procedimento di mediazione disciplinato dal presente decreto e delle agevolazioni fiscali di cui agli articoli 17 e 20. L'avvocato informa altresì l'assistito dei casi in cui l'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale. L'informazione deve essere fornita chiaramente e per iscritto. In caso di violazione degli obblighi di informazione, il contratto tra l'avvocato e l'assistito è annullabile. Il documento che contiene l'informazione è sottoscritto dall'assistito e deve essere allegato all'atto introduttivo dell'eventuale giudizio. Il giudice che verifica la mancata allegazione del documento, se non provvede ai sensi dell'articolo 5, comma 1-bis, informa la parte della facoltà di chiedere la mediazione
(8) ex multis Trib. Firenze, ordinanza 17 marzo 2014 Pres. dott.ssa Luciana Breggia: ... Nelle "procedure di mediazione ex art. 5, comma 1-bis (ex lege) e comma 2 (su disposizione del giudice) del d.lg. 28/10 (e succ. mod.), ... da ritenersi ambedue di esperimento obbligatorio.... il mediatore nel primo incontro chiede alle parti di esprimersi sulla "possibilità" di iniziare la procedura di mediazione, vale a dire sulla eventuale sussistenza di impedimenti all'effettivo esperimento della medesima e non sulla volontà delle parti, dal momento che in tale ultimo caso si tratterebbe, nella sostanza, non di mediazione obbligatoria, bensì facoltativa e rimessa alla mera volontà delle parti medesime con evidente, conseguente e sostanziale interpretatio abrogans del complessivo dettato".
Nel caso di specie, il tentativo di mediazione, pur ritualmente iniziato, non risulta altrettanto ritualmente condotto a termine.
(9) Art. 8: Al primo incontro e agli incontri successivi, fino al termine della procedura, le parti devono partecipare con l'assistenza dell'avvocato. Durante il primo incontro il mediatore chiarisce alle parti la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione. Il mediatore, sempre nello stesso primo incontro, invita poi le parti e i loro avvocati a esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione e, nel caso positivo, procede con lo svolgimento.
(10) 2-bis. Quando l'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l'accordo.
(11) cfr. sentenza del Tribunale di Roma n.25218 del 17.12.2015 RG 59487/11
(12) È di tutta evidenza l'illogicità e la pochezza dell'argomento: il presupposto normativo e assiologico dell'istituto mediazione è per l'appunto che vi sia una lite (che mediante l'ausilio del mediatore si tenterà di comporre riannodando il filo del dialogo e della comprensione reciproca delle rispettive ragioni), il che sottoindente necessariamente che la parte è convinta di avere ragione e di non condividere l'opinione e le pretese che giudica infondate, della parte opposta, ché, in caso contrario, non esisterebbe neppure la lite!
(13).... in tal caso l'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale.

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.

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