=> Corte di Cassazione, 9 maggio 2023, n. 12304
È fondato il motivo con cui ci si lamenta della condanna al
risarcimento del maggior danno per non avere contribuito alla risoluzione della
controversia in sede di mediazione qualora il procedimento di mediazione
della lite non poteva che coinvolgere altra parte convenuta ritenuta
responsabile dei danni lamentati (con l'effetto che la mancata risoluzione
della controversia, anche con riguardo alle spese del relativo procedimento,
risulta ascrivibile esclusivamente a detta parte). Si osserva inoltre che il D.Lgs.
n. 28 del 2010, artt. 8, comma 4 bis, e 13, nel disciplinare le conseguenze
della mancata partecipazione o del rifiuto della proposta di mediazione, non
prevedono sanzioni di tipo risarcitorio a carico delle parti che vi abbiano
partecipato in caso di mancata conclusione dell'accordo (I).
(I) Si vedano gli artt. 8, comma 4bis, e 13 d.lgs. n. 28/2010 (come novellato
dalla c.d. riforma Cartabia), in Osservatorio Mediazione Civile n. 28/2023.
(II) In argomento si veda Cass. n. 12896
del 2021.
Fonte: Osservatorio
Mediazione Civile n. 39/2023
(www.osservatoriomediazionecivile.blogspot.com)
Cote di Cassazione
sezione II
ordinanza n. 12304
9 maggio 2023
Omissis
Con sentenza n. 180 del 4. 2. 2022 la Corte di appello di Bari rigettò
l'appello proposto da L.R. avverso la decisione del Tribunale che aveva
ordinato al condominio di via omissis
in omissis di eseguire i lavori di
riparazione specificati nella consulenza tecnica d'ufficio e lo aveva
condannato, unitamente al condominio, al pagamento della somma di Euro 800,00 a
titolo di risarcimento dei danni subiti dall'unità immobiliare di proprietà
degli attori A.C. e L.R., a causa di infiltrazioni d'acqua provenienti
dall'androne condominiale. La Corte barese confermò la decisione di primo grado
rilevando che il danno e la sua ascrivibilità alle infiltrazioni provenienti
dalle parti comuni dell'edificio, causa la particolare conformazione
architettonica del fabbricato, risultavano accertati dalla relazione del
consulente tecnico d'ufficio e che la responsabilità del condominio e del L.,
che quale condomino era intervenuto volontariamente nel giudizio di primo
grado, doveva essere affermata ai sensi dell'art. 2051 c.c..
L.R., con atto notificato il 3. 5. 2022, ha proposto ricorso per la
cassazione di questa sentenza, notificata il 4. 3. 2022, affidandosi a tre
motivi.
A.C. e L.R. non hanno svolto attività difensiva.
La causa è stata avviata in decisione in adunanza camerale non
partecipata.
Parte ricorrente ha depositato memoria.
Il primo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione
degli artt. 112, 132 n. 4, 345 e 346 c.p.c. e vizio di omesso esame di un fatto
decisivo per il giudizio, censurando la sentenza impugnata per avere
acriticamente aderito alle conclusione del consulente tecnico d'ufficio in
ordine alla riconducibilità dei danni lamentati dagli attori all'immobile
condominiale, trascurando di considerare le puntuali osservazioni critiche
formulate dall'odierno ricorrente in primo grado e riprodotte nell'atto di
appello.
Il motivo è inammissibile.
La Corte di appello ha ravvisato la responsabilità del condominio in
ordine ai danni subiti dall'appartamento degli attori A. e L., ai sensi
dell'art. 2051 c.c., rilevando che il consulente tecnico d'ufficio aveva
accertato che le infiltrazioni dipendevano dalla conformazione architettonica
del fabbricato, il cui vano scala era stato realizzato nella corte scoperta,
con l'effetto che, in caso di pioggia, l'acqua ristagnava sui gradini, che non
rispettavano le pendenze, e penetrava sulla parete di confine tra l'androne
condominiale e la proprietà degli attori, precisando altresì, nel rispondere
alle critiche rivolte dall'appellante L., che dalle fotografie in atti
risultava che il muro dell'androne ed il vano scala presentavano segni evidenti
di esposizione alle intemperie.
La motivazione, che appare fondata non solo sulle risultanze della
consulenza tecnica d'ufficio ma anche sull'esame diretto delle fotografie dello
stato dei luoghi, è del tutto congrua ed idonea a sorreggere il convincimento
del giudicante e si risolve in un accertamento dei fatti di causa che, come
tale, non è sindacabile in sede di giudizio di legittimità. Le censure
riprodotte nel ricorso avverso le conclusioni della consulenza tecnica appaiono
inoltre generiche e non decisive, tali da far ritenere che esse trovino
implicita confutazione nella ricostruzione dei fatti a cui la Corte di appello
ha aderito.
Si rileva, inoltre, che la deduzione relativa all'omesso esame di fatti
decisivi per il giudizio, su cui il motivo in gran parte si articola, è
inammissibile ai sensi dell'art. 348 ter c.p.c., applicabile ratione temporis
essendo il giudizio di appello iniziato nel 2019, che dichiara non proponibile
il motivo di cui all'art. 360, comma 1 n. 5, c.p.c. nel caso in cui la sentenza
di appello sia fondata sui medesimi fatti della sentenza di primo grado (c.d.
doppia conforme).
Il secondo motivo di ricorso, che denuncia violazione e falsa applicazione
degli artt. 112,132 n. 4, 345 e 346 c.p.c., degli artt. 1134, 2051 e 2697 c.c.
e vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, lamenta che la
Corte di appello abbia accolto la domanda degli attori in mancanza di prova
della entità del danno e del nesso causale, fondando il proprio convincimento
sui risultati di una consulenza meramente esplorativa e liquidando il danno
oltre i limiti della domanda proposta.
Il motivo è inammissibile ed in parte infondato.
In particolare sono inammissibili le censure che investono la
ricostruzione dei fatti operata dal giudice di merito, per le quali valgono le
considerazioni svolte in sede di esame del motivo precedente, anche per quanto
riguarda il giudizio di causalità tra i danni riscontrati e il fatto che li ha
determinati. Identica conclusione merita l'eccezione di mancata prova
dell'entità del danno, che appare censura nuova, risultando dalla decisione
impugnata che l'appellante aveva contestato, con il secondo motivo, la
violazione dell'onere della prova limitatamente al nesso causale e non
all'ammontare del danno.
Infondata appare invece la censura di violazione di ultrapetizione,
atteso che dalla sentenza e dallo stesso ricorso emerge che gli attori aveva
chiesto la condanna del condominio alla somma di Euro 1.681,48, cioè ad un
importo superiore a quello loro liquidato.
Il terzo motivo di ricorso denuncia violazione del D.Lgs. n. 28 del
2010, artt. 8 e 13, degli artt. 91 e 96 c.p.c. e vizio di omesso esame di un
fatto decisivo per il giudizio, censurando la sentenza impugnata per avere
confermato il capo della decisione di primo grado che lo aveva condannato, in
solido con il condominio, al risarcimento del maggior danno per non avere
contribuito alla risoluzione della controversia in sede di mediazione,
sanzionando in tal modo una condotta priva di colpa e comunque non ascrivibile
all'odierno ricorrente.
Il motivo è fondato.
La Corte di appello ha confermato la decisione di primo grado nella
parte in cui aveva condannato in solido il condominio e il L. al pagamento
dell'importo di Euro 600,00 per non avere aderito alla mediazione, "a
titolo di maggior danno non avendo i convenuti e l'interventore contribuito a
risolvere la controversia nel modo più comodo ed economico e per averne dato
causa e per non avere aderito alla proposta di mediazione".
La censura è fondata per la ragione, assorbente sulle altre, che il
procedimento di mediazione della lite non poteva che coinvolgere il condominio,
quale parte convenuta ritenuta responsabile dei danni lamentati, con l'effetto
che la mancata risoluzione della controversia, anche con riguardo alle spese
del relativo procedimento, era ascrivibile esclusivamente a detta parte, la cui
volontà di aderire all'accordo di mediazione, espressa nelle forme richieste
dalla legge, non avrebbe potuto non prevalere su quella del condomino
intervenuto.
Si osserva inoltre che il D.Lgs. n. 28 del 2010, artt. 8, comma 4 bis,
e 13, nel disciplinare le conseguenze della mancata partecipazione o del
rifiuto della proposta di mediazione, non prevedono sanzioni di tipo
risarcitorio a carico delle parti che vi abbiano partecipato in caso di mancata
conclusione dell'accordo.
Il ricorso va pertanto accolto in relazione al terzo motivo, mentre gli
altri sono respinti.
La sentenza va cassata in relazione al motivo accolto e la causa
rinviata alla Corte di appello di Bari, in diversa composizione, anche per la
liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
PQM
Accoglie il terzo motivo di ricorso, rigettati gli altri; cassa la
sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte
di appello di Bari, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle
spese del giudizio.
AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.