DIRITTO D'AUTORE


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25 ottobre 2016

75/16. Mediazione demandata: avvio tardivo, improcedibilità; domanda via posta: rileva la data dell’invio (Osservatorio Mediazione Civile n. 75/2016)

=> Tribunale di Firenze, 14 settembre 2016

Disposto l’invio delle parti in mediazione ex art.5, comma 2, d.lgs. 28/2010, va affermato che l’avvio tardivo del procedimento di mediazione (oltre il termine di quindici giorni assegnato dal giudice) inficia l’intera procedura e non è idoneo a ritenere assolta la condizione di procedibilità (I) (II).

Con riferimento all’art.5, comma 2, d.lgs. 28/2010 – laddove, in tema di mediazione demandata, afferma che il giudice assegna “alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione” – va fatto riferimento, in caso di utilizzo della posta raccomandata, non alla data di deposito della domanda di mediazione presso l’Organismo, bensì a quella di invio della raccomandata (I) (II).






Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 75/2016

Tribunale di Firenze
Sezione terza
Sentenza
14 settembre 2016

Omissis

1. Sulla improcedibilità per mancato tempestivo deposito della domanda di mediazione.
Trattasi questione da trattare per prima, in quanto avente natura pregiudiziale di rito e potenzialmente idonea a definire il giudizio.
E’ documentale che la mediazione è stata disposta il 25.11.2014, con assegnazione di termine ex lege di 15 giorni per la proposizione del relativo procedimento, e che la domanda di mediazione, inviata per posta raccomandata il 5.12.2014, risulta pervenuta e depositata dall’Organismo di mediazione in data 17.12.2014, e quindi dopo la scadenza del suddetto termine.
Ciò posto, va preliminarmente rammentato il più volte affermato orientamento di questo giudice in materia di termini per l’avvio del procedimento di mediazione c.d. delegata.
Ai sensi del d.lgs. 28/2010 l’invio delle parti in mediazione costituisce potere discrezionale dell’ufficio che può essere esercitato “valutata la natura della causa, lo stato dell’istruzione ed il comportamento delle parti”, sempreché non sia stata tenuta l’udienza di precisazione delle conclusioni. Ove la mediazione venga disposta, il suo esperimento “è condizione di procedibilità della domanda giudiziale” (art. 5, II co. d.lgs. citato). Ne segue che il mancato esperimento della mediazione vizia irrimediabilmente il processo, impedendo l’emanazione di sentenza di merito.
Lo stesso art. 5, II co. prevede espressamente che il Giudice assegna termine di giorni 15 “per la presentazione della domanda di mediazione”.
L’avvio tardivo del procedimento di mediazione inficia l’intera procedura e non è idoneo a ritenere assolta la condizione di procedibilità. Questo giudice ha infatti sempre ritenuto che tale termine abbia natura perentoria, ovvero che, comunque, il mancato rispetto di esso, anche ove considerato ordinatorio, comporti la decadenza dalla relativa facoltà (si veda per tutte la sentenza del 4.06.2015, pubblicata su numerosi siti on line).
Nel caso di specie, occorre stabilire se ai fini della tempestività della “presentazione” della domanda di mediazione si debba avere in ogni caso riguardo alla data di deposito della domanda di mediazione presso l’Organismo adito, ovvero a quella, in caso di utilizzo della posta raccomandata, di invio della medesima.
Ritiene il giudicante che la risposta corretta sia quest’ultima.
Invero, anche se la mediazione è adempimento che si svolge in via incidentale ed al di fuori del procedimento giudiziario, non può certo dubitarsi, anche per l’innegabile collegamento ed interdipendenza tra le due procedure sotto il profilo della procedibilità della domanda, che ad esso sia applicabile, eventualmente in via analogica, la disciplina del processo.
Ciò posto, il disposto dell’art. 5 d.lgs. 28/2010, nella misura in cui prevede un termine per l’avvio della mediazione, va quindi interpretato nel senso che ai fini della tempestività dell’incombente debba aversi riguardo alla data di invio della relativa domanda e non dalla sua ricezione e deposito da parte dell’ente destinatario.
Tale soluzione è coerente con il principio più volte espresso dalla Corte di legittimità, secondo cui, ove debba procedersi a pena di decadenza a notifica di un atto nel rispetto di un termine processuale, è sufficiente che l’atto sia posto in notifica prima della scadenza, non rilevando invece che la stessa si perfezioni successivamente per il destinatario (di recente, si veda Cass., n. 3755/14; 22995/14 nonché Corte cost. sent. n. 447/2002).
Altrimenti argomentando, si avrebbe un onere eccessivamente gravoso a carico della parte interessata ad attivare il procedimento, e ciò anche in considerazione della non eccessiva durata del termine previsto dalla legge per tale incombente (15 gg) e della non imputabilità dei ritardi inerenti la trasmissione a mezzo posta e della stessa formalità di deposito.
D’altra parte il termine di 15 gg non è finalizzato a consentire il deposito della domanda di mediazione, bensì, esclusivamente la sua “presentazione” all’organismo di mediazione.
L’utilizzo di termine atecnico, quale quello di “presentazione”, lascia chiaramente intendere che la stessa può attuarsi con modalità tra loro equipollenti, purché comunque idonee a dare certezza legale circa il rispetto del termine concesso.
Né d’altra parte appare decisivo sul punto il disposto di cui all’art. 4, I co., del D. Lgs. citato, secondo cui “la domanda di mediazione … è presentata mediante deposito di un istanza presso un organismo …In caso di più domande relative alla stessa controversia la mediazione si svolge avanti all’organismo territorialmente competente presso il quale è stata presentata la prima domanda. Per determinare il tempo della domanda si ha riguardo alla data di deposito dell’istanza”.
La circostanza che tale disposizione faccia espresso riferimento al “deposito” come modalità di presentazione dell’atto ed ai fini di determinare la priorità tra più domande ai fini della competenza, non esclude che l’istanza possa essere utilmente proposta, sia pure al limitato fine di non incorrere nella violazione del termine di legge e quindi di escludere i citati effetti decadenziali, con la modalità qui contestata.
La data di deposito dell’istanza è quindi solo elemento rilevante ai fini di determinare la priorità di essa in caso di presentazione di più domande aventi ad oggetto la medesima controversia di fronte ad organismi distinti.
Ciò non esclude che ai fini del tempestivo avvio della procedura si debba avere riguardo alla data di invio della domanda con mezzi equipollenti.
Non si vede pertanto per quale ragione debba ritenersi irrituale l’invio in posta raccomandata della relativa domanda, ovvero i motivi per cui, ove la parte si avvalga di tale facoltà, la stessa dovrebbe accollarsi il rischio di eventuali ritardi imputabili all’agente postale.
Si aggiunga che dallo stesso modello di domanda di mediazione redatto dall’organismo di conciliazione bancaria, adito nella fattispecie, si evince la possibilità di inoltro a mezzo posta della relativa istanza, cosicchè eccessivamente formalistica sul punto appare la diversa soluzione, peraltro adottata, per quanto consta, solo da isolato precedente di merito (Trib. Busto Arstizio 15.6.2012).
Poiché nella fattispecie è documentale che la domanda è stata inviata per posta raccomandata il 5.12.2014, e quindi addirittura 6 giorni prima della scadenza del termine assegnato, appare evidente la tempestività dell’adempimento.
L’eccezione va quindi respinta.

2. Sulla azione revocatoria proposta ex art. 2901 c.c.
L’attore ha proposto, in tesi, domanda revocatoria ex art. 2901 c.c., chiedendo che venga dichiarata l’inefficacia della compravendita avvenuta il 13.01.2010.
In via preliminare i convenuti hanno eccepito la carenza di interesse ad agire rappresentando che sull’immobile oggetto della compravendita è stata iscritta ipoteca non solo da parte di B., ma anche, in precedenza, da parte della omissis di Cambiano che aveva concesso altri due mutui per complessivi € 364.000,00. Secondo parte convenuta, “il residuo debito esistente per i predetti tre mutui ipotecari è altamente superiore al valore economico dell’immobile in parola”. Ne seguirebbe la materiale impossibilità per la banca di vedere soddisfatte le pretese azionate sull’immobile in questione e, quindi, la mancanza di interesse ad agire.
Occorre innanzitutto distinguere tra il credito della B. garantito da ipoteca e il credito chirografario della stessa.
In relazione al credito garantito non si può dubitare che manchi un effettivo interesse ad agire di B., visto che il creditore ipotecario rimane immune, in virtù del diritto di sequela, dai pregiudizi derivanti dall’atto di compravendita.
A diversa soluzione si giunge per quanto riguarda il credito chirografario (€ 448.984,44). In primo luogo, infatti non vi è in atti alcuna prova dell’entità del credito residuo garantito dalle ipoteche di grado precedente. Non può quindi escludersi che per, causa il parziale pagamento dei debiti cui si riferiscono le iscrizioni precedenti, l’atto dispositivo possa essere in concreto pregiudizievole per la parte attrice.
In secondo luogo va richiamata la condivisibile giurisprudenza della S.C. ai sensi della quale “la circostanza che i beni, oggetto dell'atto dispositivo in questione, [siano] stati in precedenza ipotecati a favore di un terzo […] non vale ad escludere l'eventus damni. È bensì vero che l'art. 2741 c.c.nell'attribuire a tutti i creditori eguale diritto di essere soddisfatti sui beni del debitore, fa salve le legittime cause di prelazione, ma non per questo l'atto dispositivo del bene ipotecato, compiuto dal debitore, può ritenersi indifferente nei riguardi di ogni altro creditore, altro essendo che costoro, per soddisfare il loro credito, possano fare affidamento su beni del debitore ancorché ipotecati, altro che si trovino invece, a seguito dell'atto dispositivo, di fronte ad un patrimonio immobiliare, dello stesso debitore, divenuto inesistente: invero, l'azione revocatoria ordinaria ha la funzione di ricostituire la garanzia generica assicurata al creditore dal patrimonio del suo debitore (Cass. n. 19131 del 2004), e non già, […] la garanzia specifica” (Cass. civ. 27718/2005).
Sul punto va anche richiamata la consolidata e univoca giurisprudenza della Cassazione secondo cui, ai fini dell’art. 2901 c.c., non è necessario che l’atto dispositivo costituisca di per sé un danno in capo al creditore, ma è sufficiente che esso renda più incerto o difficile il soddisfacimento del credito (ex multis: Cass. civ. sent. 1896/2012 e 7767/2007).
Tale principio è stato anche di recente specificato dalla S.C. nel senso che “la presenza di ipoteche sull'immobile trasferito con l'atto oggetto di revoca non esclude di per sé il requisito del pregiudizio del trasferimento stesso per il creditore chirografario procedente ex art. 2901 c.c., (eventus damni) nè, di conseguenza, l'interesse di questi a proporre tale azione” (Cass. civ. 16793/2015).
D’altra parte non può escludersi a priori l’eventualità che siano pagati spontaneamente i crediti garantiti dalle ipoteche iscritte, circostanza che renderebbe sicuramente pregiudizievole l’atto oggetto di causa.
Tali considerazioni inducono a ritenere a fortiori infondata anche l’eccezione dei convenuti per la quale mancherebbe un eventus damni, atteso che l’immobile è stato ceduto a titolo oneroso e che non vi sarebbe di conseguenza pregiudizio delle ragioni creditorie. La Cassazione ha ripetutamente affermato che la sostituzione di beni immobili con il denaro ricavato dalla compravendita costituisce un pregiudizio alle ragioni del creditore, dal momento che comporta una variazione qualitativa del patrimonio del debitore idonea a provocarne con maggiore facilità la dispersione (ex multis Cass. civ. 1896/2012).
Né rileva la circostanza che i compratori si siano accollati le residue rate dei mutui ipotecari relativi all’immobile, valendo sul punto le considerazioni di cui sopra circa la persistenza dell’interesse alla revoca.
Inconsistente è poi la circostanza, asserita dai convenuti, per cui la compravendita sarebbe avvenuta “in trasparenza” e “senza alcuna opposizione della Banca”. Anche ad ammettere, in ipotesi, la veridicità dell’allegazione, tale circostanza non poterebbe comunque valere quale tacita rinuncia alle pretese creditorie, attesa l’inesistenza di un comportamento univoco.
Appurato che il rapporto fideiussorio tra B. e i coniugi omissis è sorto precedentemente rispetto all’atto di compravendita ( si vedano i numerosi documenti prodotti da omissis e datati a partire dal gennaio 2007), va altresì rilevato che il sorgere del credito e il relativo acquisto della qualità del debitore da parte del fideiussore (cfr. Cass. civ. 22465/2006) è anch’esso avvenuto precedentemente all’atto di disposizione pregiudizievole: a tal proposito, omissis ha provato documentalmente esposizioni sui conti correnti della srl per circa € 250.000,00 al 12.01.2010 (cfr. doc. 4 fascicolo omissis).
Ciò posto, resta da vagliare la sussistenza degli altri requisiti previsti dall’art. 2901 c.c.
Quanto alla sussistenza del credito, va premesso che il giudizio relativo all’azione revocatoria non costituisce giudizio di accertamento del credito. In questa sede infatti è sufficiente limitarsi ad accertare la non manifesta infondatezza delle pretese creditorie, potendo bene essere proposta azione ex art. 2901 c.c. anche in presenza di crediti litigiosi ed eventuali. Come è stato autorevolmente affermato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, l'accertamento del credito non costituisce l'indispensabile antecedente logico-giuridico della pronuncia sulla domanda revocatoria (cfr. SU Cass. civ. n. 9440/2004) .
La B. ha ad ogni modo sufficientemente provato il proprio credito, contestato dai convenuti, producendo copie dei numerosi contratti fideiussori, degli estratti conto e degli scoperti, documenti non disconosciuti da parte dei convenuti.
Per quanto attiene alla decadenza eccepita ex art. 1957 c.c., va rilevato che i contratti stipulati in data omissis derogano espressamente al detto art. 1957 c.c..
E’ pertanto da escludere che la banca sia decaduta dalla facoltà di escutere le fideiussioni ai sensi della suddetta disposizione.
Occorre ora vagliare la sussistenza della c.d. scientia fraudis e della c.d. participatio fraudis.
La natura onerosa del negozio di compravendita di cui viene chiesta la revoca comporta per la parte attrice l’onere di provare non solo che il debitore fosse consapevole della natura pregiudizievole che l’atto arrecava alle ragioni della banca, ma anche della c.d. participatio fraudis, ovvero della conoscenza da parte del terzo acquirente della medesima circostanza (ex multis Cass. 5359/2009).
Tale prova è stata raggiunta.
Per quanto attiene allo stato soggettivo dei venditori, non è possibile in alcun modo dubitare che omissis, legale rappresentante e socio al 95% della SRL, fosse a conoscenza della situazione di crisi in cui versava l’impresa, tanto più che l’atto di compravendita si è formato lo stesso giorno in cui la società è stata messa in liquidazione (nominando omissis liquidatore).
Analoghe considerazioni valgono per la sig.ra B, in considerazione del rapporto di coniugio con omissis.
Neppure possono sussistere dubbi circa la presenza della participatio fraudis. Infatti, la stretta relazione di parentela/affinità tra compratori e venditori fa ritenere con certezza che i primi fossero a conoscenza della situazione economica dei secondi, sarebbe a dire sia della qualità di fideiussori dei coniugi B e C, sia della sostanziale insolvenza della Srl.

Una simile circostanza è di per sé sufficiente al fine di configurare la sussistenza della participatio fraudis, che, come ha autorevolmente affermato la S.C. (cfr. sentt. 18315/2015 e 5359/2009), può essere accertata anche solo tramite il ricorso a presunzioni. La S.C. ha inoltre specificamente chiarito che lo stretto legame parentale tra il debitore disponente ed i terzi rende estremamente plausibile la presunzione che quest’ultimi siano a conoscenza del pregiudizio arrecato alle ragioni del creditore (cfr. sent. 5359/2009).
La domanda ex art. 2901 c.c. va pertanto accolta.
Rimane assorbita la domanda di simulazione e ogni altra questione.

3. Sulle spese di lite
Attesa la totale soccombenza dei convenuti, gli stessi vanno condannati al pagamento delle spese di lite che vanno stimate ai sensi del d.m. 55/2014.
Il valore della causa va stimato nel prezzo dichiarato di compravendita dell’immobile, € 178.800,00, e non nel maggiore ammontare del credito chirografario.
Infatti, il d.m. 55/2014, sebbene preveda all’art. 5 I co. che “nei giudizi per azioni surrogatorie e revocatorie, si ha riguardo all'entità economica della ragione di credito alla cui tutela l'azione è diretta”, dispone all’art. 5 II co. che “in ogni caso si ha riguardo al valore effettivo della controversia, anche in relazione agli interessi perseguiti dalle parti, quando risulta manifestamente diverso da quello presunto a norma del codice di procedura civile o alla legislazione speciale”.
Da tali disposizioni, che erano già contenute nel d.m. 127/2004, la Cassazione ha tratto il condivisibile principio per cui “ai fini della liquidazione degli onorari a carico del cliente ed a favore dell'avvocato che abbia prestato la sua opera in un giudizio relativo ad azione revocatoria, qualora il valore della controversia sia manifestamente diverso da quello presunto a norma del codice civile, esso si determina non già sulla base del credito a tutela del quale si è agito in revocatoria, ma sulla base del valore effettivo della controversia” (sent. 19520/2015).
Nel caso di specie, il valore effettivo della controversia coincide con il valore del bene immobile oggetto della compravendita, come dichiarato nell’atto.
Lo scaglione di riferimento è pertanto quello € 52.000,00 – 260.000,00.
La liquidazione delle spese va effettuata in misura inferiore a quella media in considerazione della natura documentale della lite e delle modalità semplificate della decisione (art. 281 sexies c.p.c.).

PQM

Visto l’art. 281 sexies c.p.c. il Tribunale di Firenze, sezione III civile in composizione monocratica, definitivamente decidendo, ogni altra e contraria istanza disattesa: respinge l’eccezione di improcedibilità della domanda attorea; revoca e dichiara inefficace nei confronti della banca (B) la compravendita avvenuta in data 13.01.2010 ai Rogiti del notaio omissis; ordina al Direttore dell’Agenzia del Territorio competente l’annotazione della presente sentenza a margine dell’atto impugnato, con esonero di responsabilità; condanna i convenuti omissis a rimborsare in favore di BANCA le spese di lite, che si liquidano in € 11.000,00 per compensi di avvocato ed € 1.150,00 per esborsi oltre rimborso forfettario 15% IVA e CPA come per legge.
Il Giudice
dott. Alessandro Ghelardini

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.

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