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30 aprile 2019

22/19. Legittimità costituzionale della mediazione e sue maggiori possibilità di successo rispetto alla negoziazione assistita (Osservatorio Mediazione Civile n. 22/2019)

=> Corte Costituzionale, 18 aprile 2019, sentenza n. 97

Non sono fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 84, comma 1, lett. b), d.l. n. 69 del 2013, come convertito, che inserisce il comma 1-bis all’art. 5 d.lgs. n. 28 del 2010 (reintroduzione della c.d. mediazione obbligatoria) e dell’art. 84, comma 1, lett. i), dello stesso d.l. n. 69 del 2013, nella parte in cui aggiunge il comma 4-bis, secondo periodo, all’art. 8, d.lgs. n. 28 del 2010 cit., sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 77 (I) (II).

Non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 4, lett. a), d.lgs. n. 28 del 2010 (“I commi 1-bis e 2 non si applicano: a) nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l'opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione”), sollevata, in riferimento all’art. 3 Cost (III).

Va affermata la sussistenza di un fondamentale elemento specializzante ravvisabile nella mediazione, rispetto alla negoziazione assistita (di cui al d.l. 132/2014 conv., con mod., in l. 162/2014), consistente nella circostanza che il procedimento di mediazione è connotato dal ruolo centrale svolto da un soggetto, il mediatore, terzo e imparziale, da cui discendono le maggiori possibilità della mediazione, rispetto alla negoziazione assistita, di conseguire la finalità cui è preordinata (IV).

Per approfondimenti si veda
SPINA
(nota a Corte Costituzionale, sentenza del 18.4.2019, n. 97)
in La Nuova Procedura Civile 2, 2019


(II) In merito alle novità introdotte alla disciplina della mediazione dal citato intervento del 2013 di veda si veda lo SPECIALE dell’OSSERVATORIO: DECRETO del FARE e NUOVA MEDIAZIONE CIVILE



Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 22/2019

Corte Costituzionale
Sentenza n. 97
18 aprile 2019

Omissis

Considerato in diritto

1.– Il Tribunale ordinario di Verona, con due distinte ordinanze di cui si è detto in narrativa, solleva – in riferimento agli artt. 3 e 77, secondo comma, della Costituzione – sostanzialmente identiche questioni di legittimità costituzionale dell’art. 84, comma 1, lettera b), del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia), convertito, con modificazioni, nella legge 9 agosto 2013, n. 98, che inserisce il comma 1-bis all’art. 5 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28 (Attuazione dell’articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali), dell’art. 84, comma 1, lettera i), dello stesso d.l. n. 69 del 2013, nella parte in cui aggiunge il comma 4-bis, secondo periodo, all’art. 8 del citato d.lgs. n. 28 del 2010, nonché del comma 2 del medesimo art. 84.
Nella sola ordinanza iscritta al n. 98 r.o. 2018, subordinatamente alla questione avente ad oggetto l’art. 84, comma 1, lettera b), del d.l. n. 69 del 2013, il Tribunale rimettente dubita, inoltre, della legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 4, lettera a), del d.lgs. n. 28 del 2010, in riferimento all’art. 3 Cost.
2.– In considerazione della parziale identità delle norme denunciate e delle censure formulate, i giudizi devono essere riuniti per essere decisi con un’unica pronuncia.
3.– Con la disposizione di cui all’art. 84, comma 1, lettera b), del d.l. n. 69 del 2013, il legislatore – mosso dalla necessità, cui fa riferimento il preambolo del decreto-legge stesso, di adottare «misure per l’efficienza del sistema giudiziario e la definizione del contenzioso civile» finalizzate, unitamente alle altre contestualmente previste, a «dare impulso al sistema produttivo del Paese attraverso il sostegno alle imprese, il rilancio delle infrastrutture, operando anche una riduzione degli oneri amministrativi per i cittadini e le imprese» – ha inserito il comma 1-bis all’art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010.
È stata così reintrodotta nell’ordinamento – dopo la declaratoria d’illegittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1, del citato del d.lgs. n. 28 del 2010 pronunciata da questa Corte, per eccesso di delega, con la sentenza n. 272 del 2012 – la mediazione civile quale condizione di procedibilità delle domande giudiziali relative a talune materie, tra le quali quella dei contratti bancari oggetto dei giudizi a quibus, specificamente individuate dalla norma.
La parte che intende esercitare in giudizio una delle azioni indicate dall’art. 5, comma 1-bis, del d.lgs. n. 28 del 2010 è, dunque, tenuta preliminarmente a tentare la composizione stragiudiziale della controversia mediante l’esperimento del procedimento disciplinato dal d.lgs. medesimo, il cui svolgimento è affidato ad appositi organismi di mediazione e, al loro interno, ai mediatori. È, infatti, presso l’organismo territorialmente competente che devono essere depositate le istanze di mediazione, ricevute le quali il responsabile designa un mediatore e fissa il primo incontro tra le parti, che si deve tenere, nella sede dell’organismo stesso (o nel luogo indicato nel regolamento da esso adottato), entro trenta giorni (artt. 4 e 8 del d.lgs. n. 28 del 2010).
L’art. 84, comma 1, lettera i), del d.l. n. 69 del 2013, nella parte in cui aggiunge il comma 4-bis, secondo periodo, all’art. 8 del d.lgs. n. 28 del 2010, riproduce, invece, la norma – in precedenza espressa dal comma 5 dello stesso art. 8, parimenti dichiarato incostituzionale, in via consequenziale, con la citata sentenza n. 272 del 2012 – che prevede che il giudice «condanna la parte costituita che, nei casi previsti dall’articolo 5 [del d.lgs. n. 28 del 2010], non ha partecipato al procedimento senza giustificato motivo, al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio».
3.1.– Tanto la lettera b) dell’art. 84, comma 1, del d.l. n. 69 del 2013, quanto il secondo periodo del comma 4-bis aggiunto all’art. 8 del d.lgs. n. 28 del 2010 dalla lettera i) dello stesso art. 84, comma 1, difetterebbero, ad avviso del giudice a quo, «dei requisiti di necessità ed urgenza legittimanti la [loro] adozione con decreto legge», così ledendo l’art. 77, secondo comma, Cost., segnatamente in quanto il successivo comma 2, peraltro anch’esso autonomamente censurato, avrebbe posticipato la loro entrata in vigore di trenta giorni rispetto alla data di entrata in vigore del decreto-legge stesso (recte: rispetto alla data della entrata in vigore della legge di conversione del d.l.).
Il denunciato vulnus si apprezzerebbe, nella prospettiva del rimettente, sotto un duplice profilo.
Il suddetto differimento, infatti, per un verso, sarebbe incompatibile con l’urgenza del provvedere, che presupporrebbe, al contrario, l’immediata applicabilità delle norme dettate dal decreto-legge, anche alla luce di quanto disposto dall’art. 15, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri). Sotto altro aspetto, determinerebbe la carenza della omogeneità finalistica tra le norme censurate e le altre introdotte dal d.l. n. 69 del 2013, la cui efficacia non sarebbe stata procrastinata.
3.2.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha in limine sollevato, in entrambi i giudizi, eccezione di inammissibilità delle questioni, in quanto basate su un argomento fallace.
Contrariamente a quanto sostenuto dal giudice a quo, infatti, le disposizioni di cui all’art. 84, comma 1, del d.l. n. 69 del 2013 sarebbero entrate in vigore, ai sensi del successivo art. 86, come tutte le altre norme contenute nel medesimo decreto-legge, il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana: il legislatore, con il comma 2 dell’art. 84, avrebbe, pertanto, disposto «semplicemente […] un differimento nella efficacia di talune disposizioni […]».
3.2.1.– Le eccezioni non sono pertinenti e non possono essere accolte, dal momento che l’argomentazione su cui riposano non incide sul nucleo fondante la censura formulata, ravvisabile piuttosto nell’asserita necessità che tutte le norme contenute nel decreto-legge abbiano la stessa, immediata efficacia.
3.3.– Nel merito, le questioni non sono fondate.
3.3.1.– Esse devono essere scrutinate alla stregua del consolidato orientamento di questa Corte secondo cui «[…] il sindacato sulla legittimità dell’adozione, da parte del Governo, di un decreto-legge va limitato ai casi di evidente mancanza dei presupposti di straordinaria necessità e urgenza richiesti dall’art. 77, secondo comma, Cost., o di manifesta irragionevolezza o arbitrarietà della loro valutazione» (sentenza n. 99 del 2018).
3.3.2.– Tanto premesso in linea generale, va rilevato che non può condividersi, quanto al primo profilo in cui è articolata la censura, la tesi del rimettente secondo cui l’insussistenza della straordinaria necessità e urgenza sarebbe desumibile dal mero differimento dell’efficacia delle disposizioni censurate.
Al contrario, questa Corte – anche laddove ha ricordato che l’art. 15, comma 3, della legge n. 400 del 1988, nel prescrivere, tra l’altro, che i decreti devono contenere misure di immediata applicazione, costituisce esplicitazione della ratio implicita nel secondo comma dell’art. 77 Cost. – ha tuttavia precisato che la necessità di provvedere con urgenza «non postula inderogabilmente un’immediata applicazione delle disposizioni normative contenute nel decreto-legge» (sentenza n. 170 del 2017; nello stesso senso sentenze n. 5 del 2018, n. 236 e n. 16 del 2017).
Mette conto, d’altra parte, osservare che, nel caso di specie, la norma che ha reintrodotto l’obbligatorietà della mediazione avrebbe evidentemente comportato un significativo incremento delle istanze di accesso al relativo procedimento: la decisione di procrastinarne, peraltro per un periodo contenuto, l’applicabilità è, pertanto, ragionevolmente giustificata dall’impatto che essa avrebbe avuto sul funzionamento degli organismi deputati alla gestione della mediazione stessa.
Del resto, una volta posticipata l’efficacia della mediazione obbligatoria, diviene con riguardo a essa coerente il differimento anche della connessa disciplina, posta dal secondo periodo del comma 4-bis dell’art. 8 del d.lgs. n. 28 del 2010, come introdotto dall’art. 84, comma 1, lettera i), del d.l. n. 69 del 2013, delle conseguenze della mancata partecipazione, senza giustificato motivo, al relativo procedimento.
3.3.3. – Nemmeno condivisibile è l’assunto, su cui è basato il secondo profilo in cui è articolata la censura in esame, in forza del quale le disposizioni sottoposte all’odierno scrutinio difetterebbero di coerenza funzionale rispetto alle altre norme contenute nel d.l. n. 69 del 2013 in quanto il legislatore avrebbe differito l’applicabilità solo delle prime.
Dalla «uniformità teleologica» che deve accomunare le norme contenute in un decreto-legge (sentenza n. 22 del 2012) non si può inferire, contrariamente a quanto sostenuto dal rimettente, un generale corollario per cui queste dovrebbero tutte necessariamente sottostare al medesimo termine iniziale di efficacia. La omogeneità finalistica che deve connotare le norme introdotte con la decretazione d’urgenza non presuppone, infatti, indefettibilmente l’uniformità di tale termine, ben potendo alcune di esse risultare comunque funzionali all’unico scopo di approntare rimedi urgenti anche là dove ne sia stata procrastinata l’applicabilità.
Il disposto differimento delle norme qui censurate trova del resto fondamento, come poc’anzi osservato, nell’esigenza di assicurare il corretto funzionamento degli organismi di mediazione: dunque, non solo non è sintomatico dell’assenza di coerenza finalistica, ma, al contrario, concorre a garantirla.
Deve quindi ritenersi che esso non abbia compromesso la matrice funzionale unitaria delle disposizioni denunciate, anch’esse finalizzate, unitamente alle altre adottate in materia di giustizia, alla realizzazione dei comuni e urgenti obiettivi – a loro volta preordinati al rilancio dell’economia – del miglioramento dell’efficienza del sistema giudiziario e dell’accelerazione dei tempi di definizione del contenzioso civile.
Le norme oggetto dell’odierno incidente di costituzionalità si collocano, pertanto, coerentemente all’interno di tale cornice finalistica, risultante dal preambolo e dal Titolo III (Misure per l’efficienza del sistema giudiziario e la definizione del contenzioso civile) del decreto-legge in cui sono contenute.
D’altro canto, proprio la considerazione delle peculiari conseguenze – differenti rispetto a quelle prodotte dalle altre misure adottate – derivanti dalle disposizioni in parola e prima ricordate concorre a rendere ragionevole la scelta di differirne l’applicabilità.
3.3.4.– Alla luce dei rilievi che precedono, deve escludersi sia l’evidente difetto dei presupposti di straordinaria necessità e urgenza richiesti dall’art. 77, secondo comma, Cost., sia l’esistenza di una disomogeneità finalistica delle norme censurate rispetto alle altre contenute nel decreto-legge.
4.– Entrambe le ordinanze di rimessione del Tribunale di Verona reputano, altresì, «immotivata e priva di una ragione logica» la previsione dell’art. 84, comma 2, del d.l. n. 69 del 2013, che posticipa, come si è visto, di trenta giorni rispetto all’entrata in vigore della legge di conversione l’applicabilità delle disposizioni di cui al precedente comma 1: e la censurano perciò per contrasto con l’art. 3 Cost.
4.1.– In entrambi i giudizi l’Avvocatura generale ha eccepito l’inammissibilità delle questioni per difetto di motivazione sulla non manifesta infondatezza, giacché il Tribunale rimettente si sarebbe in sostanza limitato a sostenere che, in sede di decretazione d’urgenza, non possa essere procrastinata l’applicabilità di alcune disposizioni, senza tuttavia adeguatamente illustrare i motivi per cui siffatta scelta sarebbe illogica.
4.1.1.– Le eccezioni vanno disattese.
Malgrado la obiettiva sinteticità che connota la censura in esame, formulata in maniera pressoché identica in entrambe le ordinanze di rimessione, da una lettura complessiva di queste ultime si evince, infatti, che il giudice a quo, sulla base di un argomento sostanzialmente sovrapponibile a quello sviluppato in merito all’asserita violazione dell’art. 77, secondo comma, Cost., reputa illogica, e perciò in contrasto con l’art. 3 Cost., la decisione di differire l’applicabilità di una norma adottata in sede di decretazione d’urgenza, evidenziando, quale indice sintomatico di tale irragionevolezza, la diversa soluzione prescelta dal legislatore con riguardo ad altre norme contenute nel medesimo testo normativo.
Sulla scorta della considerazione che precede, deve ritenersi assolto l’onere di motivazione che grava sul giudice rimettente.
4.2.– Le questioni, tuttavia, sono inammissibili per altre e diverse ragioni.
Va al riguardo rilevato che il rimettente non motiva in alcun modo sull’applicabilità, nei giudizi pendenti dinanzi a sé, della norma censurata.
Né d’altra parte ciò sarebbe stato possibile: dalle ordinanze di rimessione emerge, infatti, come i processi a quibus siano stati rispettivamente iscritti al ruolo generale degli anni 2014 e 2017; emerge quindi per tabulas che questi sono stati instaurati successivamente al periodo in cui ha prodotto effetti il differimento (trenta giorni dall’entrata in vigore, avvenuta il 21 agosto 2013, della legge di conversione) disposto dalla norma censurata.
Tale disposizione, pertanto, aveva ormai esaurito i propri effetti e di essa il giudice a quo non deve, conseguentemente, fare applicazione, sicché le questioni che la investono sono prive di rilevanza.
5.– In via subordinata, con l’ordinanza di rimessione iscritta al n. 98 r.o. 2018, il Tribunale rimettente dubita, in riferimento all’art. 3 Cost., in relazione al principio di uguaglianza, della legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 4, lettera a), del d.lgs. n. 28 del 2010, che esclude l’obbligatorietà della mediazione, limitatamente alla fase monitoria, nei procedimenti per ingiunzione.
5.1.– Benché tale disposizione non sia indicata nel dispositivo dell’ordinanza di rimessione, dalla lettura della sua motivazione si desume con chiarezza come le censure formulate investano anche questa, specificamente nella parte in cui prevede l’obbligatorietà della mediazione nei giudizi di opposizione a decreto ingiuntivo.
Deve conseguentemente ritenersi che il presente scrutinio di costituzionalità investa anche l’art. 5, comma 4, lettera a), del d.lgs. n. 28 del 2010, segnatamente laddove prevede l’obbligatorietà della mediazione nei giudizi di opposizione a decreto ingiuntivo. Infatti, per un verso, il «thema decidendum, con riguardo alle norme censurate, va identificato tenendo conto della motivazione delle ordinanze» (sentenza n. 238 del 2014; nello stesso senso, ex plurimis, sentenza n. 203 del 2016; ordinanze n. 169 del 2016 e n. 162 del 2011); per altro verso, sulla base di tale motivazione è «ben possibile circoscrivere l’oggetto del giudizio di legittimità costituzionale ad una parte della disposizione censurata» (ex plurimis, sentenza n. 35 del 2017).
5.2.– Secondo il giudice rimettente, la compromissione del principio di uguaglianza emergerebbe dal raffronto con la disciplina legislativa della negoziazione assistita da uno o più avvocati, applicabile, ai sensi dell’art. 2 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132 (Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell’arretrato in materia di processo civile), convertito, con modificazioni, nella legge 10 novembre 2014, n. 162, alle controversie in materia di risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti, nonché, fuori da questo caso e da quelli previsti dall’art. 5, comma 1-bis, del d.lgs. n. 28 del 2010, alle domande aventi a oggetto il pagamento, a qualsiasi titolo, di somme non eccedenti cinquantamila euro.
Anche la negoziazione assistita costituirebbe, infatti, come la mediazione, una condizione di procedibilità della domanda giudiziale.
Tuttavia, nei procedimenti per ingiunzione, la procedura di negoziazione assistita, secondo quanto disposto dall’art. 3, comma 3, lettera a), del d.l. n. 132 del 2014, non deve essere esperita né nella fase monitoria né nel successivo, eventuale giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo.
Al contrario, in virtù della disposizione censurata, il procedimento preliminare di mediazione, benché parimenti non applicabile alle domande proposte in via monitoria, deve essere intrapreso nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo, sia pure dopo la pronuncia del giudice, ai sensi degli artt. 648 e 649 del codice di procedura civile, sulle istanze di concessione e di sospensione della provvisoria esecuzione del decreto stesso.
La descritta diversità tra le due discipline, ad avviso del giudice a quo, integrerebbe, come detto, una violazione dell’art. 3 Cost., determinando una disparità di trattamento manifestamente irragionevole e in quanto tale incidente anche nell’ambito della disciplina degli istituti processuali.
5.3.– L’Avvocatura generale ha sollevato preliminarmente eccezione d’inammissibilità della questione per difetto di rilevanza – o, comunque, per difetto di motivazione su di essa – rimarcando l’omessa indicazione, da parte del Tribunale rimettente, del valore della causa oggetto del giudizio a quo, che non consentirebbe di comprendere se nella fattispecie concreta possa, o meno, trovare applicazione la norma, evocata quale tertium comparationis, che disciplina la negoziazione assistita.
5.3.1.– L’eccezione non è pertinente.
A prescindere dal tertium comparationis, evocato solo quale indice di una rottura della coerenza dell’ordinamento, il giudice a quo è infatti chiamato a decidere, in sede di opposizione a decreto ingiuntivo, sulla istanza di concessione della esecuzione provvisoria del decreto stesso, avente ad oggetto un credito derivante da un contratto di anticipazione bancaria. Assunta la decisione in merito a tale richiesta, egli dovrebbe quindi assegnare alle parti il termine per intraprendere il procedimento di mediazione, secondo quanto previsto dal disposto dei commi 1-bis e 4, lettera a), dell’art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010.
Tanto chiarito, si deve osservare che è ben vero che il rimettente non indica specificamente il valore della causa sottoposta alla sua cognizione, ma è altrettanto vero che ciò è ininfluente, giacché questa ha ad oggetto un contratto bancario: a prescindere dal suo valore, essa rientra quindi, in ogni caso, nel novero di quelle soggette alla mediazione.
Pertanto, ove dovesse essere ritenuta sussistente la dedotta irragionevole disparità di trattamento, con la conseguente espunzione di quella parte della norma censurata da cui deriva l’obbligatorietà della mediazione nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, si espanderebbe la disciplina generale dell’accesso incondizionato alla giurisdizione. È dunque palese che, nonostante l’omissione evidenziata dalla difesa statale, la questione è rilevante, giacché dal suo accoglimento deriverebbe che il giudice rimettente non dovrebbe assegnare il termine per intraprendere il procedimento di mediazione.
Da questo punto di vista, la censura supera il vaglio di ammissibilità.
5.4.– Al pari di quelle già esaminate, neppure essa è, tuttavia, fondata.
5.4.1.– Entrambi gli istituti processuali posti a raffronto sono diretti a favorire la composizione della lite in via stragiudiziale e sono riconducibili alle «misure di ADR (Alternative Dispute Resolution)» (sentenza n. 77 del 2018). Entrambi, inoltre, costituiscono condizioni di procedibilità della domanda giudiziale, il cui difetto ha peraltro conseguenze analoghe, con finalità deflattiva.
A fronte di tali profili di omogeneità, è tuttavia ravvisabile nella mediazione un fondamentale elemento specializzante, che assume rilievo al fine di escludere che si sia al cospetto di situazioni sostanzialmente identiche disciplinate in modo ingiustificatamente diverso, ovvero che la scelta legislativa di trattare diversamente, con riguardo al giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, le due fattispecie possa ritenersi manifestamente irragionevole e arbitraria, «questo essendo il parametro di riferimento in materia, tenuto conto che si discute di istituti processuali, nella cui conformazione […] il legislatore fruisce di ampia discrezionalità» (sentenza n. 12 del 2016; nello stesso senso, sentenza n. 164 del 2017).
5.4.2.– Più precisamente, il procedimento di mediazione è connotato dal ruolo centrale svolto da un soggetto, il mediatore, terzo e imparziale, là dove la stessa neutralità non è ravvisabile nella figura dell’avvocato che assiste le parti nella procedura di negoziazione assistita.
Il mediatore, infatti, ai sensi dell’art. 14 del d.lgs. n. 28 del 2010, da un lato, non può «assumere diritti od obblighi connessi […] con gli affari trattati […]» né percepire compensi direttamente dalle parti (comma 1); dall’altro, è obbligato a sottoscrivere, per ciascuna controversia affidatagli, un’apposita «dichiarazione di imparzialità» e a informare l’organismo di mediazione e le parti delle eventuali ragioni che possano minare la sua neutralità (comma 2, lettere a e b).
Tale neutralità, oltre ad essere sancita anche dall’art. 3, comma 2, del d.lgs. n. 28 del 2010, è peraltro altresì precisata dalla disciplina posta dall’art. 14-bis del decreto del Ministro della giustizia 18 ottobre 2010, n. 180 (Regolamento recante la determinazione dei criteri e delle modalità di iscrizione e tenuta del registro degli organismi di mediazione e dell’elenco dei formatori per la mediazione, nonché l’approvazione delle indennità spettanti agli organismi, ai sensi dell’articolo 16 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28), adottato, ai sensi dell’art. 16, comma 2, del medesimo d.lgs., di concerto con il Ministro per lo sviluppo economico, che regola le cause di incompatibilità e le ipotesi di conflitti di interesse in capo al mediatore.
Mentre, dunque, nella mediazione il compito – fondamentale al fine del suo esito positivo – di assistenza alle parti nella individuazione degli interessi in conflitto e nella ricerca di un punto d’incontro è svolto da un terzo indipendente e imparziale, nella negoziazione l’analogo ruolo è svolto dai loro stessi difensori: è conseguentemente palese come, pur versandosi in entrambi i casi in ipotesi di condizioni di procedibilità con finalità deflattive, gli istituti processuali in esame siano caratterizzati da una evidente disomogeneità.
La lumeggiata eterogeneità, nei termini appena illustrati, trova d’altro canto un chiaro riscontro nella giurisprudenza costituzionale. Questa Corte, esaminando la mediazione tributaria disciplinata dall’art. 17-bis del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), ha difatti rimarcato che la mancanza, in essa, «di un soggetto terzo che, come avviene per la mediazione delle controversie civili e commerciali disciplinata dal d.lgs. n. 28 del 2010 […], svolga la mediazione», se da un lato «comporta l’impossibilità di ricondurre la mediazione tributaria al modello di quella civilistica», dall’altro «induce a dubitare della stessa riconducibilità dell’istituto all’àmbito mediatorio propriamente inteso» (sentenza n. 98 del 2014).
L’evidenziata disomogeneità delle due fattispecie poste a confronto ne preclude, dunque, una comparabilità idonea a integrare l’asserita violazione dell’art. 3 Cost. e induce a escludere che sia stato irragionevolmente riservato un trattamento differenziato alla mediazione e, quindi, che la scelta legislativa denunciata dal rimettente abbia valicato il confine dell’arbitrarietà.
5.4.3.– D’altra parte, il tratto differenziale appena rilevato conferma la ratio che sostiene il diverso regime giuridico di cui, invece, si duole il giudice a quo: la presenza di un terzo del tutto indipendente rispetto alle parti giustifica, infatti, le maggiori possibilità della mediazione, rispetto alla negoziazione assistita, di conseguire la finalità cui è preordinata e, pertanto, la scelta legislativa di rendere obbligatoria solo la prima, e non la seconda, anche nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo.
In tale ultimo giudizio, in altri termini, il legislatore ha ritenuto inutile imporre la negoziazione assistita, giacché essa è condotta direttamente dalle parti e dai loro avvocati, senza l’intervento di un terzo neutrale.
Anche alla luce della considerazione che precede, deve dunque escludersi che il differente trattamento normativo portato all’attenzione di questa Corte possa essere ritenuto manifestamente irragionevole e arbitrario.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
1) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 84, comma 2, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia), convertito, con modificazioni, nella legge 9 agosto 2013, n. 98, sollevate, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Verona con le ordinanze indicate in epigrafe;
2) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 84, comma 1, lettera b), del d.l. n. 69 del 2013, come convertito, che inserisce il comma 1-bis all’art. 5 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28 (Attuazione dell’articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali), e dell’art. 84, comma 1, lettera i), dello stesso d.l. n. 69 del 2013, nella parte in cui aggiunge il comma 4-bis, secondo periodo, all’art. 8 del citato d.lgs. n. 28 del 2010, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 77, secondo comma, Cost., dal Tribunale ordinario di Verona con le ordinanze indicate in epigrafe;
3) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 4, lettera a), del d.lgs. n. 28 del 2010, sollevata, in riferimento all’art. 3 Cost., dal Tribunale ordinario di Verona con l’ordinanza iscritta al n. 98 del registro ordinanze 2018.

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità. 

28 aprile 2019

21/19. Mediazione demandata, accordo conciliativo e alea processuale (Osservatorio Mediazione Civile n. 21/2019)

=> Tribunale di Napoli, 5 febbraio 2019

Inviando le parti in mediazione (art. 5, comma 2, d.lgs. 28/2010), l’accordo conciliativo va valutato dalle parti adeguatamente in un’ottica non di preconcetto antagonismo giudiziario, ma di reciproca rispettosa considerazione e valutazione dei reali interessi di ciascuna delle parti, di modo che esso potrebbe dirsi vantaggioso per tutte, ritenuto anche che in definitiva l’alternativa all’accordo è che l’esito del giudizio possa, per ciascuna delle parti, essere diverso e peggiore di quello ambito, circostanza questa niente affatto anomala ma insita nella natura stessa della giurisdizione (alea processuale) (I).

(I) In tema di mediazione demandata si veda l’art. 5, comma 2, D.lgs. 4 marzo 2010 n. 28 (Osservatorio Mediazione Civile n. 38/2018).

Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 21/2019

Tribunale di Napoli
Ordinanza
sezione sesta
5 febbraio 2019

Omissis

letti gli atti, a scioglimento della riserva che precede;
ritenuto che, in relazione alle prove documentali fin qui raccolte ed ai provvedimenti finora emessi dal Tribunale, che le parti ben potrebbero pervenire ad un accordo conciliativo;
ammesse le prove documentali e ipotizzata, in caso di mancato accordo, una rigorosa selezione delle ridondanti richieste di prova orali delle parti nonché di ctu in apparenza esplorativa;
ritenuto che l’accordo conciliativo vada valutato adeguatamente in un’ottica non di preconcetto antagonismo giudiziario, ma di reciproca rispettosa considerazione e valutazione dei reali interessi di ciascuna delle parti, di modo che esso potrebbe dirsi vantaggioso per tutte (ed infatti oltre all’aspetto della durata della causa – beninteso, di questa come di ogni altra – che può penalizzare, sia pure in modo diverso, ciascuno dei contendenti, incombe sempre il rischio del risultato ultimo che non è solo la sentenza, ma gli eventuali successivi gradi di giudizio nonché, per chi spetti, in caso di non volontario adempimento, i tempi ed i costi dell’esecuzione coattiva);
ritenuta la reciproca alea processuale (in definitiva l’alternativa all’accordo è che l’esito del giudizio possa, per ciascuna delle parti, essere diverso e peggiore di quello ambito, circostanza questa niente affatto anomala ma insita nella natura stessa della giurisdizione);
rilevato che finora Invero la controversia non ha fatto emergere questioni di diritto complesse, e dubbi tali da richiedere approfondite analisi e difficili interpretazioni dei testi normativi (cfr. art.185 bis come introdotto dall’art.77 del d.l.21.6.2013 n.69 conv. nella l.9.8.2013 n.98);
tenuto conto della natura e del valore della controversia;
ritenuto opportuno dare alcune fondamentali direttrici che potrebbero orientare le parti nella riflessione sul contenuto della proposta e nella opportunità e convenienza di farla propria, ovvero di svilupparla autonomamente;
vista la possibilità che le parti, assistite dai rispettivi difensori, possano trarre utilità dall’ausilio, nella ricerca di un accordo, ed anche alla luce della proposta del Giudice, di un mediatore professionale di un organismo che dia garanzie di professionalità e di serietà;
ritenuto possibile prevedere, anche all’interno dello stesso provvedimento che contiene la proposta del Giudice, un successivo percorso di mediazione demandata dal magistrato;
precisato che la proposta del Giudice non è disgiunta da una certa dose di equità che ben si attaglia a questa fase;
ritenuto che le parti ben potrebbero pervenire ad un accordo conciliativo apportatore di utilità per ognuna di esse.

PTM

Ammette le prove documentali delle parti, riservando al prosieguo ogni ulteriore provvedimento; invita le parti a raggiungere un accordo conciliativo/transattivo concedendo termine fino alla data omissis, sulla base della seguente proposta ex art. 185 bis cpc: omissis; dalla eventuale infruttuosa scadenza del suddetto termine, decorrerà quello ulteriore di gg.15 per depositare presso un organismo di mediazione, a scelta delle parti congiuntamente o di quella che per prima vi proceda, la domanda di cui al secondo comma dell’art. 5 del d.lgs. 28/2010, con il vantaggio di poter pervenire rapidamente ad una conclusione, per tutte le parti vantaggiosa, anche da punto di vista economico e fiscale (cfr. art.17 e 20 del d.lgs. 4.3.2010 n.28), della controversia in atto.
Viene infine fissata un’udienza alla quale in caso di accordo le parti potranno anche non comparire; viceversa, in caso di mancato accordo, potranno, volendo, in quella sede fissare a verbale quali siano state le loro posizioni al riguardo (relativamente alla sola proposta del giudice), anche al fine di consentire l’eventuale valutazione giudiziale della condotta processuale delle parti ai sensi degli artt. 91 e 96 III cpc.
In ogni caso i difensori delle parti sono invitati ad informare i loro assistiti della presente ordinanza nei termini di cui all’art.4, co. III co. d.lgs. 28/2010; informa le parti che l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda ai sensi dell’art. 5, co. 2 e che ai sensi dell’art. 8 dec.lgs.28/10 la mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione comporta le conseguenze previste dalla norma stessa.
Rinvia all’udienza omissis. Si comunichi.

Napoli, 5.2.2019
Il giudice dott. Francesco Cislaghi

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità. 

19 aprile 2019

20/19. Ministero della Giustizia: dati statistici sulla mediazione 1 gennaio – 31 dicembre 2018 (Osservatorio Mediazione Civile n. 20/2019)

Sono state rese note le nuove statistiche ministeriali sulla mediazione (rilevazione statistica con proiezione nazionale a cura del Dipartimento della Organizzazione Giudiziaria, del Personale e dei Servizi - Direzione Generale di Statistica e Analisi Organizzativa) relative al periodo 1 gennaio – 31 dicembre 2018 (1).
Con riferimento all’ultimo trimestre dell’anno, gli organismi rispondenti sono stati 424 su 597.

Tra le controversie maggiormente trattate in mediazione rimangono quelle in tema di contratti bancari (circa il 15%), di diritti reali (circa il 15%), di condominio (circa il 14%) e di locazione (circa il 12%).
Si tratta di dati sostanzialmente in linea con le rilevazioni precedenti.

Nel periodo in questione l’aderente compare nel 50,4% dei casi. Tale dato conferma il trend di leggero aumento evidenziato dalle precedenti rendicontazioni.
In tali casi (ovvero in caso di aderente comparso), nel 27,3% dei procedimenti si raggiunge l’accordo conciliativo.
Da un’analisi a campione, però, risulta che quando le parti accettano di sedersi al tavolo della mediazione anche dopo il primo incontro si giunge all’accordo conciliativo nel 44,8% dei casi. Può quindi dedursi che alle parti conviene svolgere con fiducia e serietà il tentativo conciliativo, senza fermarsi al primo incontro, ma proseguendo il percorso mediatizio anche oltre. Qualcosa in più, però, potrebbe farsi (a livello normativo) per favorire maggiormente la scelta delle parti di proseguire la mediazione oltre il primo incontro.
In linea generale detti dati evidenziano un seppur lieve trend di miglioramento delle performances degli Organismi di mediazione.

Tra le controversie nelle quali si registra una maggiore percentuale di comparizione dell’aderente (superiore al 50%) si confermano quelle che riguardano rapporti tra parenti, nonché le liti relative, in generale, a rapporti sociali o contrattuali, destinati a durare nel tempo, caratterizzati dalla particolare rilevanza soggettiva delle parti (patti di famiglia, successioni ereditarie, divisione, diritti reali, condominio, affitto di aziende, locazione).

In merito alla categorie di mediazione, nel periodo di riferimento la maggior parte dei procedimenti definiti (quasi il 90%) afferisce alla mediazione c.d. obbligatoria ex lege o ante causam (art. 5, comma 1-bis, d.lgs. 28/2010), mentre poco più dell’1% dei procedimenti definiti nel periodo in questione afferisce alla c.d. mediazione delegata o demandata dal giudice (art. 5, comma 2, d.lgs. 28/2010). Poco più del 10% dei procedimenti afferisce alla mediazione volontaria o facoltativa, categoria in cui, di contro, si registra la maggiore percentuale di raggiungimento dell’accordo conciliativo: 43 % (dato che sale al 63% di procedimenti che si chiudono con l’accordo quando le parti accettano di incontrarsi per un tentativo di conciliazione).
I casi in cui più difficilmente si giunge all’accordo sono invece quelli in cui le parti vengono inviate in mediazione dal giudice (invio in mediazione in quanto materia soggetta a mediazione c.d. obbligatoria, ovvero mediazione demandata).

Questi i numeri relativi agli Organismi di mediazione presenti in Italia.


Tipologia Organismi di conciliazione

Organismi al 31.12.2019
Procedimenti definiti

ORGANISMI DELLE CAMERE DI COMMERCIO

79
14.009

ORGANISMI PRIVATI

375
76.029

ORDINE AVVOCATI

103
53.918

ALTRI ORDINI PROFESSIONALI

40
978

Totale complessivo

597
144.934

Quanto alla presenza dell’avvocato in mediazione, nelle mediazione volontarie ben il 76% dei proponenti è assistito dal proprio legale, mentre tra i chiamati in mediazione il 90% è assistito da un avvocato. Si tratta di dati sostanzialmente in linea con le rilevazioni precedenti.

Quanto alla durata delle mediazione, rispetto agli 882 gg (dato 2016 relativo al contenzioso in Tribunale, sceso rispetto al 2015 in cui durata era registrata in 921 gg), la procedura ADR, con aderente comparso e accordo raggiunto, dura 142 giorni (1.1.2018-31.12.2018); dato in costante crescita rispetto ai 129 giorni del 2017, 115 del 2016 e 103 del 2015.


Durata delle procedure:

Contenzioso in Tribunale

882 gg
(dato: 2016)

Procedimento di mediazione

142 gg
(dato: 1.1.2018-31.12.2018;
con aderente comparso e accordo raggiunto)


La rilevazione statistica ministeriale è consultabile sul sito web del Ministero della Giustizia al seguente indirizzo:

(1) Le analisi curate dall'Osservatorio Nazionale sulla Mediazione Civile di tutte le precedenti rilevazioni statistiche sono consultabili a questo indirizzo.

Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 20/2019
(www.osservatoriomediazionecivile.blogspot.com)

11 aprile 2019

19/19. La Cassazione su primo incontro e procedibilità della domanda: può partecipare solo l’avvocato ed è sufficiente comunicare l’indisponibilità di procedere oltre (Osservatorio Mediazione Civile n. 19/2019)

=> Cassazione civile, 27 marzo 2019 n. 8473

Posto che nel procedimento di mediazione obbligatoria (art. 5, d.lgs. 28/2010) è necessaria la comparizione personale delle parti davanti al mediatore, assistite dal difensore, la parte può anche farsi sostituire da un proprio rappresentante sostanziale, eventualmente nella persona dello stesso difensore che l'assiste nel procedimento di mediazione, purché dotato di apposita procura sostanziale.

La condizione di procedibilità può ritenersi realizzata al termine del primo incontro davanti al mediatore, qualora una o entrambe le parti, richieste dal mediatore dopo essere state adeguatamente informate sulla mediazione, comunichino la propria indisponibilità di procedere oltre (I) (II).




Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 19/2019

Corte Suprema di Cassazione
Sezione terza civile
Sentenza
27 marzo 2019, n. 8473

[la sentenza è consultabile per esteso, gratuitamente,

Omissis

Il ricorso pone per la prima volta a questa Corte la necessità di affrontare alcune questioni in tema di mediazione obbligatoria, introdotta come condizione di procedibilità di una vasta serie di controversie dal d.lgs. n, 28 del 2010 (Attuazione dell'articolo 60 della lege 18 giugno 2009 n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali) e successive modifiche. In particolare, la questione giuridica che il ricorso impone di risolvere è se, nel suddetto procedimento di mediazione, il cui preventivo esperimento è previsto obbligatoriamente, a pena di improcedibilità, per le controversie nelle materie indicate dall’art. 5, comma 1 bis, del d.ls. n. 28 del 2010 (introdotto dall’art. 84 del d.l. 21 giugno 2013, n. 69, convertito con modificazioni della lege 9 agosto 2013, n. 98, dopo che la Corte cost. con sentenza n. 272 del 2012 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del comma 1 del medesimo articolo) e disciplinato, in particolare, dagli artt. 5 e 8 dello stesso, la parte che propone la mediazione sia tenuta a comparire personalmente davanti al mediatore, affinché il tentativo si possa ritenere compiuto, a pena di improcedibilità dell'azione proposta senza previo esperimento del tentativo di mediazione obbligatoria, o se la stessa possa - e in che modo - farsi sostituire.
Qualora si ammetta che la parte possa farsi sostituire, ovvero che sia un atto delegabile ad altri, occorre individuare i modi e le forme di tale sostituzione, ovvero se possa essere sostituita da chiunque, ed in particolare se possa farsi sostituire anche dal suo avvocato e, qualora si ammetta che possa essere sostituita dal suo avvocato, con quale atto tali poteri possano essere conferiti.
Il legislatore con il decreto legislativo menzionato ha cercato di accelerare, se non forzare, la creazione di una cultura di risoluzione alternativa delie controversie, con finalità deflattiva, imponendo per una vasta serie di controversie questa ipotesi di mediazione come obbligatoria, il cui mancato esperimento è stato sanzionato con l'improcedibilità. Dalla lettura delle disposizioni ad essa dedicate, emerge l'adozione di un procedimento deformalizzato che si svolge davanti al mediatore, in cui la miglior garanzia di riuscita era costituita innanzitutto dalla stessa professionalizzazione delle figura del mediatore, e dall'offerta alle parti di un momento di incontro, perché potessero liberamente discutere prima che le rispettive posizioni risultassero irrigidite dalle posizioni processuali assunte e dalle linee difensive adottate, nonché da agevolazioni fiscali. Il successo dell'attività di mediazione è riposto nel contatto diretto tra le parti e il mediatore professionale il quale può, grazie alla interlocuzione diretta ed informale con esse, aiutarle a ricostruire i loro rapporti pregressi, ed aiutarle a trovare una soluzione che, al di là delle soluzioni in diritto della eventuale controversia, consenta loro di evitare l'acuirsi della conflittualità e definire amichevolmente una vicenda potenzialmente oppositiva con reciproca soddisfazione, favorendo al contempo la prosecuzione dei rapporti commerciali.
Quanto alla presenza dell'avvocato, essa originariamente non era neppure obbligatoria assistito dal proprio avvocato. Si può osservare che la novella del 2013, che introduce la presenza necessaria dell’avvocato, con l'affiancare all'avvocato esperto in tecniche processuali che "rappresenta" la parte nel processo, l'avvocato esperto in tecniche negoziali che "assiste" la parte nella procedura di mediazione, segna anche la progressiva emersione di una figura professionale nuova, con un ruolo in parte diverso e alla quale si richiede l'acquisizione di ulteriori competenze di tipo relazionale e umano, inclusa la capacità di comprendere gli interessi delle parti al di là delle pretese giuridiche avanzate.
Non è questa la sede per valutare le probabilità di successo delle creazione forzosa di una cultura della mediazione. Occorre prendere atto che la lege impone in una vasta serie di casi, come momento necessario e significativo precedente alla possibilità stessa di introdurre il giudizio, la necessità di esperire la mediazione e sciogliere alcuni nodi del rapporto tra mediazione obbligatoria e giudizio, per individuare quando la condizione di procedibilità possa ritenersi soddisfatta e in particolare se, nel caso di specie, il giudice abbia correttamente ritenuto che l'azione proposta fosse improcedibile (valutazione effettuata ai soli fini della soccombenza virtuale, perché qui la domanda di merito era stata alla fine rinunciata).
Come si è detto, il legislatore ha previsto e voluto la comparizione personale delle parti dinanzi al mediatore, perché solo nel dialogo informale e diretto tra parti e mediatore, conta che si possa trovare quella composizione degli opposti interessi satisfattiva al punto da evitare la controversia ed essere più vantaggiosa per entrambe le parti. Ha imposto quindi alle parti (o meglio, alla parte che intende agire in giudizio) questo impegno preliminare mediante il quale fida di poter evitare (alle parti, e allo Stato più in generale) un buon numero di controversie, ben più onerose e lunghe rispetto ai tempi della mediazione obbligatoria.
L'art. 8, dedicato al procedimento, prevede espressamente che al primo incontro davanti al mediatore debbano essere presenti sia le parti che i loro avvocati. La previsione della presenza sia delle parti sia degli avvocati comporta che, ai fini della realizzazione delle condizione di procedibilità, la parte non possa evitare di presentarsi davanti al mediatore, inviando soltanto il proprio avvocato.
Tuttavia, la necessità della comparizione personale non comporta che si tratti di attività non delegabile. In mancanza di una previsione espressa in tal senso, e non avendo natura di atto strettamente personale, deve ritenersi che si tratti di attività delegabile ad altri. Laddove, per la rilevanza della partecipazione, o della mancata partecipazione, ad alcuni momenti processuali, o per l'attribuzione di un particolare valore alle dichiarazioni rese dalla parte, la lege non ha ritenuto che la parte potesse farsi sostituire, attribuendo un disvalore, o un preciso significato alla sua mancata comparizione di persona, lo ha previsto espressamente (v. art. 231 c.p.c, sulla risposta all'interrogatorio formale: "La parte interrogata deve rispondere personalmente" e il successivo art. 232 che fa discendere precise conseguenze alla mancata presentazione della parte a rendere interrogatorio): v. Cass. n. 15195 del 2000: "L’interrogatorio formale non può essere reso a mezzo di procuratore speciale atteso che il soggetto cui è deferito deve rispondere ad esso oralmente e personalmente, in base all'art. 231 cod. proc. civ. Non è previsto, né escluso che la delega possa essere conferita al proprio difensore.
Deve quindi ritenersi che la parte (in particolare, la parte che intende iniziare l ’azione, ma identico discorso vale per la controparte), che per sua scelta o per impossibilità non possa partecipare personalmente ad un incontro di mediazione, possa farsi sostituire da una persona a sua scelta e quindi anche - ma non solo - dal suo difensore.
Allo scopo di validamente delegare un terzo alla partecipazione alle attività di mediazione, la parte deve conferirgli tale potere mediante una procura avente specifico oggetto della partecipazione alla mediazione e il conferimento del potere di disporre dei diritti sostanziali che ne sono oggetto (ovvero, deve essere presente un rappresentante a conoscenza dei fatti e fornito dei poteri per la soluzione della controversia, come previsto dal progetto della Commissione Alpa sulla riforma delle ADR all'art. 84). Quindi il potere di sostituire a sé stesso qualcun altro per la partecipazione alla mediazione può essere conferito con una procura speciale sostanziale. Ne consegue che, sebbene la parte possa farsi sostituire dal difensore nel partecipare al procedimento di mediazione, in quanto ciò non è auspicato, ma non è neppure escluso dalla legge, non può conferire tale potere con la procura conferita al difensore e da questi autenticata, benché possa conferirgli con essa ogni più ampio potere processuale. Per questo motivo, se sceglie di farsi sostituire dal difensore, la procura speciale rilasciata allo scopo non può essere autenticata dal difensore, perché conferimento del potere di partecipare in sua sostituzione alla mediazione non fa parte dei possibili contenuti della procura alle liti autenticabili direttamente dal difensore. Perciò, la parte che non voglia o non possa partecipare personalmente alla mediazione può farsi liberamente sostituire, da chiunque e quindi anche dal proprio difensore, ma deve rilasciare a questo scopo una procura sostanziale, che non rientra nei poteri di autentica dell'avvocato neppure se il potere è conferito allo stesso professionista.
Ciò detto, il primo motivo è infondato, il secondo inammissibile laddove tendente ad una diretta interpretazione dell'atto (la procura) da parte della Corte.
La sentenza impugnata si è attenuta infatti ai principi di diritto sopra enunciati.
Ha ritenuto che la presenza della parte sia necessaria davanti al mediatore, e che tuttavia essa potesse essere sostituita, eventualmente anche dall'avvocato. Ha del pari ritenuto, esaminando la procura notarile rilasciata in favore dell'avvocato omissis ed oggi prodotta in allegato al ricorso per cassazione, che l'atto di conferimento di potere pur avendo la forma della procura notarile fosse in realtà una semplice, benché ampia, procura alle liti, comprensiva di ogni potere giudiziale e stragiudiziale ed anche del potere di conciliare la controversia (da qui il richiamo corretto all’art. 185 c.p.c. ), ma comunque una procura dal valore meramente processuale, che non attribuiva all'avvocato la rappresentanza sostanziale della parte.
C'è poi un altro passaggio motivazionale che merita attenzione. Lo stesso non è direttamente censurato e quindi, di per sé avrebbe potuto condurre al rigetto del ricorso in quanto la decisione poteva fondarsi su tale autonoma ratio deciderteli non impugnata. Esso consente di esaminare/sciogliere un altro degli interrogativi che la nuova disciplina pone, e dei punti in cui si stanno registrando orientamenti non convergenti nelle ormai numerose sentenze di merito che si sono già occupate della mediazione obbligatoria.
La corte d'appello ha ritenuto che, non essendosi le parti presentate al primo incontro, solamente informativo e preliminare, che si era svolto alla presenza dei soli avvocati, e non avendo mai avuto luogo il secondo incontro, perché le parti avevano comunicato preventivamente e oralmente al mediatore, a mezzo dei rispettivi avvocati, l'impossibilità di pervenire ad un accordo, la mediazione di fatto non si fosse svolta. Ha ritenuto, di conseguenza (ai limitati fini della soccombenza virtuale) che la condizione di procedibilità non si fosse verificata.
La seconda questione da risolvere è dunque quella del quando: quando si può ritenere che il tentativo di mediazione obbligatoria sia utilmente concluso, ai fini di ritenere soddisfatta la condizione di procedibilità? È sufficiente che le parti compaiano, assistite dai loro avvocati, per il primo incontro davanti al mediatore o è necessario che si dia effettivo corso alla mediazione? In altri termini, è sufficiente che il futuro attore (o l'attuale attore, come nel nostro caso, qualora le parti siano stata rimesse in mediazione dal giudice, a causa già iniziata) sia fisicamente presente, in proprio o delegando la presenza ad altra persona, e possa, finite la formalità preliminari illustrative delle finalità e delle modalità della mediazione, limitarsi a comunicare al mediatore di non aver nessuna intenzione di procedere oltre e di provare a trovare una soluzione, o è necessario che la mediazione sia "effettiva", che le parti provino quanto meno a discutere per trovare una soluzione, per poi poter dare atto a verbale della impossibilità di addivenire ad una soluzione positiva?
Sia l'argomento letterale – il testo dell'art, 8 – che l'argomento sistematico – la necessità di interpretare la presente ipotesi di giurisdizione condizionata in modo non estensivo, ovvero in modo da non rendere eccessivamente complesso o dilazionato l'accesso alla tutela giurisdizionale – depongono nel senso che l'onere della parte che intenda agire in giudizio (o che, avendo agito, si sia vista opporre il mancato preventivo esperimento della mediazione e sia stata rimessa davanti al mediatore dal giudice) di dar corso alla mediazione obbligatoria possa ritenersi adempiuto con l'avvio della procedura di mediazione e con la comparizione al primo incontro davanti al mediatore, all'esito del quale, ricevute dal mediatore le necessarie informazioni in merito alla funzione e alle modalità di svolgimento della mediazione, può liberamente manifestare il suo parere negativo sulla possibilità di utilmente iniziare (rectius proseguire) la procedura di mediazione.
In questo senso depongono sia la struttura del procedimento, disciplinata dall’art. 8 e suddivisa in un primo incontro preliminare davanti al mediatore (“Durante il primo incontro il mediatore chiarisce alle parti la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione. Il mediatore, sempre nello stesso primo incontro, invita poi le parti e i loro avvocati a esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione e, nel caso positivo, procede con lo svolgimento.”) e in uno o più incontri successivi di effettivo svolgimento della mediazione. Solo se le parti gli danno il via per procedere alla successiva fase di discussione, il mediatore andrà avanti, interloquendo con le parti fino a proporre o a far loro proporre una possibile soluzione, altrimenti si arresterà alla fase preliminare (all'esito della quale sono dovute solo le spese, e non anche il compenso del mediatore). Non andrà in ogni caso avanti, dando atto dell'esito negativo della mediazione, se il potenziale convenuto non compare, o se compare e dichiara dì non essere interessato alla mediazione. Di questo comportamento si potrà eventualmente tenere conto nel successivo giudizio, come prevede il comma 4 bis dell'art. 8 ("Dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione, il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell'articolo 116, secondo comma, del codice di procedura civile. Il giudice condanna la parte costituita che, nei casi previsti dall’articolo 5, non ha partecipato al procedimento senza giustificato motivo, al versamento all'entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio."). Se anche il convenuto compare ed è l'attore che dichiara di non intendere impegnarsi nella mediazione deve ritenersi che il mediatore debba prenderne atto e che l'attività si concluda anche in questo caso al termine dell'incontro preliminare, che la mediazione sia stata esperita e che abbia dato esito negativo, e che quindi la condizione di procedibilità sia soddisfatta. Quindi, è richiesta l'attivazione del procedimento di mediazione, la scelta del  mediatore, la convocazione della controparte e richiestala comparizione personale davanti al mediatore (con le possibilità alternative sopra enunciate) e la partecipazione al primo  incontro, nel corso del quale la parte riottosa può liberamente convincersi di provare effettivamente e fino in fondo la strada della soluzione alternativa alla controversia. Non può ritenersi che al fine di ritenere soddisfatta la condizione di procedibilità sia necessari pretendere dalla parte anche un impegno in positivo ad impegnarsi in una discussione alternativa rispetto al giudizio.
Non costituisce per contro idonea modalità di svolgimento della mediazione la mera comunicazione di aver sondato l’altra parte ed avere concordemente escluso la possibilità di addivenire ad un accordo, perché in questo modo si elude l'onere di comparire personalmente davanti al mediatore e di partecipare al primo incontro.
Nel caso di specie, la corte d'appello ha ritenuto che non si sia arrivati neppure a questa fase, perché le parti non sono mai comparse, personalmente o idoneamente rappresentate, davanti al mediatore, tant'è che non è stato neppure redatto un verbale negativo.
Il ricorso va complessivamente rigettato.
I principi di diritto enunciati possono essere riepilogati come segue: nel procedimento di mediazione obbligatoria disciplinato dal d.lgs. n. 28 del 2010 e successive modifiche, è necessaria la comparizione personale delle parti davanti al mediatore, assistite dal difensore; nella comparizione obbligatoria davanti al mediatore la parte può anche farsi sostituire da un proprio rappresentante sostanziale, eventualmente nella persona dello stesso difensore che l'assiste nel procedimento di mediazione, purché dotato di apposita procura sostanziale; la condizione di procedibilità può ritenersi realizzata al termine del primo incontro davanti al mediatore, qualora una o entrambe le parti, richieste dal mediatore dopo essere state adeguatamente informate sulla mediazione, comunichino la propria indisponibilità di procedere oltre. Omissis

PQM

La Corte rigetta il ricorso omissis.

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.