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30 aprile 2019

22/19. Legittimità costituzionale della mediazione e sue maggiori possibilità di successo rispetto alla negoziazione assistita (Osservatorio Mediazione Civile n. 22/2019)

=> Corte Costituzionale, 18 aprile 2019, sentenza n. 97

Non sono fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 84, comma 1, lett. b), d.l. n. 69 del 2013, come convertito, che inserisce il comma 1-bis all’art. 5 d.lgs. n. 28 del 2010 (reintroduzione della c.d. mediazione obbligatoria) e dell’art. 84, comma 1, lett. i), dello stesso d.l. n. 69 del 2013, nella parte in cui aggiunge il comma 4-bis, secondo periodo, all’art. 8, d.lgs. n. 28 del 2010 cit., sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 77 (I) (II).

Non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 4, lett. a), d.lgs. n. 28 del 2010 (“I commi 1-bis e 2 non si applicano: a) nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l'opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione”), sollevata, in riferimento all’art. 3 Cost (III).

Va affermata la sussistenza di un fondamentale elemento specializzante ravvisabile nella mediazione, rispetto alla negoziazione assistita (di cui al d.l. 132/2014 conv., con mod., in l. 162/2014), consistente nella circostanza che il procedimento di mediazione è connotato dal ruolo centrale svolto da un soggetto, il mediatore, terzo e imparziale, da cui discendono le maggiori possibilità della mediazione, rispetto alla negoziazione assistita, di conseguire la finalità cui è preordinata (IV).

Per approfondimenti si veda
SPINA
(nota a Corte Costituzionale, sentenza del 18.4.2019, n. 97)
in La Nuova Procedura Civile 2, 2019


(II) In merito alle novità introdotte alla disciplina della mediazione dal citato intervento del 2013 di veda si veda lo SPECIALE dell’OSSERVATORIO: DECRETO del FARE e NUOVA MEDIAZIONE CIVILE



Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 22/2019

Corte Costituzionale
Sentenza n. 97
18 aprile 2019

Omissis

Considerato in diritto

1.– Il Tribunale ordinario di Verona, con due distinte ordinanze di cui si è detto in narrativa, solleva – in riferimento agli artt. 3 e 77, secondo comma, della Costituzione – sostanzialmente identiche questioni di legittimità costituzionale dell’art. 84, comma 1, lettera b), del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia), convertito, con modificazioni, nella legge 9 agosto 2013, n. 98, che inserisce il comma 1-bis all’art. 5 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28 (Attuazione dell’articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali), dell’art. 84, comma 1, lettera i), dello stesso d.l. n. 69 del 2013, nella parte in cui aggiunge il comma 4-bis, secondo periodo, all’art. 8 del citato d.lgs. n. 28 del 2010, nonché del comma 2 del medesimo art. 84.
Nella sola ordinanza iscritta al n. 98 r.o. 2018, subordinatamente alla questione avente ad oggetto l’art. 84, comma 1, lettera b), del d.l. n. 69 del 2013, il Tribunale rimettente dubita, inoltre, della legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 4, lettera a), del d.lgs. n. 28 del 2010, in riferimento all’art. 3 Cost.
2.– In considerazione della parziale identità delle norme denunciate e delle censure formulate, i giudizi devono essere riuniti per essere decisi con un’unica pronuncia.
3.– Con la disposizione di cui all’art. 84, comma 1, lettera b), del d.l. n. 69 del 2013, il legislatore – mosso dalla necessità, cui fa riferimento il preambolo del decreto-legge stesso, di adottare «misure per l’efficienza del sistema giudiziario e la definizione del contenzioso civile» finalizzate, unitamente alle altre contestualmente previste, a «dare impulso al sistema produttivo del Paese attraverso il sostegno alle imprese, il rilancio delle infrastrutture, operando anche una riduzione degli oneri amministrativi per i cittadini e le imprese» – ha inserito il comma 1-bis all’art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010.
È stata così reintrodotta nell’ordinamento – dopo la declaratoria d’illegittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1, del citato del d.lgs. n. 28 del 2010 pronunciata da questa Corte, per eccesso di delega, con la sentenza n. 272 del 2012 – la mediazione civile quale condizione di procedibilità delle domande giudiziali relative a talune materie, tra le quali quella dei contratti bancari oggetto dei giudizi a quibus, specificamente individuate dalla norma.
La parte che intende esercitare in giudizio una delle azioni indicate dall’art. 5, comma 1-bis, del d.lgs. n. 28 del 2010 è, dunque, tenuta preliminarmente a tentare la composizione stragiudiziale della controversia mediante l’esperimento del procedimento disciplinato dal d.lgs. medesimo, il cui svolgimento è affidato ad appositi organismi di mediazione e, al loro interno, ai mediatori. È, infatti, presso l’organismo territorialmente competente che devono essere depositate le istanze di mediazione, ricevute le quali il responsabile designa un mediatore e fissa il primo incontro tra le parti, che si deve tenere, nella sede dell’organismo stesso (o nel luogo indicato nel regolamento da esso adottato), entro trenta giorni (artt. 4 e 8 del d.lgs. n. 28 del 2010).
L’art. 84, comma 1, lettera i), del d.l. n. 69 del 2013, nella parte in cui aggiunge il comma 4-bis, secondo periodo, all’art. 8 del d.lgs. n. 28 del 2010, riproduce, invece, la norma – in precedenza espressa dal comma 5 dello stesso art. 8, parimenti dichiarato incostituzionale, in via consequenziale, con la citata sentenza n. 272 del 2012 – che prevede che il giudice «condanna la parte costituita che, nei casi previsti dall’articolo 5 [del d.lgs. n. 28 del 2010], non ha partecipato al procedimento senza giustificato motivo, al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio».
3.1.– Tanto la lettera b) dell’art. 84, comma 1, del d.l. n. 69 del 2013, quanto il secondo periodo del comma 4-bis aggiunto all’art. 8 del d.lgs. n. 28 del 2010 dalla lettera i) dello stesso art. 84, comma 1, difetterebbero, ad avviso del giudice a quo, «dei requisiti di necessità ed urgenza legittimanti la [loro] adozione con decreto legge», così ledendo l’art. 77, secondo comma, Cost., segnatamente in quanto il successivo comma 2, peraltro anch’esso autonomamente censurato, avrebbe posticipato la loro entrata in vigore di trenta giorni rispetto alla data di entrata in vigore del decreto-legge stesso (recte: rispetto alla data della entrata in vigore della legge di conversione del d.l.).
Il denunciato vulnus si apprezzerebbe, nella prospettiva del rimettente, sotto un duplice profilo.
Il suddetto differimento, infatti, per un verso, sarebbe incompatibile con l’urgenza del provvedere, che presupporrebbe, al contrario, l’immediata applicabilità delle norme dettate dal decreto-legge, anche alla luce di quanto disposto dall’art. 15, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri). Sotto altro aspetto, determinerebbe la carenza della omogeneità finalistica tra le norme censurate e le altre introdotte dal d.l. n. 69 del 2013, la cui efficacia non sarebbe stata procrastinata.
3.2.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha in limine sollevato, in entrambi i giudizi, eccezione di inammissibilità delle questioni, in quanto basate su un argomento fallace.
Contrariamente a quanto sostenuto dal giudice a quo, infatti, le disposizioni di cui all’art. 84, comma 1, del d.l. n. 69 del 2013 sarebbero entrate in vigore, ai sensi del successivo art. 86, come tutte le altre norme contenute nel medesimo decreto-legge, il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana: il legislatore, con il comma 2 dell’art. 84, avrebbe, pertanto, disposto «semplicemente […] un differimento nella efficacia di talune disposizioni […]».
3.2.1.– Le eccezioni non sono pertinenti e non possono essere accolte, dal momento che l’argomentazione su cui riposano non incide sul nucleo fondante la censura formulata, ravvisabile piuttosto nell’asserita necessità che tutte le norme contenute nel decreto-legge abbiano la stessa, immediata efficacia.
3.3.– Nel merito, le questioni non sono fondate.
3.3.1.– Esse devono essere scrutinate alla stregua del consolidato orientamento di questa Corte secondo cui «[…] il sindacato sulla legittimità dell’adozione, da parte del Governo, di un decreto-legge va limitato ai casi di evidente mancanza dei presupposti di straordinaria necessità e urgenza richiesti dall’art. 77, secondo comma, Cost., o di manifesta irragionevolezza o arbitrarietà della loro valutazione» (sentenza n. 99 del 2018).
3.3.2.– Tanto premesso in linea generale, va rilevato che non può condividersi, quanto al primo profilo in cui è articolata la censura, la tesi del rimettente secondo cui l’insussistenza della straordinaria necessità e urgenza sarebbe desumibile dal mero differimento dell’efficacia delle disposizioni censurate.
Al contrario, questa Corte – anche laddove ha ricordato che l’art. 15, comma 3, della legge n. 400 del 1988, nel prescrivere, tra l’altro, che i decreti devono contenere misure di immediata applicazione, costituisce esplicitazione della ratio implicita nel secondo comma dell’art. 77 Cost. – ha tuttavia precisato che la necessità di provvedere con urgenza «non postula inderogabilmente un’immediata applicazione delle disposizioni normative contenute nel decreto-legge» (sentenza n. 170 del 2017; nello stesso senso sentenze n. 5 del 2018, n. 236 e n. 16 del 2017).
Mette conto, d’altra parte, osservare che, nel caso di specie, la norma che ha reintrodotto l’obbligatorietà della mediazione avrebbe evidentemente comportato un significativo incremento delle istanze di accesso al relativo procedimento: la decisione di procrastinarne, peraltro per un periodo contenuto, l’applicabilità è, pertanto, ragionevolmente giustificata dall’impatto che essa avrebbe avuto sul funzionamento degli organismi deputati alla gestione della mediazione stessa.
Del resto, una volta posticipata l’efficacia della mediazione obbligatoria, diviene con riguardo a essa coerente il differimento anche della connessa disciplina, posta dal secondo periodo del comma 4-bis dell’art. 8 del d.lgs. n. 28 del 2010, come introdotto dall’art. 84, comma 1, lettera i), del d.l. n. 69 del 2013, delle conseguenze della mancata partecipazione, senza giustificato motivo, al relativo procedimento.
3.3.3. – Nemmeno condivisibile è l’assunto, su cui è basato il secondo profilo in cui è articolata la censura in esame, in forza del quale le disposizioni sottoposte all’odierno scrutinio difetterebbero di coerenza funzionale rispetto alle altre norme contenute nel d.l. n. 69 del 2013 in quanto il legislatore avrebbe differito l’applicabilità solo delle prime.
Dalla «uniformità teleologica» che deve accomunare le norme contenute in un decreto-legge (sentenza n. 22 del 2012) non si può inferire, contrariamente a quanto sostenuto dal rimettente, un generale corollario per cui queste dovrebbero tutte necessariamente sottostare al medesimo termine iniziale di efficacia. La omogeneità finalistica che deve connotare le norme introdotte con la decretazione d’urgenza non presuppone, infatti, indefettibilmente l’uniformità di tale termine, ben potendo alcune di esse risultare comunque funzionali all’unico scopo di approntare rimedi urgenti anche là dove ne sia stata procrastinata l’applicabilità.
Il disposto differimento delle norme qui censurate trova del resto fondamento, come poc’anzi osservato, nell’esigenza di assicurare il corretto funzionamento degli organismi di mediazione: dunque, non solo non è sintomatico dell’assenza di coerenza finalistica, ma, al contrario, concorre a garantirla.
Deve quindi ritenersi che esso non abbia compromesso la matrice funzionale unitaria delle disposizioni denunciate, anch’esse finalizzate, unitamente alle altre adottate in materia di giustizia, alla realizzazione dei comuni e urgenti obiettivi – a loro volta preordinati al rilancio dell’economia – del miglioramento dell’efficienza del sistema giudiziario e dell’accelerazione dei tempi di definizione del contenzioso civile.
Le norme oggetto dell’odierno incidente di costituzionalità si collocano, pertanto, coerentemente all’interno di tale cornice finalistica, risultante dal preambolo e dal Titolo III (Misure per l’efficienza del sistema giudiziario e la definizione del contenzioso civile) del decreto-legge in cui sono contenute.
D’altro canto, proprio la considerazione delle peculiari conseguenze – differenti rispetto a quelle prodotte dalle altre misure adottate – derivanti dalle disposizioni in parola e prima ricordate concorre a rendere ragionevole la scelta di differirne l’applicabilità.
3.3.4.– Alla luce dei rilievi che precedono, deve escludersi sia l’evidente difetto dei presupposti di straordinaria necessità e urgenza richiesti dall’art. 77, secondo comma, Cost., sia l’esistenza di una disomogeneità finalistica delle norme censurate rispetto alle altre contenute nel decreto-legge.
4.– Entrambe le ordinanze di rimessione del Tribunale di Verona reputano, altresì, «immotivata e priva di una ragione logica» la previsione dell’art. 84, comma 2, del d.l. n. 69 del 2013, che posticipa, come si è visto, di trenta giorni rispetto all’entrata in vigore della legge di conversione l’applicabilità delle disposizioni di cui al precedente comma 1: e la censurano perciò per contrasto con l’art. 3 Cost.
4.1.– In entrambi i giudizi l’Avvocatura generale ha eccepito l’inammissibilità delle questioni per difetto di motivazione sulla non manifesta infondatezza, giacché il Tribunale rimettente si sarebbe in sostanza limitato a sostenere che, in sede di decretazione d’urgenza, non possa essere procrastinata l’applicabilità di alcune disposizioni, senza tuttavia adeguatamente illustrare i motivi per cui siffatta scelta sarebbe illogica.
4.1.1.– Le eccezioni vanno disattese.
Malgrado la obiettiva sinteticità che connota la censura in esame, formulata in maniera pressoché identica in entrambe le ordinanze di rimessione, da una lettura complessiva di queste ultime si evince, infatti, che il giudice a quo, sulla base di un argomento sostanzialmente sovrapponibile a quello sviluppato in merito all’asserita violazione dell’art. 77, secondo comma, Cost., reputa illogica, e perciò in contrasto con l’art. 3 Cost., la decisione di differire l’applicabilità di una norma adottata in sede di decretazione d’urgenza, evidenziando, quale indice sintomatico di tale irragionevolezza, la diversa soluzione prescelta dal legislatore con riguardo ad altre norme contenute nel medesimo testo normativo.
Sulla scorta della considerazione che precede, deve ritenersi assolto l’onere di motivazione che grava sul giudice rimettente.
4.2.– Le questioni, tuttavia, sono inammissibili per altre e diverse ragioni.
Va al riguardo rilevato che il rimettente non motiva in alcun modo sull’applicabilità, nei giudizi pendenti dinanzi a sé, della norma censurata.
Né d’altra parte ciò sarebbe stato possibile: dalle ordinanze di rimessione emerge, infatti, come i processi a quibus siano stati rispettivamente iscritti al ruolo generale degli anni 2014 e 2017; emerge quindi per tabulas che questi sono stati instaurati successivamente al periodo in cui ha prodotto effetti il differimento (trenta giorni dall’entrata in vigore, avvenuta il 21 agosto 2013, della legge di conversione) disposto dalla norma censurata.
Tale disposizione, pertanto, aveva ormai esaurito i propri effetti e di essa il giudice a quo non deve, conseguentemente, fare applicazione, sicché le questioni che la investono sono prive di rilevanza.
5.– In via subordinata, con l’ordinanza di rimessione iscritta al n. 98 r.o. 2018, il Tribunale rimettente dubita, in riferimento all’art. 3 Cost., in relazione al principio di uguaglianza, della legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 4, lettera a), del d.lgs. n. 28 del 2010, che esclude l’obbligatorietà della mediazione, limitatamente alla fase monitoria, nei procedimenti per ingiunzione.
5.1.– Benché tale disposizione non sia indicata nel dispositivo dell’ordinanza di rimessione, dalla lettura della sua motivazione si desume con chiarezza come le censure formulate investano anche questa, specificamente nella parte in cui prevede l’obbligatorietà della mediazione nei giudizi di opposizione a decreto ingiuntivo.
Deve conseguentemente ritenersi che il presente scrutinio di costituzionalità investa anche l’art. 5, comma 4, lettera a), del d.lgs. n. 28 del 2010, segnatamente laddove prevede l’obbligatorietà della mediazione nei giudizi di opposizione a decreto ingiuntivo. Infatti, per un verso, il «thema decidendum, con riguardo alle norme censurate, va identificato tenendo conto della motivazione delle ordinanze» (sentenza n. 238 del 2014; nello stesso senso, ex plurimis, sentenza n. 203 del 2016; ordinanze n. 169 del 2016 e n. 162 del 2011); per altro verso, sulla base di tale motivazione è «ben possibile circoscrivere l’oggetto del giudizio di legittimità costituzionale ad una parte della disposizione censurata» (ex plurimis, sentenza n. 35 del 2017).
5.2.– Secondo il giudice rimettente, la compromissione del principio di uguaglianza emergerebbe dal raffronto con la disciplina legislativa della negoziazione assistita da uno o più avvocati, applicabile, ai sensi dell’art. 2 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132 (Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell’arretrato in materia di processo civile), convertito, con modificazioni, nella legge 10 novembre 2014, n. 162, alle controversie in materia di risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti, nonché, fuori da questo caso e da quelli previsti dall’art. 5, comma 1-bis, del d.lgs. n. 28 del 2010, alle domande aventi a oggetto il pagamento, a qualsiasi titolo, di somme non eccedenti cinquantamila euro.
Anche la negoziazione assistita costituirebbe, infatti, come la mediazione, una condizione di procedibilità della domanda giudiziale.
Tuttavia, nei procedimenti per ingiunzione, la procedura di negoziazione assistita, secondo quanto disposto dall’art. 3, comma 3, lettera a), del d.l. n. 132 del 2014, non deve essere esperita né nella fase monitoria né nel successivo, eventuale giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo.
Al contrario, in virtù della disposizione censurata, il procedimento preliminare di mediazione, benché parimenti non applicabile alle domande proposte in via monitoria, deve essere intrapreso nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo, sia pure dopo la pronuncia del giudice, ai sensi degli artt. 648 e 649 del codice di procedura civile, sulle istanze di concessione e di sospensione della provvisoria esecuzione del decreto stesso.
La descritta diversità tra le due discipline, ad avviso del giudice a quo, integrerebbe, come detto, una violazione dell’art. 3 Cost., determinando una disparità di trattamento manifestamente irragionevole e in quanto tale incidente anche nell’ambito della disciplina degli istituti processuali.
5.3.– L’Avvocatura generale ha sollevato preliminarmente eccezione d’inammissibilità della questione per difetto di rilevanza – o, comunque, per difetto di motivazione su di essa – rimarcando l’omessa indicazione, da parte del Tribunale rimettente, del valore della causa oggetto del giudizio a quo, che non consentirebbe di comprendere se nella fattispecie concreta possa, o meno, trovare applicazione la norma, evocata quale tertium comparationis, che disciplina la negoziazione assistita.
5.3.1.– L’eccezione non è pertinente.
A prescindere dal tertium comparationis, evocato solo quale indice di una rottura della coerenza dell’ordinamento, il giudice a quo è infatti chiamato a decidere, in sede di opposizione a decreto ingiuntivo, sulla istanza di concessione della esecuzione provvisoria del decreto stesso, avente ad oggetto un credito derivante da un contratto di anticipazione bancaria. Assunta la decisione in merito a tale richiesta, egli dovrebbe quindi assegnare alle parti il termine per intraprendere il procedimento di mediazione, secondo quanto previsto dal disposto dei commi 1-bis e 4, lettera a), dell’art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010.
Tanto chiarito, si deve osservare che è ben vero che il rimettente non indica specificamente il valore della causa sottoposta alla sua cognizione, ma è altrettanto vero che ciò è ininfluente, giacché questa ha ad oggetto un contratto bancario: a prescindere dal suo valore, essa rientra quindi, in ogni caso, nel novero di quelle soggette alla mediazione.
Pertanto, ove dovesse essere ritenuta sussistente la dedotta irragionevole disparità di trattamento, con la conseguente espunzione di quella parte della norma censurata da cui deriva l’obbligatorietà della mediazione nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, si espanderebbe la disciplina generale dell’accesso incondizionato alla giurisdizione. È dunque palese che, nonostante l’omissione evidenziata dalla difesa statale, la questione è rilevante, giacché dal suo accoglimento deriverebbe che il giudice rimettente non dovrebbe assegnare il termine per intraprendere il procedimento di mediazione.
Da questo punto di vista, la censura supera il vaglio di ammissibilità.
5.4.– Al pari di quelle già esaminate, neppure essa è, tuttavia, fondata.
5.4.1.– Entrambi gli istituti processuali posti a raffronto sono diretti a favorire la composizione della lite in via stragiudiziale e sono riconducibili alle «misure di ADR (Alternative Dispute Resolution)» (sentenza n. 77 del 2018). Entrambi, inoltre, costituiscono condizioni di procedibilità della domanda giudiziale, il cui difetto ha peraltro conseguenze analoghe, con finalità deflattiva.
A fronte di tali profili di omogeneità, è tuttavia ravvisabile nella mediazione un fondamentale elemento specializzante, che assume rilievo al fine di escludere che si sia al cospetto di situazioni sostanzialmente identiche disciplinate in modo ingiustificatamente diverso, ovvero che la scelta legislativa di trattare diversamente, con riguardo al giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, le due fattispecie possa ritenersi manifestamente irragionevole e arbitraria, «questo essendo il parametro di riferimento in materia, tenuto conto che si discute di istituti processuali, nella cui conformazione […] il legislatore fruisce di ampia discrezionalità» (sentenza n. 12 del 2016; nello stesso senso, sentenza n. 164 del 2017).
5.4.2.– Più precisamente, il procedimento di mediazione è connotato dal ruolo centrale svolto da un soggetto, il mediatore, terzo e imparziale, là dove la stessa neutralità non è ravvisabile nella figura dell’avvocato che assiste le parti nella procedura di negoziazione assistita.
Il mediatore, infatti, ai sensi dell’art. 14 del d.lgs. n. 28 del 2010, da un lato, non può «assumere diritti od obblighi connessi […] con gli affari trattati […]» né percepire compensi direttamente dalle parti (comma 1); dall’altro, è obbligato a sottoscrivere, per ciascuna controversia affidatagli, un’apposita «dichiarazione di imparzialità» e a informare l’organismo di mediazione e le parti delle eventuali ragioni che possano minare la sua neutralità (comma 2, lettere a e b).
Tale neutralità, oltre ad essere sancita anche dall’art. 3, comma 2, del d.lgs. n. 28 del 2010, è peraltro altresì precisata dalla disciplina posta dall’art. 14-bis del decreto del Ministro della giustizia 18 ottobre 2010, n. 180 (Regolamento recante la determinazione dei criteri e delle modalità di iscrizione e tenuta del registro degli organismi di mediazione e dell’elenco dei formatori per la mediazione, nonché l’approvazione delle indennità spettanti agli organismi, ai sensi dell’articolo 16 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28), adottato, ai sensi dell’art. 16, comma 2, del medesimo d.lgs., di concerto con il Ministro per lo sviluppo economico, che regola le cause di incompatibilità e le ipotesi di conflitti di interesse in capo al mediatore.
Mentre, dunque, nella mediazione il compito – fondamentale al fine del suo esito positivo – di assistenza alle parti nella individuazione degli interessi in conflitto e nella ricerca di un punto d’incontro è svolto da un terzo indipendente e imparziale, nella negoziazione l’analogo ruolo è svolto dai loro stessi difensori: è conseguentemente palese come, pur versandosi in entrambi i casi in ipotesi di condizioni di procedibilità con finalità deflattive, gli istituti processuali in esame siano caratterizzati da una evidente disomogeneità.
La lumeggiata eterogeneità, nei termini appena illustrati, trova d’altro canto un chiaro riscontro nella giurisprudenza costituzionale. Questa Corte, esaminando la mediazione tributaria disciplinata dall’art. 17-bis del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), ha difatti rimarcato che la mancanza, in essa, «di un soggetto terzo che, come avviene per la mediazione delle controversie civili e commerciali disciplinata dal d.lgs. n. 28 del 2010 […], svolga la mediazione», se da un lato «comporta l’impossibilità di ricondurre la mediazione tributaria al modello di quella civilistica», dall’altro «induce a dubitare della stessa riconducibilità dell’istituto all’àmbito mediatorio propriamente inteso» (sentenza n. 98 del 2014).
L’evidenziata disomogeneità delle due fattispecie poste a confronto ne preclude, dunque, una comparabilità idonea a integrare l’asserita violazione dell’art. 3 Cost. e induce a escludere che sia stato irragionevolmente riservato un trattamento differenziato alla mediazione e, quindi, che la scelta legislativa denunciata dal rimettente abbia valicato il confine dell’arbitrarietà.
5.4.3.– D’altra parte, il tratto differenziale appena rilevato conferma la ratio che sostiene il diverso regime giuridico di cui, invece, si duole il giudice a quo: la presenza di un terzo del tutto indipendente rispetto alle parti giustifica, infatti, le maggiori possibilità della mediazione, rispetto alla negoziazione assistita, di conseguire la finalità cui è preordinata e, pertanto, la scelta legislativa di rendere obbligatoria solo la prima, e non la seconda, anche nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo.
In tale ultimo giudizio, in altri termini, il legislatore ha ritenuto inutile imporre la negoziazione assistita, giacché essa è condotta direttamente dalle parti e dai loro avvocati, senza l’intervento di un terzo neutrale.
Anche alla luce della considerazione che precede, deve dunque escludersi che il differente trattamento normativo portato all’attenzione di questa Corte possa essere ritenuto manifestamente irragionevole e arbitrario.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
1) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 84, comma 2, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia), convertito, con modificazioni, nella legge 9 agosto 2013, n. 98, sollevate, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Verona con le ordinanze indicate in epigrafe;
2) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 84, comma 1, lettera b), del d.l. n. 69 del 2013, come convertito, che inserisce il comma 1-bis all’art. 5 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28 (Attuazione dell’articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali), e dell’art. 84, comma 1, lettera i), dello stesso d.l. n. 69 del 2013, nella parte in cui aggiunge il comma 4-bis, secondo periodo, all’art. 8 del citato d.lgs. n. 28 del 2010, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 77, secondo comma, Cost., dal Tribunale ordinario di Verona con le ordinanze indicate in epigrafe;
3) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 4, lettera a), del d.lgs. n. 28 del 2010, sollevata, in riferimento all’art. 3 Cost., dal Tribunale ordinario di Verona con l’ordinanza iscritta al n. 98 del registro ordinanze 2018.

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.