=> Corte di Cassazione, 13 aprile 2017, n. 9557
La mediazione
costituisce condizione di procedibilità e non di proponibilità della domanda, e, in mancanza di essa, ai sensi dell’art. 5 comma 1-bis,
d.lgs. n. 28/2010, il giudice opera
un semplice rinvio della “successiva udienza”. Di conseguenza, laddove la domanda
giudiziale sia proposta in mancanza del previo esperimento del procedimento di
mediazione ed il convenuto proponga la relativa eccezione, si determina un semplice differimento delle attività da
svolgersi nel giudizio già pendente, ma non la nullità di quelle fino a quel
momento svolte, e restano pertanto
ferme le decadenze già verificatesi. Difatti, se il legislatore avesse
inteso stabilire l’inefficacia delle attività processuali svolte in mancanza
del previo procedimento di mediazione sarebbe stata prevista la semplice
dichiarazione di improcedibilità della domanda e la chiusura del giudizio
instaurato senza previo ricorso al tentativo di mediazione, con la necessità di
instaurarne uno nuovo, ovvero la rinnovazione degli atti processuali già
espletati; è invece prevista la rilevabilità
del difetto della condizione di procedibilità, solo su eccezione di parte o
su rilievo di ufficio del giudice non oltre la prima udienza, a pena di
decadenza, con il limitato effetto di
provocare un mero rinvio della successiva udienza a data posteriore allo
svolgimento del procedimento (I).
Fonte: Osservatorio
Mediazione Civile n. 35/2017
Corte di Cassazione
Sezione terza
Ordinanza n. 9557
13 aprile 2017
Omissis
Fatti di causa
Omissis ottennero un decreto ingiuntivo nei
confronti di X per l’importo di Euro 2.200,00, a titolo di restituzione del
deposito cauzionale versato per un contratto di locazione.
L’ingiunta propose
opposizione ed avanzò domanda riconvenzionale per ottenere il risarcimento dei
danni arrecati all’immobile locato dalle conduttrici ed il rimborso di oneri
accessori non pagati.
Il Tribunale di
Roma rigettò l’opposizione e le domande riconvenzionali della locatrice
opponente e la condannò al pagamento di un importo pari ad Euro 2.600,00 ai
sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c., oltre alle spese di lite.
La Corte di Appello
di Roma, in parziale riforma della decisione di primo grado, ha revocato il
decreto ingiuntivo ed ha condannato le conduttrici opposte al pagamento
dell’importo di Euro 103,70 in favore dell’opponente, dichiarando compensate le
spese del doppio grado di giudizio.
Ricorrono omissis, sulla base di due motivi.
Resiste con
controricorso X.
Il collegio ha
disposto che sia redatta motivazione in forma semplificata.
Ragioni della
decisione
1. Con il primo
motivo del ricorso si denunzia “violazione o falsa applicazione dell’art. 416
c.p.c., con riferimento all’art. 420 c.p.c. ed in relazione all’art. 5 D. lgs.
28/2010”.
Il motivo è
infondato.
Le ricorrenti,
conduttrici opposte nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo ottenuto
per la restituzione del deposito cauzionale, soggetto alle forme del rito
locatizio, si sono costituite tardivamente in detto giudizio, solo all’udienza
di discussione di cui all’art. 420 c.p.c..
Hanno eccepito
costituendosi l’improcedibilità dell’opposizione, per non essere stato posto in
essere il procedimento di mediazione previsto dall’art. 5, comma 1, del decreto
legislativo 4 marzo 2010 n. 28.
Il giudice ha
quindi assegnato il termine per iniziare il procedimento di mediazione ed
effettuato un rinvio a data successiva alla scadenza del termine di quattro
mesi previsto dall’art. 6 della legge richiamata, in applicazione della
predetta disposizione.
Esperito senza
esito il procedimento di mediazione, il giudizio è poi proseguito, e
l’opposizione è stata accolta in primo grado, sulla base dei documenti prodotti
dalle opposte al momento della loro costituzione, che il giudice di primo grado
ha ritenuto dimostrare (almeno in via presuntiva) l’avvenuto pagamento delle
somme pretese dalla locatrice.
La locatrice
opponente ha proposto appello, sostenendo che dei documenti in questione non
avrebbe dovuto tenersi conto in quanto prodotti tardivamente.
La corte di appello
ha accolto il gravame, affermando che la costituzione tardiva nel rito
locatizio preclude la produzione di documenti.
Le ricorrenti
censurano la decisione di secondo grado, sostenendo che l’improcedibilità della
domanda giudiziale prima dell’esperimento del procedimento di mediazione
comporterebbe che le preclusioni processuali non potrebbero maturare fino a che
tale procedimento non venga svolto in concreto.
La corte di appello
ha osservato, in senso contrario, che la mediazione costituisce condizione di
procedibilità e non di proponibilità della domanda, e che, in mancanza di essa,
ai sensi dell’art. 5, comma 1, del decreto legislativo n. 28/2010, il giudice
opera un semplice rinvio della “successiva
udienza” (“il
giudice ove rilevi che la mediazione è già iniziata, ma non si è conclusa,
fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all’articolo 6.
Allo stesso modo provvede quando la mediazione non è stata esperita, assegnando
contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione
della domanda di mediazione”).
Di conseguenza,
laddove la domanda giudiziale sia proposta in mancanza del previo esperimento
del procedimento di mediazione ed il convenuto proponga la relativa eccezione,
si determina un semplice differimento delle attività da svolgersi nel giudizio
già pendente, ma non la nullità di quelle fino a quel momento svolte, e restano
pertanto ferme le decadenze già verificatesi.
L’interpretazione
della disposizione operata dalla corte di appello va condivisa.
Se il legislatore
avesse inteso stabilire l’inefficacia delle attività processuali svolte in
mancanza del previo procedimento di mediazione sarebbe stata prevista la
semplice dichiarazione di improcedibilità della domanda e la chiusura del
giudizio instaurato senza previo ricorso al tentativo di mediazione, con la
necessità di instaurarne uno nuovo, ovvero la rinnovazione degli atti
processuali già espletati.
È invece prevista
la rilevabilità del difetto della condizione di procedibilità, solo su
eccezione di parte o su rilievo di ufficio del giudice non oltre la prima
udienza, a pena di decadenza, con il limitato effetto di provocare un mero
rinvio della successiva udienza a data posteriore allo svolgimento del
procedimento.
Se ne ricava che le
attività processuali svolte sono valide ed efficaci e quindi che le eventuali
preclusioni già maturate restano ferme nel corso del successivo svolgimento del
giudizio. D’altra parte, la disposizione invocata dalle ricorrenti a sostegno
dei loro assunti (e precisamente il comma 1 dell’art. 5 del decreto legislativo
n. 28 del 2010) è stata dichiarata costituzionalmente illegittima (C. Cost.,
sentenza 6 dicembre 2012 n. 272), e quindi non è applicabile nel presente
giudizio (nel quale peraltro la decadenza si era già verificata; cfr., ex
multis, Cass., Sez. 1, Sentenza n. 16450 del 18/07/2006, Rv. 591494 – 01; Sez.
2, Sentenza n. 3642 del 16/02/2007, Rv. 596057 01; Sez. 3, Sentenza n. 18847 del
09/07/2008, Rv. 604399 01; Sez. 3, Sentenza n. 9329 del 20/04/2010, Rv. 612703
– 01; Sez. 1, Sentenza n. 20381 del 20/11/2012, Rv. 624199 01).
Né può ritenersi
applicabile l’analoga disposizione successivamente introdotta con il comma
1-bis (che sostanzialmente riproduce il precedente comma 1, dichiarato
incostituzionale) dell’art. 5 del decreto legislativo n. 28 del 2010, ad opera
dell’art. 84 del decreto legge 21 giugno 2013 n. 69, convertito con
modificazioni dalla legge 9 agosto 2013 n. 98.
La nuova disposizione
non è infatti applicabile ai giudizi iniziati prima del decorso di trenta
giorni dalla sua entrata in vigore (ai sensi dell’art. 84, comma 2, del decreto
legge citato).
Ne consegue che in
realtà il presente giudizio non può affatto ritenersi soggetto alla condizione
di procedibilità dell’esperimento del procedimento di mediazione.
2. Con il secondo
motivo del ricorso si denunzia “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112
c.p.c. in relazione all’art. 416 c.p.c.”.
Il motivo è
infondato.
La corte di appello
non ha affatto ritenuto l’eccezione di pagamento una eccezione in senso
stretto, né ha escluso la possibilità di rilevarla eventualmente anche di
ufficio.
Ha semplicemente
ritenuto precluse le produzioni documentali delle opposte, in quanto
costituitesi in giudizio tardivamente, e quindi ha ritenuto non sussistente in
atti la prova del dedotto pagamento, non potendo prendere in considerazione i
documenti che – secondo le ricorrenti – lo avrebbero dimostrato. Di
conseguenza, nessuna violazione degli artt. 112 e 416 c.p.c. può ravvisarsi
nella pronunzia impugnata.
3. Il ricorso è
rigettato.
Per le spese del
giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza,
come in dispositivo, con distrazione in favore del procuratore della
controricorrente, G R, che ha reso la prescritta dichiarazione di anticipo.
Dal momento che il
ricorso risulta notificato successivamente al termine previsto dall’art. 1, co.
18, della legge n. 228 del 2012, deve darsi atto della sussistenza dei
presupposti di cui all’art. 13, co. 1quater, del D.P.R. n. 115 del 2002,
introdotto dall’art. 1, co. 17, della citata legge n. 228 del 2012.
PQM
La Corte rigetta il
ricorso; condanna le ricorrenti a pagare le spese del giudizio di legittimità
in favore della controricorrente, liquidandole in complessivi Euro 1.500,00, di
cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge, con
distrazione in favore dell’avvocato G.i R. ai sensi dell’art. 93 c.p.c. Ai
sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito
dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei
presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore
importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a
norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.