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19 maggio 2019

24/19. Leasing immobiliare con finalità di finanziamento e stipulato con una banca: mediazione c.d. obbligatoria? (Osservatorio Mediazione Civile n. 24/2019)

=> Cassazione civile, 12 giugno 2018, n. 15200

In tema di mediazione c.d. obbligatoria, non può essere condivisa la ricostruzione per cui sussiste la condizione di procedibilità relativa all'esperimento della mediazione, in relazione alle ipotesi alternative dei contratti bancari e finanziari, in caso di contratto stipulato con una banca e con la finalità di finanziamento, coessenziale al leasing immobiliare. Difatti il riferimento di cui all’art. 5, comma 1-bis, d.lgs. n. 28 del 2010 è ai contratti bancari, e non, più generalmente, ai contratti stipulati con un istituto di credito, così come ai contratti finanziari, e non, più generalmente, a contratti con finalità di finanziamento, anche in chiave mista. Nella relazione illustrativa al decreto legislativo in parola, poi, si legge che la volontà del legislatore è quella di riferirsi ai "rapporti bancari" ovvero ai "contratti di servizi" quali quelli finanziari e, nella medesima prospettiva, nella stessa relazione, si menzionano le esperienze conciliative del D.Lgs. 8 settembre 2007, n. 179, e quella del procedimento istituito in attuazione dell'art. 128 bis, del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia di cui al D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385. E' quindi sufficientemente chiaro il richiamo, non altrimenti alterabile, alla disciplina dei contratti bancari contenuta nel codice civile e nel TUB, nonchè alla contrattualistica involgente gli strumenti finanziari di cui al TUF (D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, e succ. mod., v. in specie all'art. 1). In questa cornice normativa, non è possibile estendere l'area della condizione di procedibilità alla diversa ipotesi di leasing immobiliare anche se, nelle varie forme, allo stesso sono coessenziali finalità di finanziamento specificatamente funzionali, però, all'acquisto ovvero all'utilizzazione di quello specifico bene coinvolto (I).


Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 24/2019

Corte Suprema di Cassazione
Sezione terza civile
Ordinanza
12 giugno 2018, n. 15200

Omissis

Fatti di causa

Il Banco omissis, in nome e per conto della Banca omissis, s.p.a., conveniva in giudizio, con citazione notificata l'8 aprile 2014, la M. Immobiliare per ottenere la risoluzione per inadempimento di un contratto di locazione finanziaria immobiliare stipulato tra la Banca omissis, quale concedente, e la convenuta.
Il Tribunale di Firenze, nella contumacia della M. Immobiliare, con sentenza n. 813 del 2015 accoglieva la domanda, ordinando il conseguente rilascio dell'immobile.
La Corte di appello di Firenze, pronunciando sul gravame della M. Immobiliare, con sentenza ex art. 281 sexies c.p.c., del 19 gennaio 2016 confermava la decisione, osservando che la notifica della citazione in prime cure, effettuata via posta elettronica certificata (PEC) dopo un iniziale tentativo senza esito a mezzo del servizio postale, era rituale e, comunque, aveva raggiunto lo scopo. Infatti l'atto, in uno alla relativa procura, era stato formato su supporto cartaceo e poi legittimamente convertito in immagine digitale per la suddetta notifica la cui corretta ricezione non era stata contestata, nell'ambito di un processo che, al di fuori della notificazione medesima, non si era svolto in forma telematica. La corte di appello, inoltre, disattendeva l'eccezione di improcedibilità per omesso svolgimento della mediazione per la composizione amichevole delle controversie, rilevando che il leasing non poteva considerarsi o assimilarsi, ai fini in parola, nè alla locazione nè ai contratti finanziari.
Avverso la suindicata decisione della corte di merito ricorre per cassazione la M. Immobiliare s.r.l. in liquidazione, affidandosi a tre motivi. Resiste con controricorso il Banco Popolare Società Cooperativa. Il pubblico ministero ha formulato conclusioni scritte chiedendo il rigetto del ricorso.

Ragioni della decisione

Con il primo motivo di ricorso la M. Immobiliare prospetta la violazione della L. 21 gennaio 1994, n. 53, artt. 3 bis e 11, poichè la corte di appello avrebbe errato nell'escludere la nullità della notifica della citazione in primo grado in quanto: a) sarebbe stato violato l'art. 3 bis citato, con conseguente nullità stabilita dal seguente art. 11, posto che non vi era stata relazione di notifica redatta su documento informatico separato oltre che sottoscritto digitalmente; b) la relazione non conteneva l'identificazione comprensiva di codice fiscale del soggetto che aveva conferito la procura; c) nella relata della notifica non vi era menzione della notifica via PEC, contenendo essa solo indirizzi anagrafici, e non quelli elettronici come richiesto dalla norma in uno all'indicazione dell'elenco da cui erano stati tratti questi ultimi. Inoltre vi sarebbe stata altra ragione di nullità, integrata dalla violazione del D.M. 21 febbraio 2011, n. 44, art. 18, posto che non era stata allegata la procura con atto separato contenente la certificazione autografa. Infine sarebbero state violate le norme regolamentari previste dalla determinazione della Direzione generale per i sistemi informativi automatizzati del 16 aprile 2014, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 30 aprile 2014, e in specie l'art. 19 bis, che vietava la scansione per immagini nel caso di notifica di documento informatico.
Con il secondo motivo di ricorso prospetta la violazione del D.Lgs. 4 marzo 2010, n. 28, art. 5, poichè il leasing, stipulato con un istituto di credito, sarebbe stato da qualificare non locazione ma contratto bancario o finanziario, attesa la finalità di finanziamento insita nello stesso.
Con il terzo motivo di ricorso prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., e D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, poichè la corte di appello avrebbe errato nell'omettere di compensare le spese e nello statuire sul raddoppio del contributo unificato, dopo aver dato atto che, in particolare con riferimento all'applicabilità della condizione di procedibilità di cui alla seconda censura, la questione era "molto opinabile".
Il primo motivo di ricorso è in parte manifestamente inammissibile, in parte manifestamente infondato.
Va preliminarmente disattesa l'eccezione d'inammissibilità del motivo formulata da parte controricorrente in ragione del fatto che la censura deduce violazioni normative ulteriori a quelle enunciate nella sua stessa rubrica, essendo evidente che le prospettazioni della parte debbono essere apprezzate nella loro completezza e senza superfetazioni formalistiche.
Va poi premesso che la corte di appello (pagg. 1-2 della sentenza gravata) ha risposto ai motivi di appello così riassunti sul punto: a) mancanza di un separato atto contenente la procura difensiva attorea, con violazione del D.M. n. 44 del 2011, art. 18, comma 5; b) mancanza degli identificativi anche fiscali del soggetto che aveva rilasciato la procura medesima, con violazione della L. n. 53 del 1994, art. 3 bis; c) mancanza di autenticazione della procura a norma del D.M. n. 44 del 2011, art. 18, comma 5. La sentenza non menziona, pertanto, la questione della mancata indicazione, nella relata della notifica via PEC, degli indirizzi di posta elettronica in uno all'indicazione dell'elenco da cui erano stati tratti. Al riguardo, va dato seguito alla giurisprudenza secondo cui qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione d'inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l'avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza e dunque specificità del motivo: a) di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare "ex actis" la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass., 18/10/2013, n. 23675); b) riprodurre in via diretta il contenuto che sorregge la censura oppure in via indiretta, con specificazione della parte del documento cui corrisponde l'indiretta riproduzione (Cass., 09/04/2013, n. 8569, Cass., 15/07/2015, n. 14784, Cass., 27/07/2017, n. 18679). Parte ricorrente ha indicato e riprodotto quanto necessario in relazione al profilo del divieto di scansione, mentre non ha fatto altrettanto in ordine alla questione inerente agli indirizzi PEC, da considerarsi perciò nuova.
Quanto al merito, il motivo è nel complesso manifestamente infondato in ogni suo profilo, come emerge dalle onnicomprensive ragioni di seguito evidenziate.
La corte territoriale, senza alcuna delle contraddizioni ipotizzate nel ricorso, ha evidenziato che: a) solo la notifica in questione era stata effettuata via PEC; b) il processo si era poi svolto in modalità analogica; c) la notifica via PEC era avvenuta scansionando l'originale cartaceo come legittimamente poteva procedersi a fare, a mente del regime di cui alla L. n. 53 del 1994.
Tali rilievi sono corretti.
In primo luogo va rimarcato che il provvedimento D.G.S.I.A. 16 aprile 2014, contenente le specifiche tecniche per le notificazioni da farsi in via telematica, dagli avvocati, entrato in vigore il 15 maggio successivo, è successivo alla notifica in parola avvenuta il giorno 8 aprile 2014.
In secondo luogo, lo stesso art. 19 bis, del provvedimento, invocato dalla ricorrente, chiarisce che si riferisce alla diversa ipotesi in cui "l'atto da notificarsi sia un documento originale informatico". Si tratta, cioè, del documento nativo informatico, e non, come nel caso di specie, di quello nativo analogico - in cui l'originale è cartaceo - comprensivo della procura, notificato via PEC.
Questa constatazione rende chiaro perchè alla fattispecie non si applica il D.M. n. 44 del 2011, art. 18, comma 5. Il disposto prevede quanto segue: "la procura alle liti si considera apposta in calce all'atto cui si riferisce quando è rilasciata su documento informatico separato allegato al messaggio di posta elettronica certificata mediante il quale l'atto è notificato. La disposizione di cui al periodo precedente si applica anche quando la procura alle liti è rilasciata su foglio separato del quale è estratta copia informatica, anche per immagine". Esso è diretto a stabilire quando la procura si debba considerare "in calce" ovvero riferibile all'atto difensivo, sia nel caso in cui la procura sia un documento nativo digitale, sia quando essa sia un documento nativo analogico, poi scansionato e allegato.
Nel caso in scrutinio invece, la procura, in originale cartaceo con relativa autenticazione, è stato complessivamente scansionato e poi allegato al messaggio PEC, sicchè all'originale non si applicano le norme del processo telematico, ferma la disciplina della PEC.
Venendo quindi alla notifica via PEC, e dunque alle pretese violazioni della L. n. 53 del 1994, art. 3 bis, nella versione "ratione temporis" applicabile, deve darsi continuità alla giurisprudenza che ha concluso nel senso che l'irritualità della notificazione via PEC non può mai comportare la nullità della stessa se ha comunque prodotto il risultato della conoscenza dell'atto, e cioè lo scopo della sequenza notificatoria (Cass., Sez. U., 18/04/2016, n. 7665, in un caso afferente allo stesso formato elettronico dell'atto; Cass., 31/08/2017, n. 20625). La stessa L. n. 53 del 1994, conferma indirettamente il principio desumibile dall'art. 156 c.p.c., comma 3, all'art. 11, in cui è stabilito che la nullità delle notificazioni telematiche incorre qualora siano violate le relative norme (contenute negli articoli precedenti) "e, comunque, se vi è incertezza sulla persona cui è stata consegnata la copia dell'atto o sulla data della notifica". Correttamente la corte territoriale ha rilevato il raggiungimento dello scopo, atteso che, in relazione ai complessivi profili di censura, non è stata contestata: a) la riferibilità della procura al rappresentato che ne risultava firmatario e di cui manca l'indicazione del solo codice fiscale; b) la sussistenza della procura stessa, e i poteri del soggetto che l'aveva rilasciata; c) la ricezione della suddetta notifica, nella data indicata, a un indirizzo PEC effettivamente riferibile al destinatario correttamente individuato come tale.
Nè, per completezza, risultava censurata in appello, e neppure risulta censura in questa sede, la (peraltro attestata) conformità dell'atto scansionato a quello analogico, e quindi la sua sussistenza come tale, comprensivo della procura (cartacea) a margine e delle relative (e cartacee) sottoscrizioni.
Il secondo motivo è infondato.
Ad avviso della ricorrente sussisteva la condizione di procedibilità relativa all'esperimento della mediazione D.Lgs. n. 28 del 2010, ex art. 5, in relazione alle ipotesi alternative dei contratti bancari e finanziari, in quanto il contratto coinvolto era stato stipulato con una banca e con la finalità di finanziamento coessenziale al leasing immobiliare.
La ricostruzione non può essere condivisa.
Il riferimento della norma ("ratione temporis" applicabile, non modificata in "parte qua") è appunto ai contratti bancari, e non, più generalmente, "stipulati con un istituto di credito"; così come ai contratti finanziari, e non, più generalmente, a contratti "con finalità di finanziamento" anche in chiave mista. Nella relazione illustrativa al decreto legislativo in parola si legge che la volontà del legislatore è quella di riferirsi ai "rapporti bancari" ovvero ai "contratti di servizi" quali quelli finanziari. Nella medesima prospettiva, nella stessa relazione, si menzionano le esperienze conciliative del D.Lgs. 8 settembre 2007, n. 179, e quella del procedimento istituito in attuazione dell'art. 128 bis, del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia di cui al D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385. E' quindi sufficientemente chiaro il richiamo, non altrimenti alterabile, alla disciplina dei contratti bancari contenuta nel codice civile e nel TUB, nonchè alla contrattualistica involgente gli strumenti finanziari di cui al TUF (D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, e succ. mod., v. in specie all'art. 1). In questa cornice normativa, come accenna anche il pubblico ministero nella sua requisitoria scritta, non è possibile estendere l'area della condizione di procedibilità alla diversa ipotesi di leasing immobiliare anche se, nelle varie forme, allo stesso sono coessenziali finalità di finanziamento specificatamente funzionali, però, all'acquisto ovvero all'utilizzazione di quello specifico bene coinvolto.
Il terzo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Il sindacato della Corte di Cassazione in punto di regolazione delle spese processuali è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le stesse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, per cui vi esula, rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito, la valutazione dell'opportunità di compensarle in tutto o in parte (cfr., di recente, Cass., 17/10/2017, n. 24502).
Quanto alla dichiarazione relativa a. c.d. doppio contributo unificato la corte di appello ha fatto mera applicazione della norma di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, i cui presupposti sussistono anche in questa sede.
Spese secondo soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese processuali in favore della controricorrente liquidate in Euro 7.000,00, oltre a Euro 200,00 per esborsi, oltre al 15 per cento di spese forfettarie oltre accessori legali. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.