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15 maggio 2019

24/19. Contrasto giurisprudenziale merito vs Cassazione: nel primo incontro si deve procedere ad effettiva mediazione (Osservatorio Mediazione Civile n. 24/2019)

=> Tribunale di Firenze, 8 maggio 2019

Non è condivisibile il principio di diritto espresso da Cassazione civile, 27 marzo 2019 n. 8473, dovendosi invece ritenere che, ai fini della condizione di procedibilità, già nel corso del primo incontro, superata e conclusa la fase dedicata all’informativa delle parti, si debba procedere ad effettiva mediazione avendo difatti il primo incontro di mediazione natura essenzialmente “bifasica”, la prima informativa, sulle modalità e funzioni della mediazione, e la seconda di mediazione effettiva (I) (II) (III).

(I) Cassazione civile, 27 marzo 2019 n. 8473 (in Osservatorio Mediazione Civile n. 19/2019) ha di recente affermato che la condizione di procedibilità può ritenersi realizzata al termine del primo incontro davanti al mediatore, qualora una o entrambe le parti, richieste dal mediatore dopo essere state adeguatamente informate sulla mediazione, comunichino la propria indisponibilità di procedere oltre.

(II) Si vedano gli artt. 5, comma 2-bis, e 8 D.lgs. 4 marzo 2010 n. 28 (Osservatorio Mediazione Civile n. 38/2018).

(III) La sentenza, di cui si riporta di seguito estratto (concernente la parte motivazionale dedicata al contrasto giurisprudenziale evidenziato nella massima), è pubblicata gratuitamente, in esclusiva, in La Nuova Procedura Civile 3, 2019.

Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 24/2019

Tribunale di Firenze
Sentenza
sezione terza civile
8 maggio 2019

Omissis

1) La mediazione delegata dal Giudice come condizione di procedibilità. La normativa vigente e la lettura offerta dalla giurisprudenza di merito.

…omissis…

Altro orientamento, sempre a sostegno dell’effettività della mediazione, condiviso da questo Giudice, come già esplicitato chiaramente nell’ordinanza di invio in mediazione, ritiene invece che, già nel corso del primo incontro di mediazione, superata e conclusa la fase dedicata all’informativa delle parti, si debba procedere ad effettiva mediazione (trattasi di linea interpretativa generalmente condivisa negli ultimi anni dai Giudici della III e V sez. civile di questo Ufficio, oltre che, ad es., da Trib. Pavia, ord. 26.09.2016; Trib. Siracusa, ord. 15.05.2018; Corte d'Appello Milano, Sent. 10.05.2017. Sul punto si veda anche, da ultimo, questo Tribunale sentenza 27.4.2019, est. Mazzarelli).
Il primo incontro di mediazione dovrebbe, quindi, avere natura essenzialmente “bifasica”, la prima informativa, sulle modalità e funzioni della mediazione, e la seconda di mediazione effettiva.

…omissis…

2) Il dictum della Corte di Cassazione sent. n. 8473 del 27.03.2019.

In questo contesto interpretativo, come accennato, è intervenuta la Suprema Corte di Cassazione.
La questione in diritto all’esame della Corte concerneva, in un caso di mediazione ante causam la problematica, ai fini della procedibilità, della necessaria presenza o meno delle parti e della legittimazione rappresentativa dei difensori nell’ambito del primo incontro avanti al mediatore.
In tale contesto la Suprema Corte ha affrontato anche il seguente ulteriore e diverso aspetto, costituente vero e proprio obiter dictum, affermando il seguente principio di diritto: “La condizione di procedibilità può ritenersi realizzata al termine del primo incontro davanti al mediatore, qualora una o entrambe le parti, richieste dal mediatore dopo essere state adeguatamente informate sulla mediazione, comunichino la propria indisponibilità di procedere oltre”.

…omissis…

3) Le ragioni del dissenso rispetto a tale pronuncia. Necessità che il primo incontro di mediazione abbia contenuto anche effettivo ai fini della procedibilità della domanda.
Ritiene il giudicante che il principio di diritto affermato dalla Suprema Corte, a quanto consta primo ed unico precedente di legittimità sul punto, non sia condivisibile per molteplici ragioni, in buona parte già evidenziate dalla pregressa giurisprudenza di merito e che il giudice di legittimità, nell’obiter dictum sopra indicato, non sembra avere adeguatamente valutato.
Ciò induce a dare ulteriore seguito all’indirizzo interpretativo di merito sopra evidenziato.
In proposito vengono in rilievo le seguenti considerazioni in diritto.
In primis, circa l’argomento fondato sulla struttura del procedimento, si osserva che non si rinviene, nella disciplina legale (in part. art. 8 D.lgs. n. 28/2010) una rigida distinzione tra “incontro preliminare” e “uno o più incontri di effettivo svolgimento della mediazione”.
Infatti, dall’art. 8 cit. si rinviene piuttosto un dato diverso, essendo ivi previsto che “nello stesso primo incontro, [il mediatore] invita poi le parti e i loro avvocati a esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione e, nel caso positivo, procede con lo svolgimento”. Espressa la “possibilità di iniziare la procedura”, il mediatore “procede con lo svolgimento” del procedimento di mediazione “nello stesso primo incontro”. Il contenuto della norma, di per sé sembra condurre a conclusioni esattamente opposte a quelle fatte proprie dalla pronuncia di legittimità.
Del resto, lo stesso D.lgs. n. 28/2010 prevede che, nell’ambito del primo incontro, possa addivenirsi ad un accordo conciliativo.
Ciò si ricava, a contrario, dall’art. 5 comma 2-bis e dall’art. 17 comma 5-ter del decreto che fanno riferimento all’ipotesi che “il primo incontro si concluda senza accordo”, così lasciando intendere che un accordo vi possa anche essere; ma, sembra evidente, che perché vi possa essere un accordo, le parti devono essere messe nella condizione di interloquire nel merito delle reciproche posizioni e far emergere i propri interessi già in quella sede. Occorre, in altre parole, che già al primo incontro la mediazione tra le parti sia effettiva.
Ancora, rimanendo sull’analisi letterale delle disposizioni di legge oggetto della pronuncia, la sentenza della Corte di legittimità interpreta il termine “possibilità”, sulla quale il mediatore chiede alle parti di esprimersi ex art. 8 D.lgs. n. 28/2010, come “parere negativo sulla possibilità di utilmente iniziare (rectius proseguire) il procedimento”, in tal modo di fatto confondendo la “possibilità” di avviare la mediazione con la “volontà” di mediare, che è concetto ben diverso.
Un criterio letterale di interpretazione suggerisce, al contrario, di tenere ben distinti i concetti di “possibilità”, termine utilizzato dall’art. 8 D.lgs. n. 28/2010, da quello di volontà, essendo solo il primo volto, normalmente, a indicare situazioni oggettivamente abilitanti il compimento di azioni o l’esercizio di facoltà o diritti. Nella fattispecie, sembra maggiormente conforme alla lettera della legge l’interpretazione secondo cui la “possibilità”, che le parti sono chiamate a rappresentare al mediatore e sulla quale egli le chiama ad esprimersi, debba considerarsi come inerente alle condizioni ostative all’utile e legittimo esperimento della mediazione vera e propria. Tale impossibilità, ad esempio, e senza pretesa di completezza, ricorrerà nei casi in cui vi sia un difetto di legittimazione o di rappresentanza sostanziale del soggetto che partecipa alla mediazione; ovvero, qualora il procedimento sia stato attivato in relazione a controversie aventi a oggetto materia sottratta alla disponibilità delle parti. Dunque, il vaglio preliminare di possibilità sembra doversi intendere come possibilità oggettiva di procedere alla mediazione, a nulla rilevando le valutazioni delle parti, meramente soggettive, inerenti la mera volontà di procedere.
In tal senso depongono anche argomenti logici e sistematici.
Ritenere che “possibilità” equivalga a “volontà” finisce con equiparare la mediazione obbligatoria (per volontà del legislatore, ovvero del giudice che l’abbia disposta in corso di causa) a quella facoltativa, sempre ammessa in materia di diritti disponibili ed il cui mancato esperimento è privo di sanzione processuale.
Così opinando, tuttavia, la mediazione facoltativa e quella obbligatoria non sarebbero più sostanzialmente distinguibili, con l’effetto di un’interpretazione abrogante dello stesso istituto della mediazione obbligatoria (in questo senso, tra le molte, v. Trib. Firenze, ordinanza 19 marzo 2014- est. Breggia; Trib. Firenze, ord. 15 ottobre 2015 – est. Scionti; Tribunale Siracusa, sez. II 30 marzo 2016; Tribunale Firenze Sez. spec. Impresa 16 febbraio 2016; Tribunale Firenze, 21 aprile 2015).
Non condivisibile è poi l’ulteriore argomento addotto dalla S.C. circa la necessità di interpretare restrittivamente (o meglio, “in modo non estensivo”) le ipotesi di giurisdizione condizionata quali quelle ove è obbligatoria la mediazione. Tale impostazione sembra voler intendere che l’obbligatorietà di una mediazione effettiva sarebbe sostanzialmente ostativa e pregiudicante rispetto al diritto di azione, così potendosi ipotizzare un potenziale conflitto di tale disciplina con l’art. 24 della Costituzione.
Sul punto è sufficiente richiamarsi, per confutare la tesi della S.C., ai principi che provengono dal Giudice delle Leggi e dalla giurisprudenza comunitaria.
La Corte Costituzionale, nella materia analoga del tentativo obbligatorio di conciliazione nelle controversie in materia di lavoro –previsto fino al 2010 – e del possibile contrasto di tale istituto con gli artt. 3 e 24 Cost. ha statuito, con sentenza n. 276/2000, che “la giurisprudenza consolidata di questa Corte ritiene che l’art. 24 della Costituzione, laddove tutela il diritto di azione, non comporta l’assoluta immediatezza del suo esperimento, ben potendo la legge imporre oneri finalizzati a salvaguardare <<interessi generali>>, con le dilazioni conseguenti. E’ appunto questo il caso in esame, in quanto il tentativo obbligatorio di conciliazione tende a soddisfare l’interesse generale sotto un duplice profilo: da un lato, evitando che l’aumento delle controversie attribuite al giudice ordinario in materia di lavoro provochi un sovraccarico dell’apparato giudiziario, con conseguenti difficoltà per il suo funzionamento; dall’altro, favorendo la composizione preventiva della lite, che assicura alle situazioni sostanziali un soddisfacimento più immediato rispetto a quella conseguita attraverso il processo. La normativa denunciata è, d’altronde, modulata secondo linee che rendono intrinsecamente ragionevole il limite all’immediatezza della tutela giurisdizionale. […]Quanto all’improcedibilità della domanda per il mancato esperimento del tentativo di conciliazione (art.412-bis), tale sanzione, lungi dal risolversi in una questione processuale inutile, rappresenta la misura con la quale l’ordinamento assicura effettività all’osservanza dell’onere. Dal suo canto l’estinzione del giudizio per mancata tempestiva riassunzione (art. 412-bis, quinto comma) costituisce normale applicazione del principio generale che considera con sfavore l’inattività delle parti. Sotto nessuno degli indicati profili può, pertanto, ravvisarsi violazione dell’art. 24 della Costituzione.”.
Trattasi di considerazioni senz’altro estensibili anche all’istituto della mediazione obbligatoria e al suo “impatto” sulla tutela giurisdizionale dei diritti.
Sostanzialmente sulla stessa linea interpretativa è il dibattito in ambito sovranazionale, ove è ricorrente l’affermazione, fondata sulle Carte dei diritti fondamentali (in part. CEDU e CDFUE) secondo cui i sistemi di risoluzione delle controversie alternativi alla giurisdizione, ove previsti obbligatoriamente dalla legge, devono essere giustificati da ragioni di interesse pubblico e non devono essere eccessivamente gravosi.
La Dir. 2008/52/CE, relativa a “determinati aspetti della mediazione in materia civile e commerciale” (il cui testo è stato recentemente confermato dalla Commissione europea nel 2016), che prevede il ricorso a procedimenti di mediazione nell’ambito delle controversie di natura transfrontaliera, è conforme a tali indicazioni: l’art. 5 co. 2 della Direttiva fa salva la possibilità per la legislazione nazionale di prevedere forme obbligatorie di mediazione, sia prima che dopo l’inizio del procedimento giudiziario, “purché tale legislazione non impedisca alle parti di esercitare il diritto di accesso al sistema giudiziario”.
In argomento si richiama la sentenza 14.06.2017 della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, (Livio e altri, causa C-75/16), la quale, in una fattispecie di mediazione obbligatoria in materia consumeristica, interpretando la Dir. 2013/11/UE (nota come direttiva “ADR consumatori”), ha ritenuto che la previsione di ipotesi di mediazione obbligatoria ante causam sia compatibile con il Diritto dell’Unione, purché si tratti di interventi “con obiettivi di interesse generale e tali interventi non siano sproporzionati ed inaccettabili”, tali da ledere la sostanza stessa dei diritti così garantiti. Si tratta di principi già affermati in precedenza dalla CGUE, ad esempio con sentenza 18.03.2010, Alassini e altri (cause da C-317/08 a C-320/08), resa in una fattispecie caratterizzata da tentativo obbligatorio di conciliazione ante causam in materia consumeristica (in questo caso, con riferimento alla Direttiva “servizio universale” Dir. 2002/22/CE). In tale arresto (punti 61-64) si legge che “il principio della tutela giurisdizionale effettiva costituisce un principio generale del diritto dell’Unione che deriva dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri e che è stato sancito dagli artt. 6 e 13 della CEDU, oltre ad essere stato ribadito anche dall’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (v. sentenza Mono Car Styling, cit., punto 47 e giurisprudenza ivi citata). A tal riguardo è pacifico nelle fattispecie principali che, subordinando la ricevibilità dei ricorsi giurisdizionali proposti in materia di servizi di comunicazioni elettroniche all’esperimento di un tentativo obbligatorio di conciliazione, la normativa nazionale di cui trattasi ha introdotto una tappa supplementare per l’accesso al giudice. Tale condizione potrebbe incidere sul principio della tutela giurisdizionale effettiva. Tuttavia, secondo una giurisprudenza costante, i diritti fondamentali non si configurano come prerogative assolute, ma possono soggiacere a restrizioni, a condizione che queste rispondano effettivamente ad obiettivi di interesse generale perseguiti dalla misura di cui trattasi e non costituiscano, rispetto allo scopo perseguito, un intervento sproporzionato ed inaccettabile, tale da ledere la sostanza stessa dei diritti così garantiti (v., in tal senso, sentenza 15 giugno 2006, causa C 28/05, Dokter e a., Racc. pag. I-5431, punto 75, e giurisprudenza ivi citata, nonché Corte eur. D.U., sentenza Fogarty c. Regno Unito del 21 novembre 2001, Recueil des arrêts et décisions 2001-XI, § 33). Orbene, come rilevato in udienza dal governo italiano, si deve anzitutto constatare che le disposizioni nazionali di cui trattasi hanno ad oggetto una definizione più spedita e meno onerosa delle controversie in materia di comunicazioni elettroniche, nonché un decongestionamento dei tribunali, e perseguono quindi legittimi obiettivi di interesse generale”.
Venendo in concreto alla disciplina dell’istituto della mediazione di cui al D. Lgs. n. 28/2010 e ssmmii, non può dubitarsi che essa sia in linea con i suddetti principi generali, ancorché interpretata nel senso che qui si va sostenendo.
Infatti, emergono gli interessi generali che si intendono perseguire mediante il ricorso alla mediazione obbligatoria.
Essa è istituto giuridico che ha funzione complessa, che in parte ha una ricaduta in termini di deflazione del contenzioso giurisdizionale e in parte mira a favorire un diverso e alternativo metodo di risoluzione dei conflitti inter-privati.
La produzione normativa degli ultimi anni mostra una sempre maggiore attenzione da parte del legislatore rispetto a forme alternative rispetto a quella classica (decisum del giudice) di definizione delle controversie, in modo tale cioè da valorizzare e promuovere, per quanto possibile, forme di definizione concordata tra le parti, con gli inevitabili effetti “benefici” per il sistema ad esse conseguenti.
Ciò è avvenuto, prima, nell’ambito della giurisdizione penale ove, mutuando istituti che già avevano dato buona prova di sé negli ordinamenti anglosassoni, si sono creati modelli procedimentali “alternativi” al rito ordinario, notoriamente lungo e costoso, che poggiano, quale dato saliente, sul consenso delle parti (si pensi agli istituti del rito abbreviato e, soprattutto, all’applicazione della pena su richiesta, artt. 438 e 444 c.p.p.).
Senza alcuna pretesa di esaustività, ma solo al fine di descrivere una tendenza legislativa ormai consolidata, sono stati introdotti nell’ordinamento processuale civile istituti finalizzati a perseguire al massimo la conciliazione della lite (si pensi alla consulenza tecnica preventiva a fini conciliativi art. 696-bis c.p.c., alla mediazione stessa, alla negoziazione assistita ed agli altri interventi per favorire la de-giurisdizionalizzazione della lite, alla proposta conciliativa giudiziale ex art. 185-bis c.p.c. ecc.).
Si è voluto cioè, in primo luogo, decongestionare l’accesso alla giustizia civile ovvero favorirne l’esodo, al fine di recuperare funzionalità agli uffici della giurisdizione civile, notoriamente “affossati” in molte realtà da endemica grave sproporzione tra entità dei carichi di lavoro e personale disponibile. Così si è inteso rimediare anche alla connessa grave problematica della lentezza del processo civile e alla onerosità per lo Stato delle conseguenze della violazione delle disposizioni (sovranazionali e nazionali) inerenti l’irragionevole durata delle procedure (cfr L. n. 89/2001).
In secondo luogo, in un’ottica per così dire di sistema, e tenuto conto di interessanti contributi dottrinali, è stata acquisita specifica consapevolezza del valore primario della conciliazione della lite, quale strumento idoneo a consentire la pacificazione dei contendenti.
Ciò, oltre ai positivi effetti sul piano extra-giuridico, produce ricadute positive sul sistema processuale, vuoi perché in presenza di un accordo le parti rinunciano ad avvalersi degli ordinari rimedi processuali (es. impugnazioni), con corrispondente effetto benefico per le giurisdizioni superiori; vuoi perché, essendo dato di comune esperienza che gli impegni assunti in sede di accordo sono di regola osservati spontaneamente dalle parti, assai raro è in tal caso il ricorso alle procedure esecutive ed alle relative fasi di opposizione.
La scelta ermeneutica operata con la sentenza n. 8473/2019, fondata sull’idoneità, ai fini della procedibilità della domanda, di un primo incontro meramente informativo e preliminare, si pone in distonia con le suddette finalità della mediazione ed in genere con i sistemi di risoluzione alternativa delle controversie, c.d. ADR (“alternative despute resolution”).
Ridurre l’esperimento del procedimento di mediazione, ai fini della procedibilità, a una mera comparizione delle parti innanzi al mediatore (per di più con la possibilità di farsi rappresentare dai propri difensori muniti di procura speciale come precisato dalla S.C.), per ricevere un’informazione preliminare sulle finalità e le modalità di svolgimento della mediazione e per dichiarare che semplicemente non c’è volontà di mediare comporta, infatti, un elevato rischio che tutto il procedimento divenga un “vuoto rituale”. Il tutto con ricadute negative anche sulla tempestiva erogazione del servizio giustizia, che di fatto potrebbe essere ostacolato dagli stessi incombenti legati alla mediazione.
Né d’altra parte l’orientamento che qui si condivide pone problemi sotto il profilo della menomazione del diritto fondamentale di accesso alla tutela giurisdizionale dei diritti, così come inteso dal Giudice delle leggi e dalla giurisprudenza comunitaria.
La partecipazione al solo primo incontro, anche se comprensivo di una fase di effettiva mediazione, rende trascurabili i maggiori oneri richiesti alle parti, rispetto all’opzione fatta propria dalla Suprema Corte (incontro dal contenuto meramente informativo). L’inevitabile maggior durata del primo incontro, è infatti pienamente giustificata dalla concreta possibilità di conciliazione della controversia.
Piuttosto, sembra opportuno interrogarsi su un aspetto inerente ai costi del procedimento di mediazione, i quali, ove ritenuti eccessivi, potrebbero costituire un ostacolo di natura economica all’esercizio giudiziale dei diritti.
Occorre, in particolare, valutare le implicazioni che il ricostruito carattere di effettività del primo incontro produce sui costi della mediazione.
Sul punto, la risposta non può che essere ampiamente tranquillizzante.
Ai sensi dell’art. 17 comma 5-ter D.lgs. n. 28/2010 ss.mm.ii, “Nel caso di mancato accordo all'esito del primo incontro, nessun compenso è dovuto per l'organismo di mediazione”.
Ne segue, stante l’inequivocabile tenore letterale di tale norma, che, ove le parti non proseguano la procedura oltre il primo incontro, nessun compenso sarà dovuto all’organismo di mediazione (le uniche spese da sostenere saranno quelle di avvio della procedura e il rimborso delle spese vive che incidono per poche decine di euro), salvo che le parti raggiungano già al primo incontro l’accordo conciliativo.
Non è vero pertanto che effettività della mediazione vada necessariamente insieme al pagamento dei suddetti oneri economici, come incidentalmente afferma la Suprema Corte.
In realtà l’unico costo aggiuntivo effettivo per le parti è quello dell’assistenza legale, che è obbligatoria, giusto il disposto dell’art. 8 D.lgs. n. 28/2010 ssmmii.
I maggiori compensi legali, peraltro non appaiono oggettivamente eccessivi.
I parametri fissati dal D.M. 55/2014, così come modificati dal D.M. 37/2018, prevedono che il diritto al compenso dell’avvocato in mediazione riguardi tre fasi distinte: attivazione, negoziazione e conciliazione.
Ovviamente in caso di primo incontro con mediazione effettiva senza stipula di accordo, saranno dovuti i compensi per la fase di “attivazione” e di “negoziazione”.
Al riguardo, i parametri non distinguono tra negoziazione nel corso di una mediazione composta da più sessioni e quella avvenuta nel corso di un solo primo incontro. Il relativo compenso, così come quantificato dalla tabella, potrà dunque essere liquidato dal Giudice tenuto conto delle peculiarità del caso di specie. Sul punto è solo il caso di evidenziare che i compensi medi previsti per la fase di mediazione ai sensi dell’art. 20 comma 1-bis del D.M. cit. sono applicabili solo “di regola”. È lasciato pertanto sul punto spazio ad un ampio potere del giudice nella liquidazione del dovuto non essendo previsto un minimo tariffario garantito (diversamente per i compensi relativi all’attività defensionale giudiziale e stragiudiziale in genere – cfr artt. 4, co. 1, e 19).
L’aumento dei costi di mediazione derivanti dall’opzione interpretativa adottata sarà pertanto di modesta entità in termini percentuali rispetto al costo complessivo dell’assistenza legale nel procedimento giurisdizionale. Così ad esempio, in caso di mediazione per causa di competenza o pendente avanti al Tribunale di valore compreso tra € 26.000 e 52.000, a fronte di compensi medi complessivamente dovuti per € 7.254,00, oltre accessori, quelli relativi alla fase di negoziazione nella mediazione (parametro medio € 1.020,00), potranno essere liquidati anche in misura assai più contenuta.
Il tutto senza considerare che gli importi sostenuti per il procedimento di mediazione potranno comunque essere recuperati a carico della parte soccombente ai sensi dell’art. 91 c.p.c..

4) Il caso di specie

…omissis…

PQM

Il Tribunale di Firenze, IIIa Sez. Civ., in composizione monocratica, visto l’art. 281-sexies c.p.c., definitivamente pronunciando dichiara improcedibile la domanda proposta da BANCA omissis; compensa interamente tra le parti le spese di lite.

Firenze, 8 maggio 2019
Provvedimento redatto con la collaborazione del M.O.T. Dott. Pietro Peruzzi
Il Giudice
Dott. Alessandro Ghelardini

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.