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29 giugno 2018

34/18. Mediazione delegata, mancata partecipazione ingiustificata: colpa grave (se non dolo) e compensazione delle spese (Osservatorio Mediazione Civile n. 34/2018)

=> Tribunale di Roma, 1 febbraio 2018

Il mancato rispetto dell'ordine impartito dal Giudice ai sensi dell'art. 5, comma 2, d.lgs. 28/2010 integra colpa grave (se non dolo). La mancata partecipazione ingiustificata al procedimento di mediazione c.d. demandata può costituire valido motivo per la compensazione delle spese anche nei confronti della parte interamente vincitrice (I).


Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 34/2018

Tribunale di Roma
Sentenza
1 febbraio 2018

Omissis

Qui richiamati gli atti difensivi (citazione etc.) di ---, l'attrice esponeva e lamentava, fra l'altro, che reduce da pregressi interventi di artroprotesi delle anche, riportava, in ambito che non rileva in questa sede, nel 2003 una lussazione della protesi sinistra, in conseguenza della quale in data 18.3.2005 veniva operata dal dott. --- presso  --- per un intervento di sostituzione della protesi. Si accertava a mezzo TAC nei giorni seguenti, a seguito di un dolore costante, l'avvenuto sfondamento dell'acetabolo da parte della protesi femorale; sicché in data 14.4.2005 veniva eseguito, dallo stesso chirurgo, un intervento di revisione con applicazione di innesti ossei e sostituzione della componente acetabolare. Nell'immediato dell'intervento, insorgeva una riduzione della sensibilità del piede e della motilità delle dita del piede, tanto da far sospettare una lesione del nervo sciatico (forse dovuta al fatto che durante la notte del 15 aprile a causa di un cambio di posizione effettuato da un'infermiera della --- avvertiva un dolore intenso ed acuto). Essendo stata accertata una nuova lussazione della protesi, veniva sottoposta in data 16.4.2005 ad un ulteriore intervento chirurgico a cura del dott. --- che le riferiva che il nervo sciatico risultava integro. Nel gennaio 2006 un accertamento elettromiografico evidenziava una grave sofferenza del nervo sciatico. L'attrice lamentava gravi problemi di deambulazione ed altro, che addebitava al medico (---) ed alla Casa di Cura. Chiedeva il risarcimento dei danni nella misura complessiva di € 678.894.
I convenuti rigettavano ogni contestazione, dispiegando per quanto di ragione domande di manleva e di regresso.
Va premesso che la domanda della --- contiene svariate imprecisioni, fra le quali l'obliterazione che è incontestabile che il chirurgo che effettivamente eseguiva l'intervento del 16.4.2005 non era il dott. --- (presente in funzione di aiuto), ma esclusivamente il prof. ---.
Il rigetto delle domande dell'attrice deriva dalle seguenti circostanze e considerazioni.
--- per come riferiva, era portatrice di protesi bilaterale d'anca (a sinistra dal 1993 e a destra dal 1995); nel 1999 aveva subito un intervento di revisione per anticipata mobilizzazione della protesi sx con sostituzione della parte acetabolare e della testa della protesi; e nel 2004 accusava mobilizzazione della protesi.
La condizioni fisiche della --- erano quindi, come si vede, affacciandosi al primo intervento (18.3.2005), quelle di una persona ad altissimo rischio per questo genere di interventi (...caso complesso di revisione di protesi di anca destra impiantata nel 1995...con evidenza di perdita del patrimonio osseo specialmente a carico della cavità acetabolare con difficoltà tecniche nel posizione il neo cotile (---) così gli ausiliari del Giudice, in particolare lo specialista ortopedico dott. ---); con una facilità e predisposizione a mobilizzazione, rotture e dislocazioni delle protesi evidentemente per le precarie condizioni e consistenza dei suoi materiali ossei. Specificamente: paziente affetta da preesistenti esiti di artroprotesi di entrambe le anche, già revisionata a sinistra con una situazione precaria di instabilità articolare, come documentato da episodi lussativi riferiti in anamnesi e pertanto un quadro clinico delicato nell'ambito del quale l'anca destra presentava un significativo grado di usura della componente acetabolare, tanto da rendere necessario un re-intervento non con l'utilizzo di un cotile primario, ma comunque di un cotile da revisione (così il c.t.u. e lo specialista ad esso associato, il dott. Romani, pag. 32 relazione peritale). Condizioni fisiche (e ossee in particolare) deteriorate e deboli. Viatico perfetto per un'elevata difficoltà degli interventi e rischiosità degli esiti.
Il Giudice non apprezzava, motivatamente (cfr. ordinanza del 25.6.2015) il contenuto della relazione del C.T.U. (nominato dalla collega in precedenza titolare della causa) e procedeva a nuova consulenza con specifico quesito relativo alla lesione del nervo sciatico affidato alla dott. --- medico legale, ed al dott. ---, specialista ortpedico.
La complessità della fattispecie (testimoniata dall'approfondita ricerca della verità attraverso un accertamento tecnico preventivo e due consulenze tecniche nella causa che a quello seguiva) non ha consentito tuttavia di pervenire ad una risposta certa ed univoca (neppure applicando il noto criterio residuale del più probabile che non) in termini di danno e di nesso causale.
Va ancora premesso che il prof. --- chiamato in causa dalla s.p.a. --- non è più parte di questa causa a seguito di rinunzia della stessa chiamante, accettata da tutte le parti costituite (anche dal dott. ---, cfr. da ultimo la sua comparsa conclusionale). Il Giudice dichiarava estinta nei confronti del prof. --- la causa (ord. del 26.9.2016 integrativa dell'ordinanza del 25.6.2015) Tuttavia, quand'anche si esamini la condotta del prof. --- (traguardata dal punto di vista dell'eventuale responsabilità della Casa di Cura, la cui pretesa estraneità ad ogni responsabilità è, in linea di principio, erronea considerata la contraria condivisa giurisprudenza al riguardo, cfr.ord.20.2.2017), non si può non vedere che: - si trattava di intervento di straordinaria difficoltà in una paziente plurioperata, con condizioni ossee fragili e degradate e, per quanto riguarda l'anca destra, sottoposta a 2 reintervento; - il chirurgo operatore, che era esclusivamente il prof. --- (e non il dott. A.) provvedeva a individuare e proteggere il nervo sciatico (cartella dell'intervento del 16.4).
L'art. 2236 c.c. prevede che se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d'opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o di colpa grave.
In epoca più recente, la giurisprudenza della S.C. ha svalutato alquanto la portata della norma, ritenendola implicante "solamente una valutazione della colpa del professionista in relazione alle circostanze del caso concreto " (così Cass. 13/4/2007, n. 8826). Si tratta di un understatement che si iscrive nella diffusa ed ampia tendenza, espressa negli ultimi decenni, della S.C. ad aggravare sotto ogni profilo ed anche con estremizzazioni difficilmente condivisibili (di cui sono esempi la costruzione della responsabilità per c.d. contatto sociale, l'applicazione tutta particolare per la responsabilità medica dell'istituto del danno da perdita di chances etc.), la responsabilità del medico. Il tutto, con il rischio di esondare rispetto alla funzione nomofilattica (ma non creativa) che la Costituzione assegna al Supremo organo della giurisdizione ordinaria.
Occorre, anche nello spirito riequilibratore operato dalla recente L. n. 24 del 2017, dare il corretto significato a tale norma che non è stata mai abrogata, pur avendo subito interpretazioni mutevoli ratione tempore. La parametrazione, disegnata sia pur timidamente nella predetta legge (agli artt. 5,6,7), della sussistenza o dell'intensità della colpa al rispetto o meno di linee guida e buone pratiche cliniche, consente di affermare il principio che non può ritenersi in colpa (da intendersi grave e quindi giuridicamente significativa) il medico che, in presenza (come in questo caso) di problemi tecnici di speciale difficoltà si sia attenuto alle linee guida o esse mancando, alle buone pratiche cliniche-assistenziali, quali che siano stati i risultati dell'intervento dal medesimo effettuato.
Peraltro, nel caso di specie non è stata neppure raggiunta la prova dell'esistenza di una condotta erronea e colposa dei medici.
In particolare infatti, nulla si può addebitare al dott. --- - che aveva già in passato trattato chirurgicamente e con successo --- - e che ha operato con la massima diligenza, testimoniata da: la metodica usata (utilizzo di cotile ---) era - per le conoscenze scientifiche dell'epoca- idonea al caso (così c.t.u. ---); durante la manovra cruenta di tale tecnica si possono verificare delle fratture della parete acetabolare, in quanto il limite fra consistenza ossea e forza da applicare per ottenere una valida stabilità dell'impianto è molto esile (così c.t.u. e dott. Romani ausiliario del Giudice); aver preparato, prima dell'intervento vero e proprio, il nervo sciatico proprio per prevenire danni allo stesso (risultanza della cartella clinica del 14.4.2005); il re-reintervento effettuato il 14/04 veniva eseguito dopo la rimozione del cotile e dott. e dott. --- ausiliario del Giudice che risultava mobile, con il posizionamento di anelli di rinforzo a presa iliaca ed ischiatica con cotile cementato con una metodica prevista per questi casi (così il dott. ---, pag. 29), il che dimostra accortezza e prudenza, nonché adeguata valutazione delle implicazioni della difficile operazione,
- aver voluto associare a sé, da parte del ---, un professionista con maggiore competenza ed esperienza, il prof. --- è ulteriore testimonianza di accortezza, diligenza e prudenza. In questo contesto, ipotizzare, essendo assenti palesi e certi atti medici erronei, una responsabilità (da partecipazione ad intervento chirurgico in equipe) del dott. --- costituirebbe un'aporia (non essendo esigibile altro ad un medico che sia stato così accorto da richiedere la presenza di altro e maggiormente esperto specialista), ovvero una indebita applicazione di responsabilità oggettiva.
Con tale premesse, la consulenza disposta dal Giudice con ordinanza del 25.6.2015 non consente di ritenere raggiunta la prova (che incombe alla danneggiata) del nesso causale fra operato dei medici e evento dannoso. Gli ausiliari del Giudice invero, concludono il loro studio con la seguente lapidaria affermazione (pag. 30 e 34 della relazione): "vi è stata una lesione del Nervo Sciatico Popliteo Esterno (SPE) durante il terzo atto chirurgico per manovre di stiramento o compressione eccessiva che hanno prodotto una sofferenza del nervo medesimo". Tale conclusione va sottoposta ad esame critico sulla base delle medesime (ed invero contraddittorie) affermazioni che si leggono nella relazione: 18.3.2005 revisione (per complicanza estranea all' attività medica) protesi anca dx - intervento di protesi anca chirurgo operatore dott. ---. Il dott. --- a pag. 28 prospetta ed individua manchevolezza del dott. ---, in sostanza, nella non adeguata preventiva valutazione del rischio e gestione dello stesso nell'immediato e la consistenza del fondo acetabolare e la stabilità del fittone iliaco. Si tratta di affermazioni inconcludenti, infatti, in un ambito di applicazione di metodica operatoria che viene definitiva corretta per l'epoca, non è chiaro - perché gli ausiliari non lo dicono - che cosa sarebbe cambiato, in meglio, se invece di accertarla (la frattura del fondo acetabolare) il 7 aprile il dott. --- l'avesse accertata prima; evidentemente, assolutamente niente. 14.4.2005 prima reintervento Veniva applicata metodica definita corretta: lo stesso dott. --- espone infatti che in questo reintervento si procedeva con il posizionamento di anelli di rinforzo a presa iliaca ed ischiatica con cotile cementato con una metodica prevista per questi casi. Il dott. --- (pag. 29 - 31) sostiene che la mattina del 15 si manifestavano parestesie per cui il nervo doveva essere stato danneggiato durante l'intervento chirurgico (del 14), mentre la frattura della protesi (che considera - giustamente- complicanza non colposa) non ne sarebbe la causa primaria, evocando quindi manovra incongrua sul nervo sciatico, 16.4.2005 secondo reintervento. Il dott. ---, con tali premesse, afferma (pag. 30 e 34 della relazione) in modo chiaro e preciso, che la lesione del nervo sciatico si è verificata nel corso del terzo intervento chirurgico (2 reintervento) indicando come unico responsabile il prof. --- (chirurgo operatore).
È di lampante (e disarmante) evidenza il corto circuito del contraddittorio ragionamento che attesta vieppiù l'incertezza della ricerca e individuazione dell'esatto svolgimento degli eventi, in particolare di quello dannoso della lesione del nervo sciatico.
La verità che rimanda la lettura degli atti della vicenda in esame è che non è dato sapere con certezza quando come e perché si sia prodotto l'evento danno (lesione del nervo sciatico SPE), che ben potrebbe, nell'irrisolvibile incertezza in cui si svolge il ragionamento dello specialista e del c.t.u., essersi verificata a seguito della lussazione della protesi (fatto che costituisce pacificamente una complicanza non colposa, cioè non riconducibile ad errore medico essendo state attuate e rispettate esattamente le linee guida vigenti all'epoca, cfr. c.t.u. ---), pure considerato che dalla cartella clinica non risultano presenti parestesie dopo l'intervento del 14 marzo se non ad oltre 16 ore di distanza dalla fine dell'intervento.
Esclusa la percorribilità, per una causa datata, dove sono state effettuate tutte le indagini possibili, di ulteriori accertamenti, occorre evidenziare e seguire il fondamentale e condivisibile principio enunciato dalla S.C. (Cass. 26 luglio 2017, n. 18392) secondo cui grava sul creditore l'onere di provare il nesso di causalità fra l'azione o l'omissione del sanitario ed il danno di cui domanda il risarcimento. Non solo il danno ma anche la sua eziologia è parte del fatto costitutivo che incombe all'attore di provare. Ed invero se si ascrive un danno ad una condotta non può non essere provata da colui che allega tale ascrizione la riconducibilità in via causale del danno a quella condotta. Se, al termine dell'istruttoria, resti incerti la reale causa del danno, le conseguenze sfavorevoli in termini di onere della prova gravano quindi sull'attore (conforme 26824/17 del 4.11.2017).
Al necessario rigetto delle domande della --- non consegue la condanna alle spese di causa.
A tale proposito va evidenziato quanto segue.
Con l'ordinanza del 22.2.2017 il Giudice aveva articolato una proposta ai sensi dell'art. 185-bis c.p.c. Disponendo che, ove non raggiunto l'accordo, la discussione proseguisse in sede di mediazione (demandata ai sensi dell'art. 5 co.II D.Lgs. n. 28 del 2010).
La formulazione dell'ordinanza veniva, come di consueto, accompagnata da indicazioni motivazionali e da indicazioni ed avvertimenti.
In particolare sulla circostanza che altro è la proposta conciliativa che si fonda in larga parte sull'equità, che consente ad ognuna delle parti di valutare al meglio, interessi e convenienze (compreso il rischio insito nei vari gradi di giudizio nei quali si può articolare la causa non conciliata), ed altro è la sentenza.
Inoltre il Giudice avvertiva delle conseguenze (latu sensu, sanzionatorie), che derivano dalla ingiustificata partecipazione al procedimento di mediazione demandata.
Conseguenze ampiamente note perché edite anche on line.
Che il mancato rispetto dell'ordine impartito dal Giudice ai sensi dell'art. 5 co.II della legge integri colpa grave (se non dolo) è indiscutibile, ampiamente motivato, dimostrato e confermato dalla giurisprudenza, che si richiama, anche ai sensi dell'art. 118 att. c.p.c., in nota. Inoltre, è stato affermato che la mancata partecipazione, ingiustificata come in questo caso, al procedimento di mediazione può costituire valido motivo per la compensazione delle spese anche nei confronti della parte interamente vincitrice. Ed invero l'art. 92 c.p.c. dispone che il giudice, nel pronunciare la condanna di cui all'articolo precedente, può escludere la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice, se le ritiene eccessive o superflue; e può, indipendentemente dalla soccombenza, condannare una parte al rimborso delle spese, anche non ripetibili, che, per trasgressione al dovere di cui all'articolo 88 c.p.c., essa ha causato all'altra parte.
Premesso che è di ovvia evidenza che la condanna della parte vittoriosa alle spese contiene, come il più contiene il meno, la possibilità di compensazione, si reputa giusto procedervi nei rapporti fra i convenuti (che hanno trasgredito al dovere di una leale condotta processuale) e l'attrice.
La sentenza è per legge esecutiva.

PQM

Definitivamente pronunziando, ogni contraria domanda eccezione e deduzione respinta, così provvede: rigetta le domande ---; conferma l'estromissione dal giudizio del prof. ---; compensa per intero le spese di causa.

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità. 

33/18. GRASSI, L’e-avvocato (Osservatorio Mediazione Civile n. 33/2018)


Estratto (cap. I, par. 1) da

A. GRASSI


Diritto Avanzato, Milano, 2018



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Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 33/2018

21 giugno 2018

32/18. Formula (annotata): domanda di mediazione (Osservatorio Mediazione Civile n. 32/2018)


Domanda di mediazione

Formula annotata

(aggiornata al d.l. 67/2013 conv. con mod. in l. 98/2013, d.l. 132/2014 conv. con mod. in l. 162/2014, d.l. 50/2017 conv. con mod. in l. 96/2017, Regolamento UE 2016/679)


La formula - scaricabile gratuitamente - è pubblicata in

Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 32/2018

15 giugno 2018

31/18. Domanda riconvenzionale improcedibile se è omessa la mediazione, ma fatti e rapporti giuridici dedotti possono valere come eccezione (Osservatorio Mediazione Civile n. 31/2018)

=> Tribunale di Roma, 15 gennaio 2018

L'onere obbligatorio del preventivo esperimento del tentativo di mediazione (art. 5 d.lgs. 28/2010) sussiste anche nei confronti del convenuto che proponga domanda riconvenzionale. Ad ogni modo, nel caso di improcedibilità della domanda riconvenzionale per mancato esperimento della mediazione obbligatoria non è impedito al Giudice di considerare i fatti (o i rapporti giuridici) dedotti a suo fondamento nella più limitata ottica dell'eccezione, al limitato effetto di impedire l'accoglimento della domanda avversaria. (I) (II).


(II) Si vedano in argomento tutte le pronunce in materia contenute nel massimario-banca dati giurisprudenziale dell’Osservatorio.

Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 31/2018

Tribunale di Roma
Sentenza
15 gennaio 2018

Omissis

Preliminarmente, si rileva la piena validità della notificazione dell'intimazione di sfratto e contestuale citazione per la convalida alla conduttrice, avvenuta presso l'immobile locato, dal momento che "Ove il conduttore, in occasione della stipula del contratto di locazione, abbia indicato per le notifiche degli atti il proprio domicilio, la notificazione dell'atto di intimazione di licenza o di sfratto può essere legittimamente eseguita a norma dell'art. 137 presso tale domicilio, senza che abbia incidenza il divieto posto dall'art. 660 c.p.c., il quale si riferisce esclusivamente al domicilio eletto" (v. Cass. n. 5103/1981). Nel caso di specie, poi, la notificazione avveniva a mani di persona abilitata alla ricezione, con contestuale avviso ex art. 660 c.p.c. Peraltro, non è stata fornita alcuna prova del fatto che il domicilio indicato dall'intimata non fosse più tale e va notato che anche parte intervenuta provvedeva alla notificazione della propria comparsa di costituzione alla conduttrice presso l'immobile locato.
Riguardo all'intervento della ---, si sottolinea che l'elaborazione più cospicua di dottrina e giurisprudenza in tema di ammissibilità dell'intervento del terzo nel procedimento per convalida si è avuta sulla figura dell'intervento principale o ad excludendum, con il quale un terzo afferma un diritto dipendente dal titolo dedotto o relativo all'oggetto introdotto, ma incompatibile o in conflitto con quello affermato dalle parti presenti in causa, come nel caso di che trattasi, in cui la --- ha contestato un rapporto di comodato in contrasto con quello di locazione fatto valere dai ricorrenti e di cui al contratto sottoscritto con la ---.
Dunque, va riconosciuto alla terza un potere autonomo di opposizione avverso le ragioni addotte dagli intimanti, equiparando la sua opposizione (sul piano degli effetti conseguenti) a quella dell'intimata non comparsa.
Va detto che i fatti dedotti dalla ---, in quanto fondati su titoli negoziali differenti rispetto a quelli posti dai ricorrenti a fondamento delle proprie domande, dovrebbero qualificarsi domande riconvenzionali, allo stato, improcedibili in difetto di espletamento della procedura di mediazione.
Infatti, l'onere del preventivo esperimento del tentativo di mediazione sussiste anche nei confronti del convenuto che proponga una riconvenzionale (v. Cass. sent. n. 830/2006).
In proposito, si rileva che, si ha eccezione riconvenzionale, quando la deduzione resta contenuta nell'ambito dell'attività strettamente difensiva, lasciando immutato il petitum formulato dall'attore; si ha, invece, domanda riconvenzionale quando il convenuto chiede un provvedimento positivo, autonomamente attributivo di una determinata utilità, cioè tale che vada oltre il mero rigetto della domanda avversaria, ampliando, così, la sfera dei poteri decisori come sopra determinati (v. Cass. Sez. I, n. 20178 del 24/09/2010; Cass. Sez. L, n. 16339 del 04/08/2015). Da ciò consegue che nel caso di inammissibilità della domanda riconvenzionale non è impedito al Giudice di considerare i fatti (o i rapporti giuridici) dedotti a suo fondamento nella più limitata ottica dell'eccezione, al limitato effetto di impedire l'accoglimento della domanda avversaria (v. Cass. Sez. III, n. 4233 del 16/03/2012; Cass. Sez. III, n. 14852 del 13/06/2013; Cass. Sez. II, n. 24567 del 31/10/2013; Cass. Sez. III n. 21472 del 25/10/2016).
Dunque, attesa la improcedibilità della domanda riconvenzionale, i fatti addotti dalla --- andranno considerati come eccezioni ed andrà valutata la loro rilevanza ai fini dell'accoglimento delle domande proposte dai ---.
Va confermata la natura locatizia del rapporto originario che investe anche la terza intervenuta, facente parte del nucleo familiare della intimata ed effettiva detentrice, in difetto di valida prova di un diversa figura contrattuale da ritenere applicabile.
La terza intervenuta sostiene la simulazione del contratto di locazione dissimulante un rapporto di comodato tra le parti.
Un negozio giuridico si considera simulato quando le parti lo hanno posto in essere in modo apparente, con l'accordo che lo stesso non produca effetto tra le parti. Di solito le parti che pongono in essere la simulazione si premuniscono: contestualmente alla conclusione dell'atto simulato, formano la c.d. controdichiarazione, nella quale dichiarano per iscritto la reale portata del contratto apparente o nel senso che del medesimo non si vuole veramente la produzione di effetto alcuno (simulazione assoluta) o nel senso che si intendono prodotti effetti propri di un diverso accordo (simulazione relativa).
Nel caso di specie, non veniva redatta (e prodotta) alcuna controdichiarazione e la terza intervenuta chiedeva solo l'ammissione di interrogatorio formale, ritenuto inammissibile e, comunque, irrilevante, per le motivazioni di cui all'ordinanza del 29.11.2017, che qui si reiterano e per cui il provvedimento non va revocato.
La documentazione in atti (v. copia contratto di locazione, nonché ricevute di pagamento - doc. 1, 2 e 3 del fascicolo di parte ricorrente), inoltre, contrasta con quanto sostenuto dalla terza resistente.
L'elemento fondamentale per distinguere la locazione dal comodato, al di là dell'identificazione del tipo di rapporto contrattuale che risulti dal contratto, infatti, è la previsione, a carico di chi ha il godimento materiale dell'immobile, di un pagamento che possa assumere i tratti di un vero e proprio corrispettivo (v. Cass. 2 marzo 2001, n. 3021; Cass. 15 gennaio 2003, n. 485): all'articolo 2 del contratto stipulato con la --- veniva convenuto un canone di € 6.000.00 annuali, da corrispondersi in rate uguali mensili di € 500,00 entro il giorno 5 di ogni mese; i canoni di cui alle ricevute in atti, poi, venivano versati dalla ---. Dette ricevute confermano la corrispondenza tra la realtà effettiva ed il contenuto del contratto o, quantomeno, escludono la volontà delle parti di porre in essere un comodato d'uso gratuito in favore della odierna terza resistente in luogo di un contratto di locazione. Risulta, inoltre, incomprensibile quale sarebbe stato il vantaggio per i --- di dissimulare un contratto di comodato d'uso gratuito e simularne uno di locazione che comporta degli oneri fiscali a carico della proprietà. Per di più, il contratto di locazione fatto valere, veniva stipulato nel rispetto della normativa in materia, con l'assistenza delle Organizzazioni di categoria, proprietari ed inquilini, nonché regolarmente registrato.
Di nessun rilievo la documentazione relativa a procedimenti innanzi il Tribunale per i Minorenni di Roma ed altra Sezione dell'Intestato Tribunale (doc. 3 e 5 del fascicolo della terza intervenuta), in cui non si rinviene alcun riferimento alla concessione gratuita dell'immobile da parte del --- o ad altro diritto di godimento sull'immobile de quo, quali, nel caso, l'assegnazione, peraltro, inopponibile agli altri comproprietari.
Va esclusa, in definitiva, la pretesa simulazione dei rapporti tra le parti, oltre che qualsivoglia non ben individuato, oltre che non provato, preteso diritto di "abitazione" del minore, ---. A tale ultimo riguardo, si evidenzia che il diritto di 'abitazione ha natura reale e quindi può essere costituito mediante testamento, usucapione o contratto, per il quale è richiesta ad substantiam la forma dell'atto pubblico o della scrittura privata di cui all'art. 1350 n. 4 c.c. (cfr. Cass. n. 4562/1990). Il codice civile prevede, all'art. 540, un'unica ipotesi di costituzione legale del diritto di abitazione precisando che al coniuge del defunto, anche quando concorra con altri chiamati, sono riservati i diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano.
Affermata la natura locatizia del rapporto contrattuale, la domanda di risoluzione per inadempimento va accolta visto che i ricorrenti hanno assolto agli oneri di prova che gli incombevano ex art. 2697 c.c., producendo in giudizio il contratto stipulato. Infatti, "in tema di prova dell'inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l'adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento" (v. Cass. n. 15659/2011; Cass. n. 3373/2010; Cass. n. 9351/2007; Cass. n. 1743/2007; Cass. n. 2007/2004).
Né la conduttrice, rimasta contumace, né la terza detentrice, hanno dato prova di fatti estintivi della pretesa dei ricorrenti. Il mancato pagamento della morosità dal settembre 2016, comporta la pronuncia di risoluzione contrattuale per fatto e colpa della intimata. Il principale obbligo scaturente dalla conclusione di un contratto di locazione per il conduttore, infatti, consiste nel pagamento del corrispettivo pattuito per il godimento della cosa locata. L'inadempimento di tale obbligo costituisce causa di risoluzione del contratto ed il locatore può agire in giudizio per sentir dichiarare lo scioglimento del vincolo contrattuale, con conseguente condanna al rilascio dell'immobile.
Con un'importante differenza a seconda che la locazione riguardi un immobile ad uso abitativo o ad uso diverso (locazione ad uso commerciale): nel primo caso trova applicazione l'art. 5 della L. n. 392 del 1978 che determina ex lege quale motivi di risoluzione il mancato pagamento del canone di locazione decorsi venti giorni dalla sua scadenza o il mancato pagamento degli oneri accessori, quando l'importo non pagato superi quello di due mensilità del canone.
In materia di locazione ad uso abitativo, dunque, nel caso in cui il conduttore abbia omesso di pagare una o più mensilità del canone locativo (ovvero oneri accessori per un importo superiore a due mensilità di canone), la valutazione della gravità e dell'importanza dell'inadempimento ex art. 1455 c.c., non è rimessa all'apprezzamento discrezionale del Giudice, ma è predeterminata legalmente ex artt. 5 e 55 della L. del 27 luglio 1978 n. 392 (v. Cassazione del 21.6.2017 n. 15348).
La L. del 27 luglio 1978, n. 392 contiene due articoli (5 e 55) che incidono sull'applicabilità dell'art. 1455 c.c.; in realtà gli artt. 5 e 55, più che determinare l'inapplicabilità dell'art. 1455 c.c., offrono un criterio (predisposto dal legislatore) relativo alla valutazione della gravità dell'inadempimento.
Difatti, in base all'art. 5 il mancato pagamento di una o rate del canone determina l'inadempimento del conduttore. Questa valutazione legislativa (relativa alla gravità dell'inadempimento ex art. 5) potrebbe subire delle modifiche se il conduttore richiedesse il termine di grazia per il pagamento ex art. 55: è prevista la sanatoria, cioè è possibile far degradare l'inadempimento da grave a non grave se il conduttore paga in udienza (sanando la morosità).
Circa l'obbligazione del solvere praetium locationis, la valutazione della gravità e della importanza dell'inadempimento del conduttore in relazione all'interesse del locatore insoddisfatto è ancorata dal legislatore ad un parametro (quantitativo e temporale) predefinito, che esclude ogni discrezionale considerazione ad opera del Giudice, tenuto unicamente a verificare il presupposto dell'inadempimento.
In ogni caso, l'omesso versamento del canone locativo alle scadenze pattuite in contratto integra, laddove non giustificato da qualsivoglia motivo, giuridicamente apprezzabile, un fatto idoneo ad alterare l'intera economia del contratto, ovverosia l'equilibrio tra prestazione (del locatore) e controprestazione (del conduttore) costituente espressione del sinallagma contrattuale ("l'omesso pagamento dei canoni alle scadenze, costituendo la violazione di una delle obbligazioni primarie ed essenziali scaturenti dal contratto di locazione, rende inutile una valutazione specifica della gravità dell'inadempimento, ai fini della risoluzione del contratto" (v. Cass. n. 959/1980).
Ancora, "l'omesso pagamento dei canoni di locazione alle scadenze costituisce violazione di una delle obbligazioni primarie ed essenziali scaturenti dal contratto di locazione, incidente su tutta l'economia del contratto stesso. Pertanto, ai fini della risoluzione, non è necessaria in tale ipotesi alcuna valutazione specifica della gravità dell'inadempimento, essendo essa implicita nella circostanza stessa del mancato pagamento" (v. Cass. n. 4096/1978).
Nel caso di che trattasi, non vi è dubbio che al momento dell'intimazione la conduttrice era morosa di più di una mensilità di canone.
Dovendo, poi, il Giudice esaminare, ai fini della gravità dell'inadempimento, giustificativa della risoluzione del contratto, il comportamento globalmente tenuto dalla resistente, va, altresì, considerato il mancato versamento dei canoni di locazione successivi all'intimazione di sfratto, talché "... la circostanza che l'inadempimento del conduttore, non grave al momento della domanda di risoluzione proposta dal locatore, si aggravi in corso di causa, è rilevante ai fini dell'accoglimento della stessa" (Cass. civ. Sez. III, 20/04/2015, n. 8002 e Cass. civ. Sez. III, 26/10/2012, n. 18500).
Da ultimo si evidenzia che, il locatore può chiedere la risoluzione del contratto e la condanna al rilascio del bene nei confronti del conduttore anche nel caso in cui al momento della proposizione della domanda detto bene è detenuto da un terzo, perché la sentenza di condanna al rilascio ha effetto anche nei confronti del terzo, se il titolo in base al quale costui occupa l'immobile presuppone quello del conduttore, ovvero, nell'ipotesi di trasferimento a titolo particolare della cosa locata, ai sensi dell'art. 1599 c.c., se il titolo, pur proveniente dal proprietario alienante originario locatore, non risulti opponibile all'acquirente perché privo di data certa anteriore all'alienazione della "res locata". (v. Cass. Sez. III n. 12895/2012; Cass. n. 9024/2005; Cass. n. 15083/2000).
Alla risoluzione del contratto de quo per inadempimento della conduttrice, segue la condanna della ---, così come richiesto da parte ricorrente, al pagamento dei canoni di locazione intimati, pari a € 5.000.00, oltre quelli a scadere fino al rilascio ed interessi legali dalle scadenze al saldo.
Con la pronuncia della risoluzione del contratto di locazione, poi, va ordinato il rilascio dell'immobile per cui è causa e, considerati i rapporti di affinità e/o parentela tra le parti e la presenza del minore, fissato al 15.04.2018, il termine per l'esecuzione, ex art. 56 L. n. 392 del 1978.
Riguardo, infine, alla richiesta di parte ricorrente di condanna della terza resistente al maggior danno per lite temeraria ex art. 96 c.p.c., va detto che la condanna per responsabilità aggravata per colpa grave o dolo presuppone la prova dell'altrui malafede o colpa grave nell'agire o resistere in giudizio, oltre che la prova del danno subito a causa della pretesa condotta temeraria della controparte. Pertanto, è necessario dimostrare l'esistenza sia dell'elemento soggettivo consistente nella consapevolezza o nell'ignoranza colpevole dell'infondatezza della propria tesi, sia di quello oggettivo, ovvero il pregiudizio subito a causa della condotta temeraria della parte soccombente.
Nel caso che ci occupa, non sono stati forniti elementi probatori per provare nessuno dei due succitati elementi, con conseguente rigetto della domanda.
Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate ai sensi del DM Giustizia n. 55/2014.
La --- va, poi, condannata al versamento, all'entrata del bilancio dello Stato, della somma di € 76,00, pari al contributo unificato della presente procedura, dal momento "ai sensi dell'art. 8, comma 5, del D.Lgs. n. 28 del 2010, nel testo modificato dall'articolo 2, comma 35-sexies del D.L. 13 agosto 2011, n. 138, va pronunciata condanna al versamento all'entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio nei confronti della parte costituita che, nei casi previsti dall'articolo 5 del medesimo decreto legislativo, non ha partecipato al procedimento senza giustificato motivo" (Trib. Termini Imprese, 09.05.12; Trib. Roma Sez. XIII 10.07.2014).

PQM

Il Tribunale, definitivamente pronunciando omissis: accoglie la domanda e dichiara il contratto di locazione --- risolto per inadempimento della conduttrice; ordina alla conduttrice il rilascio dell'immobile omissis; condanna --- al pagamento dei canoni di locazione intimati, pari a € 5.000.00, oltre quelli a scadere fino al rilascio ed interessi legali dalle scadenze al saldo; respinge le domande svolte dalla ---; respinge la domanda proposta dalla parte ricorrente di condanna per lite temeraria; condanna le resistenti al rimborso in favore dei ricorrenti delle spese di lite che liquida in € 1.350,00, di cui € 150,00 per esborsi, oltre accessori di legge e rimborso forfettario; respinge la domanda proposta dalla parte ricorrente di condanna per lite temeraria; condanna --- al pagamento di € 76,00 in favore dell'entrata del bilancio dello Stato.

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità. 

8 giugno 2018

30/18. Accordo di mediazione, omologa con decreto del presidente del tribunale: quale regime fiscale? (Osservatorio Mediazione Civile n. 30/2018)

Di seguito quanto esposto dal Ministero della Giustizia, Direzione della giustizia civile, con provvedimento 28 febbraio 2018 (Foglio Informativo n. 1/2018)

QUESITO
Qual è il regime fiscale relativo al procedimento di omologa dell’accordo di mediazione di cui all’articolo 12 del d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28?

RISPOSTA
del Ministero della Giustizia, Direzione della giustizia civile
Il procedimento di omologa dell’accordo di mediazione che si svolge dinanzi al Presidente del tribunale deve essere inquadrato tra i procedimenti di volontaria giurisdizione da assoggettare al pagamento sia del contributo unificato, di cui all’articolo 13, comma 1, lettera b), del d.P.R. n. 115 del 2002, sia dell’importo forfettario previsto dall’articolo 30 del medesimo testo unico sulle spese di giustizia. Devono essere trasmessi all’Agenzia delle entrate per la quantificazione e il pagamento dell’imposta di registro i provvedimenti di omologa adottati dal Presidente del Tribunale, con i relativi verbali di accordo di mediazione, il cui valore risulti superiore a euro 50.000 (I) (II).

(I) Il grassetto è a cura della Redazione dell’Osservatorio.


Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 30/2018

4 giugno 2018

29/18. MEDIA Magazine n. 6 del 2018 (Osservatorio Mediazione Civile n. 29/2018)


 MEDIA Magazine
Mensile dell’Osservatorio Nazionale sulla Mediazione Civile
ISSN 2281 - 5139
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N. 6/18  Giugno 2018



NORMATIVA - PRASSI


Comunicazion edella domanda di mediazione alla parte invitata: onere dell’istante o dell’organismo? (Osservatorio Mediazione Civile n. 28/2018) -  Ministero della Giustizia, Direzione della giustizia civileprovvedimento 27 febbraio 2018


GIURISPRUDENZA

=> Tribunale di Roma, 11 gennaio 2018

=> Tribunale di Trieste, 29 novembre 2017


SEGNALAZIONI – PROPOSTA EDITORIALE


Mediazione telematica, 
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di Alessandra GRASSI

Diritto Avanzato, Milano, 2018



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Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 29/2018