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30 novembre 2022

39/22. Mediazione demandata, termine di 15 giorni, natura non perentoria: ai fini della condizione di procedibilità rileva l’utile esperimento della procedura entro l'udienza fissata dal giudice (Osservatorio Mediazione Civile n. 39/2022)

=> Corte di Cassazione, 14 dicembre 2021 n. 40035 

Il legislatore ha inteso riconnettere la statuizione giudiziale sulla procedibilità della domanda al solo evento dell'esperimento del procedimento di mediazione e non al mancato rispetto del termine di presentazione della domanda di mediazione. Tale lettura appare coerente con la riconosciuta natura non perentoria del termine di quindici giorni, fissato dal giudice (in coerenza con la sistematica interpretazione delle disposizioni sulla mediazione e con la finalità della mediazione demandata dal giudice in corso di causa). Va quindi elaborato il seguente principio di diritto: ai fini della sussistenza della condizione di procedibilità di cui al D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, commi 2 e 2 bis, ciò che rileva nei casi di mediazione obbligatoria ope iudicis è l'utile esperimento, entro l'udienza di rinvio fissata dal giudice, della procedura di mediazione, da intendersi quale primo incontro delle parti innanzi al mediatore e conclusosi senza l'accordo, e non già l'avvio di essa nel termine di quindici giorni indicato dal medesimo giudice delegante con l'ordinanza che dispone la mediazione (I).

(I) Si veda l’art. 5, commi 2 e 2-bis, D.lgs. 4 marzo 2010 n. 28 (Osservatorio Mediazione Civile n. 38/2018).

Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 39/2022
(www.osservatoriomediazionecivile.blogspot.com)

Corte di Cassazione
Sezione II
sentenza n. 40035
14 dicembre 2022

Omissis 

Con il primo motivo il ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 152 e 154 c.p.c., in relazione del D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, comma 2, per avere la sentenza impugnata affermato la perentorietà del termine assegnato per l'instaurazione della mediazione.

Si contesta cioè che la corte abbia erroneamente ritenuto il termine previsto del D.Lgs. n. 28 del 2020, art. 5, comma 2, quale termine endoprocessuale mentre, in realtà, ad esso non si applicherebbe la disciplina prevista dall'art. 152 c.p.c. e l'effettivo esperimento del procedimento di mediazione vale a sanare la sua eventuale tardività.

Con il secondo motivo si denuncia, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli art. 152 e 154 c.p.c., per avere la corte territoriale erroneamente disatteso la censura proposta dagli appellanti in ordine al carattere indeterminato del termine di quindici giorni per l'avvio della mediazione, per essere stato, nel caso di specie, il termine agganciato non ad una data certa ma a quella di effettivo deposito della CTU.

Parimenti si ritiene errata la conclusione che comunque la mediazione non risultava avviata neanche a seguito della comunicazione dell'ordinanza con cui si anticipava l'udienza di settembre, comunicazione che implicava l'avvenuto deposito della CTU.

Con il terzo motivo si denuncia, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, comma 4, lett. a), per avere la pronuncia della corte felsinea ritenuto che la parte onerata dell'avvio della procedura di mediazione delegata era l'opponente.

Con il quarto motivo si denuncia, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, comma 2 e art. 6, per avere la corte territoriale escluso il valore sostanziale della mediazione tardiva ritenendo l'interpretazione proposta dagli appellanti fondata sulla radicale inutilità del termine legale, a prescindere dalla sua natura perentoria od ordinatoria.

I quattro motivi riguardando, seppure sotto diversi aspetti, la medesima questione dell'operatività della mediazione demandata quale condizione di procedibilità ai sensi del D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, commi 2 e 2 bis e art. 6, possono essere trattati congiuntamente.

Le censure sono fondate per quanto di seguito considerato.

Esse richiamano l'attenzione della Corte sull'interpretazione della disciplina riguardante la mediazione obbligatoria ope iudicis o demandata dal giudice come stabilita nell'ambito del D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, commi 2 e 2 bis e art. 6.

La normativa introdotta con il D.Lgs. n. 28 del 2010, ed aggiornata con il D.L. n. 69 del 2013, conv. con modificazioni nella L. n. 98 del 2013, prevede all'art. 5, commi 2 e 2 bis che: "2. Fermo quanto previsto dal comma 1-bis e salvo quanto disposto dai commi 3 e 4, il giudice, anche in sede di giudizio di appello, valutata la natura della causa, lo stato dell'istruzione e il comportamento delle parti, può disporre l'esperimento del procedimento di mediazione; in tal caso, l'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale anche in sede di appello. Il provvedimento di cui al periodo precedente è adottato prima dell'udienza di precisazione delle conclusioni ovvero, quando tale udienza non è prevista, prima della discussione della causa. Il giudice fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all'art. 6 e, quando la mediazione non è già stata avviata, assegna contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione. 2-bis. Quando l'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l'accordo".

L'art. 6 prevede che: "1. Il procedimento di mediazione ha una durata non superiore a tre mesi. 2. Il termine di cui al comma 1, decorre dalla data di deposito della domanda di mediazione, ovvero dalla scadenza di quello fissato dal giudice per il deposito della stessa e, anche nei casi in cui il giudice dispone il rinvio della causa ai sensi del sesto o del settimo periodo del comma 1-bis dell'art. 5, ovvero ai sensi dell'art. 5, comma 2, non è soggetto a sospensione feriale".

La novella del 2013 ha attribuito al giudice il potere di invitare le parti ad attivare la mediazione anche nelle materie per le quali del Decreto n. 28 del 2010, art. 5, esclude l'obbligatorietà, indipendentemente dalla loro adesione, originariamente richiesta. Il provvedimento può essere adottato, anche in appello, fino all'udienza di precisazione delle conclusioni o, se non prevista, fino alla discussione della causa anche nei casi in cui l'attore prima dell'introduzione del giudizio abbia già (inutilmente) esperito il tentativo obbligatorio.

La disciplina dispone che ove il giudice, in ragione della natura, lo stato dell'istruttoria ed il comportamento delle parti, ritenga che la causa presenti indici di mediabilità e possa, quindi, essere definita mediante un accordo amichevole attraverso l'elaborazione di una proposta, dispone l'invio delle parti in mediazione senza necessità di raccogliere il consenso delle parti,

cosicché accanto alla mediazione obbligatoria ope legis è prevista una mediazione obbligatoria ope iudicis. Ove il giudice disponga in tal senso, l'esperimento della mediazione diviene condizione di procedibilità della domanda giudiziale.

Sulla concreta operatività di tale parentesi non giurisdizionale all'interno del processo, il legislatore si è limitato a prevedere che il giudice, indicate le suddette ragioni, fissi l'udienza successiva alla scadenza del termine (inizialmente di quattro ma dopo la riforma del 2013) di tre mesi previsto per la durata della mediazione dal D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 6 e, ove essa non sia stata già avviata, assegna altresì il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda.

La giurisprudenza di merito, chiamata a pronunciarsi su come debba essere inteso il suddetto termine, sulle conseguenze del mancato rispetto dello stesso, ha assunto differenti posizioni interpretative.

In alcuni casi è stato ritenuto che il termine di quindici giorni sia ordinatorio, in altri che sia perentorio, in altri ancora che non si tratti di un termine endoprocessuale con conseguente inapplicabilità dell'art. 152 c.p.c..

Anche la dottrina ha approfondito la questione della natura del termine e le conseguenze del suo mancato rispetto, pervenendo in prevalenza alla soluzione che l'inutile decorso del termine di quindici giorni per l'attivazione del tentativo di mediazione non determini l'improcedibilità della domanda giudiziale ove il procedimento sia stato, comunque, attivato in tempo utile o si sia concluso prima dell'udienza fissata per la prosecuzione del giudizio.

La soluzione che si adotta ha, inevitabilmente, differenti ricadute sul riconoscimento della prevista condizione di procedibilità e sulla relativa declaratoria di improcedibilità della domanda giudiziale, ricollegandola cioè alla mancata presentazione della domanda nel suddetto termine, ove ritenuto perentorio, passando in secondo piano la circostanza dell'effettivo svolgimento della mediazione.

La Corte ha già fornito, in tema di mediazione quale condizione di procedibilità della domanda, alcune soluzioni interpretative.

In particolare, con la sentenza n. 8473/2019, la Corte ha affermato che la condizione di procedibilità può ritenersi realizzata al termine del primo incontro davanti al mediatore, qualora una o entrambe le parti, richieste dal mediatore dopo essere state adeguatamente informate sulla mediazione, comunichino la propria indisponibilità di procedere oltre.

Le Sezioni Unite civili hanno poi, con la sentenza n. 19596/2020, chiarito che la parte onerata della presentazione della domanda di mediazione obbligatoria ai sensi del D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, comma 1 bis, nei casi di opposizione a decreto ingiuntivo, sia il creditore opposto per la assorbente considerazione che essa è "condizione di procedibilità della domanda giudiziale" che è quella sostanziale del ricorrente in monitorio (cfr. Cass. 159/2021), cui possono aggiungersi, nei limiti consentiti, altre domande proposte in via riconvenzionale dall'opponente.

In questo contesto giurisprudenziale viene ora all'attenzione della Corte la fattispecie della mediazione delegata, in cui cioè non si verte nelle materie indicate nel D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, comma 1 bis, ma sempre nell'ambito di un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, nel corso del quale, decisa la sospensione della provvisoria esecutorietà, assegnati i termini ex art. 183 c.p.c., comma 6, all'esito della decisione sulla provvisoria esecutorietà e dello svolgimento della CTU, il giudice ha discrezionalmente disposto l'avvio delle parti in mediazione (cfr. Cass. 2775/2020), fissando l'udienza successiva ed assegnando il termine di 15 giorni dal deposito della CTU per la presentazione della domanda di avvio del procedimento di mediazione.

Ebbene, ritiene la Corte che in tale evenienza, al fine di stabilire se si sia verificata o meno la condizione di procedibilità della domanda giudiziale, debba aversi riguardo alla specifica prescrizione di legge secondo la quale "l'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda" (D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, comma 2, seconda parte del primo periodo,) e ancora "quando l'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l'accordo" (D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, comma 2 bis).

Si tratta di univoche indicazioni con le quali il legislatore ha inteso riconnettere la statuizione giudiziale sulla procedibilità della domanda al solo evento dell'esperimento del procedimento di mediazione e non al mancato rispetto del termine di presentazione della domanda di mediazione.

Esse appaiono la chiave di volta per la ricostruzione interpretativa della normativa sulla mediazione demandata perché indicano il necessario parametro di riferimento cui agganciare la declaratoria giudiziale di improcedibilità della domanda giudiziale.

Tale lettura appare coerente con la riconosciuta natura non perentoria del termine di quindici giorni, fissato dal giudice ai sensi del D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, comma 2, e tale rimasto anche nella disciplina risultata a seguito della riforma legislativa del 2013, che non è intervenuta sul punto.

La diversa conclusione non ha il conforto dell'art. 152 c.p.c., comma 2, non essendovi indicazione legislativa in tal senso.

Il D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, comma 2, non prevede poi espressamente l'adozione di pronuncia di improcedibilità a seguito del mancato esperimento del procedimento di mediazione delegata entro il termine di quindici giorni.

L'attivazione della mediazione delegata non costituisce peraltro attività giurisdizionale e, quindi, appare effettivamente impropria l'applicazione di termini perentori in mancanza di espresse previsioni in tal senso.

Inoltre, l'adozione della sanzione della decadenza richiede una manifestazione di volontà espressa dal legislatore non desumibile dalla disciplina sulla mediazione.

Ancora, la natura non perentoria trova conforto nella previsione che il giudice deve fissare una successiva udienza tenendo conto della scadenza del termine massimo della durata della mediazione.

Anche la ratio legis sottesa alla mediazione obbligatoria ope iudicis e cioè la ricerca della soluzione migliore possibile per le parti, dato un certo stato di avanzamento della lite e certe sue caratteristiche, mal si concilia con la tesi della natura perentoria del termine, che finirebbe per giustificare il paradosso di non poter considerare utilmente esperite le mediazioni conclusesi senza pregiudizio per il prosieguo del processo solo perché tardivamente attivate, e così escludendo in un procedimento deformalizzato qual è quello di mediazione l'operatività del generale principio del raggiungimento dello scopo.

Appare, pertanto, più coerente con la sistematica interpretazione delle disposizioni sulla mediazione e con la finalità della mediazione demandata dal giudice in corso di causa privilegiare la verifica dell'effettivo esperimento della mediazione.

Tale verifica deve svolgersi all'udienza fissata dal giudice con il provvedimento con cui aveva disposto l'invio delle parti in mediazione.

Se in quella udienza risulta che vi sia stato il primo incontro dinanzi al mediatore conclusosi senza l'accordo (D.Lgs. n. 28 del 2010, ex art. 5, comma 2 bis), il giudice non potrà che accertare l'avveramento della condizione di procedibilità e proseguire il giudizio.

Così intesa, la norma raggiunge lo scopo cui è rivolta e cioè favorire, ove possibile ed in termini effettivi, forme alternative ma altrettanto satisfattive di tutela mediante la composizione amichevole delle liti ed al contempo conferma il carattere di extrema ratio che il legislatore della mediazione riconosce, in prospettiva deflattiva, alla tutela giurisdizionale.

Tale interpretazione risulta altresì conforme al principio della ragionevole durata del processo, perché la verifica all'udienza fissata D.Lgs. n. 28 del 2010, ex art. 5, comma 2, è già ricompresa nell'intervallo temporale delimitato dalla previsione del D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 7, a mente del quale "Il periodo di cui all'art. 6 e il periodo del rinvio disposto dal giudice ai sensi dell'art. 5, commi 1-bis e 2, non si computano ai fini di cui della L. 24 marzo 2001, n. 89,

art. 2".

Resta inteso, nel quadro interpretativo così delineato, che ove l'udienza di verifica sia stata fissata subito dopo la scadenza del termine di durata della mediazione, ai sensi del D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 6, senza che il procedimento sia stato iniziato o comunque si sia concluso per una colpevole inerzia iniziale della parte, che ha ritardato la presentazione della istanza, quest'ultima si espone al rischio che la sua domanda giudiziale sia dichiarata improcedibile, a causa del mancato esperimento della mediazione entro il termine di durata della procedura previsto per legge.

In tale prospettiva ermeneutica la Corte si è già posta, riconoscendo rilevanza all'effettivo esperimento della mediazione delegata a seguito dell'invito in tale senso rivolto dal giudice ed a prescindere dalla specifica indicazione del termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione, osservando che esso costituisce un termine fisso la cui mancanza può costituire al più una formale irregolarità (cfr. Cass. 2775/2020).

In conclusione, dunque, ritiene il collegio che le considerazioni sin qui sviluppate conducano ad elaborare il seguente principio di diritto: Ai fini della sussistenza della condizione di procedibilità di cui al D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, commi 2 e 2 bis, ciò che rileva nei casi di mediazione obbligatoria ope iudicis è l'utile esperimento, entro l'udienza di rinvio fissata dal giudice, della procedura di mediazione, da intendersi quale primo incontro delle parti innanzi al mediatore e conclusosi senza l'accordo, e non già l'avvio di essa nel termine di quindici giorni indicato dal medesimo giudice delegante con l'ordinanza che dispone la mediazione.

Ciò posto, nel caso di specie non vi è dubbio che il procedimento di mediazione ha avuto luogo entro l'udienza del 21 settembre 2016, fissata con il provvedimento che l'ha disposta e che, pertanto, non poteva essere pronunciata l'improcedibilità della domanda; il ricorso deve essere accolto e la sentenza impugnata cassata con rinvio alla Corte d'appello omissis in diversa composizione, per riesame dell'appello alla luce dell'enunciato principio di diritto e, altresì, per le spese del giudizio di legittimità. 

PQM 

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d'appello omissis, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità. 

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità. 

24 novembre 2022

38/22. Istanza di mediazione, indicazione esaustiva degli elementi di diritto, non necessità: procedibile la domanda giudiziale in caso di mediazione avente ad oggetto gli stessi fatti dedotti in giudizio e la medesima pretesa (Osservatorio Mediazione Civile n. 38/2022)

=> Tribunale di Firenze, 11 aprile 2022 

Ai sensi dell’art. 4, d.lgs. 28/2010, l'istanza di mediazione deve contenere l'indicazione dell'oggetto e delle ragioni della pretesa al fine di consentire alle parti di poter raggiungere un accordo conciliativo: in particolare, il contenuto di tale norma non può considerarsi equivalente a quello dell'art. 125 c.p.c. e, quindi, non richiede l'indicazione esaustiva degli elementi di diritto come negli atti processuali (nella specie il Giudice afferma che l'eccezione avanzata dal condominio convenuto avente ad oggetto l’improcedibilità della domanda attorea ai sensi dell'art. 5, d.lgs. 28/2010 per la mancata corrispondenza tra l'oggetto e le ragioni della pretesa indicati nella stessa e quelli indicati nella domanda di mediazione risulta infondata e deve essere disattesa, tenuto conto che la mediazione proposta dalle parti attrici aveva ad oggetto gli stessi fatti dedotti in giudizio e la medesima pretesa, ovvero l'impugnazione delle delibere condominiali ivi indicate al fine di vederne dichiarata l'invalidità ex art. 1137 c.c.) (I) (II).

(I) Si veda l’art. 4, D.lgs. 4 marzo 2010 n. 28 (Osservatorio Mediazione Civile n. 38/2018).

(II) In senso conforme il Giudicante richiama Trib. Roma 11.1.2022.

Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 38/2022
(www.osservatoriomediazionecivile.blogspot.com)

Tribunale di Firenze
sentenza n. 1052
11 aprile 2022

Omissis 

Sulle eccezioni di improcedibilità e di inammissibilità della domanda attrice.

La prima questione che deve essere affrontata, in punto di rito, concerne l'eccezione avanzata dal condominio convenuto avente ad oggetto l'improcedibilità della domanda attorea ai sensi dell'art. 5, D.Lgs. 28/2010 per la mancata corrispondenza tra l'oggetto e le ragioni della pretesa indicati nella stessa e quelli indicati nella domanda di mediazione.

L'eccezione risulta infondata e deve essere disattesa, tenuto conto che la mediazione proposta dalle parti attrici aveva ad oggetto gli stessi fatti dedotti in giudizio e la medesima pretesa, ovvero l'impugnazione delle delibere condominiali ivi indicate al fine di vederne dichiarata l'invalidità ex art. 1137 c.c..

Dall'analisi della domanda di mediazione presentata dalle attrici, prodotta dalle stesse sub doc. 23, nella quale le stesse hanno indicato quale oggetto della controversia l'”impugnazione delle delibere del condominio omissis del 14 giugno e 25 giugno 2018 aventi ad oggetto opere di straordinaria manutenzione ai lastrici di proprietà degli istanti e la relativa ripartizione” con l'aggiunta dell'inciso, redatto a mani “l'Assemblea del 14 è stata rinviata senza riconvocazione al 25/6/2018”, emerge che l'oggetto della controversia avanzata dalle odierne attrici era costituito dall'impugnazione delle delibere condominiali ivi indicate e tale circostanza trova effettivamente corrispondenza nell'atto di citazione, con cui le attrici hanno impugnato le delibere in questione ai sensi dell'art. 1137 c.c. al fine di sentirne dichiarata l'invalidità sotto il profilo della correttezza del criterio di ripartizione delle relative spese ivi deliberato.

D'altronde, ai sensi dell'art. 3, comma 3, D.Lgs. 28/2010 gli atti compiuti in sede di mediazione non sono soggetti a particolari formalità e, ai sensi dell'art. 4, D.Lgs. 28/2010, l'istanza di mediazione deve contenere l'indicazione dell'oggetto e delle ragioni della pretesa al fine di consentire alle parti di poter raggiungere un accordo conciliativo: in particolare, il contenuto di tale norma non può considerarsi equivalente a quello dell'art. 125 c.p.c. e, quindi, non richiede l'indicazione esaustiva degli elementi di diritto come negli atti processuali (Trib. Roma 11.1.2022).

Pertanto, fin dal ricevimento della domanda di mediazione, l'odierno convenuto aveva avuto piena cognizione dei fatti di causa e delle delibere che le odierne attrici avevano intenzione di impugnare con la successiva azione.

D'altro canto, la circostanza che nel proprio atto di citazione le attrici non abbiano espressamente citato tra i motivi di invalidità della delibera impugnata la mancata riconvocazione dell'assemblea, rinviata, del 25.6.2018, come lamentato da parte convenuta, non contraddice quanto sopra, trattandosi di una specificazione dei fatti di causa, come confermato dalla lettura della delibera in questione.

Tanto premesso, nel caso di specie deve quindi ritenersi rispettata la condizione di procedibilità di cui all'art. 5, D.Lgs. 28/2010 e la domanda attorea, quindi, validamente proposta.

Per l'effetto della tempestiva e valida proposizione della domanda di mediazione da parte delle attrici, anche l'eccezione di inammissibilità della domanda (per essere stata tardivamente proposta ai sensi dell'art. 1137, comma 2 c.c.) deve essere rigettata; infatti, l'introduzione del procedimento di mediazione in questione, avvenuta il 3 luglio del 2018, come documentalmente provato, ha validamente interrotto il termine decadenziale di trenta giorni di cui all'art. 1137, comma 2 c.c., decorrente, per i condomini assenti, dalla comunicazione della deliberazione e, per i condomini dissenzienti o astenuti, dalla data della sua approvazione, e tale termine ha ripreso a decorrere a partire dal 03.07.2018 (ore 9,55), a seguito della conclusione della mediazione con esito negativo per la mancata comparizione del convenuto: di conseguenza, l'atto di citazione, notificato via pec in data 01.08.2018, risulta tempestivamente proposto anche in relazione ai lamentati profili di annullabilità della delibera impugnata.

Nel merito.

Sulla delibera del 14.6.2018.

Le domande di annullamento/nullità avanzate dalle attrici con riguardo alla delibera del 14.6.2018 sono rigettate in quanto omissis.

Sulla delibera del 25.06.2018.

Il primo motivo di impugnazione – relativo alla mancata convocazione e partecipazione all' assemblea del 25.6.2018 di tutti i condomini aventi diritto ex art. 1136 comma 6 c.c. e, nello specifico, di tutti i proprietari delle unità immobiliari servite dal lastrico solare per lo scolo e lo sfiato degli impianti ivi ubicati – non viene accolto.

Infatti, indipendentemente da ogni osservazione in relazione all'unicità o autonomia delle delibere impugnate, le odierne attrici – che sono state regolarmente avvisate per entrambe le assemblee del 14.6.2018 e 24.6.2018 - non possono dolersi della mancata convocazione di altri condomini rispetto ai quali non sono legittimate ad agire.

Premesso che l'omessa convocazione di un condomino costituisce motivo di annullamento, e non di nullità, delle deliberazioni condominiali (SS.UU. n. 4806/2005; Cass. n. 10338/2014; Cass. n. 14786/2006), in materia trova applicazione il disposto dell'art. 1441 c.c., ai sensi del quale l'annullamento può essere domandato solo dalla parte nel cui interesse lo stesso è stabilito dalla legge (Cass. n. 8520/2017; Cass. n. 23902/2016; Cass. n. 10338/2014).

Di conseguenza, come più volte chiarito dalla giurisprudenza in materia, la legittimazione ad impugnare la delibera condominiale per il vizio relativo alla mancata convocazione e partecipazione spetta ai soli condomini pretermessi; soltanto i condomini non ritualmente convocati sono titolari dell'interesse all'impugnazione della stessa (Cass. n. 8520/2017; Cass. n. 23902/2016; Cass. n. 10338/2014), con la conseguenza che “il condomino regolarmente convocato non può impugnare la delibera per difetto di convocazione di altro condomino, trattandosi di vizio che inerisce all'altrui sfera giuridica, come conferma l'interpretazione evolutiva fondata sull'art. 66 disp. att. c.c., comma 3, modificato dalla l. 11 dicembre 2002, n. 220” (ex multis, Cass. n. 10071/2020, Cass. n. 9082/2014; Cass n. 220/2012).

Il criterio adottato dall'assemblea del 25.6.2018 per ripartire le spese è corretto.

La ripartizione delle spese in ragione di un terzo a carico delle proprietà titolari di diritti esclusivi sui lastrici e di due terzi delle proprietà sottostanti in relazione alle sole parti strutturali del lastrico solare ed ai suoi elementi costitutivi, quali la guaina di impermeabilizzazione, nonché agli elementi accessori funzionalmente collegati, quali la pavimentazione, è conforme all'art. 1126 c.c. ; parimenti corretta è la delibera nella parte in cui imputa le spese relative alla demolizione e ricostruzione delle fioriere a carico esclusivo delle proprietà Ba.-Ba. e Su.-Sa., tenendo a mente il principio per cui la spesa va suddivisa tenendo conto dell'uso (esclusivo) che del bene (che nella specie è da ritenersi incidenter tantum di proprietà privata) fanno le attrici e del maggior godimento del lastrico di cui beneficeranno le attrici.

In un condominio il lastrico di copertura di una determinata dell'edificio condominiale ha la funzione, oltre che di copertura di tale parte, anche di raccolta delle acque di scolo di altre parti dell'edificio deve ritenersi destinato a servire anche queste ultime, con la conseguenza che le relative spese di riparazione e rifacimento, qualora il relativo uso non sia comune a tutti i condomini, sono da ripartire secondo i criteri di cui all'art. 1126 c.c. (ex multis, Cass. n. 1977/2017).

Le spese processuali e di CTU seguono la soccombenza. 

PQM 

Il Tribunale di Firenze omissis rigetta le domande attrici e conferma le delibere condominiali del 14.06.2018 e del 25.06.2018. Liquida le spese processuali di parte convenuta in euro 4.835 per compenso professionale, oltre le spese vive documentate e gli accessori di legge (iva e cap) e rimborso forfettario del 15%, ponendole a carico solidale delle attrici, così come le spese di CTU già liquidate. Sentenza provvisoriamente esecutiva ex lege. 

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità. 

20 novembre 2022

37/22. Avvocato-mediatore che ha assistito in giudizio una delle parti: illecito deontologico? (Osservatorio Mediazione Civile n. 37/2022)

=> Consiglio Nazionale Forense, sentenza n. 70 del 23 maggio 2022 

Il divieto di prestare attività professionale in conflitto di interessi anche solo potenziale (art. 24 cdf, già art. 37 codice previgente) risponde all’esigenza di conferire protezione e garanzia non solo al bene giuridico dell’indipendenza effettiva e dell’autonomia dell’avvocato ma, altresì, alla loro apparenza (in quanto l’apparire indipendenti è tanto importante quanto esserlo effettivamente), dovendosi in assoluto proteggere, tra gli altri, anche la dignità dell’esercizio professionale e l’affidamento della collettività sulla capacità degli avvocati di fare fronte ai doveri che l’alta funzione esercitata impone, quindi a tutela dell’immagine complessiva della categoria forense, in prospettiva ben più ampia rispetto ai confini di ogni specifica vicenda professionale. Conseguentemente: 1) poiché si tratta di un valore (bene) indisponibile, neanche l’eventuale autorizzazione della parte assistita, pur resa edotta e, quindi, scientemente consapevole della condizione di conflitto di interessi, può valere ad assolvere il professionista dall’obbligo di astenersi dal prestare la propria attività; 2) poiché si intende evitare situazioni che possano far dubitare della correttezza dell’operato dell’avvocato, perché si verifichi l’illecito (c.d. di pericolo) è irrilevante l’asserita mancanza di danno effettivo [massima ufficiale] (I).

(I) Per approfondimenti si veda:

Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 37/2022
(www.osservatoriomediazionecivile.blogspot.com)

Consiglio Nazionale Forense
(pres. f.f. Picchioni, rel. Arena)
Sentenza n. 70
23 maggio 2022
(pubbl. 24.8.2022)

Omissis 

FATTO

1. L’Avv. [RICORRENTE] impugna la decisione del CDD di Salerno con la quale gli è stata

inflitta la sanzione della sospensione dall’esercizio della professione per due mesi, a

conclusione del procedimento disciplinare aperto con il seguente capo di incolpazione: A)

art. 9 (dovere di probità, dignità e decoro) per non aver osservato i doveri di probità,

dignità e decoro, nella salvaguardia della propria reputazione e della immagine della

professione forense nello svolgimento della vicenda relativa alla sottoscrizione della

scrittura transattiva del 14.2.1; B) art. 24 (conflitto di interessi) in relazione all’art. 62

(mediazione) per non essersi astenuto dall’attività professionale di mediatore svolta con la

scrittura privata sottoscritta in data 14.2.11 in palese conflitto di interessi, avendo egli

difeso gli interessi di [AAA] nel giudizio definito con sentenza del Tribunale di Nocera

Inferiore [OMISSIS]/05 ed avendo assunto successivamente il patrocinio del medesimo

[AAA] nell’insorgenda vicenda sempre relativa al medesimo oggetto e tra le stesse parti di

cui alla comparsa di costituzione allegata alla scrittura transattiva in data 14.2.11. Fatti

avvenuti in Pagani ed in Angri in data 14.2.2011 o in data ad essa prossima.

Il procedimento disciplinare veniva aperto su esposto presentato al COA di Nocera

Inferiore (il 25.5.15) da [BBB], titolare della ditta individuale [ALFA].

Nell’esposto si riferiva che, all’esito di un giudizio per finita locazione di un immobile ove

era esercitata l’attività di impresa, e prospettate - da parte dell’esponente - una serie di

contestazioni circa la presenza di amianto nell’immobile, venivano avviate trattative tra

l’esponente e il locatore [AAA]. Trattative che venivano svolte con l’intervento dell’avv.

[RICORRENTE], che aveva assistito il proprietario nell’ambito dell’azione di sfratto.

L’esponente lamentava che l’incolpato, in tale contesto, avesse svolto, sostanzialmente,

funzioni di arbitro / conciliatore, favorendo la conclusione di un accordo transattivo,

sottoscritto il 14.2.2011.

Nell’occasione, l’incolpato avrebbe “preteso ed ottenuto” la sottoscrizione di un atto di

citazione, a dire dell’esponente predisposto nel suo interesse dallo stesso Avv.

[RICORRENTE], così come pure il medesimo difensore avrebbe predisposto una

comparsa di risposta - con domanda riconvenzionale - nell’interesse di [AAA] (originario

locatore), allo scopo di documentare la potenziale insorgenza di un contenzioso. L’accordo

prevedeva anche il pagamento della somma di euro 23.015,00, quale indennità di

avviamento offerta al conduttore. Somma effettivamente corrisposta con assegno

circolare, ma pretesa poi in restituzione - per un pari importo in contanti - dall’Avv.

[RICORRENTE], al quale era consegnata, in studio, in assenza del locatore.

L’esponente ha offerto, a supporto delle contestazioni, copia degli atti indicati,

documentazione fotografica e trascrizione giurata della registrazione relativa alla

conversazione che sarebbe intervenuta nello studio dell’Avv. [RICORRENTE] (avente ad

oggetto il conteggio della somma versata in contanti, che sarebbe stata pretesa in

restituzione per la consegna dell’accordo sottoscritto).

L’Avv. [RICORRENTE] si è difeso allegando, tra gli altri, il decreto di archiviazione di un

procedimento penale avviato dalla Procura della Repubblica di Nocera Inferiore, su

denuncia-querela proposta nei suoi confronti, per truffa, dal Sig. [BBB], chiedendo

l’archiviazione anche del procedimento disciplinare.

Il CDD comunicava – il 15 marzo 2016 - all’Avv. [RICORRENTE] il capo di incolpazione e,

successivamente, disponeva la citazione a giudizio dell’incolpato, cui procedeva sulla

scorta dei presupposti qui di seguito elencati:

- procura lesione alla propria reputazione professionale e alla dignità dell’intera classe

forense l’avvocato difensore di interessi che, anche se non direttamente contrapposti,

abbiano carattere di potenziale conflittualità e possono sfociare in concrete situazioni di

contrasto;

- l’incolpato ha commesso consapevolmente le violazioni deontologiche che gli sono state

contestate;

- l’archiviazione del procedimento penale è stata disposta senza che fosse valutato il

merito della vicenda, ma con la motivazione di “tardività della querela presentata dopo

circa 3 anni dai fatti”;

- l’incolpato ha confermato di aver predisposto una comparsa di costituzione nell’interesse

del Sig. [AAA] contro [BBB], in risposta ad un atto di citazione che non risulta notificato, e

tali atti sono stati allegati alla scrittura transattiva in data 14.2.11;

- dalla documentazione prodotta dall’incolpato, nel dettaglio dall’atto di transazione datato

14.2.2011, risulta che lo stesso ha svolto incarico di “mediazione, consulenza, assistenza,

redazione, stesura, dei singoli atti redatti e qui uniti, ad eccezione dell’atto di [BBB] steso

per le sue rivendicazioni”;

- non risulta smentita l’operazione riferita dall’esponente relativa al conteggio della somma

di euro 23.000,00 in contanti avvenuta nello studio dell’Avv. [RICORRENTE] ed effettuata

dal figlio [CCC].

L’esponente, in sede dibattimentale, ha confermato integralmente l’esposto e tutti i

documenti ad esso allegati - tra cui le fotografie che ritraggono il Sig. [CCC] contare il

denaro (le stesse non sono mai state contestate dall’incolpato) e la trascrizione integrale

del colloquio che si è svolto in quel giorno (1.4.2011) - e ha riferito non solo di aver avuto

pressioni a sottoscrivere la transazione del 14.2.2011, ma anche che la presenza di un

suo difensore di fiducia era stata osteggiata dall’incolpato.

Il nodo della questione disciplinare è stato individuato, dal CDD di Salerno, nella scrittura

transattiva del 14.2.2011. Atto nel quale l’incolpato ha assunto la veste di mediatore o

conciliatore, per incarico di entrambe le parti. A tale scrittura è allegato un “atto di

citazione” di [BBB], sfornito di mandato alle liti e della sottoscrizione dello stesso Sig.

[BBB], privo della data di redazione e mai notificato al destinatario, con l’effetto della

processuale inesistenza.

Di tanto il mediatore, ovvero l’incolpato, secondo il CDD, nella scrittura non dà atto e, per

di più, su incarico del sig. [AAA], suo cliente e parte dell’atto di citazione (in

contrapposizione al [BBB] anch’esso chiamato nell’atto di citazione), redige, e allega alla

transazione, una comparsa di costituzione e risposta con domanda riconvenzionale in

relazione ad un giudizio in realtà mai avviato.

Sentito durante il dibattimento, l’incolpato - evidenzia il CDD - non ha saputo addurre una

valida spiegazione. Essendo stato incaricato da entrambe le parti di svolgere una funzione

conciliativa, ad avviso del CDD non si comprende - sotto il profilo logico e quello giuridico

– come un avvocato abbia dato credito ad una citazione sostanzialmente inesistente

(apparentemente proveniente dal Sig. [BBB]) e in risposta alla stessa abbia predisposto

poi - per il solo Michele [AAA], suo cliente - una comparsa di risposta con domanda

riconvenzionale.

Sull’argomento l’incolpato, secondo il CDD, si è difeso con approssimazione e, in più, la

restituzione della somma di euro ventitremila ne testimonierebbe inequivocabilmente la

mala fede, poi concretizzatasi nel fatto che - quale mediatore o conciliatore di entrambe le

parti – ha finito con il favorire il suo vecchio cliente, imponendo all’esponente la

restituzione della somma menzionata (restituzione peraltro documentata fotograficamente

anche con la presenza dell’Avv. - allora praticante avvocato - [CCC]), per ottenere la copia

della transazione del 14.2.2011.

Lo stesso incolpato, sottolinea il CDD, in sede di audizione dinanzi al consigliere istruttore

(come risulta dal verbale del 26.4.2016) ha implicitamente ammesso di aver tutelato, nella

stesura della transazione del 14.2.2011, solo una delle parti costituite (il suo cliente

[AAA]), trascurando di aver concretamente assunto la veste di mediatore o conciliatore.

Inoltre, nella memoria difensiva dell’8.7.2015, l’incolpato, assume ancora il CDD,

implicitamente ammette che i germani [BBB] e [CCC] avessero portato del denaro, pur se

ha affermato di non averne avuto la materiale disponibilità (il denaro è stato però

conteggiato dal figlio dell’incolpato nello studio del legale).

 In buona sostanza, motiva il decidente di primo grado a sostegno della sanzione irrogata,

l’incolpato non avrebbe dovuto accettare l’incarico di negoziatore, mediatore o conciliatore

della vertenza, assumendolo contemporaneamente dal Sig. [BBB] e dal suo originario

cliente [AAA], essendosi concretizzato – il risultato della sua opera – in un vantaggio

esclusivo per il suo originario cliente.

Sul presupposto della violazione delle regole disciplinari indicate, il CDD di Salerno ha

sospeso l’incolpato dall’esercizio della professione, per un periodo di due mesi.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Asserita errata ricostruzione fattuale da parte del CDD. Vizi della motivazione adottata e

insussistenza delle contestazioni. Errata valutazione delle prove.

Le censure avanzate possono essere scrutinate congiuntamente, afferendo tutte al criterio

di valutazione degli elementi di fatto e probatorio acquisiti al procedimento.

La difesa dell’incolpato riepiloga – a sostegno del ricorso - le vicende fattuali dei rapporti

reciprocamente intrattenuti dai signori [AAA], lamentando che il decidente di primo grado

non ne abbia tenuto adeguatamente conto. Nel dettaglio, si duole del (dis)valore intrinseco

assegnato: i) alla citazione e alla comparsa di risposta (relativi, giova ricordare, ad un

giudizio in realtà mai avviato) apparentemente redatti, rispettivamente, a nome di [AAA] e

[BBB]; ii) alla transazione datata 14-02-2011. Lamenta, anche, che non si sarebbe tenuto

conto degli elementi di prova addotti dall’incolpato a sostegno della correttezza della

condotta tenuta.

Le censure, a vario titolo avanzate, sono tutte infondate.

Risulta dalla motivazione resa che il CDD di Salerno abbia fatto buon governo –

nell’esercizio del suo potere discrezionale - degli elementi fattuali e dell’impianto

probatorio complessivamente acquisito, dando atto dei criteri di valutazione e rilevanza

delle prove dedotte.

In disparte la questione sulla paternità della citazione, resta oggettivamente

incomprensibile la predisposizione della comparsa di risposta (il giudizio non era mai stato

avviato) che è stata allegata all’atto transattivo, se non con il tentativo di voler giustificare

l’attività professionale indirizzata alla composizione di una lite insorta tra i contendenti (che

era, in realtà, insussistente), ergendosi a conciliatore su incarico di entrambi i contraenti.

E, soprattutto, documenta la violazione delle regole di condotta deontologica la implicita

ammissione resa dall’incolpato in sede di audizione innanzi al consigliere istruttore (si

rimanda al verbale del 26-4-16), allorché ha dato atto di aver concretamente assistito solo

il proprio cliente [AAA] nell’ambito della attività stragiudiziale posta in essere.

Ricognizione, quest’ultima, radicalmente incoerente con i criteri di diligenza e imparzialità

che dovrebbero informare l’attività dell’avvocato, quando questi assume un incarico a

carattere sostanzialmente conciliativo nell’interesse di tutte le parti coinvolte (e ciò a

prescindere dal fatto che alle altre parti sia, oppure no, derivato un pregiudizio economico

concreto, o uno svantaggio negoziale, dalla sua opera).

Il ricorrente si duole della erronea valutazione, da parte del CDD, dei fatti e delle prove

raccolte.

Come si è anticipato, la censura è infondata. Il Decidente di prima istanza, restando

nell’alveo del proprio potere valutativo discrezionale (Cass. SS.UU. n. 5200/19), ha dato

conto esaustivamente dei fatti (contrastanti con le regole deontologiche) e delle prove

acquisite, che militano tutte nel senso della responsabilità – positivamente accertata -

dell’incolpato.

Resta in disparte la questione della “datio” della somma in denaro contante, che

costituisce pure motivo di censura in questa sede, dal momento che nessun addebito

deontologico formale viene ascritto all’incolpato dal CDD, che ne dà atto, esplicitamente,

nella decisione impugnata. Il CDD non ha, quindi, in alcun modo violato il principio di

corrispondenza tra l’addebito contestato e la decisione adottata, che viene in rilievo solo

quando un fatto “naturalisticamente inteso”, sul quale l’incolpato non si sia potuto

difendere, costituisca il presupposto della condanna (Cass. SS.UU. n. 11024/2014).

Mentre, al contrario, è adeguatamente motivato l’addebito della responsabilità disciplinare

per avere operato in palese conflitto di interessi, allorché l’incolpato ha predisposto la

scrittura transattiva tra le parti, senza possedere gli indefettibili requisiti della imparzialità e

della indipendenza (è agli atti la ricognizione dell’incolpato circa il fatto di aver assistito

esclusivamente il proprio cliente nell’ambito dell’attività stragiudiziale posta in essere).

Giova ricordare, sul punto, che la regola deontologica presidia la condizione astratta di

imparzialità e di indipendenza dell’avvocato – e quindi anche la sola apparenza del

conflitto ne costituisce violazione – per il significato anche sociale che essa incorpora e

trasmette alla collettività.

Sulla sanzione comminata dal CDD di Salerno

La censura dell’incolpato non coglie nel segno, atteso che la sanzione irrogata appare

certamente adeguata alla complessiva gravità dell’illecito posto in essere e resta coerente

anche avuto riguardo al tenore delle regole disciplinari previgenti alla novella deontologica.

Consegue la infondatezza del ricorso proposto dall’Avv. [RICORRENTE].

P.Q.M.

visto l’art. 54 del R.D.L. 27/11/1933 n. 1578, gli artt. 44, 59 e segg. del R.D. n. 37/1934 e

gli artt. 36 e 37 della L. n. 247/12;

il Consiglio Nazionale Forense rigetta il ricorso e conferma la decisione impugnata.

Dispone che in caso di riproduzione della presente sentenza in qualsiasi forma per finalità

di informazione su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione

elettronica sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi degli

interessati riportati nella sentenza.

Così deciso in Roma nella Camera di Consiglio del 13 febbraio 2020;

 IL SEGRETARIO IL PRESIDENTE f.f.

 f.to Avv. Rosa Capria f.to Avv. Giuseppe Picchioni

Depositata presso la Segreteria del Consiglio nazionale forense,

oggi 23 maggio 2022.

 LA CONSIGLIERA SEGRETARIA

 f.to Avv. Rosa Capria

Copia conforme all’originale

 LA CONSIGLIERA SEGRETARIA

 Avv. Rosa Capria 


AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.