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30 settembre 2018

40/18. La clausola di mediazione deve contenere l’espressa sanzione di improcedibilità (Osservatorio Mediazione Civile n. 40/2018)

=> Tribunale di Taranto, 22 agosto 2017

Questo tribunale non può che condividere l’orientamento interpretativo della giurisprudenza di merito secondo cui la clausola contrattuale conciliativa, la quale statuisce l’obbligo del preventivo tentativo di conciliazione prima di adire l’autorità giudiziaria, è inefficace qualora sia carente dell’espressa sanzione di improcedibilità, dovendosi osservare che l’eventuale violazione della previsione contrattuale risulta astrattamente inidonea a riverberarsi sull’esito del giudizio (I).

In tema di mediazione c.d. obbligatoria (art. 5, comma 1-bis, d.lgs. 28/2010), per controversie in materia di condominio si intendono quelle derivanti dalla violazione delle disposizioni del libro III, titolo VII, capo II del codice civile e degli artt. 61-72 delle disposizioni attuative c.c., restando escluse le controversie in cui il condominio venga a contrapporsi ad un soggetto terzo, come l’appaltatore nell’ambito di lite insorta a seguito di stipula di un contratto di appalto di lavori condominiali (II).

È sull’opponente che deve gravare l’onere della mediazione obbligatoria in conformità all’orientamento di legittimità (cfr Cassazione civile, 3 dicembre 2015, n. 24629, in Osservatorio Mediazione Civile n. 2/2016) (III).




Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 40/2018

Tribunale di Taranto
Sentenza
Prima Sezione Civile
22 agosto 2017

Omissis

Il Condominio, in persona dell’amministratore, omissis, ha proposto opposizione avverso il decreto ingiuntivo omissis, con cui questo Tribunale gli ha ingiunto di pagare in favore dell’Impresa Edile omissis la somma omissis, a titolo di corrispettivo pattuito per i lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria affidati in appalto alla società ricorrente, e precisamente omissis.
A sostegno dell’opposizione l’attore ha eccepito unicamente l’improponibilità e/o improcedibilità della domanda, invocando l’art. 12 del contratto d’appalto sottoscritto dalle parti il 20.1.2011, secondo cui “per qualsiasi controversia che dovesse derivare dalla esecuzione del presente contratto sarà competente il foro di Taranto, previo tentativo obbligatorio previsto ex D.L. n. 28 del 2010”.
Costituitasi in giudizio, la società convenuta ha eccepito la evidente finalità dilatoria e la conseguente temerarietà della proposta opposizione, in quanto spiegata in assenza di qualsivoglia disconoscimento e/o contestazione del credito azionato, ma anche l’infondatezza nell’unico motivo enunciato, stante l’inapplicabilità dell’invocata condizione di procedibilità alla fattispecie, instando per la conferma del decreto ingiuntivo e per il risarcimento danni ex art. 96 c.p.c.
Concessa la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto, in assenza di istanze istruttorie, la causa è stata introitata per la decisione sulle conclusioni in epigrafe riportate, con assegnazione alle parti dei termini ex art. 190 c.p.c.
L’opposizione è infondata e, come tale, va rigettata con ogni conseguente statuizione di legge. Il debitore ingiunto non ha enunciato di fatto alcun motivo di opposizione, inerente la legittimità e/o la sussistenza del credito azionato, ma lamenta il mancato esperimento del tentativo di mediazione, pena la conseguente improponibilità e/o improcedibilità della domanda proposta in sede monitoria, e nel contempo, conclude chiedendo che venga assegnato a parte opposta un termine per avviare il procedimento di mediazione, senza eccepire nel merito alcun fatto estintivo e/o modificativo del diritto della parte istante all’adempimento dell’obbligazione nascente dal titolo contrattuale allegato.
L’applicabilità alla fattispecie della dedotta condizione di procedibilità è da escludersi per diversi ordini di ragioni.
Intanto, la materia del contendere non rientra tra quelle per le quali l’art. 5 D.Lgs. n. 28 del 2010 prevede il preventivo ed obbligatorio esperimento della procedura di mediazione, posto che per le controversie in materia di condominio, ai sensi dell’art. 5, comma 1 D.Lgs. n. 28 del 2010 (anche nella formulazione applicabile ratione temporis) si intendono quelle derivanti dalla violazione delle disposizioni del libro III, titolo VII, capo II del codice civile e degli artt. 61-72 delle disposizioni attuative c.c., restando escluse le controversie in cui il condominio venga a contrapporsi ad un soggetto terzo, come l’appaltatore nell’ambito di lite insorta a seguito di stipula di un contratto di appalto di lavori condominiali.
Non solo, ma il comma 4 del citato articolo 5, esclude espressamente l’applicabilità del comma 1 (dichiarato incostituzionale della Corte Costituzionale con sentenza n. 272 del 6.12.2012 ed oggi sostituito dal comma 1 bis) ai procedimenti per ingiunzione, inclusa l’opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione.
Peraltro, anche laddove si voglia sostenere, superando il dettato di legge, l’obbligatorietà della mediazione, ponendola come condizione di procedibilità, in virtù della richiamata disposizione pattizia, in considerazione della sostanziale deroga a norme imperative, questo tribunale non può che condividere l’orientamento interpretativo della giurisprudenza di merito, secondo cui la clausola contrattuale conciliativa, la quale statuisce l’obbligo del preventivo tentativo di conciliazione prima di adire l’autorità giudiziaria, è inefficace qualora sia carente dell’espressa sanzione di improcedibilità. Invero, in caso analogo, ma per materia contemplata tra le quelle soggette alla mediazione obbligatoria, il giudicante ha rilevato, in punto di diritto, l’enorme discrasia tra l’obbligo contrattuale e la statuizione legale, asserendo che “altro è infatti la previsione di un obbligo contrattuale, suscettibile di inadempimento, altro è invece la deroga pattizia alla giurisdizione. A sua volta, l’inderogabilità dell’obbligo, espressamente prevista nel contratto, si riverbera sull’ampiezza della vincolatività della pattuizione, rendendola massima, ma senza nulla dire a proposito della sanzione dell’obbligo inderogabile. Ne discende che la dedotta violazione della previsione contrattuale risulta astrattamente inidonea a riverberarsi sull’esito del giudizio. Infatti, ogni deroga all’esercizio del diritto costituzionale di agire in giudizio a tutela dei propri diritti soggettivi è insuscettibile sia di estensione analogica, sia di interpretazione estensiva, tant’è vero che persino le prescrizioni legali di obbligatorietà di un tentativo di conciliazione preventivo non danno luogo ad improcedibilità ove tale sanzione processuale non sia espressamente prevista” (cfr. T. Siena n. 172 del 3.4.2014).
Alla luce del richiamato orientamento, tenuto conto che nella fattispecie la deroga pattizia ha riguardato materia non soggetta alla mediazione obbligatoria, senza prevedere espressamente la sanzione di improcedibilità, ma soprattutto senza prevedere l’estensione della clausola all’azione in sede monitoria, che la legge esclude dall’applicabilità del preventivo esperimento della mediazione, anche obbligatoria, deve concludersi per l’inefficacia della clausola contrattuale invocata dall’opponente a sostegno dell’opposizione, restando assorbita di fatto ogni altra questione.
Non risulta poi chiaro, dalle conclusioni rassegnate dal condominio opponente, se il richiamo alla clausola contrattuale, ai fini della declaratoria di improcedibilità e conseguente revoca del decreto ingiuntivo opposto, dovesse intendersi esteso al giudizio di opposizione, laddove si chiede di assegnare a parte opposta il termine per l’attivazione della procedura di mediazione. Anche sotto tale profilo e sempre a volerne sostenere l’obbligatorietà nel caso di specie, soccorre il principio espresso dalla Corte di Cassazione, intervenuta a comporre il contrasto creatosi nell’interpretazione giurisprudenziale di merito, secondo cui “è sull’opponente che deve gravare l’onere della mediazione obbligatoria” (cfr. Cass. civ. III sez. 3.12.2015 n. 24629). La Suprema Corte, nella citata pronuncia, ha infatti chiarito che “la disposizione di cui all’art. 5 D.Lgs. n. 28 del 2010, di non facile lettura, deve essere interpretata conformemente alla sua ratio. La norma è stata costruita in forma deflattiva e, pertanto, va interpretata alla luce del principio costituzionale del ragionevole processo e, dunque, dell’efficienza processuale. In questa prospettiva la norma, attraverso il meccanismo della mediazione obbligatoria, mira – per così dire – a rendere il processo la extrema ratio … Quindi, l’onere di esperire il tentativo di mediazione deve allocarsi presso la parte che ha interesse al processo e ha il potere di iniziare il processo. Nel procedimento per decreto ingiuntivo cui segue l’opposizione, la difficoltà di individuare il portatore dell’onere deriva dal fatto che si verifica una inversione logica tra rapporto sostanziale e rapporto processuale, nel senso che il creditore del rapporto sostanziale diventa l’opposto nel giudizio di opposizione. Questo può portare ad un errato automatismo logico per cui si individua nel titolare del rapporto sostanziale la parte sulla quale grava l’onere. Ma in realtà – avendo come guida il criterio ermeneutico dell’interesse e del potere di introdurre il giudizio di cognizione – la soluzione deve essere quella opposta. Invero, attraverso il decreto ingiuntivo, l’attore ha scelto la linea deflattiva coerente con la logica dell’efficienza processuale e della ragionevole durata del processo. È l’opponente che ha il potere e l’interesse di introdurre il giudizio di merito … ed è dunque sull’opponente che deve gravare l’onere della mediazione obbligatoria perché è l’opponente che intende precludere la via breve per percorrere la via lunga. La diversa soluzione sarebbe palesemente irrazionale perché premierebbe la passività dell’opponente e accrescerebbe gli oneri della parte creditrice. Del resto, non si vede a quale logica di efficienza risponda una interpretazione che accolli al creditore del decreto ingiuntivo l’onere di effettuare il tentativo di mediazione quando ancora non si sa se ci sarà opposizione allo stesso decreto ingiuntivo. E’, dunque, l’opponente ad aver interesse ad avviare il procedimento di mediazione pena il consolidamento degli effetti del decreto ingiuntivo ex art. 653 c.p.c.”. L’improcedibilità eccepita da parte opponente non risulta pertanto fondata neppure in relazione all’instaurato giudizio di cognizione, non ravvisandosi – per le ragioni di legittimità esaustivamente espresse con la richiamata sentenza – in capo alla creditrice opposta alcun onere a suo carico in ordine al preventivo esperimento del tentativo di mediazione né in sede monitoria né nella successiva fase di cognizione, in cui peraltro alcuna contestazione o fatti estintivi del credito sono stati dedotti dal condominio opponente. L’opposizione va in conclusione rigettata, con conseguente statuizione di conferma del decreto
ingiuntivo opposto, pronuncia che non potrà evidentemente riguardare l’eventuale sopravvenuto parziale adempimento e le spese occorse, a seguito di concessione della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto, non essendo fatti attinenti alla fase di cognizione, ma a quella di esecuzione. Considerato che, nel procedimento di ingiunzione, la fase monitoria e quella di opposizione fanno parte di un unico processo e l’onere delle spese processuali, ivi comprese quelle del procedimento monitorio, è regolato in base all’esito finale del giudizio di opposizione ed alla complessiva valutazione del suo svolgimento (cfr. Cass. civ., sez. III 09.08.2007, n. 17469), le spese seguono la soccombenza e si liquidano, per la fase monitoria, come da decreto ingiuntivo e, per la fase dell’opposizione, come da dispositivo secondo i parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014, tenuto conto dell’attività effettivamente svolta e della natura della controversia. Il dibattito giurisprudenziale sul tema non consente di delibare la richiesta risarcitoria per responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c., non essendo supportata da idonea prova quanto al dolo ed alla colpa grave nella proposizione dell’opposizione a decreto ingiuntivo, atteso che “la condanna per responsabilità processuale aggravata, per lite temeraria, quale sanzione dell’inosservanza del dovere di lealtà e probità cui ciascuna parte è tenuta non può derivare dal solo fatto della prospettazione di tesi giuridiche riconosciute errate dal giudice, occorrendo che l’altra parte deduca e dimostri nell’indicato comportamento dell’avversario la ricorrenza del dolo o della colpa grave, nel senso della consapevolezza, o dell’ignoranza, derivante dal mancato uso di un minimo di diligenza, dell’infondatezza delle suddette tesi” (cfr. Cass. civ. sez. III 30.06.10 n. 15629), tuttavia la totale carenza di contestazione del credito nel merito è condotta da valutare ai fini della liquidazione del compenso a carico del soccombente.

PQM

Il Tribunale di Taranto, 1 sezione civile omissis rigetta l’opposizione e, per l’effetto, conferma il decreto ingiuntivo omissis, anche nella statuizione sulle spese; condanna il Condominio opponente alla refusione in favore della società opposta delle spese di giudizio, liquidate per la fase monitoria come da decreto ingiuntivo e per la fase dell’opposizione in complessivi Euro omissis.

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità. Il grassetto nel corpo della pronuncia è a cura della Redazione dell’Osservatorio.