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17 luglio 2013

57/13. Mediazione obbligatoria e Decreto del fare: il parere del Consiglio di Stato (Osservatorio Mediazione Civile n. 57/2013)

Riportiamo di seguito estratto, relativo al tema della mediazione obbligatoria, del Parere dell’11 luglio 2013 reso dal Consiglio di Stato sulle disposizioni di cui al c.d. Decreto del fare.
Il testo del Parere integrale è pubblicato sul sito web istituzionale del Consiglio di Stato.

Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 57/2013

Parere reso ai sensi dell'art. 10 L. 24.3.1958 n. 195, limitatamente alle parti riguardanti l'amministrazione della giustizia, sul testo del decreto legge 21.6.2013 n. 69: “Disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia.”.

(Delibera consiliare dell’11 luglio 2013)

...omissis...

2. La mediazione obbligatoria

L’art. 84 del Capo VIII del decreto legge n. 69/13 introduce una serie di dettagliate modifiche al
decreto legislativo 4 marzo 2010 relativo alla: “Attuazione dell’art. 60 della legge 18 giungo 2009,
n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e
commerciali”.
Occorre rammentare che l’art. 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69 aveva conferito al Governo la
delega ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge, uno o più decreti
legislativi in materia di mediazione e di conciliazione in ambito civile e commerciale.
Il decreto legislativo oggetto dell’odierno intervento di modifica costituisce l’attuazione di quella
delega.
Il Consiglio Superiore della Magistratura, con delibera datata 11 marzo 2009, ha espresso il proprio
parere sulla delega contenuta nell’art. 39 del disegno di legge n. 1441 bis C, norma sostanzialmente
recepita nell’art. 60 della legge delegata n. 69/2009.
Successivamente, nella seduta del 4 febbraio 2010, ha approvato il parere in ordine allo schema di
decreto legislativo di attuazione.
Nel corpo di tali delibere, ricostruita la cornice normativa vigente in materia e chiariti i principi
ispiratori delle forme alternative di risoluzione della controversia, si è dato favorevolmente atto
dell’introduzione del nostro sistema giudiziario della possibilità di ricorrere in via generale, per la
risoluzione delle controversie civili e commerciali relative a diritti disponibili, ad uno strumento
alternativo rispetto alla giurisdizione, già previsto , invero, da precedenti interventi normativi, ma
limitato a singoli settori od a specifiche materie.
Si era espressa una valutazione complessivamente positiva sulla introduzione dell’istituto,
riconoscendone la sua rispondenza alle esigenze della società civile e del sistema economico,
nonché la perfetta coerenza con le scelte in tale direzione già compiute dall’Unione europea (1).
Il decreto legislativo n. 28 del 4 marzo 2010, nell’interpretare e fare applicazione dei criteri e
principi espressi nella legge - delega, aveva ritenuto di introdurre nel sistema normativo, oltre alle
fattispecie di mediazione facoltativa - su richiesta delle parti - e di quella su sollecitazione del
giudice, anche la mediazione obbligatoria; tale procedura era stata prevista quale condizione di
procedibilità - la cui mancanza poteva essere eccepita dal convenuto o rilevata dal giudice - della
domanda giudiziale in una pluralità di materie elencate all’art. 5.
Sollecitata da numerose questioni incidentali sollevate nell’ambito di alcuni procedimenti civili la
Corte Costituzionale, con la sentenza n. 272 del 2012, ha ritenuto che il carattere obbligatorio
dell’istituto di conciliazione e la conseguente strutturazione della relativa procedura come
condizione di procedibilità della domanda giudiziale nelle controversie di cui all’art. 5, comma 1,
del d.lgs.vo n. 28 del 2010, fosse estraneo ed eccedente la delega legislativa, e ha dichiarato
pertanto la illegittimità costituzionale della disposizione di legge per violazione degli artt. 76 e 77
della Costituzione. Sono state così espunte dal testo normativo, oltre al comma 1 dell’art. 5, che
disciplinava in via diretta l’istituto, anche, in via consequenziale, tutte le ulteriori disposizioni -
collocate negli artt. 5, 6, 7, 8, 11, 13, 17 e 24 del decreto legislativo - che sarebbero rimaste prive
di significato e giustificazione in assenza di esso.
Il decreto legge in esame, non vincolato dai limiti della delega legislativa del 2009, sostanzialmente
ripristina l’istituto della mediazione obbligatoria reintroducendo, pur con alcune innovazioni, le
disposizioni normative venute meno a seguito della sentenza 272/2012.
Il principale oggetto del nuovo intervento normativo è, quindi, la - definitiva - riaffermazione della
scelta di introdurre nell’ordinamento la fattispecie obbligatoria della mediazione, almeno in una
serie di materie che rappresentano una rilevante percentuale dell’intero contenzioso civile.
Tale scelta è stata, fin dal tempo dell’adozione del D.lgs. 28 del 2010, oggetto di intenso dibattito
sotto il profilo, oltre che della regolarità formale rispetto alla delega, della correttezza culturale e
funzionalità effettiva.
Il Consiglio Superiore della Magistratura, nel parere reso sulla legge di delega e, in maniera più
articolata, in quello del 4 febbraio 2010 concernente lo schema di decreto legislativo, aveva
espresso perplessità in ordine alla scelta osservando che: “il tentativo di conciliazione può avere
successo solo se è sostenuto da una reale volontà conciliativa e non se è svolto per ottemperare ad
un obbligo. In questo caso si trasforma in un mero adempimento formale, che ingolfa gli uffici
preposti, ritardando la definizione della controversia e sottraendo energie allo svolgimento dei
tentativi di conciliazione seriamente intenzionati. Pertanto, la facoltatività del ricorso alla
mediazione sembra poter meglio garantire il raggiungimento delle finalità cui lo strumento stesso è
preordinato”.
L’organo di governo autonomo della magistratura aveva sottolineato come il sistema del “doppio
binario” per l’accesso alla mediazione – imperniato sulla distinzione tra controversie civili per le
quali il procedimento di mediazione costituisce condizione di procedibilità della domanda e quelle
per le quali, al contrario, la scelta di ricorrere a tale procedimento è rimessa alla discrezionalità delle
parti – non trovi giustificazione nel testo della legge delega e, soprattutto, non appaia razionale
avuto presente l’ampio ed eterogeneo elenco delle materie per le quali è stato configurato l’obbligo
di ricorrere preventivamente alla mediazione.”
Le valutazioni richiamate debbono essere oggi riconsiderate alla luce del complessivo nuovo
contesto ordinamentale, nonché del consapevole – ed efficace – coerente indirizzo di politica
giudiziaria assunto dal legislatore.
In primo luogo bisogna prendere atto che, per il limitato periodo in cui ha avuto efficacia, la
mediazione obbligatoria è apparsa produrre risultati non irrilevanti.
Dai dati disponili presso Direzione Generale di statistica del Ministero della Giustizia risulta,
infatti, che tra il 21 marzo 2011 ed il 20 giugno 2012, nelle materie in cui la mediazione è prevista
quale condizione di procedibilità ed in cui ha avuto effettivamente corso, si è registrata una non
elevata partecipazione alla procedura delle parti – nel 64,2 per cento dei casi la parte convenuta non
si è infatti presentata davanti al mediatore indicato - ; d’altra parte, quando tale partecipazione si è
verificata, nel 46,4% delle ipotesi è stato raggiunto l’accordo che ha evitato il procedimento
contenzioso.
I dati paiono, in definitiva, dimostrare che esiste una radicata diffidenza da parte dei cittadini nei
confronti dell’istituto, fondata probabilmente sulle esperienze precedenti di insuccesso di analoghi
meccanismi, nutrita dal timore che un nuovo investimento di energie in sede stragiudiziale provochi
ulteriori, inutili perdite di tempo e di risorse in vista di una inevitabile progressione verso il
contenzioso giudiziale.
Il fatto che in quasi la metà dei casi sottoposti a mediazione sia intervenuto un accordo
stragiudiziale, dimostra che le resistenze culturali sono frutto di una percezione errata, e comunque
superabile.
L’istituto ha dimostrato di avere una capacità di portare benefici al sistema in misura superiore alle
attese, smentendo l’assunto secondo il quale le parti, una volta pervenute alla determinazione di
affrontare il giudizio, non manifestino alcuna disponibilità a rivedere le proprie posizioni e non
intendano assoggettarsi ad un meccanismo imposto contro la loro volontà.
Che si tratti di una resistenza culturale pregiudiziale è dimostrato dai dati relativi all’esperimento,
sempre nel periodo marzo 2011 – giugno 2012, della mediazione facoltativa, su iniziativa volontaria
delle parti o su invito del giudice atteso che essa ha trovato luogo soltanto, rispettivamente, nel
16% e nel 2,8 degli affari in cui sarebbe stata possibile (2).
Appare, quindi, ragionevole e condivisibile la scelta del legislatore d’urgenza di ulteriormente
insistere per la introduzione nel sistema dell’istituto, non essendo implausibile ritenere che, a
regime, esso possa divenire una forma di definizione del contenzioso concreta e generalmente
praticata, capace di fornire un indispensabile contributo di funzionalità e di effettività al sistema
giudiziario civile.
La conciliazione, d’altra parte, deve essere valorizzata non soltanto quale strumento deflattivo ma
quale mezzo per ampliare l’area della tutela, configurandosi come “uno dei diversi mezzi di
risoluzione delle controversie disponibile in una società moderna, che può essere il più idoneo per
alcuni tipi di controversie, ma certamente non per tutte” (cfr. paragrafo 1.1.4 della relazione di
accompagnamento alla proposta di direttiva europea in tema di mediazione in materia civile e
commerciale).
La mediazione (come più in generale tutte le forme alternative di risoluzione della controversia) può
divenire, in ultima analisi , uno strumento importante per la trasformazione della giustizia civile al
fine di renderla più flessibile e più attenta alle caratteristiche del caso concreto, nell’ambito di un
sistema integrato di giustizia che tenda a specializzare la funzione dei vari strumenti di definizione,
in una migliore articolazione non solo degli strumenti alternativi alla decisione, ma anche della
gamma di quelli decisionali in senso stretto.
Non sfugge, infatti, che la mediazione ha il pregio di consentire “la continuazione dei rapporti tra le
parti” e, pertanto, evita quel clima di agone proprio del ricorso alla giurisdizione, che determina,
inevitabilmente, la conflittualità di tali rapporti.
Si tratta, pertanto, di un cambiamento di prospettiva culturale prima ancora che tecnico-giuridica,
essenziale al fine di provocare una inversione di tendenza rispetto al progressivo esponenziale
aumento del carico di lavoro degli uffici giudiziari civili, sollecitato anche in sede europea. Nella
Raccomandazione del Consiglio dell’Unione europea n. 362 del 2013 “sul programma nazionale di
riforma 2013 dell’Italia e che formula un parere del Consiglio sul programma di stabilità
dell’Italia 2012-2017” si sottolinea, infatti, che “a seguito della sentenza della Corte
costituzionale dell’ottobre 2012 sulla mediazione, è necessario intervenire per promuovere il
ricorso a meccanismi extragiudiziali di risoluzione delle controversie” (3), e si richiede all’Italia di
adottare provvedimenti per “abbreviare la durata dei procedimenti civili e ridurre l’alto livello di
contenzioso civile, anche promuovendo il ricorso a procedure extragiudiziali di risoluzione delle
controversie (4).
Deve, in definitiva, esprimersi un giudizio incondizionatamente favorevole sulla scelta di fondo
assunta dal legislatore.
La nuova normativa si incardina nella disciplina contenuta nel d.lgs.vo 28 del 2010
antecedentemente alla pronuncia della Consulta, e reinserisce le disposizioni espunte, introducendo
alcune ulteriori modificazioni.
In primo luogo l’ambito delle materie soggette alla mediazione è stato ridotto, eliminandosi la
previsione della mediazione quale condizione di procedibilità nelle cause per risarcimento del
danno da circolazione stradale.
Il motivo di tale esclusione non è ben comprensibile, tenuto conto che gli artt. 148 e 149 della L.
209/2005 (cd. Codice delle Assicurazioni) prevedono la facoltà dell’assicuratore di formulare una
“congrua offerta” e non contemplano, quindi, alcuna forma di rapporto, quale è la mediazione, dal
quale la definizione della controversia possa derivare in ragione di una preliminare modulazione
delle volontà di entrambe le parti.
La circostanza che una delle parti del rapporto sia una compagnia assicuratrice non esclude, d’altro
canto, la possibile efficacia del meccanismo, tenuto conto dell’interesse, comune anche a detta
parte, di definire in tempi rapidi e con stabilità il rapporto con l’assicurato.
D’altra parte, occorre rilevare che l’ esclusione di un così numericamente rilevante settore di
contenzioso contrasta con la prospettiva dichiarata della massima diffusione ed espansione
dell’istituto e non considera che si tratta di affari nei quali la litigiosità riguarda spesso profili di non
particolare complessità tecnica, quali la liquidazione del danno, suscettibili di utile componimento
stragiudiziale sulla base di un mero bilanciamento di costi e benefici.
Appare, quindi, auspicabile l’inclusione anche di tali controversie nel novero di quelle soggette alla
mediazione obbligatoria.
Nella stessa prospettiva appare poco comprensibile l’esclusione delle azioni di risarcimento del
danno da responsabilità contrattuale ed extracontrattuale diverse da quelle espressamente previste
dal decreto , che per numero e natura paiono, parimenti, suscettibili di utile assoggettamento alla
mediazione.
Deve sottolinearsi, peraltro, la carenza di qualsiasi disciplina diretta a regolare il caso di
contemporanea proposizione, nel medesimo giudizio di azioni soggette e non soggette a mediazione
obbligatoria.
Il tema assume rilievo sia con riferimento , ad esempio, al caso in cui l’azione soggetta a
mediazione obbligatoria sia proposta in via riconvenzionale, che con riguardo all’evenienza in cui
l’attore proponga nel medesimo giudizio due domande connesse, l’una soggetta a mediazione e
l’altra non soggetta a mediazione.
E’ auspicabile che il legislatore, per l’ipotesi di presenza nel medesimo giudizio di più domande tra
le quali una almeno soggetta alla mediazione obbligatoria, preveda un meccanismo di attrazione
alla mediazione obbligatoria, al fine , da un lato, di evitare la moltiplicazione artificiosa di giudizi
derivante dalla, altrimenti inevitabile, separazione e, dall’altro, di potenziare l’efficacia deflattiva
della mediazione.
Appare, ulteriormente, necessario il chiarimento della portata del disposto del punto b) dell’art. 84 ,
nella parte in cui prevede che in caso di mancato esperimento della mediazione obbligatoria il
giudice “allo stesso modo procede” al rinvio dell’udienza, non risultando chiaro se tale facoltà del
giudice debba intendersi quale espressione di un suo potere ulteriore di disporre la mediazione
(cioè per il caso che le parti non l’abbiano esperita e siano , quindi, incorse nella improcedibilità
della domanda) oppure sia conferita ad altri fini.
Perfettamente coerente, invece, con gli obbiettivi perseguiti con la nuova disciplina della
mediazione obbligatoria, orientata alla diffusione e penetrazione nella pratica comune dell’istituto,
è la modifica dell’articolo 5 comma 2 del D.lgs.vo 28 del 2010 – nel testo precedente l’intervento
della Consulta - per cui la mediazione facoltativa su invito del giudice durante il procedimento è
sostituita da una nuova ipotesi di procedura conciliativa che il giudicante può imporre disponendone
l’esperimento a pena di improcedibilità della domanda giudiziale. Il giudice, quindi, che ravvisi uno
spazio di praticabilità della definizione transattiva della controversia non deve più raccogliere il
consenso delle parti al tentativo di mediazione ma può rimetterle direttamente dinanzi ai mediatori,
indicando l’organismo di mediazione.
Utile è la precisazione, avendo la questione dato luogo ad incertezze interpretative, che la
mediazione obbligatoria è esclusa nei procedimenti di consulenza tecnica preventiva ai fini della
composizione della lite, di cui all’articolo 696-bis del codice di procedura civile, in analogia con
quanto previsto dall’art. 5 comma 4 per i procedimenti urgenti e sommari.
A fronte di una marcata scelta di espansione e rafforzamento dell’area della praticabilità della
mediazione anche in assenza di volontà espressa dalle parti, il testo normativo contiene una
ulteriore serie di disposizioni finalizzate a bilanciarne il portato, da un lato attenuando l’effetto di
appesantimento procedurale ed economico per le parti e, dall’altro orientando la disciplina
procedimentale alla massima valorizzazione della funzionalità operativa e dell’effettività.
Così, il limite massimo di durata della mediazione è stato ridotto da quattro a tre mesi. L’importo
massimo complessivo delle indennità di mediazione per ciascuna parte, comprensivo delle spese di
avvio del procedimento, è stato limitato, in caso di esito negativo, in una somma compresa tra i 60
ed i 200 euro, a seconda del valore della causa.
E’ previsto che la mediazione sia gratuita per le parti che nell’eventuale giudizio potrebbe avvalersi
del patrocinio a spese dello Stato, all’evidente scopo di eliminare un incentivo economico a
preferire il contenzioso.
Il nuovo articolo 8 del d.lgs.vo 28/2010, specificando la generica disciplina precedente, impone lo
svolgimento di un incontro preliminare tra le parti ed il mediatore, finalizzato alla individuazione di
una strategia di intervento conciliativo flessibile e modellata sul caso concreto. Tale prima
occasione di contatto, che deve avvenire entro trenta giorni dal deposito della domanda di
conciliazione, appare utile, attraverso il libero ed ampio confronto tra i protagonisti della vicenda, a
consentire una verifica preliminare della praticabilità del percorso conciliativo, permettendo, ove se
ne ravvisi l’impossibilità, l’immediata interruzione che ne eviti l’inutile prolungamento, oppure una
idonea programmazione e strutturazione secondo le peculiarità del caso concreto.
Il testo di nuova proposizione rimedia, inoltre, ad una evidente lacuna del decreto 28/2010,
prevedendo la necessaria partecipazione al procedimento conciliativo anche del difensore tecnico
delle parti. La presenza dell’avvocato è indispensabile, secondo il nuovo articolo 12 del d.lgs.vo
28 del 2010, al fine di attribuire l’efficacia di titolo esecutivo al verbale di accordo conciliativo
sottoscritto dalle parti. La previsione appare condivisibile in quanto riconosce l’indispensabilità del
coinvolgimento della difesa tecnica, in ragione della natura, parimenti tecnica delle questioni da
trattare.
D’altra parte, dal punto di vista generale ed istituzionale, non pare plausibile ipotizzare un radicale
mutamento di prospettiva culturale senza il coinvolgimento e la adesione convinta dell’avvocatura,
deputata ad esercitare la ineludibile difesa tecnica dei diritti dei cittadini, come tale protagonista
fondamentale del sistema di giustizia.
ella stessa direzione milita anche l’ulteriore previsione contenuta nel decreto secondo cui agli
avvocati iscritti all’albo è , di diritto, riconosciuta la qualifica di mediatori, in ragione –
evidentemente – della specifica competenza professionale e della funzione istituzionale attribuita
alla categoria.
Da ultimo deve darsi atto della singolarità della disposizione transitoria contenuta al comma 2
dell’art. 79 del d.l. 69/2013, secondo cui “le disposizioni di cui al comma 1 si applicano decorsi
trenta giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”; se risultano
comprensibili le ragioni di cautela nell’attuazione di così radicali innovazioni, tale differimento
appare incoerente dal punto di vista sostanziale – prima ancora che tecnico – con le ragioni di
urgenza poste a giustificazione delle strumento della decretazione utilizzato.
Sintetizzate le novità con il decreto legge n. 69 del 2013, deve concludersi rammentando che, in
ordine a numerosi altri aspetti della disciplina sostanziale e procedimentale della mediazione, il
Consiglio Superiore della Magistratura, ha espresso il proprio punto di vista, talora critico, nel
parere deliberato il 4 febbraio 2010 sullo schema del decreto legislativo “Attuazione dell’art. 60
della legge 18 giugno 2009, n.69, in materia di mediazione  finalizzata alla conciliazione delle
controversie civili e commerciali” poi confluito nel d.lgs.vo 28 del 2010. Non essendo però, gli
ulteriori profili esaminati in quel parere oggetto di innovazione con il decreto n. 69 del 2013, si
rinvia, per essi, alla delibera citata.

(1) Si osservava nelle delibera dell’11 marzo 2009 che “Invero, lo sviluppo di metodi alternativi per la risoluzione delle controversie
(per usare la terminologia dell’art. III-269, n. 2 lett. g) del trattato costituzionale europeo) è una delle politiche dell’Unione europea
nel settore della giustizia civile. Questa politica si è tradotta in numerosi interventi; tra i principali vanno senza dubbio annoverati:
a) le conclusioni del Consiglio europeo di Tampere del 15 e 16 ottobre 19993; b) il Libro Verde relativo ai modi alternativi di
risoluzione delle controversie, presentato il 19 aprile 20024; c) il Codice europeo di condotta per i mediatori5, presentato a
Bruxelles il 2 luglio 2004; d) la proposta di direttiva sulla mediazione6 del 21 ottobre 2004; e) la scelta di campo a favore degli
strumenti alternativi contenuta in molte direttive (tra tutte, a titolo esemplificativo, l’art. 17 della direttiva 2000/31 sul commercio
elettronico7); f) la Direttiva 2008/52/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 maggio 2008 relativa a determinati aspetti
della mediazione in materia civile e commerciale, che ha sostanzialmente recepito la proposta di direttiva di cui alla precedente lett.
d), limitandone tuttavia l’applicazione alle controversie transfrontaliere”. Successivamente alle delibere citate ulteriori atti
comunitari hanno consolidato e rafforzato tale generale indirizzo; a titolo di esempio da ultimo vale la pena citare la Risoluzione
legislativa del Parlamento europeo del 12 marzo 2013 sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla
risoluzione alternativa delle controversie dei consumatori, recante modifica del regolamento (CE) n. 2006/2004 e della direttiva
2009/22/CE (direttiva sull'ADR per i consumatori)

(2) Si tratta sempre di dati offerti dalla Direzione Generale di statistica del Ministero della Giustizia

(3) considerando 11

(4) punto 2

…omissis…


AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.