Pagine

30 ottobre 2023

39/23. No al risarcimento del danno a carico delle parti che hanno partecipato alla mediazione in caso di mancata conclusione dell'accordo (Osservatorio Mediazione Civile n. 39/2023)


=> Corte di Cassazione, 9 maggio 2023, n. 12304

 

È fondato il motivo con cui ci si lamenta della condanna al risarcimento del maggior danno per non avere contribuito alla risoluzione della controversia in sede di mediazione qualora il procedimento di mediazione della lite non poteva che coinvolgere altra parte convenuta ritenuta responsabile dei danni lamentati (con l'effetto che la mancata risoluzione della controversia, anche con riguardo alle spese del relativo procedimento, risulta ascrivibile esclusivamente a detta parte). Si osserva inoltre che il D.Lgs. n. 28 del 2010, artt. 8, comma 4 bis, e 13, nel disciplinare le conseguenze della mancata partecipazione o del rifiuto della proposta di mediazione, non prevedono sanzioni di tipo risarcitorio a carico delle parti che vi abbiano partecipato in caso di mancata conclusione dell'accordo (I).

 

(I) Si vedano gli artt. 8, comma 4bis, e 13 d.lgs. n. 28/2010 (come novellato dalla c.d. riforma Cartabia), in Osservatorio Mediazione Civile n. 28/2023.

 

(II) In argomento si veda Cass. n. 12896 del 2021.

 

Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 39/2023

(www.osservatoriomediazionecivile.blogspot.com)

 

Cote di Cassazione

sezione II

ordinanza n. 12304

9 maggio 2023

 

Omissis

 

Con sentenza n. 180 del 4. 2. 2022 la Corte di appello di Bari rigettò l'appello proposto da L.R. avverso la decisione del Tribunale che aveva ordinato al condominio di via omissis in omissis di eseguire i lavori di riparazione specificati nella consulenza tecnica d'ufficio e lo aveva condannato, unitamente al condominio, al pagamento della somma di Euro 800,00 a titolo di risarcimento dei danni subiti dall'unità immobiliare di proprietà degli attori A.C. e L.R., a causa di infiltrazioni d'acqua provenienti dall'androne condominiale. La Corte barese confermò la decisione di primo grado rilevando che il danno e la sua ascrivibilità alle infiltrazioni provenienti dalle parti comuni dell'edificio, causa la particolare conformazione architettonica del fabbricato, risultavano accertati dalla relazione del consulente tecnico d'ufficio e che la responsabilità del condominio e del L., che quale condomino era intervenuto volontariamente nel giudizio di primo grado, doveva essere affermata ai sensi dell'art. 2051 c.c..

L.R., con atto notificato il 3. 5. 2022, ha proposto ricorso per la cassazione di questa sentenza, notificata il 4. 3. 2022, affidandosi a tre motivi.

A.C. e L.R. non hanno svolto attività difensiva.

La causa è stata avviata in decisione in adunanza camerale non partecipata.

Parte ricorrente ha depositato memoria.

Il primo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 132 n. 4, 345 e 346 c.p.c. e vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, censurando la sentenza impugnata per avere acriticamente aderito alle conclusione del consulente tecnico d'ufficio in ordine alla riconducibilità dei danni lamentati dagli attori all'immobile condominiale, trascurando di considerare le puntuali osservazioni critiche formulate dall'odierno ricorrente in primo grado e riprodotte nell'atto di appello.

Il motivo è inammissibile.

La Corte di appello ha ravvisato la responsabilità del condominio in ordine ai danni subiti dall'appartamento degli attori A. e L., ai sensi dell'art. 2051 c.c., rilevando che il consulente tecnico d'ufficio aveva accertato che le infiltrazioni dipendevano dalla conformazione architettonica del fabbricato, il cui vano scala era stato realizzato nella corte scoperta, con l'effetto che, in caso di pioggia, l'acqua ristagnava sui gradini, che non rispettavano le pendenze, e penetrava sulla parete di confine tra l'androne condominiale e la proprietà degli attori, precisando altresì, nel rispondere alle critiche rivolte dall'appellante L., che dalle fotografie in atti risultava che il muro dell'androne ed il vano scala presentavano segni evidenti di esposizione alle intemperie.

La motivazione, che appare fondata non solo sulle risultanze della consulenza tecnica d'ufficio ma anche sull'esame diretto delle fotografie dello stato dei luoghi, è del tutto congrua ed idonea a sorreggere il convincimento del giudicante e si risolve in un accertamento dei fatti di causa che, come tale, non è sindacabile in sede di giudizio di legittimità. Le censure riprodotte nel ricorso avverso le conclusioni della consulenza tecnica appaiono inoltre generiche e non decisive, tali da far ritenere che esse trovino implicita confutazione nella ricostruzione dei fatti a cui la Corte di appello ha aderito.

Si rileva, inoltre, che la deduzione relativa all'omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, su cui il motivo in gran parte si articola, è inammissibile ai sensi dell'art. 348 ter c.p.c., applicabile ratione temporis essendo il giudizio di appello iniziato nel 2019, che dichiara non proponibile il motivo di cui all'art. 360, comma 1 n. 5, c.p.c. nel caso in cui la sentenza di appello sia fondata sui medesimi fatti della sentenza di primo grado (c.d. doppia conforme).

Il secondo motivo di ricorso, che denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 112,132 n. 4, 345 e 346 c.p.c., degli artt. 1134, 2051 e 2697 c.c. e vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, lamenta che la Corte di appello abbia accolto la domanda degli attori in mancanza di prova della entità del danno e del nesso causale, fondando il proprio convincimento sui risultati di una consulenza meramente esplorativa e liquidando il danno oltre i limiti della domanda proposta.

Il motivo è inammissibile ed in parte infondato.

In particolare sono inammissibili le censure che investono la ricostruzione dei fatti operata dal giudice di merito, per le quali valgono le considerazioni svolte in sede di esame del motivo precedente, anche per quanto riguarda il giudizio di causalità tra i danni riscontrati e il fatto che li ha determinati. Identica conclusione merita l'eccezione di mancata prova dell'entità del danno, che appare censura nuova, risultando dalla decisione impugnata che l'appellante aveva contestato, con il secondo motivo, la violazione dell'onere della prova limitatamente al nesso causale e non all'ammontare del danno.

Infondata appare invece la censura di violazione di ultrapetizione, atteso che dalla sentenza e dallo stesso ricorso emerge che gli attori aveva chiesto la condanna del condominio alla somma di Euro 1.681,48, cioè ad un importo superiore a quello loro liquidato.

Il terzo motivo di ricorso denuncia violazione del D.Lgs. n. 28 del 2010, artt. 8 e 13, degli artt. 91 e 96 c.p.c. e vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, censurando la sentenza impugnata per avere confermato il capo della decisione di primo grado che lo aveva condannato, in solido con il condominio, al risarcimento del maggior danno per non avere contribuito alla risoluzione della controversia in sede di mediazione, sanzionando in tal modo una condotta priva di colpa e comunque non ascrivibile all'odierno ricorrente.

Il motivo è fondato.

La Corte di appello ha confermato la decisione di primo grado nella parte in cui aveva condannato in solido il condominio e il L. al pagamento dell'importo di Euro 600,00 per non avere aderito alla mediazione, "a titolo di maggior danno non avendo i convenuti e l'interventore contribuito a risolvere la controversia nel modo più comodo ed economico e per averne dato causa e per non avere aderito alla proposta di mediazione".

La censura è fondata per la ragione, assorbente sulle altre, che il procedimento di mediazione della lite non poteva che coinvolgere il condominio, quale parte convenuta ritenuta responsabile dei danni lamentati, con l'effetto che la mancata risoluzione della controversia, anche con riguardo alle spese del relativo procedimento, era ascrivibile esclusivamente a detta parte, la cui volontà di aderire all'accordo di mediazione, espressa nelle forme richieste dalla legge, non avrebbe potuto non prevalere su quella del condomino intervenuto.

Si osserva inoltre che il D.Lgs. n. 28 del 2010, artt. 8, comma 4 bis, e 13, nel disciplinare le conseguenze della mancata partecipazione o del rifiuto della proposta di mediazione, non prevedono sanzioni di tipo risarcitorio a carico delle parti che vi abbiano partecipato in caso di mancata conclusione dell'accordo.

Il ricorso va pertanto accolto in relazione al terzo motivo, mentre gli altri sono respinti.

La sentenza va cassata in relazione al motivo accolto e la causa rinviata alla Corte di appello di Bari, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

 

PQM

 

Accoglie il terzo motivo di ricorso, rigettati gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte di appello di Bari, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio.

 

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.