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30 novembre 2019

49/19. In mediazione si può domandare meno di quanto si chiederebbe nel processo? Improcedibilità in caso di non piena identità tra l’istanza di mediazione e l’atto di citazione? (Osservatorio Mediazione Civile n. 49/2019)

=> Tribunale di Mantova, 22 gennaio 2019

Posto quanto previsto dall’art. 4, d.lgs. 28/2010, qualora in mediazione gli attori abbiano compiutamente illustrato i fatti relativi alla controversia insorta tra le parti e chiesto il ristoro del danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale subito a seguito del decesso della congiunto, ma nell'atto di citazione abbiano chiesto la condanna dell'azienda sanitaria convenuta al risarcimento del danno non patrimoniale iure proprio da perdita del rapporto parentale, oltre che del danno non patrimoniale iure hereditatis per le sofferenze patite dalla congiunta nel periodo intercorso tra l'intervento chirurgico subito e la morte, va affermato che la condizione di procedibilità si è avverata, sussistendo tra il procedimento di mediazione ed il presente giudizio piena identità di causa petendi e parziale identità di petitum, a nulla rilevando che nell'istanza di mediazione gli attori abbiano quantificato le somme richieste diversamente rispetto all'atto di citazione, ovvero non abbiano domandato il risarcimento del danno non patrimoniale iure hereditatis. La parte istante, infatti, al fine di addivenire alla conciliazione, può domandare meno di quanto chiederebbe in sede processuale e, in ogni caso, parte convenuta ha avuto, in sede di mediazione, piena cognizione dei fatti posti a fondamento della pretesa attorea e, quindi è stata messa nelle condizioni di valutare l'opportunità della conciliazione.


Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 49/2019

Tribunale di Mantova
Sentenza
22 gennaio 2019

Omissis

Con atto di citazione ritualmente notificato, omissis e omissis, rispettivamente figlio e marito della defunta omissis, omissis hanno dedotto: la sussistenza di una condotta gravemente negligente, imperita ed imprudente dei sanitari che ebbero in cura la loro congiunta, per avere il dott. omissis proceduto all'asportazione della massa ovarica destra nonostante la stessa aderisse eccessivamente all' intestino - così cagionando la perforazione addominale - senza interpellare un chirurgo addominale e senza prescrivere il posizionamento di drenaggi o del sondino naso gastrico, e per non avere i sanitari, successivamente al predetto intervento, sottoposto la paziente agli accertamenti necessari - con particolare riferimento alla radiografia addominale - che avrebbero consentito di individuare tempestivamente la patologia infettiva in atto; la sussistenza di un nesso di causalità tra le condotte gravemente negligenti dei sanitari e l'evento infausto; la conseguente responsabilità dell' Ospedale, sulla base del contratto di spedalità, per tutti i danni subiti, patrimoniali e non patrimoniali, vantati sia iure proprio - per la definitiva perdita del rapporto parentale -, che iure hereditatis - per le sofferenze patite dalla loro congiunta nei giorni intercorrenti tra il primo intervento chirurgico e la morte (danno biologico da inabilità temporanea); di avere esperito il procedimento di mediazione obbligatorio, con esito negativo, come da verbale del 21.09.2015. Pertanto, gli attori hanno chiesto all'intestato Tribunale di condannare l'Azienda omissis, al risarcimento dei danni subiti, quantificati in euro 216.315,00 a favore di omissis ed in euro 291.555, 00 a favore di omissis a titolo di danno non patrimoniale da perdita parentale iure proprio; oltre al danno non patrimoniale iure hereditatis, da liquidarsi in via equitativa, oltre al rimborso delle spese mediche, oltre interessi e rivalutazione, con vittoria di spese, da distrarsi a favore del procuratore dichiaratosi antistatario.
Si è costituita in giudizio l'Azienda omissis, eccependo, preliminarmente, la nullità della notifica dell' atto di citazione e l' improcedibilità della domanda, ai sensi dell' art. 5, comma 1, D.lgs. 28/2010, e, nel merito, contestando la domanda e chiedendone la reiezione, anche sulla scorta delle risultanze contenute nella relazione del consulente tecnico del PM, disposta nell' ambito del procedimento penale, successivamente archiviato.
La causa, istruita sulla documentazione versata in atti dalle parti e con una CTU medico-legale (depositata in data 23.09.2017), è stata trattenuta in decisione all' udienza del 2.10.2018, sulle conclusioni delle parti trascritte in epigrafe, con concessione dei doppi termini di legge per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica.
Tanto premesso, osserva il Tribunale quanto segue.
Per quanto attiene alle eccezioni preliminari di nullità della notifica dell'atto di citazione e di improcedibilità dell'azione, formulate dalla convenuta in comparsa di costituzione e risposta, si rinvia integralmente all'ordinanza del 20.09.2016, con la quale dette eccezioni sono state integralmente respinte: omissis " in ordine all'eccezione di improcedibilità della domanda attorea sollevata da parte convenuta in comparsa di costituzione e risposta e ribadita all'odierna udienza, per pagina non esservi stata identità tra la domanda oggetto del procedimento di mediazione e quella avanzata in via giudiziaria: rilevato che l'istanza di mediazione, ai sensi dell' art. 4 D.lgs. 28/2010, deve contenere l' indicazione dell' oggetto e delle ragioni della pretesa, al fine di consentire alle parti di poter raggiungere un accordo conciliativo; rilevato che, con la memoria allegata all' istanza di mediazione, gli attori hanno compiutamente illustrato i fatti relativi alla controversia insorta tra le parti e chiesto il ristoro del danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale subito a seguito del decesso della congiunta; rilevato che, nell' atto di citazione, i medesimi hanno chiesto la condanna dell' azienda sanitaria convenuta al risarcimento del danno non patrimoniale iure proprio da perdita del rapporto parentale, oltre che del danno non patrimoniale iure hereditatis per le sofferenze patite dalla congiunta nel periodo intercorso tra l' intervento chirurgico subito e la morte; ritenuto che, nella fattispecie, anche alla luce del principio di ragionevole durata del processo, la condizione di procedibilità si sia avverata, sussistendo tra il procedimento di mediazione ed il presente giudizio piena identità di causa petendi e parziale identità di petitum, a nulla rilevando che nell' istanza di mediazione gli attori abbiano quantificato le somme richieste diversamente rispetto all' atto di citazione, ovvero non abbiano domandato il risarcimento del danno non patrimoniale iure hereditatis; potendo la parte istante, al fine di addivenire alla conciliazione, domandare meno di quanto chiederebbe in sede processuale ed avendo, in ogni caso, parte convenuta avuto, in sede di mediazione, piena cognizione dei fatti posti a fondamento della pretesa attorea ed essendo stata messa, pertanto, nelle condizioni di valutare l' opportunità della Conciliazione".
Venendo al merito, secondo l'orientamento tradizionale affermatosi in tema di responsabilità civile derivante da attività medica (da ultimo messo in discussione, con riferimento alla posizione dei sanitari, a seguito dell' entrata in vigore del c.d. decreto Balduzzi, il quale contiene un espresso rinvio all' art. 2043 c.c.), l'attore deve provare l' esistenza del contratto, ovvero il contatto sociale, l'insorgenza della patologia ed allegare un inadempimento qualificato del sanitario, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, restando a carico del medico o della struttura sanitaria la prova che tale inadempimento non si sia verificato, ovvero che nessun rimprovero di scarsa diligenza o di imperizia possa essere mosso, o che il mancato o inesatto adempimento sia stato determinato da un evento imprevedibile ed inevitabile secondo l'ordinaria diligenza (cfr. Cass. Civ., III, 20.10.2014, N. 22222; Cass. Civ., III, 30.9.2014, N. 20547; Cass. Civ., III, 12.12.2013, N. 27855). Per quanto attiene specificamente alla responsabilità della struttura sanitaria, si evidenzia che, secondo un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, il rapporto che si instaura tra paziente ed ente ospedaliero ha la propria fonte in un atipico contratto a prestazioni corrispettive, con effetti protettivi nei confronti del terzo, dal quale insorgono a carico dell' ente, accanto a quelli di tipo latu sensu alberghieri, obblighi di messa a disposizione del personale medico ausiliario, del personale paramedico e dell' apprestamento di tutte le attrezzature necessarie.
Ne consegue che la responsabilità - di natura contrattuale - della struttura nei confronti del paziente può discendere sia dall' inadempimento delle obbligazioni direttamente incombenti a suo carico, ex art. 1218 c.c., sia, ex art. 1228 c.c., dall' inadempimento della prestazione medico professionale svolta direttamente dal sanitario, quale suo ausiliario necessario, sussistendo un collegamento tra la prestazione effettuata dai sanitari e l' organizzazione aziendale.
Con riferimento al nesso di causalità, si è affermato che, in tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria, incombe sul paziente che agisce per il risarcimento del danno l' onere di provare il nesso di causalità tra l' evento di danno (aggravamento della patologia preesistente, ovvero insorgenza di una nuova patologia) e l' azione o l' omissione dei sanitari, non potendosi predicare, rispetto a tale elemento della fattispecie, il principio della maggiore vicinanza della prova al debitore, in virtù del quale, invece, incombe su quest' ultimo l' onere della prova contraria solo relativamente alla colpa ex art. 1218 cod. civ. (Cass. Sez. 3 - , Ordinanza n. 20812 del 20/08/2018, Rv. 650417 - 01). omissis Ancora, sulla scorta di un condivisibile e consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, si rileva che, nel caso in cui l'attore abbia chiesto con l'atto di citazione il risarcimento del danno da colpa medica per errore nell'esecuzione di un intervento chirurgico (e, quindi, per la lesione del diritto alla salute), e domandi poi in corso di causa anche il risarcimento del danno derivato dall' inadempimento, da parte dello stesso medico, del dovere di informazione necessario per ottenere un consenso informato (inerente al diverso diritto alla autodeterminazione nel sottoporsi al trattamento terapeutico), si verifica una "mutatio libelli" e non una mera "emendatio", in quanto nel processo viene introdotto un nuovo tema di indagine e di decisione, che altera l'oggetto sostanziale dell'azione e i termini della controversia, tanto da porre in essere una pretesa diversa da quella fatta valere in precedenza (Cass. Sez. 3 - , Sentenza n. 24072 del 13/10/2017, Rv. 645833 - 01). Tanto premesso, si osserva che, nel caso in esame, né in atto di citazione, né nella prima memoria ex art. 183, comma VI, c.p.c. vi sono allegazioni relative all' inadempimento, da parte dei sanitari, del dovere di informazione necessario ad ottenere un consenso informato, né la relativa domanda risarcitoria risulta proposta; soltanto nella formulazione del quesito da sottoporre al CTU, contenuto nella seconda memoria ex art. 183, comma VI, c.p.c. di parte attrice, si fa riferimento al profilo relativo al consenso informato, con conseguente tardività della relativa allegazione, successiva alla maturazione delle preclusioni relative alla definizione del thema probandum e decidendum. Ancora, ritiene il Tribunale di aderire all' orientamento di legittimità secondo il quale la domanda di risarcimento del danno da perdita delle chance di guarigione di un prossimo congiunto, in conseguenza d' una negligente condotta del medico che l' ebbe in cura, deve essere formulata esplicitamente e non può ritenersi implicita nella richiesta generica di condanna del convenuto al risarcimento di "tutti i danni" causati dalla morte della vittima (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 21245 del 29/11/2012, Rv. 624449 -01). Infatti "la domanda per perdita di chances è ontologicamente diversa dalla domanda di risarcimento del danno da mancato raggiungimento del risultato sperato, perché in questo secondo caso l' accertamento è incentrato sul nesso causale, mentre nel primo oggetto dell' indagine è un particolare tipo di danno, e segnatamente una distinta ed autonoma ipotesi di danno emergente, incidente su di un diverso bene giuridico, quale la mera possibilità del risultato finale". Né può reputarsi che, nella fattispecie, tale domanda sia stata esplicitamente proposta, per il solo fatto che a pag. 12 dell' atto di citazione la parte abbia incidentalmente fatto riferimento al "crollo irreversibile delle chances di vita della predetta". Pertanto, le domande attoree devono essere rigettate, non essendo emersa, sulla base delle risultanze istruttorie, la prova della sussistenza del nesso di causalità tra le condotte colpose imputate ai sanitari ed i danni lamentati dagli attori, con conseguente assorbimento di ogni altra eccezione e/o domanda. Spese processuali Tenuto conto della natura del giudizio, della qualità delle parti e della complessità delle questioni trattate, sia in fatto, che in diritto, sussistono gravi ed eccezionali ragioni per compensare integralmente le spese di lite tra le parti, ai sensi dell' art. 92, comma 2, c.p.c., come interpretato a seguito della pronuncia della Corte Costituzionale n. 77/2018. Deve, infine, darsi atto che, con decreto del 24.04.2018, è stata rigettata l' istanza di liquidazione presentata dal CTU, per essere stata la stessa presentata oltre il termine previsto, a pena di decadenza, dall'art. 71, comma 2, D.P.R. 115/2002 (ovvero oltre i 100 giorni dal compimento delle operazioni).

PQM

Il Tribunale di Mantova, definitivamente pronunciando, ogni altra eccezione, domanda o istanza rigettata o assorbita, così dispone: rigetta le domande attoree; compensa integralmente le spese di lite tra le parti.

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.