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28 ottobre 2019

43/19. Domanda riconvenzionale: no alla mediazione obbligatoria (Osservatorio Mediazione Civile n. 43/2019)

=> Tribunale di Taranto, 2 maggio 2019

Va condiviso l’orientamento interpretativo secondo cui la mediazione obbligatoria (cfr. art. 5, comma 1 bis, d.lgs. 28/2010) non si estende alle domande riconvenzionali sollevate dal convenuto, o proposte da eventuali terzi intervenuti; orientamento che appare maggiormente conforme alla stessa ratio del tentativo obbligatorio di mediazione, identificabile in ragioni di economia processuale, conseguendone che dilazionare il processo per permettere l'esperimento del tentativo di conciliazione, su domande ulteriori rispetto a quella introduttiva, sarebbe contrario alle intenzioni del legislatore (I) (II).


(II) Tra le ragioni poste alla base dell’indirizzo interpretativo seguito dalla sentenza qui massimata (invero contrastato da altro e contrario filone giurisprudenziale), la stessa pronuncia esplicitamente osserva che “il procedimento di mediazione sulla domanda riconvenzionale non è generalmente idoneo, dopo il fallimento del procedimento di mediazione sulla domanda principale, a porre fine al giudizio (cfr. Tribunale Reggio Calabria, 22 aprile 2014, in Osservatorio Mediazione Civile n. 42/2014; Tribunale di Palermo, 11 luglio 2011, in Osservatorio Mediazione Civile n. 29/2012)”.

Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 43/2019

Tribunale di Taranto
Sentenza
2 maggio 2019

Omissis

Con atto di citazione ritualmente notificato omissis s.r.l. ha convenuto in giudizio innanzi all'intestato tribunale omissis s.r.l., deducendo che con contratto stipulato il 25.08.2006 e registrato il successivo 28.08.2006 aveva ceduto in locazione in favore della società convenuta (poi resistente) i locali di sua proprietà omissis per un canone mensile di Euro 5.000,00 ridotto a Euro 4.000,00 per il primo anno e a Euro 4.500,00 per il secondo, al fine di agevolare l'avvio della produzione, e successivamente, a decorrere dal mese di ottobre 2010 e fino al dicembre 2011 a Euro 4.000,00 mensili; che i pagamenti non erano avvenuti con regolarità e erano cessati dal settembre 2013 sino a novembre 2013, data di rilascio dell'immobile; chiedeva pertanto che la convenuta (di seguito resistente) fosse condannata al versamento della somma complessiva di Euro 82.076,06, di cui Euro 79.576,06 a titolo di canoni non corrisposti e Euro 7.500,00 a titolo di risarcimento dei danni, detraendo la cauzione di Euro 5.000,00 versata al momento della stipula del contratto.
Con comparsa di costituzione e risposta con domanda riconvenzionale depositata in data 02.05.2014 omissis s.r.l. si è costituita nel presente giudizio e ha, in via preliminare, eccepito la nullità dell'atto di citazione, atteso che oggetto della domanda è materia locatizia, per cui la stessa andava proposta con ricorso ex artt. 447 bis e 414 c.p.c.; ha, inoltre, eccepito la improcedibilità della domanda per mancato esperimento del tentativo di mediazione e la nullità della domanda ai sensi degli artt. 164, comma 4, e 163, comma 3, n. 4, c.p.c.; nel merito ha rilevato l'insussistenza del credito per canoni di locazione, per effetto della riduzione pattuita dal marzo 2013 a Euro 3.850,00 mensili e che l'IVA sino all'ottobre 2013 era fissata al 21%; l'infondatezza della spiegata domanda risarcitoria; ha proposto, quindi, domanda riconvenzionale di risoluzione contrattuale per inadempimento della locatrice, consistito nella mancata consegna alla conduttrice della documentazione indispensabile per lo svolgimento dell'attività in relazione alla quale fu stipulato il contratto (istituto scolastico), che aveva determinato il diniego dell'istanza per il riconoscimento della parità scolastica da parte del Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca; ha segnatamente dedotto che l'anticipata risoluzione del contratto di locazione aveva cagionato danni alla società convenuta pari a Euro 40.000,00; che era da ritenersi indebito, per effetto della risoluzione del contratto, il pagamento dei canoni di locazione da giugno 2008 a giugno 2009 pari a Euro 48.000,00, di cui domandava la restituzione; che era inoltre dovuta l'indennità per la perdita di avviamento commerciale ex art. 34 L. n. 392 del 1978 e per i miglioramenti apportati al bene locato, pari a Euro 20.000,00, oltre alla restituzione della somma di Euro 5.000,00 versata a titolo di caparra.
All'udienza del 28 maggio 2014 veniva concesso termine di gg. 15 per l'esperimento della mediazione obbligatoria.
Con memoria del 19.9.2014, la società ricorrente rideterminava, sulla scorta dei rilievi di parte resistente in punto di riduzione del canone e IVA, in Euro 67.944,94 la somma dovuta per canoni di locazione non versati, e chiedeva all'istruttore l'emissione di ordinanza di pagamento ex art. 423 c.p.c. ovvero 186-bis c.p.c., istanza rigettata con ordinanza del 10.11.2014.
All'udienza del 18.03.2015, veniva disposto il mutamento del rito da ordinario a speciale locatizio e assegnati alle parti termini per eventuale integrazione degli atti introduttivi.
La causa, a seguito del mutamento del rito, è stata istruita a mezzo di interrogatorio formale dei legali rappresentanti delle parti e prova per testi, e infine, riservata per la decisione dal precedente istruttore ai sensi dell'art. 190 c.p.c. all'udienza del 15.02.2017, è stata rimessa sul ruolo per la discussione ai sensi dell'art. 447 bis c.p.c. e decisa all'udienza del 2 maggio 2019, con lettura in udienza del dispositivo e delle contestuali motivazioni.

Le eccezioni preliminari.
Le eccezioni preliminari rilevate dalla società convenuta (e dalla attrice quanto alla asserita improcedibilità della domanda riconvenzionale per non avere la parte resistente esperito il procedimento di mediazione obbligatorio per legge) sono infondate.
In punto di improcedibilità della domanda per mancato esperimento del procedimento di mediazione obbligatoria, le eccezioni delle parti non meritano accoglimento, atteso che la condizione di procedibilità è stata adempiuta attraverso il rituale espletamento della mediazione ad opera della parte resasi diligente (ovvero la società ricorrente) nel termine assegnato dal Presidente Istruttore all'udienza del 28 maggio 2014 e pertanto non sussiste la eccepita improcedibilità.
Secondo il prevalente orientamento giurisprudenziale in materia, invero, la mediazione obbligatoria non si estende alle domande riconvenzionali sollevate dal convenuto, o proposte da eventuali terzi intervenuti.
Le ragioni poste alla base di tale condivisibile indirizzo interpretativo possono essere così sintetizzate:
a) le disposizioni che prevedono condizioni di procedibilità sono di stretta interpretazione, poiché introducono limitazioni all'esercizio del diritto di agire in giudizio, garantito dall'art. 24 Cost., quindi la locuzione "chi intende esercitare in giudizio un'azione", contenuta nel comma 1, art. 5, D.Lgs. n. 28 del 2010, sarebbe da intendersi come "chi intende instaurare un giudizio";
b) vanno fatti salvi i principi di ragionevole durata del processo e di equilibrata relazione tra procedimento giudiziario e mediazione, indicato nella direttiva comunitaria 2008/52/CEE;
c) il procedimento di mediazione sulla domanda riconvenzionale non è generalmente idoneo, dopo il fallimento del procedimento di mediazione sulla domanda principale, a porre fine al giudizio (cfr. Tribunale Reggio Calabria, 22 aprile 2014, in Osservatorio Mediazione Civile n. 42/2014; Tribunale di Palermo, 11 luglio 2011, in Osservatorio Mediazione Civile n. 29/2012);
d) l'art. 5, comma 1-bis, D.Lgs. n. 28 del 2010, prevede la facoltà del convenuto di eccepire il mancato tentativo di mediazione, sicché va considerato tale "chi viene citato in giudizio", e non già "chi, avendo promosso un'azione e , pertanto, notificato ad altri una vocatio in ius, risulti a sua volta destinatario di una domanda, collegata a quella originaria";
e) non è opportuno consentire che vengano formulate domande riconvenzionali al solo fine di costringere il giudice a mandare le parti in mediazione, così da dilazionare i tempi del processo; infine
f) l'interpretazione propugnata dalla giurisprudenza di legittimità già con riferimento all'art. 46 della L. n. 203 del 1982 e, cioè, che " l'onere del preventivo esperimento del tentativo di conciliazione ... sussiste, oltre che a carico dell'attore che agisce in via principale in giudizio, anche nei confronti del convenuto che proponga una domanda riconvenzionale, secondo uno dei criteri di collegamento previsti dall'art. 36 cod. proc. civ."(Cass. 18 gennaio 2006, n. 830).
L'orientamento qui condiviso appare, pertanto, maggiormente conforme alla stessa ratio del tentativo obbligatorio di mediazione, identificabile in ragioni di economia processuale, conseguendone che dilazionare il processo per permettere l'esperimento del tentativo di conciliazione, su domande ulteriori rispetto a quella introduttiva, sarebbe contrario alle intenzioni del legislatore.
Quanto alla nullità della domanda per essere stata introdotta con atto di citazione anzicchè con ricorso, deve osservarsi che con ordinanza emessa all'udienza del 18.03.2015 è stato disposto il mutamento del rito da ordinario a speciale locatizio e che le parti hanno ritualmente integrato gli atti introduttivi mediante il deposito di memorie integrative nei termini all'uopo concessi, con l'effetto che l'eccezione deve ritenersi definitivamente superata.
In relazione alla nullità della domanda per violazione dell'art. artt. 164, comma 4, e 163, comma 3, n. 4, c.p.c., la domanda non presenta profili di incompletezza ed indeterminatezza essendo stati esposti in modo sintetico ma esauriente gli aspetti fattuali e giuridici che ne costituiscono il fondamento.

Nel merito, la domanda è fondata, per quanto di ragione. omissis
Tutte le ulteriori domande sono prive di fondamento e devono, pertanto, essere rigettate.
Quanto alla ulteriore domanda di risarcimento del danno proposta dalla società ricorrente, essa è rimasta del tutto sfornita di prova e, d'altronde, la situazione dei luoghi, per come ricavabile dai rilievi fotografici prodotti, peraltro privi di qualsiasi attestazione circa la data della loro effettuazione e quindi non certamente riferibili al momento del rilascio, non attestano se non problematiche di scarsissima entità e presumibilmente di modesto rilievo economico.
Sul punto una CTU, la cui richiesta non è stata peraltro formalmente reiterata dalla società ricorrente in sede di conclusioni, avrebbe natura palesemente esplorativa, risultando inoltre inutilmente onerosa per le parti e contraria ad esigenze di economia processuale.
In relazione alla domanda di risoluzione del contratto per inadempimento proposta in via riconvenzionale dalla società resistente, con conseguente domanda di restituzione dei canoni versati e risarcimento del danno subito per effetto del mancato conseguimento delle autorizzazioni necessarie all'esercizio dell'attività al cui esercizio il bene è destinato, deve osservarsi che la specifica destinazione d'uso cui sarà adibito l'immobile locato (nel caso di specie ad istituto scolastico) è di norma determinata da quanto dichiarato e convenuto tra le parti nel contratto di locazione ovvero da esso desumibile. Allorché per l'esercizio dell'attività prevista nel contratto di locazione siano poi necessarie specifiche autorizzazioni amministrative, che il conduttore non riesca ad ottenerle dai competenti enti pubblici per mancanza di requisiti dell'immobile, potrebbe astrattamente sussistere una responsabilità in capo al locatore.
Al fine di valutare se in effetti ricorra la responsabilità del locatore occorre, tuttavia, a mente del più recente e restrittivo orientamento della giurisprudenza di legittimità, accertare se sia stata stipulata una espressa clausola contrattuale con la quale il locatore si sia assunto l'obbligo di garantire l'idoneità del bene all'uso pattuito ovvero il conseguimento delle necessarie licenze ed autorizzazioni, in quanto solo in questa ultima ipotesi il locatore sarà responsabile, accertata l'inidoneità del bene all'uso a cui è destinato o la mancata attivazione dell'obbligato nell'ottenimento delle certificazioni richieste, ad agire per la risoluzione del contratto e l'eventuale risarcimento del danno.
In punto di distribuzione dell'onere della prova, si afferma, peraltro, con indirizzo ormai consolidato, che nei contratti di locazione relativi ad immobili destinati ad uso non abitativo grava sul conduttore l'onere di verificare con la dovuta diligenza che le caratteristiche del bene siano adeguate a quanto tecnicamente necessario per lo svolgimento dell'attività che egli intende esercitarvi, nonché al rilascio delle necessarie autorizzazioni amministrative, con l'effetto che ove il conduttore non riesca ad ottenere tali autorizzazioni, non è configurabile alcuna responsabilità per inadempimento a carico del locatore e ciò anche se il diniego sia dipeso dalle caratteristiche dello stesso bene locato.
La destinazione dell'immobile può, allora, assumere rilevanza, quale condizione di efficacia, quale elemento presupposto o, infine, quale contenuto dell'obbligo assunto dal locatore nella garanzia di pacifico godimento dell'immobile in relazione all'uso convenuto, solo se abbia formato oggetto di specifica pattuizione, non essendo sufficiente la mera enunciazione, in contratto, che la locazione sia stipulata per un certo uso, a maggior ragione allorché vi sia stato il riconoscimento dell'idoneità dell'immobile da parte del conduttore in relazione alla specifica destinazione (cfr. Cass., 3, n. 1735 del 25/1/2011; Cass., 3, n. 5836 del 13/3/2007; Cass., 3, n. 25278 del 1/12/2009: Cass. 3.12.2010, n. 1735; App. Milano, sent. n. 3525/2017, Cass. sent. n. 11865/2015).
Tali principi sono stati di recente ribaditi, con ancora maggiore vigore, dalla S.C. che con sentenza del 7 giugno 2018, n. 14731 ha affermato quanto segue: " omissis ".
Sulla scorta di tali rigorosi principi interpretativi, va quindi esaminata la fattispecie in esame. omissis Conclusivamente, non sussistendo alcun espresso obbligo in capo al locatore di assicurare l'ottenimento delle autorizzazioni amministrative necessarie per l'espletamento dell'attività cui l'immobile era nello specifico destinato, non può ritenersi ricorrere nella fattispecie in esame alcun inadempimento contrattuale ascrivibile al locatore, il cui comportamento è stato invece costantemente improntato a diligenza e buona fede, con l'effetto che devono essere rigettate, in quanto infondate, le domande di risoluzione del contratto, di restituzione dell'indebito e di risarcimento del danno.
Quanto al rimborso dei presunti miglioramenti, è del tutto verosimile ritenere che le opere appaltate alla società L. s.r.l. con contratto del 3 luglio 2008 (v. fascicolo parte resistente allegato n. 7), vadano identificate con gli "adattamenti" di cui hanno riferito i citati testimoni, autorizzati dal locatore e da effettuarsi a cura e spese del conduttore, come ammesso dalla stessa sig.ra G., legale rappresentante della società resistente nel corso dell'interrogatorio formale.
In ogni caso, non è stato provato che essi sussistessero al momento del rilascio, per cui la relativa domanda va anch'essa respinta.
Infine, non è fondata la pretesa della resistente di indennità per perdita dell'avviamento ex art. 34 L. n. 392 del 1978, in quanto il conduttore di un locale ad uso non abitativo ha diritto all'indennità per la perdita di avviamento" in caso di cessazione del rapporto di locazione soltanto se non dovuta a disdetta o recesso del conduttore stesso, ciò che nel caso di specie deve ritenersi pacifico, in quanto è incontestato che la società resistente ebbe a recedere dal contratto, rilasciando l'immobile in data 6.12.2013, come ammesso dal legale rappresentante della società resistente in sede di interrogatorio formale.

Le spese.
Le spese processuali seguono la soccombenza e tenuto conto della soccombenza di parte ricorrente su alcuni capi della domanda, questo giudice reputa equo compensarle al 25 % tra le parti e quindi condannare la società resistente al rimborso verso la parte ricorrente della parte residua, che si liquida in Euro 700,00 per esborsi ed Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge.

PQM

Il Tribunale di Taranto, seconda sezione civile, in composizione monocratica nella persona della dott.ssa Stefania D'Errico, sentita la discussione della causa, decidendo sulla domanda proposta con atto di citazione notificato in data 06.02.2014 dalla omissis s.r.l., in persona omissis, nei confronti della omissis s.r.l., in persona omissis, con successivo mutamento del rito da ordinario a locatizio, e sulla domanda riconvenzionale proposta da quest'ultima nei confronti della società ricorrente a mezzo della comparsa di costituzione e risposta con domanda riconvenzionale depositata il 02.05.2014, così provvede: accoglie, per quanto di ragione, la domanda e, per l'effetto: condanna la resistente omissis s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., al pagamento in favore della società ricorrente omissis s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., della somma di Euro 62.944,06, oltre interessi legali dal di' della singola maturazione del credito sino al saldo, a titolo di canoni di locazione scaduti in relazione ai periodi indicati nell'atto introduttivo del giudizio, in virtù del contratto di locazione stipulato tra le parti in data 25.08.2006 e registrato il 28.08.2006, detratto quanto versato a titolo di deposito cauzionale; rigetta ogni altra domanda; dichiara compensate al 25% le spese processuali tra le parti; condanna la resistente omissis s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., al rimborso in favore della società ricorrente omissis s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., della residua parte, liquidata come da motivazione, oltre accessori come per legge.

Così deciso in Taranto, il 2 maggio 2019.
Depositata in Cancelleria il 2 maggio 2019.

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.