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31 marzo 2017

24/17. Ammissione al patrocinio a spese dello Stato in caso di mediazione obbligatoria (Osservatorio Mediazione Civile n. 24/2017)

=> Tribunale di Firenze, 13 dicembre 2016

Va confermata l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato con riferimento alla procedura di mediazione obbligatoria ex art. 5, comma 1-bis, d.lgs. 28/2010 (I). Difatti, se l’attività professionale di natura stragiudiziale che l'avvocato si trovi a svolgere venga espletata in vista di una successiva azione giudiziaria, essa è ricompresa nell'azione stessa ai fini della liquidazione a carico dello Stato (II), come nel caso della mediazione obbligatoria; e ciò anche qualora la mediazione abbia avuto esito positivo, in quanto pare paradossale che la liquidazione a spese dello Stato non trovi applicazione proprio quando il difensore svolga al meglio le sue prestazioni professionali, favorendo il raggiungimento dell’accordo in mediazione (III). In definitiva, un'interpretazione sistematica teleologica delle norme richiamate induce il Giudice a ritenere che l'art. 75 DPR 115/2002, secondo cui l'ammissione al patrocinio è valida per ogni grado e per ogni fase del processo e per tutte le eventuali procedure, derivate ed accidentali, comunque connesse, comprenda la fase della mediazione obbligatoria pre-processuale anche quando la mediazione, per il suo esito positivo, non sia seguita dal processo. La conclusione raggiunta appare l'unica conforme ai parametri costituzionali (artt. 2, 3 e 24 cost.) e adeguata al mutamento in corso dei sistemi di soluzioni delle liti. Il sistema del “gratuito patrocinio” dovrà poi essere ripensato da chi detiene il potere legislativo, riconsiderando i casi di mediazione facoltativa o di negoziazione assistita. Da ultimo, si precisa che l’argomento secondo cui sarebbe necessario che il difensore sia munito di procura alle liti non pare determinante, proprio alla luce del nesso teleologico fra l’attività stragiudiziale e la successiva azione giudiziaria (IV).


(II) Si veda al riguardo Cass. n. 9529 del 2013.

(III) Non appare rilevante dunque che poi, in concreto, in base cioè al concreto risultato della mediazione, il processo non abbia più luogo perché divenuto inutile alla luce dell'accordo raggiunto: la mediazione obbligatoria è sempre connessa e funzionale alla fase processuale anche se poi questa in concreto non abbia luogo.

(IV) E sufficiente una valutazione sostanziale di strumentalità dell’attività stragiudiziale volta a comporre un conflitto in vista della futura ed eventuale domanda giudiziale.

Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 24/2017

Tribunale di Firenze
13 dicembre 2016

Omissis

L’avv. X ha presentato istanza volta ad ottenere la liquidazione del compenso per l'attività professionale svolta a favore della parte sopraindicata, ammessa al gratuito patrocinio con delibera del Consiglio dell’ordine degli Avvocati di Firenze del 7.1.2015.
Nella domanda per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, l’istante aveva premesso di voler iniziare una causa di scioglimento di comunione avanti al Tribunale di Firenze, specificando che la richiesta riguardava anche la procedura di mediazione obbligatoria ex art. 5 comma 1-bis dlgs 28/2010.
Nella richiesta di liquidazione, l’istante specifica che la mediazione ha avuto esito positivo e si è conclusa con accordo; chiede pertanto che siano liquidate le spese con riferimento alle attività svolte con riferimento alla fase di mediazione obbligatoria preprocessuale, prodromica alla domanda di scioglimento di comunione.
È opportuno ricordare il provvedimento del 13.1.2015 emesso da questo Giudice, di cui per completezza si riporta la motivazione:
“[…] La questione che si pone è se il compenso professionale dell’avvocato che ha assistito una parte nella procedura di mediazione, prevista quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale, possa essere posto a carico dello Stato.
Va premesso che la questione non è espressamente affrontata nella disciplina in materia di mediazione. L’art. 17 dl Dlg. 28/2010, al comma 5-bis, infatti, prevede che quando la mediazione è condizione di procedibilità della domanda ai sensi dell’art. 5, comma 1 bis ovvero è disposta dal giudice ai sensi dell’art. 5 comma 2, all’organismo non sia dovuta nessuna indennità dalla parte che si trovi nelle condizioni per l’ammissione al patrocinio a spese dello stato ai sensi dell’art. 76 del t.u. sulle spese di giustizia (D.p.r. n. 115/2002). A tal fine la parte è tenuta a depositare presso l’organismo una dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, nonché a produrre la documentazione necessaria a comprovare la veridicità di quanto dichiarato.
L'unica previsione riguarda dunque l'indennità che sarebbe dovuta all'Organismo; per quanto concerne il compenso all'avvocato, che deve obbligatoriamente assistere le parti nelle fasi di mediazione (art. 5 e 8 d.lgs. n. 28/2010), si rileva invece una lacuna che deve essere colmata in via interpretativa.
Il quadro normativo da esaminare non può che partire dall’art. 24 Cost.: dopo aver previsto, al primo comma, il diritto di agire a difesa dei propri diritti e interessi legittimi, si afferma, al secondo comma, che “la difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento “. Il terzo comma prevede inoltre che “sono assicurati ai non abbienti con appositi istituiti, i mezzi per agire e difendersi avanti ad ogni giurisdizione.” Sul piano della legge ordinaria, l'art. 74 del D.p.r. 115/2002 prevede l'istituzione del patrocinio per il non abbiente, assicurato per il processo penale, nonché per il processo civile, amministrativo, contabile, tributario e per gli affari di volontaria giurisdizione quando le sue ragioni non risultino manifestamente infondate. L'articolo 75 del DPR. n.115/2002 (Ambito di applicabilità) prevede al primo comma: “1. L'ammissione al patrocinio è valida per ogni grado e per ogni fase del processo e per tutte le eventuali procedure, derivate ed accidentali, comunque connesse”.
Secondo l’orientamento tradizionale, poiché le norme fanno riferimento al processo, si ritiene impossibile far rientrare nel gratuito patrocinio l’attività stragiudiziale: se anche vi fosse l'ammissione da parte del Consiglio dell’ordine, non sarebbe comunque possibile la liquidazione a spese dello Stato.
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 24723 del 23.11.2011, ha riaffermato che il patrocinio a spese dello Stato riguarda esclusivamente la difesa in giudizio non potendo coprire l’attività stragiudiziale. Con la pronuncia, tuttavia, la Corte, richiamando un proprio precedente, fa salva una nozione estesa di attività giudiziale perché afferma che devono considerarsi giudiziali anche quelle attività stragiudiziali che, essendo strettamente dipendenti dal mandato alla difesa, vanno considerate strumentali o complementari alle prestazioni giudiziali, cioè di quelle attività che siano svolte in esecuzione di un mandato alle liti conferito per la rappresentanza e la difesa in giudizio (sulla base di tale presupposto, nella precedente decisione, era stato riconosciuto dovuto il compenso per l'assistenza e l'attività svolta dal difensore per la transazione della controversia instaurata dal medesimo).
Anche di recente, la pronuncia della S.C. del 19 aprile 2013, n. 9529 riconferma l'orientamento ricordato: l'attività professionale di natura stragiudiziale che l'avvocato si trovi a svolgere nell'interesse del proprio assistito, non è ammessa, di regola, al patrocinio a spese dello Stato ai sensi dell'art. 85 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, in quanto esplicantesi fuori del processo, per cui il relativo compenso si pone a carico del cliente. Tuttavia, se tale attività venga espletata in vista di una successiva azione giudiziaria, essa è ricompresa nell'azione stessa ai fini della liquidazione a carico dello Stato ed il professionista non può chiederne il compenso al cliente ammesso al patrocinio gratuito, incorrendo altrimenti in responsabilità disciplinare.
Dal principio affermato dalla S.C., si desume dunque che l’avvocato, il quale non può chiedere il compenso al cliente pena la sanzione disciplinare, deve poterlo chiedere allo Stato.
La cauta apertura della S.C. può agevolmente essere valorizzata e coordinata con la disciplina della mediazione obbligatoria introdotta dal d.lgs. n. 28/2010 perché, nei casi in cui il procedimento giudiziario (rispetto al quale la mediazione costituisce condizione di procedibilità) inizi o prosegua, l’attività dell'avvocato ben integra la nozione lata di attività giudiziale accolta dalla Corte, ossia di attività strumentale alla prestazione giudiziale e svolta in esecuzione di un mandato alle liti conferito per la rappresentazione e difesa in giudizio.
Più problematico sembra il caso in cui la mediazione abbia avuto esito positivo: in tal caso, secondo alcuni, non avrebbe svolgimento nessuna ‘fase processuale’ nell’ambito della quale liquidare il compenso e non sarebbe possibile considerare il compenso per il difensore che ha assistito la parte in mediazione a carico dello Stato.
Un tale risultato pare paradossale dal momento che la liquidazione a spese dello Stato non troverebbe applicazione proprio quando il difensore ha svolto al meglio le sue prestazioni professionali, favorendo il raggiungimento dell’accordo in mediazione. E ciò anche se la mediazione è obbligatoria, come obbligatoria è l’assistenza dell’avvocato (art. 5, comma 1 bis e art. 8 d.lgs. n.28/2010). Ne deriverebbe un risultato irragionevole e di fatto una sorta di disincentivo rispetto ad un istituto che invece il legislatore sta cercando di promuovere in vario modo (in tale ottica si colloca anche la stessa previsione dell’obbligatorietà rispetto all’inizio del processo per un periodo limitato: art. 5, comma 1 bis, d.lgs 28/2010).
Il tema è certo delicato, anche perché liquidare a carico dello Stato un compenso non previsto da alcuna norma esporrebbe il giudice al rischio della responsabilità contabile.
Si è rilevato anche che nel verbale di conciliazione le parti e rispettivi difensori possono disciplinare l’aspetto del compenso per i legali e inoltre questi potranno avvalersi della regola della solidarietà, ribadita dall'art. 13, comma 8 della nuova legge forense (n. 247/2012).
Il problema tuttavia è duplice: sicuramente vi è l'esigenza di riconoscimento e remunerazione dell'attività difensiva: coloro che accennano alla solidarietà intendono rassicurare sulla esigibilità del credito professionale, se non dalla parte non abbiente, almeno dall'altra parte grazie al vincolo della solidarietà. Tuttavia, in tal modo si finisce pur sempre di riversare sui privati (il difensore o la parte abbiente) un onere che dovrebbe essere sostenuto dallo Stato. Se infatti quest'ultimo mostra, con una serie di interventi, un chiaro favore verso forme non giurisdizionali di tutela nell'intento di offrire più vie di soluzione dei conflitti (dalla disciplina della mediazione a quella su arbitrato e negoziazione assistita di cui al recente d.l. n. 132/2014), anche la disciplina dell'aiuto ai non abbienti non dovrebbe più essere limitata all'aiuto nella sede giudiziaria.
Occorre allora valutare il movimento europeo di vasto respiro in cui si inscrivono gli interventi ricordati (al di là della loro concreta disciplina) e approfondire l'esegesi delle norme che vengono in campo per verificare la possibilità, già in base alla legislazione esistente, che la parte non abbiente possa usufruire dell'aiuto statale anche quando alla mediazione, dato l'esito positivo, non faccia seguito il processo.
Occorre dunque tentare di ricostruire il sistema alla luce della normativa in tema di mediazione, della Costituzione e delle fonti europee.
Un'interpretazione sistematica e teleologica delle norme richiamate induce il Giudice a ritenere che l'art. 75 sopra citato comprenda sempre la fase della mediazione obbligatoria preprocessuale. Tale conclusione (che vale anche per la mediazione demandata dal giudice ex art. 5, comma 2 d.lgs. n. 28/2010) è sostenuta dalle seguenti considerazioni.
Innanzitutto la conclusione accolta trova elementi di sostegno nell'ambito del diritto eurounitario (a partire dall’art. 47 della c.d. Carta di Nizza, secondo cui “a coloro che non dispongono di mezzi sufficienti è concesso il patrocinio a spese dello stato qualora ciò sia necessario per assicurare un accesso effettivo alla giustizia”) e della disciplina con cui l'Italia ha recepito la direttiva europea sul Legal aid, volta a migliorare l'accesso alla giustizia nelle controversie frontaliere civili (Direttiva 2002/8/CE del Consiglio del 27/1/2003). L’art. 3 di tale direttiva recita: Art. 3. Diritto al patrocinio a spese dello Stato. 1. La persona fisica, che sia parte in una controversia ai sensi della presente direttiva, ha diritto a un patrocinio adeguato a spese dello Stato che le garantisca un accesso effettivo alla giustizia in conformità delle condizioni stabilite dalla presente direttiva. Il patrocinio a spese dello Stato è considerato adeguato se garantisce: a) la consulenza legale nella fase precontenziosa al fine di giungere a una soluzione prima di intentare un'azione legale; b) l'assistenza legale e la rappresentanza in sede di giudizio, nonché l'esonero totale o parziale dalle spese processuali, comprese le spese previste all'articolo 7 e gli onorari delle persone incaricate dal giudice di compiere atti durante il procedimento. La direttiva estende il legal aid alle procedure stragiudiziali (art. 10).
Il d.lgs. 27.5.2005, n. 116, che ha recepito la direttiva, prevede all'art. 10 che “Il patrocinio è, altresì, esteso ai procedimenti stragiudiziali, alle condizioni previste dal presente decreto, qualora l'uso di tali mezzi sia previsto come obbligatorio dalla legge ovvero qualora il giudice vi abbia rinviato le parti in causa”.
Si tratta di disposizioni che concernono le controversie transfrontaliere, ma che offrono elementi ulteriori per avvalorare l’interpretazione qui accolta che estende l’aiuto legale alla fase pre-processuale, apparendo del tutto irrazionale e non conforme all’art. 3 della costituzione che il cittadino possa usufruire dell’aiuto statale per la lite transfrontaliera e non per quella domestica. E’ significativo che il Consiglio Nazionale Forense, nella circolare n. 25 del 6.12.2013, abbia espressamente richiamato la direttiva sul Legal Aid che ammette al beneficio anche le spese legali sostenute nel corso delle procedure stragiudiziali per sostenere che l’assistenza dei legali, obbligatoria per la mediazione preprocessuale e quella demandata dal giudice, debba rientrare nel patrocinio a spese dello stato.
Un ulteriore elemento, rispetto a quanto osservato, può essere tratto dalla riflessione sulla c.d. giurisdizione condizionata, che ricorre quando il legislatore impone alle parti di compiere una data attività prima di rivolgersi ai giudici, come appunto avviene con l'imposizione del tentativo preventivo di mediazione ex art. 5, comma 1 bis cit.. Il condizionamento della giurisdizione può ritenersi ammissibile in   quanto non comprometta l'esperimento dell'azione giudiziaria che può essere ragionevolmente limitato, quanto all'immediatezza, se vengano imposti oneri finalizzati a salvaguardare “interessi generali”: la sentenza della  Corte Cost. n. 276/2000 in tema di tentativo obbligatorio di conciliazione per le cause di lavoro4, ha affermato che il tentativo in questione soddisfaceva l'interesse generale sotto due profili: da un lato, perché evitava il sovraccarico dell'apparato giudiziario, dall'altro, perché favoriva la composizione preventiva della lite che assicura alle situazioni sostanziali un soddisfacimento più immediato rispetto a quello conseguito attraverso il processo. In sintonia con la nostra Corte costituzionale, anche l'importante decisione della Corte Giustizia eu 18.3.2010, Alassini c. Telecom (che indica le condizioni per ritenere conforme al diritto comunitario il tentativo obbligatorio di conciliazione, nella specie in tema di telecomunicazioni), afferma, tra l'altro, che “i diritti fondamentali non si configurano come prerogative assolute, ma possono soggiacere a restrizioni, a condizione che queste rispondano effettivamente ad obiettivi di interesse generale perseguiti dalla misura di cui trattasi e non costituiscano, rispetto allo scopo perseguito, un intervento sproporzionato ed inaccettabile, tale da ledere la sostanza stessa dei diritti cos  garantiti” (cfr. par. 63 della sentenza).
Sulla base di queste considerazioni, deve reputarsi che la connessione tra fase mediativa e processo, talmente forte da configurare una condizione di procedibilità, vada riconosciuta già in astratto. Non appare rilevante dunque che poi, in concreto, in base cioè al concreto risultato della mediazione, il processo non abbia più luogo perché divenuto inutile alla luce dell'accordo raggiunto. Questo è proprio lo scopo della connessione voluta dal legislatore, connessione che non è eliminata ma anzi esaltata proprio nel momento in cui il raggiungimento dell'accordo in mediazione rende inutile il successivo processo, assicurando quell' interesse generale di cui parla Corte cost. n. 276/2000 citata. Il senso della connessione non sta nel fatto che la mediazione sia un antecedente cronologico delle fasi processuali, ma nella funzione della mediazione: questo sistema offre alle parti di ricercare una soluzione più adeguata al loro conflitto rispetto alla rigidità della decisione giurisdizionale; inoltre, gli accordi risultanti dalla mediazione hanno maggiori probabilità di essere rispettati volontariamente e preservano più facilmente una relazione amichevole e sostenibile tra le parti.
Molteplici sono gli interessi che possono essere soddisfatti, se le parti riescono a riprendere le fila del proprio conflitto: in tutti i casi in cui questo avvenga e si concluda un accordo, la mediazione - obbligatoria - esaurisce la sua funzione rispetto al processo, che è quella di renderlo superfluo. Si tratta del massimo della connessione perché lo scopo della previsione della condizione di procedibilità non può che essere quello di un richiamo alle potenzialità dell'autonomia privata, rimesse in gioco nella sede mediativa, per evitare il procedimento giudiziario quando non sia davvero necessario.
In definitiva, la mediazione (obbligatoria) è sempre connessa e funzionale alla fase processuale anche se poi questa in concreto non abbia luogo. 
Del resto, una parte della dottrina era giunta addirittura a ravvisare la natura paragiurisdizionale della fase di mediazione, rilevando come l’obbligatorietà della mediazione comportasse il suo inserimento in un unico macro-procedimento finalizzato alla tutela dei diritti (disponibili). Ed è interessante richiamare un'affermazione della Corte costituzionale, sia pure in un obiter dictum, nell'ambito di una pronuncia relativa all’impugnazione di una legge regionale veneta: la Corte ha avuto modo di affermare che il procedimento di mediazione obbligatoria previsto dal d.lgs. n. 28/2010, ''rientra nell’esercizio della funzione giudiziaria e nella sfera del diritto civile, giacché, con riferimento al caso di specie, condiziona l’esercizio del diritto di azione finalizzato al risarcimento dei danni da responsabilità civile e prevede ricadute negative per chi irragionevolmente abbia voluto instaurare un contenzioso davanti al giudice, nonostante fosse stata formulata una proposta conciliativa rivelatasi successivamente satisfattiva delle proprie ragioni”.
Pur ritenendo improprio qualificare tout court la mediazione come attività para-giurisdizionale o giudiziaria, è tuttavia corretto porre in risalto - anche - la sua stretta relazione con il processo, quando sia prevista come obbligatoria.
In definitiva, un'interpretazione sistematica teleologica delle norme richiamate induce il Giudice a ritenere che l'art. 75 cit., secondo cui l'ammissione al patrocinio è valida per ogni grado e per ogni fase del processo e per tutte le eventuali procedure, derivate ed accidentali, comunque connesse, comprenda la fase della mediazione obbligatoria pre-processuale anche quando la mediazione, per il suo esito positivo, non sia seguita dal processo. Si tratta infatti di una procedura strettamente connessa al processo, dal momento che condiziona la possibilità avviarlo (o proseguirlo, per la mediazione demandata dal giudice); d'altronde nel caso di successo della mediazione, si realizza il risultato migliore non solo per le parti, ma anche per lo stato che non deve sostenere anche le spese del giudizio. 
Tale conclusione inoltre è conforme alla direttiva europea sul Legal Aid ed è costituzionalmente orientata (art. 3 Cost.), perché sarebbe irragionevole prevedere il sostegno dello stato per i casi di mediazione non conclusa con accordo e seguita da processo e negarla per i casi di mediazione, condizione di procedibilità, non seguita dal processo per l'esito positivo raggiunto. Così come sarebbe illogico riconoscere il gratuito patrocinio per le procedure derivative e accidentali e non per quelle non accidentali ma strutturalmente collegate al processo.
Da ultimo, può essere utile ricordare il tentativo della dottrina di rileggere la condizione di procedibilità (preventiva o successiva) non solo nell'ambito della giurisdizione condizionata, ma anche in una prospettiva di maggiore equilibrio tra giurisdizione e mediazione (art. 1, Dir. 2008/52). In tale prospettiva, la mediazione viene considerata strumento per favorire lo sviluppo della personalità del singolo nella comunità cui appartiene, consentendogli di confrontarsi in un contesto relazionale propiziatorio per una soluzione amichevole. Accanto al diritto alla tutela giurisdizionale sancito dall’art. 24 Cost., diritto inviolabile della persona (ex art. 2 Cost.), andrebbe riconosciuto il diritto alla mediazione, non solo nell'ambito, tradizionalmente indicato, dell'accesso alla giustizia, ma anche quale espressione diretta dell’esigenza di sviluppo della persona nelle relazioni interpersonali e comunitarie, nell’attuazione del complementare principio di solidarietà.
Una tale visione, che ha il pregio di porre in luce l'importanza della mediazione come strumento di pacificazione sociale condivisa e non imposta, fonda il diritto alla mediazione sull'art. 2 cost.: anche tale richiamo può corroborare l'interpretazione qui accolta. 
La conclusione raggiunta appare dunque l'unica conforme ai parametri costituzionali (artt. 2, 3 e 24 cost.) e adeguata al mutamento in corso dei sistemi di soluzioni delle liti: ancorare l'aiuto dello Stato solo al patrocinio in giudizio è frutto di una visione superata nella quale esclusivamente la giurisdizione statale era fonte di giustizia. Da molti anni le fonti europee ribadiscono che l'accesso alla giustizia non si riduce al ‘diritto a un tribunale’’ ma include l’accesso a procedimenti non giurisdizionali di risoluzione delle controversie che, in una prospettiva di ‘’giustizia plurale’, si pongono in rapporto di complementarietà rispetto alla giustizia giurisdizionale7.
Se oggi la tutela dei diritti non è affidata solo alle procedure giudiziarie, perché il legislatore introduce differenti metodi (da ultimo si veda il d.l. n. 132/2014 a proposito di negoziazione assistita e arbitrato), diviene un intervento indispensabile, sul piano della coerenza, ampliare l'aiuto da parte dello Stato dall’aiuto giudiziario all’aiuto giuridico, per chi ha bisogno di avere informazioni o consulenza legale o assistenza, in margine e al di fuori del processo (come nella maggior parte dei paesi europei).
Il sistema del “gratuito patrocinio” dovrà essere ripensato da chi detiene il potere legislativo alla luce della disciplina di origine comunitaria e dovranno essere riconsiderati i casi di mediazione facoltativa o di negoziazione assistita; per i casi di mediazione obbligatoria, quale quello in esame, esistono comunque spazi di interpretazione da sfruttare: il giurista ha il potere/dovere di conformare l'interpretazione delle norme esistenti alla luce dell'evoluzione dell'ordinamento per sopperire lacune o adeguare le norme alle nuove condizioni storico-sociali. 
In tale prospettiva, la garanzia costituzionale del diritto di difesa inviolabile “in ogni stato e grado” (art. 24 cost.), per essere effettiva, deve contemplare anche la fase che, pur concernendo di per sé attività non giurisdizionale per la soluzione dei conflitti, è cos  innestata nella giurisdizione da condizionarne le vicende: ‘in ogni stato’’ è dunque espressione che ricomprende lo stato pre-processuale o endoprocessuale che in modo obbligatorio deve essere attraversato dalle parti perché la giurisdizione possa regolarmente svolgersi. Per assicurare “ai non abbienti …. i mezzi per agire e difendersi avanti ad ogni giurisdizione” , è indispensabile riconoscere a carico dello stato anche il compenso del legale nella fase mediativa che condiziona necessariamente l’avvio del processo o la sua prosecuzione.
Tale interpretazione, che si ritiene costituzionalmente orientata, si riconnette anche all'esigenza che la mediazione sia effettiva e offra alle parti una reale chance di soluzione del loro conflitto: l'esclusione del riconoscimento delle spese per il compenso di avvocato solo per i casi di mediazione non conclusa da accordo si presterebbe invece a concepire la fase mediativa come una fase da attraversare necessariamente, ma solo formalmente, per approdare al più presto al processo, nell'ambito del quale anche le spese stragiudiziali potranno essere riconosciute.
Sarebbe una conclusione che sminuirebbe la funzione della mediazione, ma anche della giurisdizione, che, invece, proprio per la sua natura sussidiaria, deve potersi esplicare pienamente ed efficacemente quando è richiesto lo ius dicere, anziché essere strumentalizzata per altri obiettivi. L'interpretazione adottata è inoltre l'unica che riconosce la delicata funzione di assistenza dell'avvocato della parte in mediazione, funzione che comporta un mutamento culturale epocale per l'avvocatura rispetto ai ruoli tradizionali confinati al campo giudiziario e che deve essere adeguatamente valorizzata. 
A questo riguardo, va ricordato che proprio dal ceto forense a livello europeo proviene l’importante raccomandazione sul Legal Aid, adottata dal CCBE (Consiglio degli Ordini Forensi d’Europa) nel novembre 2010, al fine di promuovere il diritto all’accesso alla giustizia anche per le persone prive di mezzi. Tra le azioni raccomandate si specifica quella di “garantire il legal aid per tutte le aree legaligiurisdizionali, risoluzione alternativa delle controversie, compresa l’assistenza di un avvocato in tutte le fasi del procedimento”.
Non è fuor di luogo rilevare che, se dalle novità introdotte dal d.l. n. 69/2013 (tra cui l'assistenza obbligatoria del difensore e la re - introduzione della mediazione obbligatoria) non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica (c.d. clausola di invarianza finanziaria: art. 85, comma 4, d. l. n.69/2013), l'interpretazione qui proposta appare del tutto rispondente a tale scopo: si tratta infatti di riconoscere il compenso del legale che ha assistito la parte in mediazione con esito positivo e dunque con risparmio per lo Stato rispetto alla fase processuale [...]”.  
Successivamente a tale pronuncia si è espresso sulla questione anche il Tribunale di Tempio Pausania, che, con ordinanza del 19.7.2016, ha ritenuto di non poter accogliere l’istanza de iure condito. Secondo il Tribunale mancherebbe il presupposto dell’esecuzione di un mandato alle liti conferito per la rappresentanza e la difesa in giudizio che, secondo quanto chiarito dalla Cassazione con la sentenza 24723/2011 permetterebbe di considerare giudiziali alcune attività stragiudiziali. Inoltre, la carenza della fase giudiziale farebbe ritenere che ''la mediazione (in virtù dello stesso esito positivo avuto) avrebbe anche potuto svolgersi in via informale tra le parti, senza l'indispensabile adesione a un organismo di mediazione e l'assistenza di un legale''. 
Il giudice ritiene di confermare l’orientamento già espresso con l’ordinanza del 13.1.2015.
Infatti, l’argomento secondo cui sarebbe necessario che il difensore sia munito di procura alle liti non pare determinante, anche alla luce della successiva sentenza della SC n. 9529/2013 nella quale si valorizza il nesso teleologico fra l’attività stragiudiziale e la successiva azione giudiziaria. In altri termini, è sufficiente una valutazione sostanziale di strumentalità dell’attività stragiudiziale volta a comporre un conflitto in vista (secondo le espressioni della sentenza da ultimo citata) della futura ed eventuale domanda giudiziale. Inoltre, non pare condivisibile l'accenno ad una 'mediazione informale tra le parti”: a tacere di ogni altra considerazione, sembra che qui il Tribunale faccia riferimento ad una negoziazione diretta tra le parti e non alla mediazione, che presuppone invece necessariamente l'intervento del terzo: sostenere che le parti avrebbero potuto trovare l'accordo 'da sole' implica una non condivisibile svalutazione, a parere di chi scrive, della funzione del mediatore quale professionista specificamente formato per favorire la riattivazione della comunicazione tra le parti  e facilitare il raggiungimento di un'intesa . Si tratta, a veder bene, anche di una svalutazione dell'intero sistema introdotto in Italia in tema di mediazione, strutturato in modo articolato e posto sotto la vigilanza del Ministero della Giustizia.
In base a quanto osservato, l'istanza è meritevole di accoglimento.
La liquidazione deve avvenire sulla base dei parametri indicati degli artt. 18, 19, 20 e 21 del D.M. 55/2014 (attività stragiudiziale), considerando il valore medio con riduzione alla metà ai sensi dell’art. 130 D.P.R. n. 115/02. Considerando la natura dell’impegno professionale profuso da quanto emerge dalla documentazione allegata, appare congruo liquidare all’Avv. X in relazione all’attività espletata la somma di euro omissisper compensi (scaglione da euro 52.000,01 a 260.000,00 in base al valore della quota spettante al sig. omissis desumibile dal contratto prodotto quale doc. 5), ridotti ad euro omissis ex art. 130 cit., oltre alle spese generali pari al 7%, oltre IVA e CAP.

PQM

Conferma in via definitiva l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato di omissis nel procedimento suindicato; liquida in favore dell’Avv. X per l’attività espletata in favore di omissis nella procedura sopra indicata, euro 2.160,00 per compensi, oltre alle spese generali nella misura del 7%, oltre IVA e CAP; manda alla Cancelleria per le comunicazioni. 
Firenze, 13.12.2016
Il Presidente est. Luciana Breggia

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.

28 marzo 2017

23/17. Accordo conciliativo sottoscritto dai difensori, ma senza certificazione di conformità alle norme imperative e all’ordine pubblico: quali conseguenze? (Osservatorio Mediazione Civile n. 23/2017)

=> Tribunale di Bari, 7 settembre 2016

L’art. 12 d.lgs. 28/2010 conferisce valenza di titolo esecutivo all’accordo di conciliazione sottoscritto dalle parti e dagli avvocati innanzi ad organismi di conciliazione accreditati, senza la necessità della previa omologazione giudiziale e l’intervento degli avvocati assolve di per sé ad uno scopo certificatorio dell’eseguita verifica relativa al rispetto delle norme imperative e dei principi di ordine pubblico (circostanza oltretutto non preclusiva di possibili impugnative successive, ad opera delle parti, avverso l’accordo stragiudiziale); ciò anche prescindendosi dall’adozione di una formale attestazione di conformità. Pertanto il verbale di conciliazione, e l’allegato accordo, sottoscritto dai difensori, ma privo dell’attestazione e della certificazione di conformità alle norme imperative e all’ordine pubblico è affetto da mera irregolarità formale, inidonea ad impattare sull’intrinseca efficacia esecutiva del titolo.
(I).



Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 23/2017

Tribunale di Bari
ordinanza
7 settembre 2016

Omissis

Letto il ricorso in opposizione all’esecuzione per rilascio di immobile depositato  omissis e la contestuale istanza di sospensione della procedura esecutiva;
esaminata la memoria difensiva depositata dal creditore procedente opposto all’udienza omissis;
rilevato che il debitore esecutato ha eccepito, in primo luogo, l’insussistenza di idoneo titolo esecutivo alla base dell’intrapresa esecuzione per rilascio, in ragione dell’inidoneità del verbale di conciliazione e dell’allegato accordo sottoscritto dai difensori delle parti il omissis presso l’Organismo di mediazione omissis, essendo lo stesso privo dell’attestazione e della certificazione di conformità alle norme imperative e all’ordine pubblico;
in secondo luogo, l’omessa trascrizione integrale nell’atto di precetto notificato il 22/1/2016 – come richiesto dall’art. 480, co. II, c.p.c. - del verbale di conciliazione in aggiunta al relativo accordo di mediazione, nonché la mancata certificazione di conformità da parte dell’ufficiale giudiziario circa l’esatta corrispondenza tra l’originale del titolo esecutivo e la relativa trascrizione nell’intimazione pre-esecutiva;
ritenuto che l’art. 12 d.lgs. 28/2010, come modificato dal d.l. 69/2913, abbia innovato la categoria dei titoli esecutivi ex lege attraverso il riconoscimento di detta qualità all’accordo di conciliazione sottoscritto dalle parti e dagli avvocati innanzi ad organismi di conciliazione accreditati, senza la necessità della previa omologazione giudiziale;
rilevato che il dato letterale della citata disposizione normativa conferisce prima facie valenza di titolo esecutivo al mero accordo munito delle suindicate sottoscrizioni e che l’intervento degli avvocati assolve, per l’appunto, di per sé ad uno scopo certificatorio dell’eseguita verifica relativa al rispetto delle norme imperative e dei principi di ordine pubblico (circostanza oltretutto non preclusiva di possibili impugnative successive, ad opera delle parti, avverso l’accordo stragiudiziale);
ritenuto che la soluzione debba valere anche prescindendosi dall’adozione di una formale attestazione di conformità, analogamente alla funzione di autenticazione esercitata dal difensore con riguardo alla sottoscrizione della parte apposta a margine o in calce al mandato rilasciato nel corpo introduttivo del primo atto del giudizio;
ritenuto, pertanto, che il difetto dell’attestazione e delle certificazione di “conformità dell’accordo alle norme imperative e all’ordine pubblico” costituisca un requisito di mera irregolarità formale inidoneo ad impattare sull’intrinseca efficacia esecutiva del titolo;
ritenuto che tale interpretazione trovi conforto anche nella lettura sistematica della disposizione, in quanto “in tutti gli altri casi” (da intendersi qualora non vi sia la partecipazione diretta dei difensori o non si tratti di organismo conciliativo tra quelli accreditati) all’omologazione dell’accordo si provvede, su istanza di parte, con decreto del presidente del tribunale “previo accertamento della regolarità formale e del rispetto delle norme imperative e dell’ordine pubblico”, non richiedendosi neppure in tale situazione l’impiego di precise formule sacramentali;
ritenuto che, alla luce della sostanziale valenza pubblicistica dell’attività di attestazione e certificazione conferita agli avvocati, nell’ottica incentivante la degiurisdizionalizzazione, non possa che accreditarsi – sia pure con i limiti della sommaria delibazione cautelare – un’opzione ermeneutica comune alle due fattispecie contemplate dalla norma speciale;
ritenuto che gli ulteriori profili di doglianza ineriscano la regolarità formale dell’atto di precetto e che sussistono dubbi in merito alla tempestività dell’opposizione ex art. 617 c.p.c. depositata in data 4/4/2016 a fronte della notifica del precetto di rilascio perfezionatasi l’omissis; ciò alla stregua del prevalente indirizzo della giurisprudenza di legittimità secondo cui “la mancata trascrizione del titolo esecutivo nel precetto intimato in base a cambiale o ad assegno, che è prescritta per la sua individuazione, ne determina la nullità, che è deducibile con l'opposizione ex art. 617 cod. proc. civ. (…)” (si veda, al riguardo, Cass. n. 5168 del 09/03/2005);
ritenuto, in ogni caso, che il precetto opposto contenga puntuali elementi tesi all’individuazione del titolo esecutivo posto a fondamento della contestata procedura;
ritenuto, pertanto, che non sussistano gravi motivi di sospensione ai sensi dell’art. 624 c.pc.; ritenuto, in conformità alla pronuncia della Suprema Corte (cfr. n. 22033 del 24/10/2011) che “nella struttura delle opposizioni, ai sensi degli artt. 615, comma secondo, 617 e 619 cod. proc. civ., emergente dalla riforma di cui alla legge 24 febbraio 2006, n. 52, il giudice dell'esecuzione, con il provvedimento che chiude la fase sommaria davanti a sé - sia che rigetti, sia che accolga l'istanza di sospensione o la richiesta di adozione di provvedimenti indilazionabili, fissando il termine per l'introduzione del giudizio di merito, o, quando previsto, quello per la riassunzione davanti al giudice competente -, deve provvedere sulle spese della fase sommaria, potendosi, peraltro, ridiscutere tale statuizione nell'ambito del giudizio di merito”;
ritenuto in applicazione dei parametri professionali medi di cui al DM 55/2014 (tabella 10), in relazione al valore indeterminabile della controversia e, dunque, allo scaglione compreso tra €5.200,01 ed €26.000,00 (secondo quanto previsto dall’art. 5, co. VI, d.m. 55/2014), della modesta entità delle questioni controverse, della natura della causa e della qualità delle parti, con riduzione della voce relativa alla fase istruttoria in misura del 70% (attesa l’esclusiva valenza documentale) e del 50% di quella decisoria (essendosi le parti limitate a sintetizzare le rispettive conclusioni cautelari a verbale d’udienza), di liquidare a titolo di compensi per i giudizi sommari di opposizione all’esecuzione riuniti l’importo complessivo di €2.230,00;

PQM

Rigetta l’istanza di sospensione dell’esecuzione; condanna omissis, opponente, alla rifusione in favore dell’opposto, omissis, delle spese processuali della presente fase sommaria che liquida in complessivi €2.230,00, oltre a rimborso spese forf., CAP ed IVA come per legge. Assegna il termine di giorni novanta per l’introduzione del giudizio di merito, previa iscrizione a ruolo a cura della parte interessata, osservati i termini a comparire di cui all’art. 163 bis, o altri se previsti, ridotti della metà.

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.

24 marzo 2017

22/17. Il regolamento dell’organismo non può prevedere che in caso di mancata adesione o partecipazione della parte il mediatore non possa formulare la proposta di conciliazione (Osservatorio Mediazione Civile n. 22/2017)

=> TAR Abruzzo, Pescara, 13 marzo 2017, n. 98

L’art. 11, comma 1, d.lgs. 28/2010 è chiarissimo nel prevedere che “quando l'accordo non è raggiunto, il mediatore può formulare una proposta di conciliazione”. La disposizione di fonte primaria, cioè, conformemente alla funzione attiva e deflattiva della mediazione – non limitata cioè ad una mera ricognizione dell’attività delle parti – prevede che il mediatore possa formulare una propria proposta anche in assenza di un accordo delle parti. Pertanto, il regolamento dell’organismo di mediazione che disponga che, in caso in cui le parti decidano di non proseguire nella conciliazione o comunque nel caso di mancata adesione o partecipazione di una delle parti, il mediatore non possa formulare la proposta si pone in irrimediabile ed evidente contrasto con la richiamata disciplina di legge primaria, apparendo inoltre immediatamente lesivo dell’interesse della parte che viene così privata della chance di ottenere dal mediatore una proposta di conciliazione (I) (II).


(II) Il TAR annulla le disposizioni del regolamento di mediazione nella parte in cui prevedono che “nel caso in cui le parti decidano, nel corso del primo incontro, di non proseguire, il procedimento si conclude con un verbale di mancato accordo sulla prosecuzione del procedimento. In detto verbale si dà atto unicamente delle presenze e della volontà di proseguire con il tentativo di mediazione”; e che “in caso di mancata adesione o partecipazione alla procedura di mediazione di una delle parti il mediatore non può formulare la proposta”.

Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 22/2017

TAR Abruzzo, Pescara,
sentenza n. 98
13 marzo 2017,

Omissis

La ricorrente riferisce di aver esperito un tentativo di mediazione con l’ASL di omissis, nel corso della quale il procuratore speciale dell’Azienda ha dichiarato di non voler proseguire in tale procedura conciliativa, e quindi il mediatore si è limitato a dichiarare l’esito negativo del procedimento.
Impugna quindi il regolamento di mediazione del omissis, nella parte in cui all’articolo 7 comma 4 prevede che “Nel caso in cui le parti decidano, nel corso del primo incontro, di non proseguire, il procedimento si conclude con un verbale di mancato accordo sulla prosecuzione del procedimento. In detto verbale si dà atto unicamente delle presenze e della volontà di proseguire con il tentativo di mediazione”; e all’articolo 8 comma 2 prevede che “In caso di mancata adesione o partecipazione alla procedura di mediazione di una delle parti il mediatore non può formulare la proposta”. Sostanzialmente la ricorrente lamenta il contrasto del citato regolamento, in parte qua, con la disposizione di cui all’articolo 11 comma 1 del d.lgs. n. 28 del 2010, secondo cui “Se e' raggiunto un accordo amichevole, il mediatore forma processo verbale al quale e' allegato il testo dell'accordo medesimo. Quando l'accordo non e' raggiunto, il mediatore puo' formulare una proposta di conciliazione. In ogni caso, il mediatore formula una proposta di conciliazione se le parti gliene fanno concorde richiesta in qualunque momento del procedimento. Prima della formulazione della proposta, il mediatore informa le parti delle possibili conseguenze di cui all'articolo 13”.
Impugna poi la decisione del 15 giugno 2016 del procuratore speciale della ASL omissis di non proseguire nel tentativo di conciliazione, decisione che sarebbe illegittima in quanto ingiustificata e immotivata e quindi in contrasto con il principio di buona fede; e impugna anche il conseguente verbale omissis del mediatore omissis laddove, preso atto di tale volontà della ASL, si è limitato ad attestare l’esito negativo della mediazione, senza fare ugualmente alcuna proposta.
Secondo l’Amministrazione resistente, la ricorrente avrebbe dovuto impugnare anche il regolamento del Ministero della Giustizia di cui al DM n. 180 del 2010 articolo 7, comma 2, lett. b), a mente del quale “L'organismo può prevedere nel regolamento … che la proposta medesima può essere formulata dal mediatore anche in caso di mancata partecipazione di una o più parti al procedimento di mediazione”.
In sostanza, per l’Amministrazione, la previsione appena richiamata attribuirebbe alla omissis la facoltà e non l’obbligo di prevedere nel regolamento la possibilità del mediatore di formulare la proposta anche in caso di mancata partecipazione di una o più parti al procedimento di mediazione.
Inoltre il ricorso sarebbe inammissibile per mancata evocazione in giudizio del Ministero della Giustizia, che sarebbe litisconsorte necessario alla luce della disposizione di cui all’articolo 16 comma 3 del d.lgs. n. 28 del 2010, secondo cui ai fini dell’iscrizione tra gli organismi di mediazione il Ministero valuta l’idoneità del regolamento adottato.
L’Amministrazione eccepisce poi la tardività e comunque l’inammissibilità del ricorso, atteso che la parte ricorrente all’atto della presentazione della domanda di mediazione ha accettato il regolamento e comunque ha attestato di averne conosciuto il contenuto, sicché vi avrebbe prestato acquiescenza e comunque sarebbe decaduta dal potere di impugnarlo.
All’udienza del 24 febbraio 2017 la causa è passata in decisione.
Preliminarmente il Collegio rileva l’infondatezza delle questioni preliminari sollevate da parte resistente.
Come rilevato dalla stessa Amministrazione, a mente dell’articolo 16 comma 3 del d.lgs. n. 28 del 2010, ai fini dell’iscrizione tra gli organismi di mediazione, il Ministero valuta l’idoneità del regolamento adottato.
In sostanza, il Ministero non contribuisce alla formazione, al perfezionamento o a una condizione di efficacia del regolamento oggi impugnato, ma interviene solo nella successiva fase di iscrizione e registrazione, che non è oggetto del presedente giudizio, sicché la sua posizione non può affatto essere quelle di litisconsorte necessario.
Quanto alla dedotta tardività o acquiescenza, è appena il caso di osservare che l’interesse alla impugnazione è maturato ovviamente con riferimento alla decisione del mediatore di non formulare una proposta in seguito alla decisione della Asl di non proseguire la conciliazione.
Vi può essere acquiescenza o decadenza dall’impugnazione per decorso del termine solo dopo che sia maturato l’interesse a ricorre e non prima.
Difatti sia l’inerzia che l’acquiescenza sono modi di disposizione dell’interesse a ricorrere, i quali pertanto implicano che esso sia sorto (cfr. TAR Milano, sentenza n. 834 del 2013; TAR Napoli sentenza n. 1773 del 2016).
La ricorrente poi non aveva alcun onere di impugnare il regolamento ministeriale di cui al DM n. 180 del 2010 articolo 7 comma 2 lett. b), atteso che per il principio di gerarchia delle fonti le disposizioni di natura regolamentare, ove contrastanti con il paradigma primario di riferimento, appaiono suscettibili di disapplicazione, senza necessità di espressa e formale impugnazione (cfr. Tar Salerno, sentenza n. 2037 del 2016).
Come noto, infatti, in sede di controllo giurisdizionale, il Giudice deve valutare la conformità dell’atto impugnato alla legge, disapplicando se del caso la fonte secondaria in palese contrapposizione con quest’ultima (cfr. Consiglio di Stato sentenza n. 4009 del 2016).
Sempre in via preliminare, il Collegio rileva l’inammissibilità dell’impugnazione della decisione del 15 giugno 2016 del procuratore speciale della ASL di omissis di non proseguire nel tentativo di conciliazione nonché del conseguente verbale omissis del mediatore laddove si è limitato ad attestare l’esito negativo della mediazione, senza fare alcuna proposta.
Quanto al primo atto, si tratta di una manifestazione di volontà di tipo meramente privatistico, che non è esplicazione di alcun pubblico potere o funzione, e quindi v’è difetto di giurisdizione del giudice adito in favore del giudice ordinario.
Quanto al secondo, si tratta di un atto il cui giudizio di validità, quale condizione di procedibilità ex articolo 5, comma 1bis del d.lgs. n. 28 del 2010, è rimesso nel caso di specie al Giudice civile.
Nel merito, il ricorso è manifestamente fondato con riferimento all’azione di annullamento in parte qua del regolamento di mediazione omissis.
L’articolo 11, comma 1 del d.lgs. n. 28 del 2010 è chiarissimo nel prevedere che “Quando l'accordo non è raggiunto, il mediatore può formulare una proposta di conciliazione”.
La disposizione di fonte primaria, cioè, conformemente alla funzione attiva e deflattiva della mediazione - non limitata cioè ad una mera ricognizione dell’attività delle parti - prevede che il mediatore possa formulare una propria proposta anche in assenza di un accordo delle parti.
Nel combinato disposto di cui all’articolo 7 comma 4 e 8 comma 2 del regolamento impugnato, viceversa, si dispone che, in caso in cui le parti decidano di non proseguire nella conciliazione o comunque nel caso di mancata adesione o partecipazione di una delle parti, il mediatore non possa formulare la proposta.
Tali disposizione si pongono, nei predetti termini, in irrimediabile ed evidente contrasto con la richiamata disciplina di legge primaria e inoltre appaiono immediatamente lesive dell’interesse di parte ricorrente, atteso che nel caso di specie l’hanno privata della chance di ottenere dal mediatore una proposta di conciliazione.
E’ a tal proposito appena il caso di rilevare che è chiaro interesse della medesima ricorrente a partecipare ad un valido procedimento di mediazione prima di intraprendere un giudizio civile, nel caso in questione non ancora instaurato (cfr. Tribunale ordinario di Milano, prima sez. civile, ordinanza del 26 febbraio 2016; nonché l’articolo 5 comma 1 bis del d.lgs. n. 28 del 2010, laddove dispone che “Il giudice ove rilevi che la mediazione è già iniziata, ma non si è conclusa, fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all' articolo 6. Allo stesso modo provvede quando la mediazione non e' stata esperita, assegnando contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione”).
Le spese, parzialmente compensate per l’accoglimento parziale, seguono per la restante parte il criterio della soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

PQM

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Abruzzo sezione staccata di Pescara (sezione prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara, secondo quanto meglio specificato in motivazione: in parte inammissibile per difetto di giurisdizione, salvi gli effetti sostanziali e processuali della domanda nei limiti e termini di cui all’articolo 11 c.p.a.; in parte fondato, e per l’effetto annulla in parte qua l’articolo 7 comma 4 e 8 comma 2 del regolamento impugnato. Condanna l’Amministrazione resistente al pagamento in favore della ricorrente della somma di euro 1.500,00 a titolo di spese processuali, oltre iva, cpa, contributo unificato e accessori come per legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art.22, comma 8 D.lgs. 196/2003, manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del presente provvedimento, all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di salute delle parti o di persone comunque ivi citate.

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.

22 marzo 2017

21/17. Mediazione demandata, appello, valutazione del giudice sull’invio delle parti in mediazione (Osservatorio Mediazione Civile n. 21/2017)

=> Corte di appello di Potenza, 15 novembre 2016

Non appaiono sussistere ostacoli all’esercizio del potere giudiziale relativo all’invio delle parti in mediazione nel giudizio d’appello (art. 5, comma 2, d.lgs. 28/2010) qualora non appaiano sussistere significativi squilibri di interessi tra le parti o particolari esigenze di ottenere una interpretazione autorevole della legge o di un precedente vincolante.


Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 21/2017

Corte di appello di Potenza
ordinanza
15 novembre 2016

Omissis

Rilevato che con la sentenza gravata, il Tribunale di Potenza ha disposto, conformemente alla volontà di tutte le parti, lo scioglimento della comunione avente ad oggetto il compendio immobiliare omissis.
che inammissibile è l’istanza di sospensione della efficacia esecutiva della sentenza di primo grado chiesta dagli odierni appellanti;
a) nella parte in cui vi è condanna per entrambe in solido tra loro alla realizzazione, con spese a carico di entrambe in parti uguali, ai lavori di adeguamento relativi all’accesso comune nella parte residua di mq omissis di lastrico solare, poiché la condanna è in solido e gli appellati hanno espressamente dichiarato di voler attendere l’esecutività della sentenza;
b) sia nella parte in cui vi è condanna al pagamento della somma di euro omissis oltre interessi, dovuta agli appellati a titolo di conguaglio, in quanto il principio della natura dichiarativa della sentenza di divisione opera esclusivamente in riferimento all’effetto distributivo, per cui ciascun condividente è considerato titolare, sin dal momento dell’apertura della successione, dei soli beni concretamente assegnatigli e a condizione che si abbia una distribuzione dei beni comuni tra i condividenti e le porzioni a ciascuno attribuite siano proporzionali alle rispettive quote; non opera invece, e la sentenza produce effetti costitutivi, quando ad un condividente sono assegnati beni in eccedenza rispetto alla sua quota, in quanto rientranti nell’altrui quota (Cass. 6653/2003);
considerato, in conseguenza di ciò che l’anticipazione in via provvisoria, ai fini esecutivi, degli effetti discendenti da statuizioni condannatorie contenute in sentenze costituive, non è consentita, essendo necessario il passaggio in giudicato, quando la statuizione condannatoria è legata all’effetto costitutivo da un vero e proprio nesso sinallagmatico e non meramente dipendente, come appunto nella specie, in cui il diritto al conguaglio dovuto agli altri comunisti da parte dell’assegnatario sorge nel momento in cui viene a cessare lo stato di indivisione e trova fonte nell’attribuzione ad altro condividente di un bene eccedente la sua quota (Cass. n. 406/2014);
rilevato che i motivi di gravame attengono:
1) alla assegnazione agli appellati della quota di terreno di mq omissis quale rampa di accesso al garage seminterrato, in quanto, secondo gli appellati, con tale assegnazione gli stessi non avrebbero più la possibilità di accedere ai locali seminterrati dalla via pubblica rappresentata da  omissis;
2) alla prospettata contraddittorietà della motivazione laddove il Tribunale ha da un canto definito la corte come bene di uso comune e dall’altro ne ha disposto lo scioglimento attribuendo ad entrambe il diritto di passaggio;
considerato che l’art. 5 d.lgs. 28/2010 sulla mediazione, coordinato con le modifiche del “decreto del fare” del 2013, testualmente prevede che “il giudice, anche in sede di giudizio di appello, valutata la natura della causa, lo stato dell’istruzione e il comportamento delle parti, può disporre l’esperimento del procedimento di mediazione: in tal caso, l’esperimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale anche in sede di appello”;
ritenuto che la norma in esame intende incentivare strumenti di risoluzione delle controversie preposti a facilitare l’accesso alla giustizia con l’assistenza di un mediatore qualificato al fine di promuovere una stabile composizione amichevole delle controversie e di ridurre i costi del contenzioso civile, senza peraltro costituire una alternativa deteriore alla giurisdizione o all’arbitrato, in attuazione dell’art. 5 della direttiva 2008/52/CE;
ritenuto che nel caso in questione, non appaiono sussistere ostacoli all’esercizio di detto potere giudiziale, non apparendo sussistere significativi squilibri di interessi tra le parti o particolari esigenze di ottenere una interpretazione autorevole della legge o di un precedente vincolante, posto che la controversia permane su aspetti marginali (gli appellati non hanno proposto appello incidentale sul rigetto della domanda risarcitoria) facilmente superabili con l’ausilio della CTU espletata in primo grado e della CTP, che fotografano lo stato dei luoghi.

PQM

Dichiara inammissibile l’istanza di sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza; assegna alle parti il termine di giorni 15 per promuovere il procedimento di mediazione innanzi all’organismo che ritengono più idoneo a trattare la controversia in oggetto, a far tempo dalla comunicazione della presente ordinanza; assegna il termine di tre mesi per l’espletamento del procedimento di mediazione; dispone che le parti compaiano personalmente innanzi al mediatore designato; dispone che l’esito del procedimento di mediazione venga comunicato in Cancelleria a cura dell’ufficio del mediatore e nel rispetto dell’obbligo di riservatezza; fissa la data del omissis per l’eventuale prosecuzione del giudizio innanzi alla Corte di Appello.
Si comunichi.

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.

17 marzo 2017

20/17. La mediazione obbligatoria deve essere attivata per tutte le domande e per la domanda riconvenzionale (Osservatorio Mediazione Civile n. 20/2017)

=> Tribunale di Lecce, 11 ottobre 2016

In caso di mediazione c.d. obbligatoria, qualora la procedura di mediazione non sia stata attivata per tutte le domande di parte attore o ricorrente e per la domanda riconvenzionale, va assegna il termine di giorni 15  per la presentazione della domanda di mediazione a norma dell’art. 5, comma 1-bis, d.lgs. 28/2010 (I).


Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 20/2017

Tribunale di Lecce
11 ottobre 2016

Omissis

visto l’art. 5, comma 1 bis, del D.Lvo 28/2010, siccome modificato dal D.L. 69 del 2013, ai sensi del quale “Chi intende esercitare in giudizio un'azione relativa a una controversia in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e sanitaria e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari, è tenuto, assistito dall'avvocato, preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione ai sensi del presente decreto ovvero il procedimento di conciliazione previsto dal decreto legislativo 8 ottobre 2007, n. 179, ovvero il procedimento istituito in attuazione dell'articolo 128-bis del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni, per le materie ivi regolate. L'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale. La presente disposizione ha efficacia per i quattro anni successivi alla data della sua entrata in vigore. Al termine di due anni dalla medesima data di entrata in vigore è attivato su iniziativa del Ministero della giustizia il monitoraggio degli esiti di tale sperimentazione.
L'improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d'ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza. Il giudice ove rilevi che la mediazione è già iniziata, ma non si è conclusa, fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all'articolo 6. Allo stesso modo provvede quando la mediazione non è stata esperita, assegnando contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione. Il presente comma non si applica alle azioni previste dagli articoli 37, 140 e 140-bis del codice del consumo di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, e successive modificazioni”;
rilevato che la procedura di mediazione non è stata attivata per tutte le domande di parte ricorrente e per la domanda riconvenzionale di parte resistente.

PQM

Assegna alla parte il termine di giorni 15 – decorrenti dalla data odierna – per la presentazione della domanda di mediazione e rinvia la causa all’udienza del omissis.
Il Giudice
Dott. Italo Mirko De Pasquale.


AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.