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24 gennaio 2017

6/17. Mediazione obbligatoria: rimessione in termini; perentorietà del termine dei 15 giorni; effetti dell’improcedibilità della domanda nel rito locatizio a carico dell'intimato opponente (Osservatorio Mediazione Civile n. 6/2017)

=> Tribunale di Rimini, 24 maggio 2016

L'istanza di rimessione in termini quanto alla data di inizio del procedimento di mediazione, adducendo di non aver potuto iniziarla a causa di una malattia che non avrebbe permesso di accedere alla propria casella di posta elettronica certificata, non può essere accolta qualora da alcuna documentazione risulti provato che la malattia che avrebbe afflitto il procuratore di parte le avrebbe impedito di accedere alla propria pec per controllarne il contenuto. L'istituto della rimessione in termini, applicabile a questo particolare istituto della mediazione per analogia con l'art. 153 c.p.c. presuppone infatti la scusabilità dell'errore in cui è incorsa la parte che lo ha invocato; la decadenza deve perciò essere stata determinata da una causa non imputabile alla parte in quanto causata da un fatto estraneo alla sua volontà (I).

In merito al disposto di cui all’art.5, d.lgs. 28/2010 secondo cui qualora il mancato esperimento della mediazione venga eccepito dal convenuto o rilevato dal giudice entro la prima udienza, quest'ultimo assegna alle parti il termine di quindici giorni per l'avvio del procedimento in parola va affermato che detto termine ha natura perentoria in quanto la sanzione prevista dalla legge per la sua inosservanza consiste nella improcedibilità della domanda; stante quindi la gravità della sanzione non può ritenersi altrimenti ordinatorio il termine assegnato (II).

Se il giudizio a cognizione piena (vuoi per estinzione — anche se non espressamente richiamata dagli articoli 665-667 c.p.c. — vuoi per declaratoria di improcedibilità) non sfocia in una pronuncia di merito che prenda il posto dell'ordinanza di rilascio, ne deriva la stabilizzazione dell'ordinanza di rilascio in quanto difetta una pronuncia di merito che si saldi a detta ordinanza (assorbendola, se si tratta di pronuncia di accoglimento della domanda di condanna al rilascio; caducandola, se si tratta di pronuncia di rigetto della domanda di condanna al rilascio). A carico dell'intimato opponente, non operoso in mediazione, resta quindi l'effetto della scelta di non avere coltivato la propria opposizione e con essa le proprie eccezioni finalizzate a paralizzare la domanda di condanna al rilascio del locatore. È quindi possibile concludere nel senso che l'espressione "condizione di procedibilità della domanda" di cui all’art.5 comma 1-bis, d.lgs. 28/2010 va correttamente intesa con riferimento:
- alla domanda di accertamento negativo del diritto al rilascio proposta dall'intimato-opponente;
- alle ulteriori domande (diverse da quella originaria di condanna al rilascio stante l'intervenuta risoluzione del contratto di locazione per inadempimento del conduttore) proposte dal locatore e/o dall'intimato (essenzialmente pagamento somme).
Tali domande restano travolte dalla pronuncia di improcedibilità del giudizio di opposizione proposta dall'intimato; e ciò in quanto non risultano sorrette da una pronuncia in sede di procedimento di convalida che sia idonea a sopravvivere nella fase a cognizione piena (I) (II).

(I) Per approfondimenti sugli artt. 153 e 665-667 c.p.c. si veda di recente VIOLA, CODICE DI PROCEDURA CIVILE con schemi, formule e approfondimenti(dottrina e giurisprudenza), Cedam, 2016.


Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 6/2017

Tribunale di Rimini
Sentenza
24 maggio 2016

Omissis

Con atto di citazione ritualmente notificato omissis intimava sfratto per morosità nei confronti di omissis, resasi morosa nel pagamento dei canoni di locazione da marzo a luglio 2015 per complessivi euro 2.995,50 relativamente all'immobile uso abitazione concessole in locazione con contratto sottoscritto in data 26.03.2007 sito in omissis, nel quale veniva pattuito un canone di locazione annuale di euro 6.600,00, da pagarsi in rate mensili anticipate ad oggi rivalutate in euro 573,86.
All'udienza di convalida compariva in giudizio personalmente la conduttrice opponendosi allo sfratto e richiamando la documentazione depositata in data 11.08.2015, producendo in giudizio una propria missiva del 20.09.2014, una videata di un ordine di bonifico del 04.09.2015 e una mail del 12.03.2015 a firma dell'avv. omissis.
Il giudice si riservava e con ordinanza resa fuori udienza in data 29.09.2015, ritenendo che: “dalla documentazione versata in atti e dalle doglianze rappresentate in udienza dalla sig.ra omissis non risulta che abbia comunque pagato i canoni per i quali si discute, adducendo unicamente di voler compensare tali somme con gli oneri condominiali per i quali risulterebbe creditrice; di alcun pregio è altresì il bonifico del 04.09.2015, il quale non è dimostrato sia mai pervenuto al locatore, dato che dalla videata prodotta si tratterebbe di un ordine revocabile e non della copia della contabile, mentre l'ulteriore documentazione non contribuisce a provare che la conduttrice abbia corrisposto neppure in parte i canoni arretrati. Per quanto infine riguarda il pagamento dei 10 euro richiesti dal locatore a titolo di lavaggio auto, come riportato all'udienza del 08.09.2015, tale questione dovrà essere oggetto di idonea indagine demandabile in sede di merito”, ordinava il rilascio dell'immobile, invitava le parti a tentare la mediazione obbligatoria entro 15 giorni dalla comunicazione del provvedimento, mutava il rito e fissava la prima udienza nel merito per il 04.02.2016, con termine per deposito di memorie integrative per ambo le parti.
Nelle more il procuratore di parte ricorrente con istanza del 10.11.2015 (reiterate in data 16.11.2015 e da ultimo il 15.12.2015) chiedeva di poter essere rimessa in termini quanto alla data di inizio del procedimento di mediazione, adducendo di non aver potuto iniziarla a causa di una malattia che non le avrebbe permesso di accedere alla propria casella di posta elettronica certificata.
Purtroppo l'istanza di rimessione in termini non può essere accolta, in quanto da alcuna documentazione è provato che la malattia che avrebbe afflitto il procuratore di parte ricorrente le avrebbe impedito di accedere alla propria pec per controllarne il contenuto, anche perché alcuna documentazione medica è mai stata depositata né nel fascicolo cartaceo né in quello telematico, sebbene citata nelle reiterate istanze.
L'istituto della rimessione in termini, applicabile a questo particolare istituto della mediazione per analogia con l'art. 153 c.p.c. presuppone la scusabilità dell'errore in cui è incorsa la parte che lo ha invocato. La decadenza deve perciò essere stata determinata da una causa non imputabile alla parte in quanto causata da un fatto estraneo alla sua volontà. Nel caso di specie la malattia rappresentata dal procuratore di parte ricorrente (genericamente indicata nella propria istanza e della quale allo stato si ignora la causa e la tipologia) non le avrebbe comunque impedito di poter accedere al proprio computer per controllare le mail, anche delegando tale incombente a terze persone. Questo giudice ritiene quindi in primo luogo che non sussistano i termini per concedere una rimessione nei termini come formulati dal ricorrente ed in secondo luogo che l'esperimento del tentativo di conciliazione obbligatorio sia condizione di procedibilità dell'azione. Ed invero, il d.lgs. 28/2010 che, all'art. 5 ha introdotto, quale condizione di procedibilità per le controversie aventi ad oggetto i contratti locativi l'esperimento di un procedimento di mediazione ai sensi del medesimo decreto, prevedendo che altresì, qualora il mancato esperimento della mediazione venga eccepito dal convenuto o rilevato dal giudice entro la prima udienza, quest'ultimo assegni alle parti il termine di quindici giorni per l'avvio del procedimento in parola.
L'articolo in questione infatti recita: “chi intende esercitare in giudizio un'azione relativa ad una controversia in materia di ... locazione ... è tenuto preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione ai sensi del presente decreto l'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale. L'improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d'ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza. Il giudice ove rilevi che la mediazione è già iniziata, ma non si è conclusa, fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all'articolo 6. Allo stesso modo provvede quando la mediazione non è stata esperita, assegnando contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione (comma 1) ... I commi 1 e 2 non si applicano: b) nei procedimenti per convalida di licenza o sfratto, fino al mutamento del rito di cui all'articolo 667 del codice di procedura civile (comma 2)”.
Tale termine ha natura perentoria in quanto, come osservato dalla giurisprudenza di merito in alcune recenti pronunce, la sanzione prevista dalla legge per la sua inosservanza consiste nella improcedibilità della domanda; stante quindi la gravità della sanzione non può ritenersi altrimenti ordinatorio il termine assegnato.
Da ultimo merita di soffermarsi sulle conseguenze che una tale pronuncia comporta sull'ordinanza ex art. 665 c.p.c. con la quale il giudice ha disposto il rilascio dell'immobile, in particolare se questa conservi o meno la sua efficacia.
Dal punto di vista giuridico l'atto conclusivo del procedimento sommario di sfratto, quale è l'ordinanza di rilascio, sebbene non idonea ad acquistare autorità di giudicato in ordine al diritto fatto valere dal locatore, può essere qualificato come provvedimento di condanna con riserva delle eccezioni del convenuto, i cui effetti permangono fino a quando non viene emessa la sentenza di merito.
Il giudicante non può negare che esiste tuttora un dibattito in merito alla natura di tale atto e quindi in merito alle conseguenze in caso di estinzione del procedimento di merito, ma la soluzione più aderente alla ratio dell'intero procedimento in analisi sembra essere quella secondo la quale, se all'interno di un processo a cognizione piena si inserisca un subprocedimento che si concluda con un provvedimento sommario anticipatorio della soddisfazione del diritto di una parte, nulla disponendo (il legislatore) circa la sorte dell'ordinanza, questa non è disciplinata in via analogica dall'art.683, comma 1, c.p.c. ma dall'applicazione analogica del principio desumibile dall'art. 653 c.p.c. secondo cui l'efficacia del provvedimento sommario non cautelare non verrebbe travolta dall'estinzione del giudizio a cognizione piena. In ossequio a tale ragionamento, mutuato anche dalla costante giurisprudenza di legittimità, si può affermare che l'estinzione del procedimento di merito non abbia effetto sull'ordinanza di mutamento di rito, non travolgendola quanto ad effetti.
Se il giudizio a cognizione piena (vuoi per estinzione — anche se non espressamente richiamata dagli articoli 665-667 c.p.c. — vuoi per declaratoria di improcedibilità) non sfocia in una pronuncia di merito che prenda il posto dell'ordinanza di rilascio, ne deriva la stabilizzazione dell'ordinanza di rilascio in quanto difetta una pronuncia di merito che si saldi a detta ordinanza (assorbendola, se si tratta di pronuncia di accoglimento della domanda di condanna al rilascio; caducandola, se si tratta di pronuncia di rigetto della domanda di condanna al rilascio). A carico dell'intimato opponente, non operoso in mediazione, resta l'effetto della scelta di non avere coltivato la propria opposizione e con essa le proprie eccezioni finalizzate a paralizzare la domanda di condanna al rilascio del locatore. E' ora possibile concludere nel senso che l'espressione "condizione di procedibilità della domanda" di cui al decreto legislativo 28/2010 va correttamente intesa con riferimento:
- alla domanda di accertamento negativo del diritto al rilascio proposta dall'intimato-opponente;
- alle ulteriori domande (diverse da quella originaria di condanna al rilascio stante l'intervenuta risoluzione del contratto di locazione per inadempimento del conduttore) proposte dal locatore e/o dall'intimato "(essenzialmente pagamento somme).
Tali domande restano travolte dalla pronuncia di improcedibilità del giudizio di opposizione proposta dall'intimato; e ciò in quanto non risultano sorrette da una pronuncia in sede di procedimento di convalida, che sia idonea a sopravvivere nella fase a cognizione piena. In tal senso si è di recente espresso il Tribunale di Bologna il quale ha statuito nella sentenza del 17.11.20015 che, l'ordinanza di rilascio, non impugnabile e idonea alla stabilizzazione, non risulta intaccata dalla pronuncia di improcedibilità (anche perché essa è definita non impugnabile dall'articolo 665 c.p.c., e quindi non è neppure modificabile-revocabile).
Identica sorte avrebbe l'ordinanza di rilascio, in caso di declaratoria di estinzione del giudizio a cognizione piena.
Per tali motivi il ricorso è improcedibile, mentre permangono gli effetti dell’ordinanza provvisoria di rilascio resa in data 29.09.2015.
Le spese legali, in ragione delle questioni ermeneuticamente complesse dove non si riscontrano ancora pronunce stratificate e costanti della giurisprudenza, vengono interamente compensate tra le parti.

PQM

Il giudice onorario del Tribunale di Rimini, definitivamente pronunciando sul ricorso proposto da X contro Y, ogni ulteriore domanda e/o eccezione disattesa, così provvede: dichiara l'improcedibilità del presente giudizio stante la mancata attivazione della mediazione obbligatoria, dando atto che risulta stabilizzata l'ordinanza provvisoria di rilascio emessa in data 29.09.2015 nel procedimento di intimazione di sfratto per morosità omissis instaurato da omissis contro omissis; compensa tra le parti le spese di lite.

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.