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16 aprile 2015

18/15. C. Baratta: Tipologie di razionalità in una situazione di mediazione (Osservatorio Mediazione Civile n. 18/2015)

Pubblichiamo, con piacere, un interessante contributo giunto in Redazione.

Tipologie di razionalità in una situazione di mediazione

di Carlo Baratta
(Mediatore in Torino)

Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 18/2015

Il non possibile e l'impossibile non sono  termini della mediazione.

Il conflitto in mediazione va considerato come un campo di possibilità per mostrare all'altra parte le proprie volontà, le proprie intenzioni o, al contrario, di dissimulare queste volontà e queste intenzioni; o, ancora, simulando certe intenzioni ed azioni, per spingere l'altro a comportarsi di conseguenza, dunque, lo spazio di interazione e di comunicazione con l'altro diviene un vero e proprio campo di manovra.
Le liti moderne da risse verbali e fisiche si stanno trasformando, anche grazie alla mediazione in conflitto per segni. Le armi che hanno a disposizione  le due parti,sono armi virtuali, che riguardano principalmente, non l'agire in senso materiale, ma la trasformazione del comportamento atteso dell’altro: spingendolo a fare o a non fare (manipolazione) all'impedire di fare (dissuasione), all'obbligare a fare (costrizione), alla seduzione intesa come un mostrare di essere in un certo modo, affinché l'altro faccia qualcosa.
Al fine di aiutare il mediatore a districarsi nell’universo delle parole e dei comportamenti delle parti è utile affidarsi a qualche concetto per collocare meglio l’analisi  sull’agire razionale in mediazione: il necessario, il possibile e l'impossibile.
Per realizzare una mediazione soddisfacente per tutti gli attori, le due parti e il mediatore, ognuno dovrebbe stabilire cosa per lui è il necessario da condurre a termine, in ogni modo, lavorando con forte volontà e con finalità coerenti con il necessario con l’essenziale si possono perseguire delle soluzioni possibili, queste diventano le condizioni per arrivare ad una soluzione ritenuta inizialmente impossibile.
La mediazione, come è noto è un sistema di ricerca di soluzioni flessibile con l’unico vincolo delle norme imperative, ma queste ultime sono sempre più ridotte dalla scienza e dalla tecnologia, si pensi ad esempio alla clonazione o al trapianto di organi resi oggi azioni possibili, ma giudicate  impossibili fino a poco tempo fa.
Perciò si può affermare che, l'impossibile non esiste, basta fare tutto il necessario, per determinarlo. Il più delle volte non compiamo affatto il necessario e quindi non si riesce a raggiungere neppure il possibile.
L'impossibile poi è tale secondo il senso della parola stessa, in genere non ci pensiamo neppure.
Quindi  occorre per prima cosa rendere possibile tutto il necessario, cioè guardare il problema per quello che è, questo modo di agire ci porterà a poter affrontare il possibile, la soluzione ovvia. poi, al termine dell'impresa, constatare che siamo riusciti a compiere quanto, in un primo tempo, ci pareva impossibile, la soluzione mediata.
Durante la procedura di mediazione due o più individui che comunicano le proprie intenzioni, discutono della situazione del possibile, stabiliscono perciò una relazione sociale. Questa può essere superficiale o profonda, cooperativa o conflittuale.
L’azione sociale è il risultato di questa relazione determinata dai comportamenti delle parti messe in atto al fine di ottenere  i fini che si sono prefissi. Per capire meglio come si muovono le parti in lite torna utile la teoria sociologica weberiana che permette di classificare le interazioni tra i soggetti.
Weber ha pensato la seguente tassonomia delle azioni sociali:
- azioni razionali rispetto allo scopo,in questa relazione si valutata il rapporto tra mezzi e fini nei termini di equilibrio o squilibrio;
- azioni razionali rispetto al valore, in questa relazione si valutata la norma il dovere che si pone in essere dovere senza preoccuparsi delle conseguenze dell’azione;
- azioni determinate affettivamente,hanno una componente non logica e anche in questa relazione non si  riferiscono alle conseguenze;
- azioni tradizionali, abitudini che si ripetono senza domande sul loro fine o valore.
La tassonomia serve per capire il tipo di relazione, però è altrettanto importante conoscere il contesto e il senso di queste relazioni, in caso contrario non si riuscirà a facilitare l’azione che risolve la lite, in mediazione sono prevalenti le prime tre.
L’interazione che si instaura tra le parti può complicare il raggiungimento del fine, ipotizzato dalle stesse, perché l’interazione  se pur è il processo per il quale due o più attori instaurano una relazione sociale, questa dipende anche dal tipo di ruolo che ciascuna parte interpreta. Il termine ruolo designa quell’insieme di norme e comportamenti prevedibili che un membro apporta alle relazioni. Il ruolo è uno schema che prescrive al membro come interagire, ma non il contenuto.
Habermas ha riproposto la teoria dell'azione secondo il ruolo comunicativo delle parti,
distinguendo l'agire in modelli teorici, per la mediazione sono basilari due.
Il primo, definito agire comunicativo, considera l’agire nei termini di un'interazione che si costituisce in base a regole fondate sulla comunicazione linguistica e il secondo, definito agire teleologico, fondato sugli obiettivi, schema tipico di una razionalità orientata al perseguimento delle soddisfazioni e degli scopi dell'agente.
Quindi  le parti in mediazione, secondo il pensiero  di Habermas, hanno due modi per risolvere la lite o attraverso l’agire comunicativo, agire orientato all'intesa, attivata dalla prassi argomentativa e dalla razionalità intrinseca alla prassi comunicativa quotidiana; o all'agire teleologico, agire strategico, agire orientato al successo , attivato dalla razionalità strumentale.
Anche in questo caso le combinazioni reali sono  molteplici e anche  con questo approccio il ruolo che assume ciascuna parte  influisce sull’agire razionale di entrambi.
Una parte con intenti comunicativi, può esprimere una determinata opinione e agire orientato all’intesa, questa azione si chiama agire comunicativo, l’altra parte può esprimersi con un intervento orientato al fìne con il quale persegue un determinato scopo o agire teleologico.
Ambedue incarnano un sapere fallibile; ambedue, sia le affermazioni di verità soggettiva, che caratterizza l’agire comunicativo, che le azioni efficaci,che mirano all’obiettivo e caratterizzano l’agire teleologico, sono strategie che possono andar male.
Strategie che si fondano sulla presunta verità per una parte e su una prospettiva di successo (efficacia) per l’altra.
Per entrambe le strategie si può parlare di azioni razionali, che non si riducono a azioni logiche in quanto  come  ci ricorda Pareto molte delle azioni umane sono razionali anche se non logiche, ci sono comunque differenze tra agire comunicativo e agire teleologico.
L'agire comunicativo è determinato dalla volontà  di intendersi e dipende dal linguaggio utilizzato,  l'agire teleologica è, un comportamento che mira ad un obiettivo il linguaggio è veicolato dall’obiettivo stesso.
Queste due forme di azione portano a due logiche d'azione a volte incompatibili: intesa e influenza.
Un’altra differenza riguarda il tipo di relazione che si sviluppa tra le parti.
Nell'agire comunicativo, si costruisce una relazione di almeno due soggetti che sviluppano la comunicazione verbale ed extraverbale, stabilendo una interazione interpersonale.
Le parti cercano un'intesa attraverso la procedura di mediazione, per coordinare di comune accordo i propri piani di azione e quindi il proprio agire.
Nell'agire teleologico si instaurano relazioni fra una parte e un insieme di evidenze o di dati esistenti, con questa impostazione il soggetto cerca di realizzare il suo fine scegliendo i mezzi argomentativi adeguati ad un possibile raggiungimento del successo. L'agire teleologico si amplia a strategico quando nel calcolo di una parte, entra in gioco anche la previsione di influire sulle decisioni dell’altra parte.
Nella teoria habermasiana sono presenti altri modi di agire, che però interessano meno la mediazione: l'agire regolato da norme, in questa situazione il rapporto è fra un attore che, membro di un gruppo, orienta le proprie azioni "in base a valori comuni"; l'agire drammaturgico, in cui i partecipanti "costituiscono gli uni per gli altri un pubblico visibile" dinanzi al quale essi "si rappresentano reciprocamente qualcosa".
Il linguaggio è il fattore centrale per l'agire comunicativo, perché è il motore che favorisce l’ agire orientato all'intesa interpersonale tra soggetti che coordinano fra loro i rispettivi piani di azione definendo insieme la loro situazione comune, la soluzione della lite.
Nell'agire strategico il linguaggio è solo utilizzato per far prevalere un interesse particolare o un'intenzione unilaterale, la soluzione che va bene a uno solo o soluzione manipolata.

L' atto perfomativo.

Per Habermas, Il linguaggio va inteso, come l'attività con la quale, le persone si propongono di raggiungere un certo numero di obiettivi.
Per differenziare ulteriormente le azioni orientate all'intesa e le azioni orientate al successo Habermas usa il termine "performativo".
Con questo termine introduce un elemento di analisi più interessante per capire gli atti linguistici: chi parla dice qualcosa, chi parla compie un'azione dicendo qualcosa, chi parla può far produrre un certo numero di reazioni a chi lo ascolta : questo ultimo comportamento è chiamato atto performativo.
Con questa impostazione si supera l'idea di una netta separazione tra linguaggio e azione, tra dire e fare. La teoria degli atti linguistici è perciò l’anello di congiunzione tra il modo di comunicare delle parti e quindi della razionalità che mettono in campo e il tipo di azione che intendono seguire.
Secondo la teoria del sociologo di Francoforte gli atti linguistici sono di due tipi atti illocutivi, capacità di trasmettere un intenzione, e atti perlocutivi, quelli che producono  conseguenze. .
Gli atti illocutivi sono quelli  messi in atto da coloro che puntano su un agire orientato all'intesa, gli atti linguistici perlocutivi sono quelli messi in atto da coloro che puntano su un agire orientato al successo.
Va precisato che per agire strategico il linguaggio che meglio lo rappresenta è il secondo, infatti  si ha agire strategico in quelle interazioni nelle quali almeno uno delle parti con le sue azioni linguistiche vuole produrre presso l’altra parte effetti perlocutivi.
In definitiva si può parlare di agire comunicativo quando entrambe le parti costruiscono in modo esplicito, cioè senza riserve, fini illocutivi o d’intesa concordata. Si parla di agire strategico quando 'almeno uno mira ad effetti perlocutivi.
Si può dedurre che gli atti perlocutivi sono da considerate una classe particolare di interazioni strategiche, perché di fatto sono azioni strategiche camuffate. Comportamenti di questo tipo sono  abbastanza frequenti nella mediazione soprattutto ad inizio procedura, quando almeno una delle parti, ma a volte entrambe. si comporta in modo strategico ingannando l’altra parte sul fatto di non riuscire a soddisfare quelle premesse con le quali è possibile normalmente raggiungere fini illocutivi, cioè si rifiuta di fare il possibile per giungere all’impossibile.
In realtà chiunque agisca, in qualunque modello di azione, non potrà mai eliminare la mediazione (il consenso comunicativo) come condizione del suo agire stesso.
Per meglio favorire il successo nella mediazione  occorre capire qual è lo stile comunicativo delle parti.
Sempre Habermas a questo proposito, propone a sua volta una tripartizione delle interazioni mediate attraverso il linguaggio; la conversazione, l'agire guidato da norme e quello drammaturgico. Nelle relazioni caratterizzate dall'agire comunicativo, quello dove  si sviluppa la conversazione tra le parti, prevalgono azioni linguistiche di tipo espressivo centrate sul destinatario, nelle relazioni caratterizzate dall'agire strategico prevalgono linguaggi di tipo imperativo dove si cerca l’effetto dell'atto linguistico sul destinatario.
La sede dell’organismo, costituisce il contesto di riferimento ove le parti si confrontano con modalità linguistiche  soggettive, il contesto è importante perché, come ogni mediatore ben sa inizialmente ciascuna parte in lite presuppone che ogni agire comunicativo sia basato e goda o della 'fiducia ingenua' dell’altra parte o dalla 'certezza' delle considerazioni proprie e solo  in un ambiente  neutro e imparziale si possono mettere in discussione  queste certezze.

Le regole cerimoniali.

Per analizzare meglio il contesto  torna utile l’analisi  di un altro sociologo: E. Goffman.
Per questo autore la faccia è un elemento importante che ogni persona evidenzia quando interagisce con altri.
La faccia è l’immagine che ogni interagente ha di sé durante l’incontro, e ognuno degli attori presuppone che la propria faccia  non venga messa in discussione.
Durante lo svolgimento della procedura di mediazione  possono creare delle situazioni di crisi tali che venga messa in discussione la credibilità di una delle parti.
In questa situazione il mediatore può utilizzare i suggerimenti di Goffman, noti come “giochi di faccia”, per aiutare  la parte in difficoltà a recuperare credibilità, eludendo o correggendo certe affermazioni, aiutandolo a  riformulare ipotesi, sfidando la parte se esagera.
Un'altro elemento che il mediatore deve tenere sotto controllo riguarda la gerarchia  degli scambi comunicativi tra le parti.
Si possono determinare  scambi simmetrici o scambi asimmetrici, ovvero  tra uguali o tra diversi, gli scambi asimmetrici se si vuole  giungere ad una buona mediazione sono da contrastare.
L'organismo ove avviene la mediazione secondo il modello di Goffman è un’istituzione composta da un’equipe di persone che condividono certi spazi fisici, hanno regole di condotta proprie e una propria definizione della situazione che tendono a presentare al pubblico degli estranei. Vi è netta distinzione tra estranei e coloro che fanno parte dell’istituzione, l'istituzione è importante per il raggiungimento dell'obiettivo.
La mediazione non prevede procedure rigide e standardizzate, comunque per ottenere soluzioni razionali è meglio far applicare alle parti quelle che Goffman chiama “Regole cerimoniali”, che sono comportamenti rituali quali la deferenza e il contegno.
La deferenza è il comportamento attraverso cui un individuo esprime il proprio apprezzamento nei confronti di un destinatario il salutare, riverire, ringraziare, scusarsi o complimentarsi, elementi che trasmettono l’idea di una faccia desiderabile, amichevole, il contegno è lo strumento simbolico attraverso il quale una parte dimostra all’altra parte di possedere determinate qualità.

Di seguito uno schema che sintetizza le situazioni che si possono  trovare in mediazione.
ll contesto, la sede della mediazione, è caratterizzato da “regole cerimoniali” è perciò un luogo teoricamente adatto a costruire una soluzione.

STILE DI  RAGGIUNG. FINE®
TIPO DI OBIETTIVO¯

RAZIONALITA’ RISPETTO FINE
RAZIONALITA’
RISPETTO NORME
RAZIONALITA’ì RISPETTO AFFETTI

AGIRE COMUNICATIVO



A


B


C

AGIRE
 STRATEGICO





D


E


F


Nelle tre situazioni caratterizzate dalla simmetria comunicativa  le parti  si confrontano  con una modalità comunicativa  del  tipo  “agire comunicativo” si possono ottenere  tre categorie  di soluzioni:
A   Il  risultato  della  mediazione ha un obiettivo condiviso le argomentazioni  messe in campo  dalle parti  sono  coerenti  con il fine stesso. Tra le stesse  si è creato un mutuo rispetto  dato dalla simmetria della comunicazione- in questa situazione  si può  ottenere ciò che inizialmente era considerato impossibile.
B  Il  risultato della mediazione  ha un obiettivo condiviso  che deriva dalle conoscenze sulle norme tecniche  delle parti , anzi questa conoscenza limita la qualità della comunicazione  tra le parti che si riconoscono una  eguale  competenza tecnica. In questa situazione  si ottiene al massimo  il necessario.
C   Il  risultato della mediazione ha anche in questo caso un obiettivo  condiviso che però
è veicolato da una componente affettiva, si pensi ad esempio  alle problematiche di un eredità dove  la comunicazione  deraglia  su un particolare , un vaso, una penna, un soprammobile o a un patto di famiglia, nella situazione di agire comunicativo c'è una situazione di rispetto tra le parti, ma  questo non significa che si giunga ad una soluzione
La condizione  C può portare ad una soluzione non possibile, cioè educatamente rifiutata da una parte.
Nelle situazioni di agire comunicativo il mediatore  deve riuscire a portare le parti verso un approccio argomentativo  orientato  ad un obiettivo  concreto misurabile, deve riuscire a portare tutti nella situazione A.
Nelle tre situazione  caratterizzate dall'agire  strumentale di una o di entrambe le parti si
possono determinare altre tre  situazioni ideali. L'agire strumentale è un comportamento  abbastanza  normale delle persone che si sentono in una situazione di vantaggio, in questi casi il mediatore deve riuscire a smantellare la situazione di  comunicazione asimmetrica tra le parti..
D   Il  risultato  della  mediazione ha un obiettivo comune, ma questo è imposto più o meno  palesemente da una parte,le argomentazioni sono  coerenti al fine. Il risultato vede una parte  prevalere sull'altra, si tratta di un caso di impossibile  non previsto che va  a vantaggio di uno solo.
E   Il  risultato  della  mediazione ha un obiettivo che è vincolata da un sistema normativo, ad esempio  una clausola contrattuale, questo fatto  limita l'argomentare  e la parte che agisce in modo strumentale può portare a casa il risultato atteso, ad es. un esproprio, l'altra parte se si limita ad argomentazioni  nel merito delle norme  oggetto  della lite non può che  cercare il necessario per l'altra parte o al limite rifiuta il verbale e si ritira dalla mediazione.
F   Il  risultato  della  mediazione è  originato da una componente affettiva, ad es, la diffamazione, in questa circostanza  l'agire di una parte è sbilanciato  solo su un aspetto del problema. Questa situazione è di  forza apparente, nel senso che è possibile che entrambe le parti pensino  di essere più forti perciò la mediazione può fallire o nel migliore dei casi  portare ad una soluzione  limitata al necessario.
Tra le tre situazioni a simmetria comunicativa e  le tre asimmetriche vi sono  differenze profonde circa l’oggetto della lite, nella situazione A l’oggetto ha contenuti  concreti  e simbolici, anche la componente affettiva è condivisa, è possibile una valutazione  oggettiva di questo oggetto, passando nelle situazioni  B e C le componenti simboliche, in B quelle normative, sia di tipo giuridico  che tecniche,poi in C quelle affettive rendono l’oggetto della lite meno valutabile perchè prevalgono criteri sempre più soggettivi. In B ci creano  interpretazioni soggettive di norma più vantaggiose, in  C la soggettività è massima.
Nelle situazioni  asimmetriche  la parte che si considera forte tenta di imporre la sua visione oggettiva.
Nella situazione  D, una parte  cerca di imporre con argomentazioni di tipo perlocutivo il suo obiettivo, in E queste argomentazioni sono limitate alla componente tecnica o giuridica, in F cerca di imporre la sua visione affettiva della lite la pone su un piano strettamente soggettivo e personale, per dirla alla Habermas  usa una comunicazione  drammaturgica. In questi tre casi  l’atto perlocutivo ha contenuti diversi in D una parte spera di coinvolgere totalmente l’altra parte in E si limita a voler imporre la sua verità normativa e in F cerca di corteggiare l’altra parte.
In genere nelle situazioni di agire comunicativo è sempre possibile, ma poco probabile che la mediazione  fallisca, nelle situazioni a comunicazione asimmetrica è possibile e probabile che fallisca.


Carlo Baratta mediatore  Arbimedia  Torino.

Bibliografia
E.Cheli         La comunicazione come antidoto ai conflitti  Punto di fuga editore 2003
E.Goffman      Espressione e identità                              Il Mulino 2003 
E. Goffman     Relazioni in pubblichè                               Cortina   2008
J. Habermas  Teoria dell’agire comunicativo vol.1 vol.2   Il Mulino 1997
J. Habermas   La condizione intersoggettiva                     Laterza  2007
R.Hudson.       Sociolinguistica.:                                        il Mulino.2001
Per le matrici a doppia entrata vedi.
prof. M.R. Ferrante  Corso di  Metodi statistici per l’economia e per l’azienda  http://www2.stat.unibo.it/ferrante/stat/AA0405/U8%20-%20Tabelle%20a%20doppia%20entrata1.pdf

prof .F, Bertolucci  Università di Urbino.
http://www.econ.uniurb.it/bartolucci/descrittiva-lezione1127.pdf


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