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10 aprile 2015

16/15. Mediazione demandata: la convocazione deve riguardare anche il contumace (Osservatorio Mediazione Civile n. 16/2015)

=> Tribunale di Roma, 10 aprile 2014

Disposta la mediazione demandata ai sensi dell’art. 5 comma 2 d.lgs. n. 28/2010, la convocazione deve riguardare anche la parte rimasta contumace in causa. In particolare ciò, nel caso di più di due parti coinvolte nella controversia, ha il fine di propiziare un accordo pieno che riguardi tutte le parti coinvolte (nella specie compagnie co-assicuranti), senza che sia in ogni caso di ostacolo all’esperimento del procedimento di mediazione ed al raggiungimento dell’accordo l’eventuale assenza di una o più di esse. Vi sono infatti situazioni in cui non è pensabile, in termini di efficacia giuridica, un accordo al quale non partecipino tutte le parti interessate; vi sono, invece, altre situazioni in cui non sussistendo alcun litisconsorzio necessario, la presenza di tutte le parti convocate è utile ma non indispensabile. In tal caso, le valutazioni ed i provvedimenti che si dovessero trarre dalla mancata partecipazione alla procedura di mediazione ai sensi delle norme vigenti (art. 8 comma 4-bis d.lgs. n. 28/2010) riguarderanno tout court le parti costituite e solo ai sensi dell’art. 116 c.p.c. il contumace.

Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 16/2015

Tribunale di Roma
Sezione XIII
sentenza
10 aprile 2014

Omissis

letti gli atti e le istanze delle parti, osserva:

l’attrice lamenta che a seguito dell’intervento omissis presso la clinica omissis di Roma contraeva infezione nell’ambito della permanenza in detta struttura che non veniva immediatamente, come pure a suo dire possibile, considerata e curata, tanto che subiva un danno consistente nel rallentamento del processo di consolidazione della ferita ed impedimento di una corretta ripresa anatomo-funzionale del distretto interessato.
Il C.T.U. nominato dal giudice rilevava per contro che il P.R. aveva provveduto per quanto di sua competenza ad osservare ogni misura idonea a preservare la salute della paziente.
Ed in effetti ciò è documentale come risulta dagli atti acquisiti alla causa.
“ Il medico, al quale si era rivolta l’attrice già prima dell’intervento e che aveva preso in cura R.S. operandola, cioè il prof. P.R., impartiva adeguata tempestiva ed appropriata cura antibiotica da proseguirsi anche dopo le dismissioni.
“ Ciò è irrefutabile e documentale.
“ E pertanto la evocazione in giudizio del medesimo era del tutto fuori luogo.
“ Di ciò la difesa dell’attrice sembra non essere ancora consapevole nel redigere le errate note critiche che omettono di considerare la immediata adeguata ed esaustiva somministrazione di terapie antibiotiche proprio da parte del prof. P.R., il medesimo che vista la non retrocessione della malattia provvedeva ad inviare (anche qui il fatto è documentale) la paziente presso l’ospedale omissis per accertamenti ulteriori.
“Tutto ciò con scansioni temporali ragionevoli, vista la necessità di attendere l’esito delle cure somministrate ”.
Il C.T.U. dà atto che nel caso in esame era stata utilizzata una tecnica chirurgica consolidata da anni in conformità alle metodiche medico-chirurgiche stabilite dalla prassi e dalla scienza medica.
E che l’intervento era ben riuscito.
D’altra parte la paziente non era affetta all’ingresso nella casa di cura da alcuna infezione nella parte qua del suo corpo.
I problemi successivi quindi non sono dipesi da una errata scelta ovvero inadeguata modalità di esecuzione dell’intervento, né da pregresse patologie ed infezioni in atto, ma da complicanze successivamente insorte.
A dire del CTU se è infatti evidente il nesso di causalità tra i postumi derivati (processo infettivo postoperatorio) e l’intervento chirurgico al piede destro effettuato il 23 gennaio 2007, tale nesso non può essere attribuito alle responsabilità degli operatori sanitari ma ad un “cedimento” della catena della prevenzione, i cui obblighi spettano alle strutture che forniscono i servizi operatori, ospedali pubblici o case di cura private.
Il consulente tecnico di ufficio affermava altresì che le infezioni post-operatorie, in una piccola percentuale (circa il 2%), costituiscono una complicanza degli interventi chirurgici di ortopedia anche quando vengono rispettate tutte le procedure raccomandate dalle più recenti linee guida; è necessario sottolineare anche che tali infezioni così dette nosocomiali  molto spesso presentano una forte resistenza a qualsiasi terapia farmacologica.
Uscito di scena il medico che ha effettuato l’intervento chirurgico, va rigettata, perché doppiamente erronea ed infondata, l’eccezione della casa di cura che declina ogni sua responsabilità sotto il profilo che il rapporto contrattuale è stato concluso solo fra l’attrice che assume il danno ed il medico convenuto che non è un dipendente della casa di cura omissis né ha con la stessa rapporti di collaborazione stabile con detta struttura, presso la quale si limita ad eseguire sporadici interventi solo per la sua clientela. Ogni rapporto è intercorso esclusivamente fra il medico e la paziente (scelta della clinica, pagamento degli onorari, effettuazione delle prestazioni mediche e curative etc.). Come da contratto specificamente stipulato fra i due soggetti (medico – paziente) in data 23.1.2007 e consegnato alla casa di cura.
In primo luogo si condivide la giurisprudenza della S.C. che ha affermato la corresponsabilità nei confronti del paziente della casa di cura presso la quale ha operato il medico non legato da rapporti di dipendenza con la medesima
Invero la giurisprudenza ha ormai chiarito da tempo (Cass. n. 13066/2004, n. 9556/2002 e n.
103/99), che la responsabilità della struttura è di regola presente anche in presenza di intervento effettuato da medico non dipendente della stessa (“l’oggetto dell’obbligazione assunta dalla Casa di cura non è costituito semplicemente dalla prestazione medica dei propri dipendenti, ma da una più complessa prestazione, definita come ‘assistenza sanitaria’, oggetto di un contratto atipico, inquadrabile nella categoria della locatio operis. A carico della struttura sanitaria gravano infatti, prestazioni non solo di diagnosi e cura, ma anche di tipo organizzativo, connesse all’assistenza post-operatoria, alla sicurezza delle attrezzature, dei macchinari, alla vigilanza ed alla custodia dei pazienti, oltre a prestazioni più propriamente riconducibili al contratto d’albergo. L’attività del medico costituisce quindi solo un momento di una più complessa prestazione, ed il danno non sempre è conseguenza dell’errore del singolo operatore, ma talvolta anche del comportamento di più soggetti. Tanto comporta, oltre la responsabilità vicaria per il fatto del dipendente, altra, diretta, per la carente organizzazione, che può riguardare numerosi aspetti, quali la disponibilità di personale qualificato ed in numero sufficiente, la sorveglianza sul coordinamento dei servizi, la garanzia sulla salubrità degli ambienti, la disponibilità di attrezzature di adeguato livello tecnologico, la cui disponibilità sia esigibile per la natura delle prestazioni ivi offerte. Conseguentemente, la responsabilità dell’ente per il fatto dei propri medici ausiliari si fonda sulla previsione dell’art. 1228 c.c., in forza del quale, il debitore che nell’adempimento dell’obbligazione si avvale dell’opera di terzi, risponde anche dei fatti dolosi o colposi di costoro. La natura della responsabilità della struttura, poi, non muta se il paziente si sia rivolto direttamente ad una struttura sanitaria del S.s.n. o convenzionata, o se si sia rivolto ad un medico di fiducia che ha effettuato l’intervento presso una struttura privata, sempre che il professionista sia inserito nella stessa, in rapporto di dipendenza o di mera convenzione, supponendo anche la seconda forma di collaborazione una scelta del medico da parte della struttura, con assunzione del relativo rischio”).
Ed anzi la condotta (casa di cura) della convenuta induce a ritenere necessaria tale ricostruzione dogmatica del complesso rapporto giuridico paziente-medico-struttura ospedaliera.
E’ evidente infatti che avvalorando la tesi propugnata dalla convenuta, non vi sarebbe struttura privata che non imporrebbe a chiunque la forma di un modulo con su scritto: rapporto intercorso solo fra medico Caio e paziente Sempronio, la casa di cura non c’entra niente.
Inoltre se c’è un caso dove tale eccezione è del tutto fuori luogo è proprio in questa causa dove si parla di infezione nosocomiale.
Locuzione che evoca evidentemente possibili responsabilità della casa di cura.
E pertanto ogni discettazione, in merito a solidarietà esterna e rapporti di regresso interni, è sterile ed irrilevante.
Attese le indubbie semplificazione e laconicità che si riscontrano nell’elaborato del consulente tecnico di ufficio vanno esposte ulteriori informazioni e principi pertinenti ed utili in materia di infezioni nosocomiali.
Qual è il quadro che emerge da quanto sopra?
Fermo restando che una volta accertato che il paziente ha contratto un’infezione nosocomiale, in virtù dei principi che regolano l’onere della prova, in materia contrattuale (qual è quella che ci occupa, , ancorché non fondata sul contratto, ma sul “contratto sociale”) non vi può essere alcun dubbio che incombe alla struttura ospedaliera ed in questo caso alla clinica spa omissis provare di avere adottato tutte le misure utili e necessarie per una corretta sanificazione ambientale, al fine di evitare la contaminazione.
In altre parole la convenuta deve fornire la prova che l’evento dannoso (contagio) non rientra fra le complicanze prevedibili ed evitabili.
Qual è il modo di adempiere a tale prova negativa ?
Quello di fornire la prova positiva di aver fatto tutto quanto la scienza del settore ha finora escogitato per evitare o quanto meno ridurre al massimo il rischio di contaminazione.
Si può dire che la convenuta abbia fornito tale prova ?
Sicuramente dall’esame a contrariis della specifica minuziosa elencazione delle attività di sanificazione che sarebbero state poste in essere di cui alla memoria ex art. 183 I° e II° c.p.c. della casa di cura convenuta si può escludere che sia stato costituito ivi un CIO “organismo multidisciplinare responsabile dei programmi e delle strategie di lotta e di contrasto contro le infezioni ospedaliere”, così come che nell’ambito delle funzioni di tale comitato o in qualsiasi altro modo siano stati predisposti percorsi di formazione e di sensibilizzazione del personale a vario titolo operante nella struttura al problema delle Infezioni Ospedaliere (IO) o Correlate all’Assistenza (ICA)
In ogni caso il giudice ritiene che vi siano lacune istruttorie che devono essere colmate.
Ma che di tali lacune debba farsi carico l’ufficio in dipendenza della non esaustiva indagine peritale.
Esclusa la rilevanza ed efficacia delle prove orali richieste dalla casa di cura, in primo luogo il C.T.U. dovrà validare, arricchendole ed integrandole se del caso, le affermazioni di cui alla nota due affinché diventino patrimonio formale della causa e non solo cognizione del giudice.
In secondo luogo il giudice intende appurare, mediante indagine integrativa da affidare al consulente, se oltre alle necessarie ordinarie cautele (di cui è traccia nella documentazione prodotta dalla casa di cura) siano stati attuati specifici protocolli diretti all’applicazione, monitoraggio, aggiornamento e verifica dei risultati delle pratiche dirette ad evitare o contenere le infezioni nosocomiali, se è stato istituito un comitato o gruppo di lavoro a ciò deputato, se e come abbia operato e quant’altro.
Il tutto al fine di pervenire ad una ragionevole e motivata valutazione -non fondata su un inaccettabile principio di responsabilità oggettiva- sulla sussistenza del nesso causale fra evento (infezione) e deficit di sanificazione.
Ovvero per escluderlo, mediante l’affermazione che avendo adempiuto la casa di cura a quanto era possibile ed esigibile allo stato dell’arte, l’evento danno va ascritto nel novero delle complicanze imprevedibili ed inevitabili collegate alla presenza della paziente nel nosocomio.
Tale esclusione andrà rapportata ad un obiettivo c.d. di rischio minimo (ovvero l’adozione di un insieme di procedure e di protocolli elaborati allo stato attuale dalla scienza del settore per ridurre al minimo il rischio di esposizione ad infezioni nosocomiali dei pazienti).
A tale fine il consulente accerterà con ispezione in loco, e servendosi, occorrendo, di persona- le specializzato di sua fiducia, in relazione ai parametri supra esposti dal giudice, previa esame esteso alle scritture ed ai registri contabili della società, se e quali attività utili al fine risultino effettivamente attivate e con quali cadenze presso la casa di cura convenuta.
Ritiene il giudice, prima di disporre la nuova consulenza, che per la regolamentazione dei rapporti fra le parti possa essere vantaggioso avviare un preventivo percorso di mediazione demandata ai sensi dell’art.5 co.II° decr. legisl. 28/2010 al quale parteciperanno da una parte la casa di cura convenuta e dall’altra le assicurazioni convenute (la presenza del medico prof. P.R. non è ritenuta necessaria dal giudice ma utile).
La convocazione dovrà riguardare anche l’assicurazione rimasta contumace in questa causa. Ciò al fine di propiziare un accordo pieno che riguardi tutte le compagnie coassicuranti.
Senza che sia di ostacolo all’esperimento del procedimento di mediazione ed al raggiungimento dell’accordo l’eventuale assenza di una o più di esse.
Vi sono infatti situazioni in cui non è pensabile, in termini di efficacia giuridica, un accordo al quale non partecipino tutte le parti interessate. Pena che il negozio giuridico eventualmente siglato risulti inutiliter dato.
Vi sono altre situazioni, e questa vi rientra, in cui non sussistendo alcun litisconsorzio necessario, la presenza di tutte le parti convocate è utile ma non indispensabile.
Invero, nel caso in esame, una volta che fra la casa di cura e le assicurazioni chiamate in causa sia stato raggiunto l’auspicato accordo, il giudice provvederà a regolare, autonomamente, i rapporti fra la casa di cura e quella fra le assicurazioni che dovesse non aderire all’invito o non partecipare all’accordo. Che sia qui costituita o meno.
Le valutazioni ed i provvedimenti che si dovessero trarre dalla mancata partecipazione alla procedura di mediazione ai sensi delle norme vigenti (art.8 co.4 bis decr. lgsl. 28/2010)   riguarderanno tout court le assicurazioni costituite e solo ai sensi dell’art.116 c.p.c. l’assicurazione contumace.
La procedibilità delle domande della casa di cura di chiamata in giudizio a manleva delle compagnie di assicurazione resta pertanto subordinata al puntuale adempimento di quanto testé prescritto.
Le spese (che vengono regolate secondo le previsioni –orientative per il giudice che tiene con-to di ogni utile circostanza per adeguare nel modo migliore la liquidazione al caso concreto- della l.24.3.2012 n.27 e del D.M. Ministero Giustizia 22.7.2012 n.140) seguono la soccombenza, e possono essere liquidate fin da subito, nonostante si tratti si sentenza parziale, posto che la stessa pur non definendo interamente il giudizio, regola completamente e definitivamente i rapporti fra l’attrice ed il medico convenuto.
La sentenza è per legge esecutiva.

P.Q.M.

Non definitivamente pronunziando, salvo che per il rapporto fra R.S.  ogni contraria domanda eccezione e deduzione respinta, così provvede:
rigetta le domande di R.S. contro il prof. P.R.;
condanna R.S. al pagamento in favore del prof. P.R. delle spese di causa che liquida in favore del predetto in complessivi €.3.000,00 di cui €.600,00 per spese, oltre IVA e CAP;
dispone con separata ordinanza per il prosieguo.
Sentenza esecutiva
Roma lì 10.4.2014

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.