=> Trib. Roma, 17 marzo 2014
Va affermata la ammissibilità e l’utilizzabilità
della relazione dell’esperto esterno nominato
durante la procedura di mediazione nel giudizio
avente il medesimo oggetto anche parziale, iniziato, riassunto o proseguito
dopo l’insuccesso della mediazione. I risultati della relazione sono liberamente e validamente contestabili
dalle parti in ogni contesto (mediazione e processo) e – il nostro
ordinamento conoscendo ed autorizzando le prove
atipiche, purché siano rispettati alcuni fondamentali principi dell'ordinamento
stesso (e fra questi principalmente quello del contraddittorio) - il giudice potrà utilizzare tale relazione
secondo scienza e coscienza, con prudenza, secondo le circostanze e le
prospettazioni, istanze, e rilievi delle parti.
BREVE ANNOTAZIONE
Prima della introduzione del giudizio veniva
svolto un procedimento di mediazione
(obbligatoria) nel quale, sull'accordo delle parti, il mediatore ha nominato un consulente tecnico che ha depositato
all'esito degli accertamenti concordemente demandatigli e svolti, una relazione peritale.
L'elaborato è stato prodotto in
giudizio.
Tutte le altre parti (convenuti
e terza chiamata) hanno contestato la
ammissibilità di tale produzione.
Il
giudice, invece, ammette la produzione della relazione dell'esperto.
Il giudice, tra l’altro, osserva:
- che in un'ottica di “equilibrato
contemperamento fra l'esigenza,
nei limiti in cui è normata, di
riservatezza che ispira il procedimento di mediazione e quella di economicità e
utilità delle attività che si compiono nel corso ed all'interno di tale
procedimento, va dichiarata legittima ed ammissibile la produzione nella
causa alla quale pertiene la mediazione, dell'elaborato del consulente tecnico
esterno”. Ciò, limitatamente agli aspetti ed ai contenuti che siano
strettamente corrispondenti al compito accertativo che gli sia stato affidato;
- l'“assenza di impedimenti giuridici
all'utilizzo della relazione peritale al di fuori della mediazione e
specificamente nella causa che può seguire (o proseguire)”, così come
l'assenza di “qualsiasi reale contrasto con le
norme e la disciplina legale di tale istituto”. Invero i divieti
previsti dalla legge della mediazione “hanno
per oggetto esclusivamente le dichiarazioni delle parti (di cui le informazioni
- di cui pleonasticamente parla la legge - sono solo uno dei possibili
contenuti)”;
- nessuna
norma del decreto legislativo 28/2010 fa divieto dell'utilizzo nella causa
della relazione dell'esperto,
fermo restando il generale obbligo di riservatezza anche del consulente, come
di tutti gli altri soggetti che intervengono nel procedimento;
- l'ultima parte dell'art. 10 primo comma
decr.cit. conferma che “il consenso per l'utilizzazione in ambito
diverso dal procedimento di mediazione all'interno del quale (le dichiarazioni)
sono emerse è necessario solo per le dichiarazioni
delle parti”;
- con riferimento all'art.9 decr.cit. (che immancabilmente riferisce e limita
testualmente l'obbligo di riservatezza alle dichiarazioni rese e alle
informazioni acquisite durante il procedimento medesimo) può stabilirsi un primo punto
fermo: quella della “selettività del divieto che riguarda
esclusivamente le dichiarazioni e le informazioni che una parte abbia fornito (a chicchessia dei soggetti presenti nel
procedimento di mediazione e quindi, per ipotesi, anche al consulente). E non
gli accertamenti del consulente”.
Ammessa
la produzione della relazione dell'esperto, stralciata da ogni divagazione rispetto agli
accertamenti in senso stretto, il giudice non
ritiene tuttavia di trarne elementi di utilità (ed invero – osserva il
giudice – il medico specialista, non medico legale, “ha con evidenti salti logici e vistose omissioni ricostruttive degli
eventi e dei fatti, tratto un sommario quanto apodittico giudizio di
responsabilità medica”).
Fonte: Osservatorio
Mediazione Civile n. 28/2014
Tribunale di Roma
Sezione XIII
17 marzo 2014
Ordinanza
…omissis…
Non si ritiene sussistente la lamentata
nullità della citazione per indeterminatezza della causa petendi e
dell'oggetto della domanda.
Interpretando complessivamente, come
doveroso, gli atti dell'attrice e non solo la citazione, si può affermare che
la stessa addebita in modo intellegibile al nosocomio e al medico operante
convenuti che : doveva essere operata per endometriosi del setto retto
vaginale consistente in asportazione di cisti nella cavità uterina; e che tale
intervento veniva eseguito malamente e nel corso dello stesso subiva la non
richiesta e non informata asportazione dell'utero con quanto di negativo ne
conseguiva (sterilità).
Nonché tutti i problemi e ricoveri
successivi.
E' stato svolto prima della
introduzione del presente giudizio un procedimento di mediazione (obbligatoria)
alla quale ha partecipato, come unico convocato, l'attuale convenuto nosocomio.
Non sono stati infatti chiamati in
mediazione in quella occasione né il medico successivamente citato in giudizio
né, ovviamente (trattandosi di chiamata di terzo improvvidamente non
disciplinata dalle norme che disciplinano il procedimento di mediazione), la
sua assicurazione, attuale terza chiamata in causa.
Nel corso del procedimento di
mediazione, sull'accordo delle parti, il mediatore ha nominato un consulente
tecnico che ha depositato all'esito degli accertamenti concordemente
demandatigli e svolti, una relazione peritale (intitolata parere
specialistico ginecologico pro-veritate).
L'elaborato è stato prodotto al n.19
dei documenti di parte attrice.
Tutte le altre parti (convenuti e terza
chiamata) hanno contestato la ammissibilità di tale produzione, il medico
convenuto e la sua assicurazione anche per non essere stati parti nel
procedimento di mediazione e di conseguenza per non aver potuto contraddire e
nominare consulenti di parte.
La attenta difesa del nosocomio ha
svolto una approfondita contestazione in merito alla produzione della relazione
del perito nominato dal mediatore (ipotizzando anche profili di responsabilità
deontologica a carico dell'avvocato della parte attrice derivante da tale
ritenuta arbitraria produzione).
In particolare la difesa del nosocomio
ha evidenziato tre punti di possibile collisione fra la produzione della
relazione del consulente nonché la sua eventuale ammissione ed utilizzo in
giudizio e la struttura e gli sbarramenti del procedimento di mediazione di cui
al decreto legislativo 28/2010.
La produzione violerebbe la
disposizione del comma primo dell'art.10 del decr.lgs.28/10 sulla
inutilizzabilità nella causa delle dichiarazioni rese e delle informazioni
acquisite nel corso del procedimento di mediazione.
La produzione inoltre si scontrerebbe
con le prescrizioni dell' art. 9 (che impone a chiunque operi nell'ambito del
procedimento di mediazione l'obbligo di riservatezza) e del comma secondo
dell'art.10 del cit. decreto.
Infine a presidiare il principio della
riservatezza che ispira tutto il procedimento di mediazione si porrebbe il
disposto del secondo comma dell'art. 10 del cit. decreto.
Ha altresì dichiarato, così come hanno
fatto le altre controparti, l'assoluto diniego alla produzione di atti provenienti
dal procedimento di mediazione (ed in particolare dell'elaborato dell'esperto),
di cui è stato richiesto lo stralcio.
Va considerato che la possibilità della
nomina di un consulente tecnico esterno ed estraneo ai soggetti ordinari che
sono presenti nel procedimento di mediazione (mediatore, parti e loro
rappresentanti) è, nel relativo sistema normativo, per così dire, residuale.
Ciò si ricava a contrariis dalla
disposizione dell’art. 8 del decr.lgs. 28/10.
Nonché dalla successiva disposizione
che prevede la possibilità della nomina di un consulente tecnico esterno solo
laddove siano assenti o carenti non solo nel mediatore titolare ma anche in
quello eventuale, ausiliario, le competenze tecniche specifiche e necessarie
per il caso oggetto del procedimento.
Occorre interrogarsi, e la presente
causa offre l'occasione per farlo, in mancanza di precedenti giurisprudenziali,
su quali siano le possibilità di utilizzo e le utilità derivanti dalla nomina
di un consulente tecnico esterno alla procedura di mediazione, sia all'interno
della stessa e sia nel giudizio avente il medesimo oggetto anche parziale,
iniziato, riassunto o proseguito dopo l’insuccesso della mediazione.
Il tutto ponendo mente, oltre alle
norme supra richiamate, al principio di riservatezza che ispira la procedura di
mediazione di cui all'art. 3 del decr.lgs. 28/10.
Tale principio trova la sua scaturigine e ragion
d'essere nella necessità di favorire quanto più possibile l'instaurazione fra
le parti presenti nel procedimento di mediazione, di un clima di libero, leale
e sincero confronto e discussione, nelle sessioni congiunte e in quelle
separate con il mediatore, tale che consenta ad ognuna di esse di aprirsi senza
remore e timori, esponendo fino in fondo il rispettivo punto di vista, con le
relative aspettative e richieste, con ciò che vi è in esse di rinunciabile ed
al contrario di indefettibile.
Disponibilità d'animo e di volontà
sicuramente propiziate ed agevolate dalla consapevolezza della non
utilizzabilità (altrove) senza il suo consenso, delle dichiarazioni che la
parte abbia fatto.
Naturalmente se tale cogente e logica
prescrizione normativa non fosse stata accompagnata dall'altra, contenente il
divieto rivolto a chiunque partecipi al procedimento di mediazione, di
propalare altrove e precipuamente nella causa alla quale pertiene la
mediazione, quand'anche sotto invito di testimonianza, le dichiarazioni del
dichiarante che non lo desideri e lo consenta, la prima cautela avrebbe
rischiato di rimanere vana e di debole efficacia.
Non si può e non si deve, però, neppure
enfatizzare oltre ogni limite il principio della riservatezza, rischiando di
andare oltre quello che il legislatore ha stabilito.
Riservatezza ad ogni costo e sempre non
significa infatti agevolare con sicurezza il successo della mediazione ed il
raggiungimento dell'accordo.
E' sufficiente evidenziare, per
dimostrarlo, che le parti in mediazione possono essere tentate, per il timore
della sua circoscritta utilità, di rifiutarsi (e sicuramente ciò accade di
frequente) di acconsentire alla nomina, da parte del mediatore, di un esperto
anche quando l'ausilio di un tecnico specializzato nella materia potrebbe
chiarire aspetti fondamentali, perché dubbi, della situazione in conflitto.
Si pensi all'accertamento, a mezzo di
una consulenza medica, dei danni alla persona in presenza di una domanda di
risarcimento a seguito di un qualsiasi evento (RCA, responsabilità
medico-sanitaria e via dicendo).
In questi casi farsi carico della spesa
non irrisoria per il compenso da attribuire all'esperto in mediazione potrebbe
apparire inappropriato e non conveniente proprio per la prospettiva di non
poter produrre la relazione dell'esperto nella causa che potrà seguire al
mancato raggiungimento dell'accordo.
Ritiene il giudice, alla luce delle
precedenti considerazioni ed in un'ottica di equilibrato contemperamento fra
l'esigenza, nei limiti in cui è normata, di riservatezza che ispira il
procedimento di mediazione e quella di economicità e utilità delle attività che
si compiono nel corso ed all'interno di tale procedimento, di poter dichiarare
legittima ed ammissibile la produzione nella causa alla quale pertiene la
mediazione, dell'elaborato del consulente tecnico esterno.
Limitatamente, ove occorra rilevarlo,
agli aspetti ed ai contenuti che siano strettamente corrispondenti al compito
accertativo che gli sia stato affidato.
Il consulente, nel perimetro di ciò che
le parti attraverso il mediatore, gli hanno demandato di accertare, esegue e
svolge il suo incarico redigendo una relazione.
Quale sia esattamente l'attività
espletabile dal consulente tecnico nella mediazione è agevolmente predicabile
facendo riferimento a quanto lo stesso consulente, in quel caso nominato dal
giudice, può effettuare nella causa, nell'adempimento dell'incarico.
Si ritiene, dalla giurisprudenza (e con
riferimento all'ambito giudiziario) che vi siano due tipi di consulenza
tecnica.
Quella c.d. percipiente, che ha natura di
fonte di acquisizione della prova in quanto con essa il consulente acquisisce
elementi e dati che precedentemente non facevano parte del materiale probatorio
della causa, costituendo a ciò ostacolo la necessità (o la utilità) di
specifiche doti e conoscenze tecniche ovvero di mezzi e di apparecchiature
particolari non a disposizione del giudice.
La consulenza c.d. deducente,
invece, è quella che ha per oggetto la valutazione di fatti, elementi e cose
già presenti ed acquisiti al patrimonio istruttorio della causa.
Trasferiti, come è agevole e possibile,
tali concetti nel procedimento di mediazione, si può desumere l'assenza di
impedimenti giuridici all'utilizzo della relazione peritale al di fuori della
mediazione e specificamente nella causa che può seguire (o proseguire), così
come l'assenza di qualsiasi reale contrasto con le norme e la disciplina legale
di tale istituto.
Invero i divieti previsti dalla legge
come supra ricordati hanno per oggetto esclusivamente le dichiarazioni
delle parti (di cui le informazioni - di cui pleonasticamente parla la legge -
sono solo uno dei possibili contenuti).
Viceversa l'attività del consulente in
mediazione, all'esito degli accertamenti che compie (che non potranno
consistere nel raccogliere e riportare dichiarazioni delle parti o informazioni
provenienti dalle stesse, perché questo non è un suo compito e non rientra fra
le attività che deve espletare, come del resto è previsto espressamente
nell'ambito della causa dove la possibilità di acquisire informazioni dalle
parti da parte del C.T.U. è subordinato ad espressa autorizzazione del giudice,
cfr. 194 c.p.c.), si estrinseca (ed esaurisce) nella motivata esposizione dei
risultati dei suoi accertamenti tecnico-specialistici.
Nessuna norma del decreto legislativo
28/2010 fa divieto dell'utilizzo nella causa della relazione dell'esperto,
fermo restando il generale obbligo di riservatezza anche del consulente, come
di tutti gli altri soggetti che intervengono nel procedimento.
Una esplicita conferma di quanto
precede si ricava dall'ultima parte dell'art. 10 primo comma decr.cit. che fa
salvo il consenso della parte dichiarante o dalla quale provengono le
informazioni.
Così confermandosi che il consenso per
l'utilizzazione in ambito diverso dal procedimento di mediazione all'interno
del quale (le dichiarazioni) sono emerse è necessario solo per le dichiarazioni
delle parti.
Un ultima considerazione riguarda un
presunto divieto derivante dal generale principio di riservatezza che ispira il
procedimento di mediazione.
Si tratta, a ben vedere, di
un'affermazione che prova troppo.
L'art. 3 del decr.lsg.28/10, non
predica affatto una generale riservatezza del procedimento.
Piuttosto prevede espressamente che
il regolamento (dell'organismo, n.d.r.) deve in ogni caso garantire la
riservatezza del procedimento ai sensi dell’articolo 9.
Norma, l'art.9, che immancabilmente
riferisce e limita testualmente l'obbligo di riservatezza alle dichiarazioni
rese e alle informazioni acquisite durante il procedimento medesimo.
Può pertanto stabilirsi un primo punto
fermo: quella della selettività del divieto che riguarda esclusivamente le
dichiarazioni e le informazioni che una parte abbia fornito (a chicchessia dei
soggetti presenti nel procedimento di mediazione e quindi, per ipotesi, anche
al consulente).
E non gli accertamenti del consulente.
Tale differenza non è casuale.
Una dichiarazione (e/o informazione
fornita a cura) della parte, se considerata spendibile nel processo, potrebbe
avere effetti devastanti per la medesima come ad esempio nel caso che abbia
contenuto confessorio e ammissivo di circostanze a se sfavorevoli.
E' appena il caso di ricordare la
possibile formidabile rilevanza nella causa delle dichiarazioni di una parte
anche se rese in sede diversa da quella.
Affatto diversa è l'efficacia
dell'accertamento dell'esperto nel corso della mediazione.
Si tratta di un diverso aspetto del
problema fin qui affrontato e che attiene alla utilizzazione in giudizio della
relazione dell'esperto.
I cui risultati, occorre precisare,
sono liberamente e validamente contestabili dalle parti, in ogni contesto
(mediazione e processo).
Invero, se come ritenuto, le risultanze
della perizia in mediazione sono, in linea di principio, in sede giudiziale
ammissibili ed utilizzabili, è ben diverso il valore e l'efficacia delle stesse
rispetto a quelle della consulenza tecnica di ufficio.
E ciò in quanto la prima non facente
parte degli strumenti apprestati dal codice di rito per l'acquisizione,
formazione e valutazione della prova, perché non disposta, controllata e
diretta dal giudice, e perché l'esperto in mediazione non è un ausiliario del
giudice (per tutti gli effetti connessi e) con la conseguenza che anche le sue
possibilità accertative potrebbero in concreto incontrare dei limiti e ostacoli
nei rapporti esterni.
Ma il nostro ordinamento conosce ed
autorizza le prove atipiche, purché siano rispettati alcuni fondamentali
principi dell'ordinamento stesso (e fra questi principalmente quello del
contraddittorio).
Ne consegue che il giudice potrà
utilizzare tale relazione secondo scienza e coscienza, con prudenza, secondo le
circostanze e le prospettazioni, istanze, e rilievi delle parti .
Meno frequentemente per fondarvi la
sentenza, più spesso per trarne argomenti ed elementi utili di formazione del
suo giudizio.
Ovvero, aspetto niente affatto
secondario, per costituire il fondamento conoscitivo ed il supporto
motivazionale (più o meno espresso) della proposta del giudice ai sensi
dell'art. 185 bis cpc.
Nel caso di specie il giudice, pur
ammettendo la produzione della relazione dell'esperto (stralciata da ogni
divagazione rispetto agli accertamenti in senso stretto,) non ritiene di trarne
elementi di utilità, neppure fra le parti fra le quali si è validamente svolto
l'esperimento di mediazione.
Ed invero il medico specialista (non
medico legale) ha con evidenti salti logici e vistose omissioni ricostruttive
degli eventi e dei fatti, tratto un sommario quanto apodittico giudizio di
responsabilità medica.
Inoltre, invece di rispondere solo come
dovuto ed in modo diretto, ai tre appropriati quesiti formulati dalle parti e
dal mediatore a verbale del 21.2.2012, l'esperto incaricato si perdeva con
irrilevanti e inammissibili divagazioni.
Va pertanto disposta consulenza
tecnica di ufficio.
Si
assegnano al CTU nominato i seguenti quesiti:
gli atti di causa e la documentazione
sanitaria allegata, visitata la perizianda, ed esperita ogni altra eventuale
indagine clinico-strumentale specialistica, reputata indispensabile, anche
avvalendosi di ausiliari, accerti il CTU in relazione alla attività
professionale prestata alla parte attrice, considerata la storia pregressa
dell'attrice e la patologia di endometriosi
del setto retto-vaginale in ordine alla quale la stessa veniva operata dal
prof. ---
1) Diagnosi
i) se la formulazione della
diagnosi sia stata corretta
ii) in caso di errore di diagnosi
specifichi se sia dovuto a
-- incompletezza delle indagini
cliniche e strumentali
-- oggettiva difficoltà di
interpretazione dei dati clinici e strumentali
-- altro
2. Scelta del trattamento (descrizione)
i) se il trattamento prescelto
poteva ritenersi astrattamente adeguato rispetto al caso specifico, avuto
riguardo alla diagnosi correttamente formulata ed agli interventi comunemente
praticati secondo la migliore scienza ed esperienza medico-chirurgica del tempo
per il caso in esame;
ii) in relazione al precedente quesito
dica:
-- se il trattamento prescelto
richiedesse una specifica competenza professionale e se questa fosse in
possesso del convenuto (esperienza maturata nella esecuzione del trattamento
prescelto)
3. Esecuzione del trattamento
i) accerti se il trattamento
sia stato eseguito in conformità alle metodiche medico-chirurgiche stabilite
dalla prassi e dalla scienza applicata ad interventi di questo genere;
ii) con particolare riguardo
all'avvenuta isterectomia;
iii) in caso di risposta negativa:
specifichi le cause della difettosa
esecuzione (in relazione alla: tempestività, regolarità, completezza,
compatibilità dei mezzi impiegati, ecc.) - rilevi e descriva eventuali
difficoltà (originarie o sopravvenute) nella esecuzione del trattamento
indicando se e quali rimedi siano stati adottati (ovvero fossero in concreto
adottabili) per il superamento delle stesse;
4. Danno
i) accerti se siano reliquati
postumi diversi da quelli normalmente ricollegabili al trattamento
correttamente praticato
ii) in caso affermativo accerti
il rapporto causale tra l'operato del medico ed i postumi
iii) descriva gli eventuali
precedenti morbosi del soggetto e la relazione di concorso-consistenza
iv) dica se ed in che misura
percentuale i postumi abbiano ridotto in modo permanente la complessiva
integrità psicofisica del soggetto (idoneità a svolgere le attività
esistenziali comuni alla generalità delle persone), precisando il criterio
adottato per la determinazione del valore percentuale
v) descriva separatamente,
omettendo ogni valutazione percentuale, l'eventuale danno alla integrità
fisiognomica, allegando fotografie
vi) dica se i postumi individuati
possano incidere in concreto su particolari attività non lavorative che il
periziando alleghi di svolgere, le quali per frequenza e caratteristiche
intrinseche esulino dalle normali attività esistenziali
vii) dica se ed in che
percentuale il periziando possa attenuare od eliminare i postumi con protesi o
terapie ad hoc, precisando costo, durata, difficoltà e possibilità di successo
di tali interventi
viii) valuti se le spese di cura
sostenute dal periziando in conseguenza del danno patito e se siano state
necessarie, utili o superflue
Dà atto che il CTU inizierà le
operazioni peritali alle ore del giorno presso il proprio studio. Acquisisce il
giuramento del CTU.
Termine ultimo per la nomina di CTP
anche a verbale del CTU.
La relazione peritale sarà trasmessa
dal consulente a mezzo fax ovvero e-mail alle parti entro il
Le parti fino al potranno trasmettere
le loro osservazioni al consulente con i stessi mezzi.
Il CTU depositerà la propria relazione
in cancelleria con le osservazioni delle parti e una sintetica valutazione
delle stesse, entro il ---
Concede al CTU un’acconto di €.800,00
più accessori da porsi provvisoriamente a carico dell'attrice.
Autorizza le parti al ritiro dei
fascicoli per la consegna al nominato CTU.
P.Q.M.
a scioglimento della riserva,
AMMETTE le prove documentali
delle parti come in motivazione specificato; riservando al prosieguo ogni
decisione sulla prova orale;
NOMINA consulente tecnico di ufficio la
dott.ssa --- e rinvia per il giuramento all’udienza del 26.5.2014 h. 10,15.
FARE AVVISI mail o fax anche al
consulente tecnico di ufficio nominato.
Roma lì 17.3.2014 Il Giudice
dott. cons. Massimo Moriconi
AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.
Inutilizzabilità e segreto
professionale
1. Le dichiarazioni rese o le informazioni
acquisite nel corso del procedimento di mediazione non possono essere
utilizzate nel giudizio avente il medesimo oggetto anche parziale, iniziato,
riassunto o proseguito dopo l’insuccesso della mediazione, salvo consenso della
parte dichiarante o dalla quale provengono le informazioni. Sulle stesse
dichiarazioni e informazioni non è ammessa prova testimoniale e non può essere
deferito giuramento decisorio.
Dovere di riservatezza
1. Chiunque presta la propria opera o
il proprio servizio nell’organismo o comunque nell’ambito del procedimento di
mediazione è tenuto all’obbligo di riservatezza rispetto alle dichiarazioni
rese e alle informazioni acquisite durante il procedimento medesimo.
Art. 2735 cc Confessione stragiudiziale.
La confessione stragiudiziale fatta
alla parte o a chi la rappresenta ha la stessa efficacia probatoria di quella
giudiziale. Se è fatta a un terzo o se è contenuta in un testamento [587], è
liberamente apprezzata dal giudice.