Pagine

2 febbraio 2014

4/14. Corte dei conti: necessità per la p.a. di addivenire all’accordo conciliativo sia per evitare i costi del contenzioso civile, sia per rimediare al danno di immagine (Osservatorio Mediazione Civile n. 4/2014)

=> Corte dei Conti, Sez. giurisd. per la Sicilia, 23 luglio 2013, n. 2719

Ai fini della verifica dal parte della Corte dei conti  se un accordo conciliativo concluso a seguito di procedimento di mediazione sia nel suo complesso congruo va osservato che: a. è irrilevante la circostanza che la mediazione sia stata attivata pur non essendo obbligatoria; b.  non appare censurabile, né frutto di scriteriatezza, la scelta dell’amministrazione di giungere – nella specie - ad una soluzione transattiva; c. nella specie era anzi evidente la necessità di addivenire ad una rapida conclusione della vicenda sia per evitare i maggiori costi relativi al contenzioso civile (basti pensare all’aggravio per spese legali e di consulenze tecniche), sia per rimediare al notevole danno di immagine subito dalla p.a. a causa del clamore mediatico suscitato dalla particolarità della vicenda.

Fattispecie: caso di condanna penale dei medici e dell’azienda ospedaliera a seguito della quale gli eredi della paziente accettavano a titolo di provvisionale la somma di € 200.000,00 offerta dal nosocomio, il quale formulava domanda di mediazione al fine di pervenire ad un componimento bonario della vertenza cui giungevano (in seguito a un ripetuto procedimento di mediazione) tutti coloro che erano stati coinvolti nel decesso della paziente, con eccezione di uno dei medici, riconoscendo un danno complessivo di € 834.424,00, di cui la somma di € 24.000,00, pari alla quota del suddetto sanitario, veniva corrisposta dall’azienda ospedaliera.
Innanzi alla corte dei Conti il medesimo medico veniva quindi convenuto per danno erariale. La difesa del convenuto si incentrava essenzialmente sull’assenza di nesso causale tra la condotta illecita contestata e l’evento dannoso, consistito nella stipulazione “di una transazione atipica ed irragionevole” tra l’Azienda e gli eredi della paziente. La Corte dei Conti, in accoglimento della domanda della Procura Regionale, condanna il medico convenuto a pagare a favore dall’Azienda Ospedaliera la somma di € 24.000,00.

Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 4/2014

Corte dei conti
Sezione giurisdizionale per la Sicilia
23 luglio 2013
Sentenza n. 2719

dott. Luciano PAGLIARO - Presidente -
dott. Giuseppe COLAVECCHIO - Consigliere relatore -
dott.ssa Igina MAIO - Referendario -

ha pronunciato la seguente

Sentenza 2719/2013

nel giudizio di responsabilità iscritto al n. 60901 del registro di segreteria, promosso dalla Procura Regionale nei confronti di G.C., nato a ---, il ---, rappresentato e difeso dall’avv. --- e dall’avv. ---, giusta procura in calce alla comparsa di costituzione ed elettivamente domiciliato presso lo studio ---

Visto l’atto di citazione.

Letti gli atti ed i documenti di causa.

Uditi, nella pubblica udienza del 26.06.2013, il relatore cons. Giuseppe Colavecchio, il pubblico ministero dott. Alessandro Sperandeo, sostituto procuratore generale e gli avv.ti Rosalba Basile e Domenico Cantavenera per il convenuto.

Ritenuto in

FATTO

La Procura Regionale, con atto di citazione depositato in segreteria in data 21.02.2013 e ritualmente notificato, chiamava in giudizio il dott. C. per essere condannato al pagamento della somma di € 24.000,00, oltre rivalutazione monetaria e interessi legali, a titolo di danno erariale patito dall’Azienda Ospedaliera ---.
L’organo requirente riferiva che i medici --- erano stati rinviati a giudizio “per il reato di cui agli artt. 113 e 589 c.p., per avere nelle rispettive qualità di sanitari operanti presso l’IMI di Palermo, reparto di ginecologia ed ostetricia, in cooperazione colposa tra loro, per colpa consistita in imprudenza, imperizia, negligenza, ed in particolare per non avere adottato, anche in virtù della natura specialistica del reparto, dall’ingresso avvenuto il 15.04.2004 alle ore 22,00 fino alla morte avvenuta in data 18.04.2004 alle ore 16,00, in ordine alla situazione clinica di ---, le misure di natura diagnostica e terapeutica atte a fronteggiare la patologia in atto di sindrome da iperstimolazione ovarica, così cagionando la morte della predetta”; aggiungeva che i medici --- erano stati rinviati a giudizio anche per il reato di cui agli artt. 110, 61 n. 2, 48, 476 cpv c.p., per avere indotto --- a falsificare la cartella clinica al fine di occultare o comunque assicurarsi l’impunità del reato di cui all’art. 589 c.p., nonché per il reato di cui agli artt. 624 e 625 n. 7 c.p., per avere indotto terzi, non identificati, “a sottrarre la fustella relativa al flacone di albumina asseritamente riportato in cartella clinica come somministrato nel pomeriggio del 16.04.2004 ed in realtà appartenente ad altro flacone di albumina di fatto non somministrato alla paziente ---”.
Il Tribunale di Palermo, con sentenza n. 5024/2010, condannava i predetti medici - con eccezione di --- che assolveva - per i reati loro ascritti e, dopo avere condiviso le conclusioni dei consulenti tecnici che avevano ritenuto gravemente censurabile la condotta degli stessi “con sicuro ed ininterrotto nesso causale con il decesso dell’---”, riscontrava “una gravissima violazione dei doveri professionali e deontologici realizzata con le gravi omissioni singolarmente accertate, che si sono risolte nel sostanziale stato di abbandono in cui è stata lasciata la sig.ra --- lungo il corso della sua degenza”.
A seguito della citata sentenza, gli eredi della sig.ra --- accettavano a titolo di provvisionale la somma di € 200.000,00 offerta dal nosocomio con nota prot. n. 1045 del 29.10.2010; quest’ultimo, in data 20.07.2011, formulava anche domanda di mediazione presso il Concilium A.D.R. al fine di pervenire ad un componimento bonario della vertenza.
Tutti coloro che erano stati coinvolti nel decesso della paziente, con eccezione del dott. C., sottoscrivevano in data 04.07.2012 l’accordo transattivo, riconoscendo un danno complessivo di € 834.424,00; la società Cattolica Assicurazione metteva a disposizione il massimale di € 515.424,00; la differenza era sborsata dai medici --- che corrispondevano ciascuno € 55.000,00, mentre il dott. --- versava € 20.000,00; la rimanente somma di € 24.000,00, pari alla quota del dott. C., era corrisposta dall’azienda ospedaliera.
Tale esborso veniva considerato dall’attore pubblico danno erariale da attribuire al dott. C. che in qualità “di primario di un reparto ospedaliero è il primo responsabile del corretto ed efficiente funzionamento della struttura dallo stesso diretta. Ciò comporta un preciso obbligo di controllo e informazione sullo stato di salute di tutti i pazienti ricoverati ed, in particolare, di quelli in condizioni gravi o critiche, al fine di disporre tutte le misure necessarie a garantire, tramite il coordinamento del personale sanitario assegnato al reparto, la migliore assistenza possibile”. Lo stesso, invece, ometteva deliberatamente di occuparsi della paziente e di informarsi sulle condizioni di salute e sulle terapie applicate.
Il dott. C., nella memoria depositata in data 06.06.2013, chiedeva in via principale il rigetto della domanda attorea e, in via subordinata, la riduzione dell’addebito.
La difesa del convenuto si incentrava essenzialmente sull’assenza di nesso causale tra la condotta illecita contestata e l’evento dannoso, consistito nella stipulazione “di una transazione atipica ed irragionevole” tra l’Azienda e gli eredi della sig.ra ---, liquidando una somma che risarciva “il massimo del danno iure proprio agli stessi spettante e il massimo del danno iure hereditatis agli stessi non spettante (c.d. danno tanatologico), in assenza di un giudizio civile per la determinazione dei danni, cui la sentenza penale del Tribunale di Palermo n. 5024/2010 acutamente aveva espressamente rinviato … e in difetto di una preliminare individuazione e valutazione ad opera di un tecnico e di un legale dei danni risarcibili agli eredi, sia iure proprio che iure hereditatis”.
In particolare, sosteneva che era da escludere il danno tanatologico, riconducibile nell’alveo del danno morale, quale conseguenza della sofferenza psichica provata dalla vittima di lesioni fisiche che, rimasta lucida durante l’agonia, sia deceduta dopo breve tempo; la sig.ra ---, secondo la prospettiva difensiva, corroborata dalla perizia di parte della dott.ssa ---, vedeva aggravarsi le proprie condizioni alle ore 14.25 del 18 aprile 2004 e, dopo la sedazione e le cure del caso, decedeva poco dopo alle ore 16.00, non potendo percepire l’angosciosa consapevolezza della fine imminente; ciò escludeva che agli eredi (---) potesse essere riconosciuto iure hereditario tale voce di danno.
La difesa, inoltre, contestava la quantificazione dei danni morali corrisposti iure proprio ai citati eredi; il danno non patrimoniale avrebbe dovuto essere determinato, infatti, in una frazione - stimabile tra 1/4 e la metà - di un ipotetico danno biologico tabellare della sig.ra --- (tra un minimo di € 196.058,30 e un massimo di € 294.087,46, tenuto conto delle tabelle in uso presso il Tribunale di Palermo nel periodo 2006/2007), assunto unicamente come parametro di riferimento del danno risarcibile; ne conseguiva che il danno risarcibile di ciascun erede avrebbe dovuto essere quantificato tra un minimo di € 49.041,57 e un massimo di € 147.043,73, per un totale complessivo oscillante tra € 200.000,00 ed € 600.000,00, con una valore mediano di € 400.000,00, pari alla prima proposta transattiva formulata dall’Azienda con la delibera n. 1101 del 20.12.2010 e, poi, inopinatamente abbandonata.
Inoltre, si soffermava sulla celerità e sulle anomalie procedurali del procedimento con il quale l’Azienda era giunta alla definizione dell’accordo transattivo con gli eredi, proponendo dapprima una domanda di mediazione, con una conclusione negativa presso, il Concilium A.D.R., anteriormente al deposito delle motivazioni della sentenza del Tribunale di Palermo, in una fattispecie nella quale, ai sensi dell’art. 5 del decreto legislativo n. 28/2010, era espressamente esclusa l’obbligatorietà del tentativo di mediazione; poi, con un nuovo tentativo - proposto in pendenza del giudizio di appello - conclusosi positivamente con l’accordo del 04.07.2012, senza alcuna previa comunicazione dell’apertura di tale ulteriore procedimento.
Il convenuto, quindi, sosteneva che le gravi negligenze a lui addebitate dall’organo requirente “in relazione alle cure prestate (o meglio non prestate) alla paziente tragicamente deceduta” ai fini della configurazione della responsabilità amministrativa non potevano costituire la condotta determinante, in termini causali, del danno che era, invece, conseguenza di una transazione conclusa senza un’adeguata valutazione della congruità delle somme offerte agli eredi che, se si fosse correttamente operato, avrebbero potuto essere interamente coperte dalla compagnia di assicurazione.

Considerato in
DIRITTO

Preliminarmente, deve darsi atto che il prof. C. non contesta che la condotta a lui addebitata nell’atto di citazione sia concausa del decesso della sig.ra ---, come inequivocabilmente, del resto, si evince dalla lettura della sentenza n. 5024/2010 del Tribunale di Palermo, nonché dalla consulenza tecnica espletata nel giudizio penale, e dalle dichiarazioni testimoniali agli atti; ne consegue che sul punto trova applicazione il disposto dell’art. 115, comma 1, c.p.c. secondo il quale il giudice deve porre a fondamento della decisione, oltre alle prove offerte, anche “i fatti non specificatamente contestati dalla parte costituita”.
Nella presente fattispecie è addebitato al convenuto un danno indiretto, derivante da un accordo transattivo stipulato tra gli eredi della sig.ra --- e tutti i soggetti coinvolti nel procedimento penale, nonché con l’intervento della compagnia di assicurazione dall’azienda sanitaria e della azienda stessa.
Il convenuto sostiene che la quantificazione dei danni liquidati ai citati eredi in misura pari a € 834.424,00 sia stata esorbitante rispetto a quanto si sarebbe potuto ottenere all’esito di un ordinario giudizio civile; tale somma, infatti, avrebbe potuto oscillare tra un minimo di € 200.000,00 e un massimo di € 600.00,00, con un valore medio di € 400.000,00, con integrale copertura da parte della compagnia assicurativa; per tale motivo contesta che il danno a lui addebitato di € 24.000,00, pari alla quota sborsata dall’Azienda ospedaliera per la sua mancata partecipazione all’accordo transattivo, possa ritenersi in nesso causale con la sua condotta.
La tesi difensiva non è in alcun modo condivisibile.
Innanzitutto, la stipula della transazione del 04.07.2012, preceduta dalla delibera n. 757 del 20.06.2012 di approvazione dell’accordo di massima sottoscritto il 29.05.2012 presso la sede del Concilium A.D.R. di Palermo, organismo di mediazione, è frutto - contrariamente a quanto opinato dal convenuto - di una lunga trattativa, iniziata a seguito di plurime diffide inviate dal legale degli eredi della sig.ra ---, come si legge nella nota prot. n. 14071 del 16.10.2012 e come risulta dai documenti ivi allegati; in tale trattativa sono stati coinvolti il prof. ---ai fini della valutazione della responsabilità dell’Azienda ospedaliera, il direttore generale, il responsabile dell’ufficio legale e il responsabile dell’unità di medicina legale, appositamente convocati dall’assessore regionale alla Sanità; il primo procedimento di mediazione n. 85/2011 si è concluso negativamente perché nel termine di legge non è giunta la composizione della controversia, mentre ha avuto buon esito - dopo ulteriori trattative - il secondo procedimento n. 307/2012 (l’attivazione di tale procedimento è stata comunicata al prof. C. mediante email inviata al legale di sua fiducia; deve, comunque, mettersi in luce che il predetto non aveva mai mostrato alcun interesse alla trattativa, tanto da non partecipare al primo procedimento e, pertanto, non si comprende - in questa sede - la doglianza circa la sua mancata partecipazione).
Evidente era la necessità di addivenire ad una rapida conclusione della vicenda sia per evitare i maggiori costi relativi al contenzioso civile (basti pensare all’aggravio per spese legali e di consulenze tecniche), sia per rimediare al notevole danno di immagine subito dall’Azienda a causa del clamore mediatico suscitato dalla particolarità della vicenda (si leggano gli articoli di stampa in atti); ciò ha indotto l’amministrazione, nell’addivenire alla transazione, ad assumere a proprio carico la somma di € 24.000,00, pari alla quota di danno attribuibile all’odierno convenuto.
Irrilevante è, poi, la circostanza che la mediazione sia stata attivata pur non essendo obbligatoria giacché non appare censurabile, né frutto di scriteriatezza la scelta dell’amministrazione, unitamente a quella degli altri medici coinvolti, di giungere ad una soluzione transattiva.
Il Collegio, ora, è chiamato a verificare se l’accordo transattivo sulla quantificazione del risarcimento da versare agli eredi sia nel suo complesso congruo o se, invece, sia conseguenza di scelte illogiche, contra legem o abnormi che abbiano comportato liquidazione di poste di danno non dovute, come sostenuto dalla difesa, con la conseguenza che la somma di € 24.000,00, considerata illecito erariale per il pubblico ministero, debba rimanere a carico dell’amministrazione stessa.
Innanzitutto una premessa è necessaria: il risarcimento del danno agli eredi della sig.ra --- è conseguenza diretta ed immediata di una condotta gravemente colposa attribuibile all’odierno convenuto in concorso con altri medici; non vi era, poi, alcun obbligo da parte della struttura sanitaria di procedere alla stipula di un contratto di assicurazione.
Ciò posto, il dott. C. sostiene che agli eredi non poteva essere liquidato iure hereditatis il danno tanatalogico perché il decesso della sig.ra --- è avvenuto in un lasso temporale molto breve e senza che la stessa percepisse l’angosciosa consapevolezza della fine imminente.
La Corte di cassazione (ex multis sezione lavoro n. 13672/2010) ha sancito che “in caso di morte che segua le lesioni fisiche dopo breve tempo, il danno c.d. tanatologico, consistente nella sofferenza patita dalla vittima che sia rimasta lucida durante l’agonia, in consapevole attesa della fine, dev’essere ricondotto nella dimensione del danno morale, inteso nella sua più ampia accezione, ed il diritto al relativo risarcimento è trasmissibile agli eredi. (Nella specie, avente ad oggetto il decesso conseguente ad un infortunio sul lavoro causato dal crollo di un muro, la S.C. ha cassato la pronuncia della corte di merito che aveva ritenuto che l’ambito temporale estremamente circoscritto dei fatti rendesse irrilevante l’accertamento sull’esistenza in vita del lavoratore al momento dell’estrazione dalle macerie e sulla sua richiesta di aiuto)”.
Ebbene, dall’esame degli atti di causa, in particolare la perizia del prof. ---  e del prof. ---, si evince che la sig.ra --- non può non avere avuto consapevolezza dell’aggravarsi delle sue condizioni di salute e della fine imminente; basti pensare che la stessa, prima che la crisi respiratoria prendesse il sopravvento provocandone il decesso (il medico di guardia è arrivato alle ore 14,25), accusava dispnea, cianosi distrettuale, tachicardia (130 b/min), tachipnea (inoltre all’auscultazione si repertavano fischi, sibili e rantoli su tutto l’apparato polmonare, tanto da procedere inizialmente con la somministrazione di Bentelan); l’aggravarsi della situazione clinica consigliava il trasporto in sala operatoria ove veniva somministrato ossigeno in maschera e solo successivamente veniva sottoposta ad intubazione oro-tracheale, ventilazione assistita e rianimazione; il decesso avveniva alle ore 16.00. Dalla documentazione agli atti, in particolare la predetta perizia, non risulta in alcun modo che la sig.ra ---abbia perso immediatamente conoscenza poco dopo le 14.25.
Per quanto riguarda, poi, il danno iure proprio degli eredi la quantificazione avviene tra una forbice minima e massima giacché deve tenersi conto, tra i diversi parametri, anche del tipo di legame intercorrente con il de cuius; tenuto conto che gli eredi della sig.ra --- sono il marito, i genitori e i fratelli, appare plausibile che la quantificazione del danno morale sia avvenuta in corrispondenza del valore massimo.
Deve, poi, ricordarsi che la transazione è frutto di reciproche concessioni tra le parti; gli eredi, inizialmente, avevano chiesto somme ben maggiori: il marito € 1.100.000,00 e gli altri congiunti € 500.000,00 ciascuno (ovviamente tali consistenti importi avrebbero dovuto essere oggetto di rigorosa prova nel giudizio civile e non sono stati presi in considerazione nella transazione); l’Azienda aveva offerto la somma di complessiva di € 400.000,00, per poi giungere alla cifra di € 834.424,00, ripartita tra tutti i soggetti coinvolti.
Aggiungasi che parte convenuta, nel ritenere eccessivo il risarcimento accordato agli eredi a titolo di danno morale iure proprio e iure hereditatis, non ha in alcun modo tenuto conto di ulteriori voci di danno che questi ultimi avevano chiesto e che avrebbero potuto formare oggetto di contenzioso: il danno patrimoniale subito dal marito a causa della perdita della potenziale capacità lavorativa della moglie di anni 32; quello connesso allo stato di gravidanza (come risulta dalla perizia del prof. --- e del prof. ---), frutto di apposta proceduta di inseminazione presso il centro SISMER di Bologna, ecc…
Il Collegio tenuto conto che il risarcimento dei danni patrimoniali e morali agli eredi di un congiunto deceduto è frutto di stratificazioni giurisprudenziali, nonché di un giudizio prognostico circa l’esito di un lungo contenzioso civile che avrebbe comportato aggravio di costi per spese legali, consulenze tecniche, oneri accessori, ritiene congruo l’importo liquidato a seguito della stipula della transazione, non ritenendolo frutto di scelte incongrue o contra legem.
Non vi sono i presupposti per l’esercizio del potere riduttivo di cui all’art. 52, comma 2, del regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214, e all’art. 83 del regio decreto 18 novembre 1923, n. 2440, per la gravità della condotta del prof. C.; questi, primario del reparto di ginecologia e ostetricia, si è disinteressato del tutto del ricovero della paziente e dopo il decesso non solo ha falsificato la cartella clinica tramite la dott.ssa Rizzo, ma ha anche istigato un infermiere, rimasto sconosciuto, a far sparire un flacone di albumina, e ciò per tentare di celare la sua grave condotta omissiva.
Alla luce di quanto argomentato, ritenuta sussistente la responsabilità per danno erariale, il Collegio condanna il prof. C. a pagare a favore dall’Azienda Ospedaliera --- la somma di € 24.000,00, con rivalutazione monetaria, da calcolarsi secondo gli indici i.s.t.a.t., dall’esborso e fino al giorno del deposito della presenta sentenza, nonché con gli interessi legali sulla somma così rivalutata dal predetto deposito al soddisfo.
Le spese di causa seguono, liquidate come da dispositivo a favore dello Stato, la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dei Conti - Sezione Giurisdizionale per la Regione Siciliana - definitivamente pronunciando, respinta ogni altra contraria istanza, deduzione ed eccezione, in accoglimento della domanda della Procura Regionale, condanna il sig. il prof. C. a pagare a favore dall’Azienda Ospedaliera --- la somma di € 24.000,00, con rivalutazione monetaria, da calcolarsi secondo gli indici i.s.t.a.t., dall’esborso e fino al giorno del deposito della presenta sentenza, nonché con gli interessi legali sulla somma così rivalutata dal predetto deposito al soddisfo; pone, altresì, a carico del convenuto le spese di giudizio che vengono liquidate a favore dello Stato e quantificate in € 245,14.

Così deciso in Palermo, nella camera di consiglio del 26 giugno 2013.

L’ Estensore Il Presidente
F.to Dott. Giuseppe Colavecchio F.to Dott. Luciano Pagliaro

Depositata oggi in Segreteria nei modi di legge.

Palermo, 23 luglio 2013

Il Direttore della Segreteria
F.to Dr.ssa Rita Casamichele


AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.