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28 febbraio 2022

5/22. Tardiva attivazione del procedimento, ma conclusione entro l'udienza di rinvio disposto dal giudice: improcedibilità della domanda? (Osservatorio Mediazione Civile n. 5/2022)

=> Tribunale di Civitavecchia, 24 maggio 2021 

È destituita di fondamento l’eccezione di improcedibilità della domanda per tardiva attivazione del procedimento di mediazione obbligatoria disposto dal giudice, ai sensi dell'art. 5, comma 2, d.lgs. n. 28 del 2010, atteso che il termine di quindici giorni assegnato è da ritenersi ordinatorio e non perentorio, e la sanzione della improcedibilità della domanda giudiziale non può essere pronunciata se, pur essendo la mediazione stata iniziata in ritardo, il procedimento è comunque stato avviato e concluso entro l'udienza di rinvio ed il mancato rispetto del termine non ha quindi inciso sulla effettuazione del tentativo di mediazione e sull'avveramento della condizione di procedibilità (I).  

(I) Si veda l’art. 5, comma 2, D.lgs. 4 marzo 2010 n. 28 (Osservatorio Mediazione Civile n. 38/2018).

Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 5/2022
(www.osservatoriomediazionecivile.blogspot.com)

Tribunale di Civitavecchia
sentenza
24 maggio 2021

Omissis 

Osserva preliminarmente il Tribunale che è destituita di fondamento l’eccezione di improcedibilità della domanda avanzata dai convenuti con la memoria ex art. 183 sesto comma n. 1 c.p.c. per tardiva attivazione del procedimento di mediazione obbligatoria disposto dal giudice, ai sensi dell'art. 5,2°. comma, D.Lgs. n. 28 del 2010, atteso che il termine di quindici giorni assegnato è da ritenersi ordinatorio e non perentorio, e la sanzione della improcedibilità della domanda giudiziale non può essere pronunciata se, pur essendo la mediazione stata iniziata in ritardo, il procedimento è comunque stato avviato e concluso entro l'udienza di rinvio ed il mancato rispetto del termine non ha quindi inciso sulla effettuazione del tentativo di mediazione e sull'avveramento della condizione di procedibilità.

Rileva ancora preliminarmente lo scrivente magistrato che l’attuale disponibilità, in capo ai convenuti, della consistenza immobiliare per cui è lite – come innanzi individuata– non è oggetto di contestazione tra le parti e può pertanto ritenersi circostanza pacifica e provata [art. 115 c.p.c.].

Ciò premesso, osserva il Tribunale che la domanda giudiziale – da qualificarsi come azione di rivendicazione ai sensi dell’art. 948 c.c.– è infondata e deve essere rigettata, per i motivi di seguito precisati [sulla qualificazione della domanda, che rientra nei compiti propri del giudice del merito, il quale è chiamato ad accertarne la portata non solo sulla base della sua formulazione letterale, ma, soprattutto, del suo contenuto sostanziale, in relazione alle finalità perseguite dalla parte ed al provvedimento richiesto in concreto, desumibile dalla situazione dedotta in causa e delle eventuali precisazioni formulate nel corso del giudizio, cfr. Cass. 3879/1987 e Cass. S.U. 27/2000; quanto alla individuazione in concreto del “perimetro” dell’azione reale di rivendicazione, cfr. il principio espresso in Cass. S.U. 7305/2014].

Nel caso di specie, valutata la qualificazione giuridica della domanda nei termini anzidetti e, considerata altresì la specifica contestazione sul punto svolta dai conventi che non consente una attenuazione del rigore probatorio [“il rigore della regola secondo cui chi agisce in rivendicazione deve provare la sussistenza del proprio diritto di proprietà o di altro diritto reale sul bene anche attraverso i propri danti causa, fino a risalire ad un acquisto a titolo originario o dimostrando il compimento dell’usucapione, non riceve attenuazione per il fatto che la controparte proponga domanda riconvenzionale ovvero eccezione di usucapione, in quanto chi è convenuto nel giudizio di rivendicazione non ha l’onere di fornire alcuna prova, potendo avvalersi del principio “possideo quia possideo”, anche nel caso in cui opponga un proprio diritto di dominio sulla cosa rivendicata, dal momento che tale difesa non implica alcuna rinuncia alla più vantaggiosa posizione di possessore”. Cfr. Cass, Sez. III, ordinanza n. 14734 del 7 giugno 2018], per l’accoglimento della domanda giudiziale è necessaria la "probatio diabolica" della titolarità del diritto di chi agisce ovvero è necessario che la parte attrice dimostri la proprietà risalendo, anche attraverso i propri danti causa, fino all’acquisto a titolo originario, ovvero dimostrando il compimento dell'usucapione.

L’odierno attore non ha né allegato né dimostrato [art. 2697, c. I, c.c., art. 112 c.p.c.] il compimento, in suo favore, dell’usucapione [né con riferimento al disposto di cui all’art. 1158 c.c. né avuto riguardo ai presupposti della fattispecie di cui all’art. 1159 c.c.].

Il titolo prodotto in atti, secondo la prospettazione attorea idoneo a fornire la prova della proprietà del bene oggetto di lite, è un atto di divisione recante rep.

26259 racc. 14364 del 1988 che ha diviso tra i figli di omissis i beni di proprietà materna caduti in successione.

Ebbene, da un lato deve rilevarsi che detto atto non è idoneo a fornire la prova della titolarità del bene cui si riferisce [cfr. Cass. civ. Sez. II Sent., 10/03/2015, n. 4730 secondo cui “l'atto di divisione, in ragione della sua natura meramente dichiarativa, non è idoneo a fornire la prova della titolarità del bene nei confronti dei terzi, mentre assume rilevanza probatoria nella controversia sulla proprietà tra i condividenti o i loro aventi causa, giacché la divisione, accertando i diritti delle parti sul presupposto di una comunione di beni indivisi, postula necessariamente il riconoscimento dell'appartenenza delle cose in comunione”] e quand’anche si volesse ritenerlo idoneo a fornire la prova del titolo di proprietà, detto atto non attribuisce all’attore il compendio oggetto di causa situato al mappale omissis foglio omissis [art. 5 atto di divisione individua i beni assegnati al omissis] bensì alla sorella omissis [art. 2 del predetto atto].

Dalla documentazione prodotta dalla parte istante, quindi, emerge che l’attore non è proprietario della consistenza immobiliare per cui è lite né in via esclusiva né tantomeno pro quota, la domanda ex art. 948 c.c. è quindi infondata e deve essere rigettata.

Altrettanto infondata è la domanda riconvenzionale svolta dai convenuta, atteso che non risulta maturato il possesso ventennale del compendio oggetto di lite, poiché i coniugi Se. Be. hanno acquistato l’immobile sito omissis, nel cui cortile antistante si trova la porzione di terreno controversa e qualificata come bene comune non censibile, soltanto in data 16.6.1995, pertanto solo da allora può in via astratta ritenersi esercitato un possesso utile ai fini del perfezionarsi dell’usucapione.

Come è noto, per giurisprudenza costante, per poter usucapire un bene comune, il possesso deve essere incompatibile con quello degli altri compossessori: per i beni in "compossesso", infatti, ai fini dell'usucapione, l'utilizzo esclusivo della cosa comune da parte del singolo compossessore non risulta sufficiente, essendo necessaria invece la dimostrazione concreta del possesso esclusivo sul bene comune, apertamente antitetico e chiaramente incompatibile con il possesso altrui, e l'onere della prova grava su colui il quale invoca l'avvenuta usucapione del bene comune (v., tra le altre, Cass. civ. n. 16414/17).

Nel caso di specie i convenuti non hanno fornito la prova del possesso ultraventennale esclusivo del compendio oggetto di causa. Invero la disponibilità che i medesimi avevano della porzione di terreno oggetto del presente giudizio, anche a voler ritenere come dedotto dai convenuti che la recinzione dell’area era avvenuta in data antecedente al 1995, non integrava il possesso rilevante ai fini dell’usucapione, atteso che per stessa ammissione dei coniugi Se.-Be. il rapporto di fatto tra i medesimi e il bene si era instaurato in virtù di contratto di locazione e pertanto era qualificabile come mera detenzione [cfr. Cass. 5551/2005 secondo cui “La presunzione di possesso utile "ad usucapionem" di cui all'art. 1141 cod. civ. non opera quando la relazione con la cosa consegua non ad un atto volontario d'apprensione, ma ad un atto o ad un fatto del proprietario - possessore, poiché l'attività del soggetto che dispone della cosa (configurabile come semplice detenzione o precario) non corrisponde all'esercizio di un diritto reale, non essendo svolta in opposizione al proprietario. In tal caso la detenzione non qualificata di un bene immobile può mutare in possesso solamente all'esito di un atto d'interversione idoneo ad escludere che il persistente godimento sia fondato sul consenso, sia pure implicito, del proprietario concedente”].

Solo successivamente al 16.06.1995, momento in cui gli odierni convenuti sono divenuti proprietari dell’immobile condotto in locazione, può dirsi che i medesimi hanno iniziato ad esercitare l’animus possidendi, ma non risulta ancora maturato il possesso utile ai fini dell’usucapione, risultando il presente giudizio introdotto nel maggio del 2015. Anche la domanda riconvenzionale deve quindi essere rigettata.

La soccombenza reciproca giustifica l’integrale compensazione, tra le parti, delle spese di lite, sussistendo, nel caso di specie, il requisito della cd. “reciproca soccombenza”, ai sensi dell’art. 92, c. II, c.p.c. 

PQM 

Il Tribunale, definitivamente pronunciando nella causa civile in primo grado omissis, disattesa ogni contraria istanza, deduzione ed eccezione, così decide: rigetta la domanda attorea; rigetta la domanda riconvenzionale; ordina al Conservatore dei Registri Immobiliari territorialmente competente di procedere alla cancellazione della trascrizione della domanda giudiziale e della domanda riconvenzionale, ove risultino eseguite, con esonero da ogni responsabilità al riguardo, a cura e spese della parte interessata; spese compensate.

 

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.