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9 marzo 2020

13/20. Ripetizione delle spese sostenute dal vincitore per l’assistenza legale in mediazione e vittoria con forte diminuzione del petitum (Osservatorio Mediazione Civile n. 13/2020)

=> Corte di Cassazione 14 maggio 2019, n. 12712

Il D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 13 stabilisce, al comma 2, che qualora il provvedimento che definisce il giudizio non corrisponda interamente al contenuto della proposta il giudice, se ricorrono "gravi ed eccezionali ragioni", può comunque escludere la ripetizione delle spese sostenute dal vincitore per l'indennità corrisposta al mediatore, dovendo indicare esplicitamente nella motivazione le ragioni di tale provvedimento. Tale principio non può non essere esteso, considerata l'obbligatorietà della fase di mediazione, alle spese che la parte deve sostenere per fruire dell'assistenza di un proprio difensore in tale fase. Nella specie, posto che il D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, comma 1, stabilisce che , tra l'altro, per le cause relative a contratti assicurativi, è necessario il preliminare procedimento di mediazione, per cui la mediazione sarebbe una fase necessaria del giudizio complessivo, ci si lamenta in cassazione la mancata rifusione delle spese di mediazione da parte del giudice d'appello; la SC osserva che effettivamente il giudice d'appello esclude - dopo avere contraddittoriamente condannato l’assicurazione a rifondere a controparte tutte le spese dei due gradi di merito - la ripetizione delle spese della fase di mediazione, e ciò giustifica affermando che la parte è stata solo parzialmente vittoriosa per una somma assai ridotta rispetto al petitum iniziale: è evidente, afferma la SC, che ciò non può integrare una fattispecie di "gravi ed eccezionali ragioni", trattandosi solo di una forte diminuzione del petitum, evento che, al contrario, è alquanto frequente quale esito dei giudizi. Il motivo perciò merita accoglimento) (I).


Fonte: Osservatorio Mediazione Civile n. 13/2020

Corte di Cassazione
Ordinanza n. 12712
14 maggio 2019

Omissis

Il primo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione di norme nonchè, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di fatto discusso e decisivo in relazione alla "eccezione di decadenza di parte appellante dalla facoltà di proporre eccezioni" ai sensi degli artt. 702 bis e 345 c.p.c. per violazione e falsa applicazione degli artt. 277,702 bis, 345 e 437 c.p.c. per omessa pronuncia su tale eccezione. Con comparsa di costituzione in appello, omissis avrebbe eccepito la decadenza di controparte dalla proposizione di eccezioni non rilevabili d'ufficio ai sensi degli artt. 702 bis e 345 c.p.c. in riferimento all'eccezione di merito dell'asserita preesistenza di patologia; il giudice d'appello non avrebbe esaminato tale eccezione e così avrebbe violato l'art. 277 c.p.c. - applicabile anche in appello in forza dell'art. 359 c.p.c. - nonchè gli artt. 702 bis, 345 e 437 c.p.c. L'appellante avrebbe addotto a base della richiesta riforma proprio l'asserita preesistente patologia, e questo non costituirebbe una mera difesa, bensì una vera eccezione di merito; ma essendo rimasta contumace, la compagnia sarebbe decaduta dal sollevarla. Secondo la giurisprudenza di questa Suprema Corte (si richiama Cass. 14581/2007) le eccezioni lato sensu, rilevabili d'ufficio, hanno la rilevabilità condizionata al rispetto del contraddittorio, per cui il giudice non può fondarsi su fatti non allegati tempestivamente dalle parti, e l'allegazione tempestiva deve avvenire al massimo entro l'ultimo termine di determinazione, per il processo di primo grado di thema decidendum e thema probandum. La corte territoriale avrebbe pertanto dovuto esaminare la controeccezione di decadenza sollevata dall'attuale ricorrente.
Questo motivo, considerato il suo effettivo contenuto, deve ritenersi che venga in realtà a denunciare (come soprattutto emerge dalla parte conclusiva) violazione dell'art. 112 c.p.c.: il giudice d'appello non avrebbe esaminato l'eccezione di decadenza dell'appellato e quindi non si sarebbe pronunciato su di essa.
La doglianza non risulta fondata.
Invero, la corte territoriale osserva nella sentenza impugnata, a pagina 5: "E' noto che quando la parte convenuta rimane contumace non può operare il principio della non contestazione dei fatti allegati dalla parte attrice ex art. 115 c.p.c. con la conseguenza che quest'ultima è tenuta a fornire precisa prova di tutti i fatti posti a fondamento del diritto fatto valere in giudizio". Con questo passo - anche se non con assoluta chiarezza - la corte conduce a comprendere che non ritiene fondata l'eccezione di decadenza sollevata dall'appellato, perchè l'appellante ha soltanto fatto valere gli obblighi probatori di controparte, e quindi ha presentato una mera difesa. Il che si inserisce con evidenza nell'insegnamento della giurisprudenza di questa Suprema Corte, a quale da tempo ha dichiarato che l'ambito di operatività della polizza deve essere dimostrato da chi la fa valere per ottenere l'indennizzo dalla compagnia assicuratrice, non costituendo viceversa la sussistenza di suoi limiti oggetto di una eccezione posta a carico della compagnia. Da ultimo, infatti, si è affermato che "in tema di assicurazione della responsabilità civile, l'eccezione di inoperatività della polizza assicurativa non costituisce un'eccezione in senso proprio, ma una semplice difesa volta a contestare il fondamento della domanda, assumendo l'estraneità dell'evento ai rischi contemplati nel contratto. Essa, pertanto, è deducibile per la prima volta in appello" (Cass. sez. 3, 3 luglio 2014 n. 15228), ribadendo così un principio che già in precedenza era stato inequivocamente riconosciuto (v., tra gli arresti massimati, Cass. sez. 3, 22 febbraio 2000 n. 1967, conforme alla pronuncia appena citata; e cfr. pure Cass. sez. 3, 5 agosto 2005 n. 16582, per cui l'adduzione da parte dell'assicuratore della inoperatività della polizza in quanto fatta valere oltre i suoi limiti costituisce esercizio del suo diritto di difesa a fronte della pretesa di indennizzo fondata su tale polizza).
Il motivo, in conclusione, è privo di fondatezza.
Il secondo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell'art. 116 c.p.c. e art. 2697 c.c., e denuncia altresì, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di fatto discusso e decisivo, cioè delle condizioni di polizza, conseguentemente non applicate. Il giudice d'appello avrebbe ritenuto che il consulente tecnico d'ufficio possa avere non solo un incarico valutativo (deducente) ma pure accertatorio (recipiente); nel caso in esame l'incarico sarebbe stato quello di accertare i danni, e il consulente avrebbe accertato le conseguenze dei due eventi traumatici "in un soggetto che era affetto da iniziale patologia degenerativa del rachide cervicale"; conclusione che la corte territoriale avrebbe poi condiviso.
In tal modo la corte avrebbe effettuato violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e art. 2697 c.c., comma 2, fondandosi su esiti della consulenza tecnica d'ufficio "senza fornire la necessaria argomentazione logico-giuridica" benchè le risultanze della consulenza fossero state oggetto di "circostanziate contestazioni", prima del consulente di parte dell'attuale ricorrente, e poi della difesa di quest'ultimo in note autorizzate di primo grado e nelle conclusionali di secondo grado. Le critiche avrebbero evidenziato che non si sarebbe potuto comprendere da dove era stata desunta la pretesa patologia preesistente e avrebbero altresì censurato il consulente tecnico d'ufficio per aver travalicato l'ambito del suo incarico, fornendo, senza richiesta, una propria e discutibile interpretazione delle Condizioni di polizza (vengono riportati al riguardo passi della consulenza), nonostante che il suo incarico si limitasse all'accertamento soltanto dei danni e non si estendesse alla quantificazione del relativo indennizzo. E ciò tanto più perchè la compagnia assicuratrice, non essendosi costituito, in primo grado, non aveva eccepito concause per diminuire l'indennizzo. Si richiama giurisprudenza di questa Suprema Corte per affermare che la consulenza tecnica d'ufficio non può accertare fatti non affermati/allegati e che il giudice, se aderisce a conclusioni del consulente tecnico d'ufficio che siano state specificamente contestate, deve motivare in ordine alle censure, giacchè altrimenti ometterebbe la motivazione su un punto decisivo. La corte territoriale inoltre avrebbe omesso di esaminare le prove documentali, e in particolare le condizioni di polizza (di cui si richiamano alcuni elementi): e avrebbe in tal modo dovuto confermare il provvedimento di primo grado. Viene prospettato anche un calcolo di quantificazione dell'indennizzo.
L'ampia illustrazione, appena effettuata, del contenuto del secondo motivo ne evidenzia la natura in buona parte direttamente fattuale, e pertanto inammissibile.
D'altronde, non è sostenibile che in ordine alle contestazioni mosse dalla difesa dell'attuale ricorrente avverso gli esiti della consulenza tecnica d'ufficio la corte territoriale non abbia fornito adeguata risposta: al riguardo la motivazione inequivocamente esiste, perchè il nucleo di quel che esterna di avere accertato la corte territoriale risiede proprio nella preesistente patologia da cui era afflitto l'attuale ricorrente (motivazione, pagine 5-6), che la corte rileva tra l'altro - essere emersa "dall'esame dei certificati medici e radiografici prodotti" da lui stesso.
Anche questo motivo, pertanto, non ha consistenza.
Il terzo motivo denuncia erroneità della sentenza di secondo grado sulla domanda di rimborso delle spese della procedura di mediazione, al cui riguardo sarebbe stato proposto il motivo sub a) dell'appello incidentale. Sussisterebbero le ipotesi di cassazione ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 per violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 115 c.p.c. La corte territoriale avrebbe rigettato il motivo dell'appello incidentale "perchè omissis è stato solo parzialmente vittorioso per una somma assai ridotta rispetto al petitum iniziale". Oppone il motivo che la regolamentazione delle spese deve essere effettuata secondo l'esito finale di un processo svolto in gradi, come insegna la giurisprudenza di legittimità: e quindi, essendo la compagnia assicuratrice soccombente, essa avrebbe dovuto rifondere le spese per tutti i gradi e tutte le fasi del giudizio. Il D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, comma 1, stabilisce che è necessario il preliminare procedimento di mediazione, tra l'altro, per le cause relative a contratti assicurativi. Stabilisce pertanto un requisito di procedibilità, per cui la mediazione sarebbe "una fase necessaria del giudizio complessivo".
Questo motivo lamenta la mancata rifusione delle spese di mediazione da parte del giudice d'appello, e dimostra una manifesta fondatezza.
Il D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 13 stabilisce, al comma 2, che qualora il provvedimento che definisce il giudizio non corrisponda interamente al contenuto della proposta il giudice, se ricorrono "gravi ed eccezionali ragioni", può comunque escludere la ripetizione delle spese sostenute dal vincitore per l'indennità corrisposta al mediatore, dovendo indicare esplicitamente nella motivazione le ragioni di tale provvedimento. Principio che non può non essere esteso, considerata l'obbligatorietà della fase di mediazione, alle spese che la parte deve sostenere per fruire dell'assistenza di un proprio difensore in tale fase.
Effettivamente il giudice d'appello esclude - dopo avere contraddittoriamente condannato C. a rifondere a controparte tutte le spese dei due gradi di merito - la ripetizione delle spese della fase di mediazione, e ciò giustifica affermando che omissis "è stato solo parzialmente vittorioso per una somma assai ridotta rispetto al petitum iniziale". Tuttavia, è evidente che ciò non può integrare una fattispecie di "gravi ed eccezionali ragioni", trattandosi solo di una forte diminuzione del petitum, evento che, al contrario, è alquanto frequente quale esito dei giudizi.
Il motivo perciò merita accoglimento, e non occorrendo ulteriori accertamenti di fatto conduce - cassata in parte qua la sentenza - alla decisione in merito, come si vedrà infra.
Il quarto motivo denuncia l'erroneità della sentenza di secondo grado sulla domanda di liquidazione delle spese secondo i criteri di cui al D.M. n. 55 del 2014, art. 4 (in ciò consisteva il motivo sub b) dell'appello incidentale). Sussisterebbe vizio in riferimento all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 per violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e15 c.p.c., D.M. n. 55 del 2014, artt. 4 e 28. Il primo giudice non avrebbe liquidato le spese in base all'invocato decreto ministeriale, pur essendo questo già all'epoca vigente; controparte non avrebbe neppure contestato tale motivo d'appello incidentale.
Per questo motivo è sufficiente constatare che dell'analogo motivo d'appello si è correttamente verificato assorbimento, come rileva la corte nel penultimo periodo della motivazione, a pagina 8: "Il motivo di appello incidentale relativo alla domanda di liquidazione delle spese di lite in maggior misura deve ritenersi assorbito per effetto della revisione del quantum delle spese dovute rideterminate in base al criterio del valore". Non vi è, pertanto, alcuna fondatezza.
In conclusione, il ricorso deve essere accolto limitatamente al terzo motivo - rigettati gli altri -, il che comporta la cassazione senza rinvio della sentenza in parte qua e, sussistendo il presupposto di cui all'art. 384 c.p.c., comma 2, la decisione nel merito, condannandosi la controricorrente a rifondere al ricorrente le spese di mediazione, liquidate come da dispositivo.
Quanto alle spese processuali del grado, liquidate per l'intero come da dispositivo, la reciproca soccombenza ne giustifica la compensazione per metà, condannandosi la controricorrente a rifondere al ricorrente la metà ulteriore.

PQM

Accoglie il ricorso limitatamente al terzo motivo, rigetta gli altri, cassa in relazione e, decidendo nel merito, condanna la controricorrente a rifondere al ricorrente le spese di mediazione, liquidate in Euro 1500, oltre a Euro 108,90 per anticipazioni, al 15% per spese generali e agli accessori di legge. Condanna altresì la controricorrente a rifondere a controparte la metà delle spese processuali del grado, liquidate per l'intero in un totale di Euro 5000, oltre a Euro 200 per gli esborsi, al 15% per spese generali e agli accessori di legge, compensando l'altra metà.

AVVISO. Il testo riportato non riveste carattere di ufficialità.